CASTELNUOVO DI FARFA – Palazzo Eredi Salustri Galli
Franco Leggeri Fotoreportage -Castelnuovo di Farfa -Il Palazzo (Edificio del XVI secolo) ora appertine alla famiglia Salustri Galli da quando verso la metà del 1800 Angelo Galli lo acquisto. Il palazzo era proprietà della famiglia dei Marchesi Simonetti che per diversi secoli amministrò le terre di proprietà dell’abbazia benedettina di Farfa, comprese tra il torrente Farfa, il Fabaris di Ovidio, e il piccolo Riana.L’edificio si compone di nuclei edilizi diversi, edificati probabilmente a partire dal XVI secolo, ma l’intervento più consistente è databile alla metà del ‘700. In quegli anni, inoltre, furono decorati gli ambienti interni con affreschi di grande pregio artistico. Tra le numerose decorazioni compaiono, oltre a vedute dei palazzi di famiglia, anche eleganti ritratti di aristocratici, carrozze paludate, popolani e passanti ritratti con vivace naturalezza; nelle sopra porte, sicuramente sono da ammirare si trovano i così detti “capricci”, una combinazione di elementi architettonici o naturali non presenti nella realtà, composta in modo del tutto immaginario. Bellissimi sono anche i giardini all’italiana all’interno della proprietà.
-Roma, MunicipioXIII: il Castello della Porcareccia-
Roma, Municipio XIII -Franco Leggeri Fotoreportage- : il Castello della Porcareccia – Quartiere Casalotti. Fuori dal traffico della Via Boccea, in una discontinuità edilizia, c’è il Castello della Porcareccia, noto anche con il nome “Castello aureo”, che domina il suo borgo medievale. Il fortilizio, in posizione strategica, è costruito su di uno sperone roccioso. Anticamente vi era una torre di avvistamento, ora scomparsa. Il Castello nel corso dei secoli è stato, più volte, rimaneggiato e, rispetto alla costruzione originale, ora si vedono modifiche strutturali evidenti. Il toponimo deriva da “Porcaritia”.
Nel passato questa era una località al centro di boschi di querce e, quindi , luogo più che mai adatto all’allevamento dei maiali. Il primo documento che parla del Castello è una lapide del 1002, che si trova nella Chiesa di Santa Lucia delle Quattro Porte ,dove si legge che un prete “romanus” dona la tenuta della Porcareccia ai canonici di Monte Brianzo. Nel 1192 Papa Celestino III dà la cura del fondo ai canonici di Via delle Botteghe Oscure. Il Papa Innocenzo III affidò una parte della tenuta all’Ordine Ospedaliero di Santo Spirito. La tenuta passò, dopo la crisi fondiaria del 1527, ai principi Massimo e nel 1700 ai Principi Borghese, quindi ai Salviati e ai principi Lancellotti, ora la proprietà del Castello è della Famiglia Giovenale che lo possiede dal 1932.
Il portale d’ingresso è imponente e su di esso vi è lo stemma di Sisto IV. Prima di accedere al cortile interno, nel “tunnel”, in alto, si notano dei fori passanti sedi di una grata metallica che, alla bisogna, era calata per impedire assalti e irruzioni di nemici . Nel giardino interno del Castello vi è, in bella mostra, una stele commemorativa di un funzionario imperiale delle strade di Roma . La stele probabilmente era riversa in terra perché presenta evidenti segni di ruote di carro. Vicino vi è una lapide funeraria con incisi dei pavoni, antico simbolo di morte. Sono visibili altri reperti di epoca romana, come frammenti di capitelli e spezzoni di colonne. In bella mostra, montata alla rovescia, vi è una vecchia macina a mano per il grano, una simile è nel cortile della chiesa di Santa Maria di Galeria. Nel piazzale interno c’è la chiesetta di Santa Maria la cui costruzione risale al 1693.
Ciò che colpisce nella chiesa è la bellezza dell’Altare realizzato in legno intagliato, come dice uno dei proprietari, il Sig. Pietro Giovenale:”l’Altare è stato costruito dai prigionieri austriaci della Grande Guerra che qui erano stati internati”. Nel 1909, giusto un secolo fa, in questa chiesa celebrava la Messa il giovane prete Don Angelo Roncalli, il futuro Papa Buono, Giovanni XXIII il quale veniva in questi luoghi per goderne la bellezze naturali e gustare ”la buona ricotta” della via Boccea che Gli veniva offerta dai pastori ; a ricordo di questa visite, all’interno della chiesa, per desiderio della Famiglia Giovenale, il Vescovo della Diocesi di Porto e Santa Rufina, Mons. Gino Reali, nel 2004 inaugurò una lapide. La tenuta della Porcareccia fu anche antesignana della “guerra delle quote latte”; Ci narra la storia che nel periodo di carestia si diede il massimo sviluppo all’allevamento dei suini per sfamare la popolazione di Roma, come si legge in una bolla di Papa Urbano V nel 1362 che decretava “libertà di pascolo ai suini in qualsiasi terreno e proprietà…”. Per segnalare la presenza degli animali furono messi dei campanelli alle loro orecchie e chiunque ne impediva il pascolo incorreva in pene severissime.
Articolo e Fotoreportage di Franco Leggeri
N.B. Le foto originali sono di Franco Leggeri- Fonte articolo: Autori Vari- Si Evidenzia e voglio ricordare che gli Alunni di Casalotti hanno realizzato un pregevole lavoro sulle origini e la Storia del Castello. L’Intervista con il Sig. Giovenale è di Franco Leggeri- Si chiarisce che l’articolo è solo una piccola sintesi ricavata da un lavoro molto più esaustivo e completo relativo al Medioevo e i sistemi difensivi della Campagna Romana – TORRI SARACENE-TORRI DI SEGNALAZIONI – Monografia e ricerca storica i biblioteca di Franco Leggeri pubblicazione a cura dell’Associazione DEA SABINA.
Découvrez au Musée Jacquemart-André des trésors de la Galleria Borghese de Rome-
Alla Galleria Borghese di Roma-Du 6 septembre 2024 au 5 janvier 2025, pour son exposition de réouverture après plus d’un an de travaux entrepris sous la conduite de l’Institut de France, le Musée Jacquemart-André présente au public une quarantaine de chefs-d’œuvre de la célèbre Galleria Borghese de Rome.
Ce partenariat exceptionnel entre les deux institutions offre une occasion unique d’admirer à Paris un ensemble d’œuvres majeures d’artistes célèbres de la Renaissance et de la période baroque rarement prêtées à l’étranger,du Caravage à Botticelli, en passant par Raphaël, Titien, ou encore Véronèse, Antonello da Messina et Bernin… Cette exposition star de la rentrée rendra aussi hommage à des peintres moins connus du grand public, tels qu’Annibal Carrache, Guido Reni, Le Cavalier d’Arpin, Jacopo Bassano et à des peintres nordiques ayant séjourné en Italie (Rubens, Gerrit von Honthorst…).
La présentation des œuvres dans une scénographie audacieuse d’Hubert Le Gall éclaire à la fois l’histoire de la collection et le sens des grandes thématiques explorées par les artistes.
Scipion Caffarelli-Borghese (1577-1633), neveu du pape Paul V, est en effet entré dans l’Histoire comme l’exemple du grand collectionneur et mécène. Il est issu d’une noble famille d’origine siennoise installée à Rome au XVIe siècle. La Villa Borghese Pinciana sort de terre au XVIIe siècle. Le puissant homme d’Église italien a voulu faire construire un palais à la romaine, entouré de jardins. Un cadre luxueux pour mettre en valeur tableaux et sculptures qui composaient sa collection. Par ses goûts, sa curiosité et son éducation, Scipion Borghèse a pu rassembler quelques-uns des plus beaux chefs-d’œuvre des artistes de son temps. La Villa (devenue aujourd’hui Galerie) était un vrai temple de l’art, et symbole de la puissance économique et culturelle de l’Italie.
L’exposition sera accompagnée d’un catalogue, ouvrage de référence en langue française sur la collection de peintures de la Galerie Borghèse.
Commissaires de l’exposition :
-Francesca Cappelletti, directrice de la Galleria Borghese à Rome, spécialiste du baroque italien.
-Pierre Curie, conservateur du musée Jacquemart-André depuis janvier 2016 et co-commissaire de toutes ses expositions.
VISITES GUIDÉES ALTRITALIANI
Altritaliani se réjouit de pouvoir vous proposer deux dates de visites guidées par Barbara Musetti, docteur en histoire de l’art, pour découvrir ces chefs-d’œuvre de la Collection Borghese à Paris. Visites-conférences en langue italienne ouvertes à tous et toutes sur inscription (15 personnes maximum). Durée 1h15.
DATES :
mardi 24 septembre à 15h45 – rendez-vous sur place à 15h30
ou mardi 15 octobre à 16h30 – rendez-vous sur place à 16h15
Prix unique: 34€ à régler par chèque à Altritaliani à l’inscription (billet d’entrée, audiophones et conférence). Pas de réductions possibles pour les participants à une visite de groupe selon les nouvelles directives reçues du musée…
Michèle Gesbert est née à Genève. Après des études de langues et secrétariat de direction elle s’installe à Paris dans les années ’70 et travaille à l’Ambassade de Suisse (culture, presse et communication). Suit une expérience associative auprès d’enfants en difficulté de langage et parole. Plus tard elle attrape le virus de l’Italie, sa langue et sa/ses culture(s). Contrairement au covid c’est un virus bienfaisant qu’elle souhaite partager et transmettre. Membre-fondatrice et présidente d’Altritaliani depuis 2009. Coordinatrice et animatrice du site.
Mantova- Mostre | Poesia e salvezza. Picasso a Palazzo Te-
MANTOVA – Dal 5 settembre 2024 al 6 gennaio 2025, Palazzo Te a Mantova ospiterà Picasso a Palazzo Te. Poesia e Salvezza. Curata da Annie Cohen-Solal in collaborazione con Johan Popelard, la mostra rappresenta il fulcro del programma culturale 2024, dedicato al tema della Metamorfosi. Prodotta dalla Fondazione Palazzo Te, in collaborazione con il Musée national Picasso-Paris e la famiglia dell’artista, questa esposizione offre un dialogo affascinante tra Picasso e la tradizione mitologica di Giulio Romano.
All’interno della mostra, saranno esposte circa 50 opere di Picasso, alcune delle quali mai viste prima in Italia. Tra i lavori più importanti vi sono le incisioni dedicate alle Metamorfosi di Ovidio, realizzate nel 1930. Questi capolavori sono una riflessione visiva sulle leggende mitologiche e sulla connessione di Picasso con il Rinascimento.
L’artista e la poesia come salvezza
Picasso, arrivato in Francia nel 1900, fu per lungo tempo uno straniero marginalizzato. Considerato un anarchico e avanguardista, trovò nella poesia un mezzo per superare la sua condizione di esclusione. La poesia non solo permise a Picasso di esprimere la sua visione creativa, ma fu anche un rifugio personale che lo aiutò a navigare tra le tensioni della società francese. Annie Cohen-Solal, curatrice della mostra e autrice del libro “Picasso. Una vita da straniero”, sottolinea come la poesia sia stata per Picasso una via di salvezza nelle fasi più difficili della sua vita.
Le sezioni della mostra
Pablo, Giulio e Ovidio: La prima sezione della mostra esplora il dialogo tra le incisioni di Picasso e le Metamorfosi di Ovidio. Sarà esposto un vaso etrusco, mai visto prima, che riflette sulla trasformazione e sul viaggio dell’anima, in dialogo con i disegni di Picasso che narrano la caduta di Fetonte, l’amore di Giove e Semele e altre storie mitologiche.
Picasso straniero a Parigi… accolto dai poeti: La seconda sezione presenta il legame di Picasso con il mondo dei poeti parigini del primo Novecento. L’artista, attraverso figure come Guillaume Apollinaire e Max Jacob, trovò un nucleo intellettuale che lo accolse e lo sostenne. Il periodo della Prima guerra mondiale rappresentò un momento di grande crisi per l’artista, che riuscì però a trovare nuovi stimoli grazie all’incontro con il poeta Jean Cocteau.
Quando Picasso diventa Poeta: la Salvezza: La terza sezione esplora come la poesia sia diventata un elemento centrale per Picasso, aiutandolo a superare una crisi personale e professionale nel 1935. Le opere come Donna sdraiata che legge (1939) e Sta nevicando al sole (1934) mostrano l’influenza della poesia nella sua arte.
La metamorfosi vissuta come strategia: La quarta sezione analizza il tema della metamorfosi, presente in opere di grande intensità visiva. Tra queste, una serie di lavori mai esposti prima in Italia, che mettono in evidenza il rapporto di Picasso con il suo alter ego Minotauro.
Info mostra
La mostra è promossa dal Comune di Mantova e organizzata da Palazzo Te in collaborazione con il Musée national Picasso-Paris. Un appuntamento che permette di scoprire un Picasso inedito, lontano dagli stereotipi, in dialogo con la tradizione classica e poetica.
Con l’acquisto del biglietto, i visitatori potranno accedere anche alla mostra parallela di Palazzo Reale a Milano: Picasso lo straniero, in programma dal 20 settembre 2024 al 2 febbraio 2025.
Latina-Spazio COMEL Arte Contemporanea –Personale di Giancarlo De Petris-
Latina-Torna l’arte pontina allo Spazio COMEL, che riprende le sue attività dopo la pausa estiva con la personale “Taccuini di Viaggio” di Giancarlo De Petris.
In un’epoca precedente ai telefoni cellulari, i viaggiatori erano soliti prendere appunti e disegnare ciò che colpiva la loro sensibilità, la loro curiosità, proprio nel momento in cui vivevano queste esperienze. Ed è proprio lo schizzo dal vero, la pittura en plein air che caratterizza il percorso di Giancarlo De Petris che, matite, penne e carta alla mano, racconta i suoi viaggi, le sue esperienze, le sue impressioni sul mondo che lo circonda.
“Taccuini di Viaggio” è una mostra antologica, a cura di Francesca Piovan, che permette di scoprire il percorso non solo fisico, ma anche interiore di un artista che ha fatto dell’acquerello, della china e del disegno dal vivo un suo tratto distintivo. Grazie alle opere in esposizione potremo visitare i luoghi più belli della nostra provincia e diverse località italiane e straniere che l’artista ha visitato e impresso su carta, il tutto filtrato dal suo sguardo e dal suo sentire.
La mostra sarà inaugurata sabato 14 settembre alle ore 18.00 e sarà aperta al pubblico tutti i giorni dalle 17 alle 20 fino al 29 settembre.
Cenni biografici: Giancarlo De Petris (Latina 1970) è grafico e disegnatore, ha iniziato la sua attività artistica come incisore pirografo, è stato allievo del maestro Stefan Cezar Badau. Ha sempre amato disegnare en plein air durante i suoi numerosi viaggi. Questa passione è stata alimentata dopo aver aderito nel 2010 al movimento dello Sketchcrawl Internazionale con il gruppo degli sketchers di Roma e Latina. Ha esposto in varie città italiane tra cui Firenze, Venezia, Siena, Messina e all’estero in Francia e Germania. Le sue opere sono raccolte in diverse pubblicazioni, tra le più recenti: “Il Gatto innamorato dei ponti di Venezia” Ed. El Squero, 2022; “Rome dans un carnet” Autoedito, 2023; “Les Carnets des Iles Pontines.” Autoedito, 2024.
INFO:Taccuini di Viaggio
Personale di Giancarlo De Petris
Evento promosso da Maria Gabriella e Adriano Mazzola
A cura di Francesca Piovan
Dal 14 al 29 settembre 2024
Tutti i giorni dalle 17.00 alle 20.00
Spazio COMEL Arte Contemporanea, Via Neghelli 68 – Latina
È stato su una spiaggia di Malibu, nel 1988, che Peter Lindbergh ha scattato la serie White Shirts, ora nota in tutto il mondo. Semplici eppure fondamentali, quelle fotografie ci hanno fatto scoprire Linda Evangelista, Christy Turlington, Rachel Williams, Karen Alexander, Tatjana Patitz ed Estelle Lefébure segnando l’inizio di un’epoca che ha ridefinito il concetto di bellezza, mentre Lindbergh sarebbe passato a modificare la scena della fotografia di moda nei decenni successivi.
Questa edizione, che riunisce più di 300 immagini scattate da Lindbergh in 40 anni di carriera, illustra le inflessioni cinematografiche e l’approccio umanista del fotografo tedesco, che ha realizzato immagini al contempo seducenti e introspettive.
Nel 1980, Rei Kawakubo chiese a Lindbergh di realizzare gli scatti per una campagna di Commes des Garçons, una delle sue prime sortite nella fotografia pubblicitaria. Kawakubo gli diede carta bianca. Negli anni a venire seguirono collaborazioni con i nomi più venerati della moda, che sfociarono in rapporti di grande stima reciproca: nei suoi ritratti, il rispetto di Lindbergh per alcuni dei più grandi stilisti del nostro tempo è evidente. Tra gli altri, Lindbergh ha fotografato Azzedine Alaïa, Giorgio Armani, Alber Elbaz, John Galliano, Jean Paul Gaultier, Karl Lagerfeld, Thierry Mugler, Yves Saint Laurent, Jil Sander e Yohji Yamamoto.
Da molti considerato un pioniere nel suo campo, Lindbergh si è sottratto agli standard di bellezza dell’industria, celebrando invece l’essenza e la personalità dei suoi soggetti. Il suo contributo è stato inoltre fondamentale per l’ascesa di modelle come Kate Moss, Naomi Campbell, Linda Evangelista, Cindy Crawford, Mariacarla Boscono, Lara Stone, Claudia Schiffer, Amber Valletta, Nadja Auermann e Kristen McMenamy.
Ma il campo d’azione di Lindbergh si è esteso anche fino a Hollywood e oltre: ad apparire nei suoi scatti sono, tra gli altri, Cate Blanchett, Charlotte Rampling, Richard Gere, Isabelle Huppert, Nicole Kidman, Madonna, Brad Pitt, Catherine Deneuve e Jeanne Moreau. Dalla foto scelta da Anna Wintour per la copertina del suo primo numero di Vogue allo scatto leggendario di Tina Turner sulla Torre Eiffel, nelle fotografie di Lindbergh il centro della scena non sono mai gli abiti, la celebrità o il glamour. Ogni immagine comunica l’umanità del suo soggetto con una malinconia serena che è il tratto unico e inconfondibile di Lindbergh.
Fin dall’inizio della sua carriera, Lindbergh ha avuto successo nel mondo dell’arte contemporanea, e le sue fotografie sono state esposte nelle gallerie molto prima di apparire sulle riviste. Questa edizione contiene un’introduzione aggiornata, ricavata da un’intervista del 2016, che permette di sbirciare dietro l’obiettivo di Lindbergh e nella quale il fotografo racconta delle sue prime collaborazioni, del sottile rapporto tra arte e pubblicità e del potere della narrazione.
TASCHEN ha 40 anni! Da quando nel 1980 ha iniziato la sua attività come archeologo culturale, TASCHEN è sinonimo di pubblicazioni accessibili a tutti, grazie alle quali bibliofili appassionati di tutto il mondo possono crearsi la propria biblioteca di testi d’arte, antropologia ed erotismo a prezzi imbattibili. Oggi celebriamo 40 anni di libri incredibili mantenendoci fedeli al credo aziendale. La serie 40 presenta nuove edizioni di alcuni dei best-seller del nostro catalogo: in un formato più compatto, a prezzi ridotti ma realizzate come sempre con la garanzia di una qualità impeccabile.
Il Castello di Boccea- Articolo e Fotoreportage di Franco Leggeri-Il Castello sorge sul “fundus Bucciea” che domina la valle del fiume Arrone e il fondo denominato anticamente “Ad Nimphas Catabasi”, sito al decimo miglio dell’antica via Cornelia,(domina il ristorante i SALICI sito sulla via Boccea).
Si accede da una via sterrata all’interno della campagna e, come d’incanto, si vedono i resti del vecchio castello, luogo dove albergano le fiabe e ciò che rimane di una architettura delle allucinazioni per chi ha voglia di emozioni, le grandi emozioni, con un percorso iniziatico alla fantasia. Della vecchia costruzione , oltre ai cunicoli e gallerie, è visibile il Torrione, costruito in pietra selce e mattoni con rinforzi di possenti barbacani, necessari per contenere ed arginare il progressivo cedimento del banco tufaceo che costituisce la base naturale del fabbricato. Il Castello domina i boschi dove, nel 260 d.C. furono martirizzate S.s. Rufina e Seconda, mentre nelle vicinanze, al XIII miglio della stessa via Cornelia, nel 270 d.C. sotto l’Imperatore Claudio il Gotico, subirono il martirio Mario e Marta con i figli Audiface ed Abachum, famiglia nobile di origine persiana, come si legge nel Martirologio Romano”Via Cornelia melario terbio decimo ad urbe Roma in coementerio ad Nimphas, sanctorum Marii, Marthae, Audifacis et Abaci, martyrum”. Le prime tracce cartacee documentali del Castello si trovano nella bolla di Papa Leone IV, conservata negli archivi vaticani,tomo I pag. 16, con la quale si conferma la donazione al monastero di San Martino del “fundus Buccia” e delle chiese dei Santi Martiri Mario e Marta. Il Papa Adriano IV nel 1158 confermò alla basilica vaticana il Castello e i fondi di Atticiano, Colle e Paolo. In un antico atto conservato in Vaticano, al fascicolo 142,si legge che nel 1166 Stefano, Cencio e Pietro, fratelli germani e figli del fu Pietro di Cencio, cedettero a Tebaldo, altro fratello, la loro porzione del Castello di “Buccega”. Sempre dal medesimo archivio si apprende che Giacomo, Oddo, Francesco e Giovanni di Obicione, Senatori di Roma nell’anno 58 ( 1201), stabilivano che la basilica di San Pietro possedesse e godesse tutti i beni e gli abitanti del Castello di Buccia fossero sotto la protezione del Senato. Si stabilì che anche i canonici del Castello usufruissero dei privilegi e consuetudini accordati ai loro vicini, cioè come l’esercitavano nei loro castelli i figli di Stefano Normanno, Guido di Galeria e Giacomo di Tragliata (Vitale, “Storia diplomatica dei Senatori di Roma”, pag. 74 ). Da una bolla di Gregorio IX del 1240 si ha notizia di un incendio che distrusse il Castello e che il Pontefice ordinò di prelevare il denaro necessario alla ricostruzione direttamente dal tesoro della Basilica Vaticana (Bolla vaticana Tomo I, pag.124).In un lodo del 1270,che tratta di una lite di confini della tenuta,si menziona tra i testimoni Carbone,Visconte del Castello di Boccea. Il Castello subì nel 1341 l’attacco di Giacomo de’ Savelli, figlio di Pandolfo che, dopo averlo preso, scacciò gli abitanti e lo incendiò. Papa Benedetto XII, che era ad Avignone, scrisse al Rettore del patrimonio di San Pietro di”costringere quel prepotente a risarcire il danno”. Dopo il saccheggio da parte del Savelli il luogo rimase deserto secondo il Nibby mentre il Tomassetti, nella sua opera (pag.153) ci descrive il castello e la tenuta ancora abitato da una popolazione di 600 anime, cifra ricavata dalle quote sulla tassa del sale dell’anno 1480/81, durante il papato di Sisto IV. Della trasformazione da Castello a Casale di Boccea, moderna denominazione, si trova traccia nel Catasto Alessandrino del 1661,dove la costruzione viene indicata come “Casale con Torre”. Va ricordato che da 20 ettari di uliveto di Boccea si produceva l’olio destinato ai lumi della Basilica Vaticana, come si può desumere dalla cartografia seicentesca di G.B.Cingolani dove si legge”seguita a destra il procoio pure detto delle Vacche Rosse del Venerabile Capitolo di San Pietro, chiamato Buccea, olium Buxetum”. Attualmente il Casale di Boccea è in ristrutturazione con destinazione turistico-alberghiera, con un grande ristorante nel quale troneggia un imponente camino seicentesco in pietra. Altre tracce del passato sono i vari stemmi papali inseriti nei muri ed un frantoio manuale di recente ritrovamento, del tutto simile a quelli del Castello della Porcareccia e di Santa Maria di Galeria.
-A cura di Roberto Calasso- ADELPHI EDIZIONI- Milano
Risvolto-Bruce Chatwin fotografo-«Lo zio Robin, suonatore di fagotto, sosteneva che in anglosassone chette-wynde voleva dire sentiero tortuoso». A questi «sentieri tortuosi», che paiono inscritti nel nome e nel destino di Bruce Chatwin e che lo hanno condotto in una perenne irrequietezza nei luoghi più disparati, dalla Mauritania ai deserti australiani, è dedicata la prima mostra al mondo che fornisca un quadro vasto e articolato della sua opera di fotografo. Mostra molto attesa, da quando la pubblicazione dell’Occhio assoluto ha rivelato l’esistenza di un’attività sino allora ipotizzabile solo sulla base delle foto che accompagnano In Patagonia (foto, peraltro, di cui Rebecca West ebbe a dire che erano talmente belle da rendere superfluo il testo). Di fatto Chatwin nei suoi viaggi ha sempre usato la macchina fotografica come una sorta di taccuino visivo, in parallelo ai celebri quaderni di tela cerata che sempre lo accompagnavano e che sono il vero laboratorio della sua opera letteraria. Si sono così accumulate centinaia di fotografie – in gran parte ignote e ora messe a disposizione da Elizabeth Chatwin –, che Roberto Calasso, cui si deve anche il saggio introduttivo al catalogo, ha scelto e organizzato in sezioni, creando un contrappunto fra di esse e l’opera letteraria, l’ultima a tutt’oggi in cui si sia incarnato il «mito del viaggio».
ADELPHI EDIZIONI S.p.A
Via S. Giovanni sul Muro, 14
20121 – Milano
Tel. +39 02.725731 (r.a.)
Fax +39 02.89010337
Torri piezometriche-Serbatori Idrici della Campagna Romana-Franco Leggeri Fotoreportage-Le prime torri piezometriche si fanno risalire all’Impero Romano, poiché la loro funzione, oltre ad avere un serbatoio come riserva per l’accumulo di acqua, è quella di, naturalmente, compensare la rete idrica in particolar modo lavorando per vasi comunicanti, proprio per ottenere una maggiore pressione nelle condutture rispetto alla pressione nella rete urbana dell’acquedotto.Negli schemi acquedottistici, spesso sono necessarie le torri piezometriche: in pratica sono delle vere e proprie “torri” composte da un serbatoio sollevato da terra grazie a tralicci, i quali possono essere in metallo o, molto più spesso, in muratura.Dal libro:Fotografie per raccontare Roma e la sua Campagna Romana di Franco Leggeri.Foto Gallery dei Serbatori Idrici della Campagna Romana- Nord-Ovest–Castel di Guido-Residenza Aurelia di Castel di Guido- Borgo di Testa di Lepre- Serbatorio di Cecanibbio-
Il termine “Campagna” deriva dalla provincia di “Campania” istituita nel tardo impero in sostituzione della preesistente Regio I. Una paretimologia la fa derivare invece dal latinocampus (volgare “campagna” nel senso di area rurale). Va notato che “Campagna Romana” non è sinonimo di “Agro Romano“ – espressione, quest’ultima, utilizzata per indicare l’area di Campagna Romana nel distretto municipale di Roma.
Storia
Secondo Carocci e Vendittelli la struttura fondiaria e produttiva della Campagna Romana risale al tardo medioevo e si è conservata senza soluzione di continuo fino alla riforma agraria a metà del XX secolo.
Le invasioni barbariche, la guerra greco-gotica e la definitiva caduta dell’Impero romano d’Occidente favorirono il generale spopolamento delle campagne, compresa quella romana, e i grandi latifondi imperiali passarono nelle mani della Chiesa, che aveva ereditato le funzioni assistenziali e di governo già assolte dai funzionari imperiali, e le esercitava nei limiti del possibile.
A partire dall’VIII secolo le aziende agricole (villae rusticae) di epoca imperiale si trasformarono – dove sopravvissero – in domuscultae, entità residenziali e produttive autosufficienti e fortificate, dipendenti da una diocesi – o una chiesa, o un’abbazia – che deteneva la proprietà delle terre e le assegnava in enfiteusi ai contadini residenti. Questi spesso ne erano gli originali proprietari, ed avevano conferito la proprietà dei fondi alla Chiesa in cambio di un piccolo canone di affitto e dell’esenzione dalle tasse. Queste comunità godevano di completa autonomia, che implicava anche il diritto ad armarsi per autodifesa (da dove la costruzione di torri e torrette), e in alcuni casi giunsero anche a battere moneta.
Già dal X secolo, tuttavia, la feudalizzazione costrinse i contadini ad aggregarsi attorno ai castelli dei baroni ai quali veniva man mano attribuito il possesso – a vario titolo – di molte proprietà ecclesiastiche, e la coltivazione della pianura impaludata e malarica fu abbandonata, col tempo, quasi completamente. Là dove si continuava a coltivare, questi nuovi latifondi ormai deserti, nei quali sorgevano sparsi casali fortificati, furono destinati a colture estensive di cereali e a pascolo per l’allevamento di bestiame grande e piccolo. Il loro scarso panorama umano era costituito da pastori, bovari e cavallari, braccianti al tempo delle mietiture, briganti.
L’abbandono delle terre giunse a tal punto che con la conseguente scomparsa degli insediamenti urbani nel territorio circostante Roma attorno alle vie Appia e Latina, l’ex Latium Vetus, venne ripartito in “casali”, tenute agricole di centinaia di ettari dedicato all’allevamento di bestiame, soprattutto ovini, e alla coltivazione di cereali, a cui erano addetti lavoratori salariati spesso stagionali. Questi latifondi in età rinascimentale e moderna divennero proprietà delle famiglie legate al papato. A seguito dello spopolamento delle terre pianeggianti ritornate a pascolo, si aggravò il grave problema dell’impaludamento e della malaria.
Nel XVII secolo, dopo la redazione del Catasto Alessandrino[1], furono concessi ai contadini, ai piccoli proprietari e agli abitanti dei borghi l’uso civico dei terreni spopolati e abbandonati ed esenzioni fiscali (mentre venivano aggravate le imposizioni sui proprietari noncuranti), allo scopo di stimolare il ripopolamento di quelle campagne.
Nel XVIII e nel XIX secolo il paesaggio della Campagna romana, rappresentato da vaste aree pressoché disabitate dove spesso era possibile imbattersi nelle vestigia di imponenti costruzioni romane in rovina, divenne un luogo comune, un simbolo della tramontata grandezza di Roma, insieme con l’immagine del quotidiano pittoresco rappresentato dai briganti, dai pastori e dai popolani di Bartolomeo Pinelli e dei pittori europei del Grand Tour.
Note
^ Il Catasto Alessandrino è un corpus di 426 mappe acquerellate voluto nel 1660 dal Presidente delle strade, regnante Alessandro VII, che dimostra lo stato delle proprietà fuori dalle Mura aureliane, organizzato secondo le direttrici delle strade consolari. Lo scopo era di assoggettare a contribuzione fiscale i proprietari dei terreni serviti dalle strade fuori le mura, per assicurarne la manutenzione. Il risultato, per noi moderni, è una rappresentazione fedelissima, minuziosa e pittoricamente assai interessante, della situazione dell’Agro romano al momento della sua stesura. Nelle piante vengono riportati anche costruzioni, monumenti, acque ecc., successivamente modificati e/o scomparsi, nonché informazioni sulle tenute. I documenti, conservati presso l’Archivio di Stato di Roma, sono stati digitalizzati e sono accessibili in rete, dietro autenticazione.
Franco Leggeri-Fotoreportage dalla Campagna Romana-Preparazione del terreno per la semina del GRANO
La semina del granonella Campagna Romana avviene in autunno, ma la preparazione del terreno comincia un po’ tempo prima.Il primo passo è quello dell’aratura del campo dove vengono smossi piccoli canali di terra chiamati solchi. In seguito, utilizzando l’erpice il terreno viene spianato e le zolle di terra formatesi con l’aratura vengono sminuzzate e frantumate.L’operazione di semina viene fatta con la seminatrice, con la quale l’agricoltore depone i semi nei solchi precedentemente preparati, ricoprendoli poi con altra terra. Arrivato a maturazione, il grano viene raccolto con l’ausilio della mietitrebbia, il cui compito è quello di dividere i chicchi dagli steli della pianta, che vengono eliminati.
Avvicendamento del frumento
A partire dai primi anni dopo la seconda guerra mondiale la tecnica di coltivazione del frumento ha subito profonde trasformazioni grazie all’avanzamento della ricerca scientifica. Il miglioramento genetico, l’utilizzo di fertilizzanti (diserbanti, insetticidi e fungicidi) e il miglioramento dei mezzi agricoli hanno consentito lo sviluppo di varietà più produttive. Ma la sfida non si ferma, l’obbiettivo è quello di migliorare e trovare metodi di coltivazione e protezione delle piante, nell’ottica del risparmio energetico e della riduzione dell’impatto ambientale, non trascurando gli aspetti qualitativi e di salubrità dei prodotti.
Gli aspetti agronomici fondamentali che regolano la coltivazione del frumento, riguardano l’avvicendamento, la preparazione del terreno di semina, l’uso dei fertilizzanti per la difesa dai parassiti e dalle infestanti.
Gli antichi egizi furono tra i primi a capire che seminare sempre la stessa coltura con il tempo avrebbe provocato una “stanchezza del terreno”. Nel corso della storia si comprese che la rotazione delle culture fosse fondamentale per una resa ottimale della terra. Nell’Inghilterra della metà del ‘700 individuarono in modo scientifico come la rotazione quadriennale di determinate culture come rapa-orzo-trifoglio pratense-frumento) aumentassero il rapporto produttivo del frumento grazie all’azoto organico rilasciato nel terreno dal trifoglio pratense, specie appartenente alla famiglia delle leguminose.
Con l’avvicendamento del frumento, così come di qualsiasi altra specie erbacea, generalmente si ottengono produzioni maggiori e di migliore qualità.
Relativamente alla scelta delle colture da impiantare prima del grano, anche in Italia sono stati condotti numerosi esperimenti i cui risultati hanno consentito di definire da “rinnovo” la barbabietola da zucchero, la patata, il tabacco, il mais, il pomodoro e il girasole e “miglioratrici” il favino, l’erba medica, la fava, il pisello e la veccia. Il frumento ha mostrato la sua attitudine a sfruttare la fertilità che le leguminose lasciano nel suolo e la capacità che tale famiglia di piante ha nell’ostacolare la nascita e la crescita delle infestanti, anche se l’uso di concimi e le lavorazioni del terreno sono fondamentali.
Per quanto riguarda l’avvicendamento del grano con altri cereali, le esperienze condotte su mais e sorgo hanno evidenziato un effetto abbastanza favorevole sulla produttività del frumento, ma non della stessa entità raggiungibile con la semina di una coltura non cerealicola. Anche se il ringrano provoca effetti depressivi sulle rese di granella, nelle nostre regioni meridionali e insulari, spesso viene riseminato perché altre colture non trovano condizioni ambientali ed economiche tali da consentirne una conveniente coltivazione.
Nelle zone aride o semi-aride, risulta utile la tradizionale strategia di far precedere il frumento dal maggese.
Dopo il maggese, infatti, il cereale trova il terreno con una carica inferiore d’infestanti, una migliore disponibilità di elementi nutritivi derivanti dalla mineralizzazione della sostanza organica e una maggiore riserva di acqua, condizione che, nei climi aridi e semi-aridi, è adatta a rendere produttiva la coltivazione del grano nell’anno successivo.
Per quanto riguarda le problematiche legate all’avvicendamento, le specie da seminare prima del frumento devono essere selezionate anche in funzione dell’epoca di raccolta, poiché questa può limitare il tempo necessario per la preparazione del letto di semina del frumento. Infatti, nelle zone caratterizzate da un clima con frequenti piogge a fine estate o inizio autunno e in presenza di terreni argillosi, le colture estive con raccolta a fine stagione come il tabacco, il mais, il sorgo da granella, il riso e il girasole, possono rendere difficile la preparazione del terreno per la semina del frumento, a causa del compattamento del suolo bagnato in seguito al passaggio delle macchine di trebbiatura.
Lavorazione del terreno
Per poter procedere alla semina del frumento generalmente il terreno deve essere sottoposto a opportune lavorazioni, ma da circa ventanni però, è possibile eseguire anche la semina su “sodo”, cioè senza lavorare il terreno, grazie all’utilizzo della seminatrice. Le lavorazioni del terreno servono, essenzialmente, a fare in modo che il seme venga accolto e messo in condizioni innanzitutto di germogliare bene, quindi di fuoriuscire dal suolo e permettere l’ottimale sviluppo della piantina. Una volta che il terreno ospita al meglio il seme, deve essere anche abbastanza poroso da trattenere l’acqua e nello stesso tempo consentitire un’ottimale presenza e circolazione di gas quali ossigeno e anidride carbonica. La lavorazione del terreno varia per tipo, epoca e profondità, in base a diversi fattori, che possono essere la coltura precedente, le condizioni pedologiche e climatiche, generalmente si uniformano in base agli obiettivi economici e la qualità della granella. Ad ogni modo la scelta della lavorazione del terreno e della profondità, varia sempre in base alle necessità, che di solito coincidono con l’interramento dei fertilizzanti, dei residui colturali e con gli eventuali miglioramenti delle condizioni del terreno lasciate dalle colture precedenti.
Le lavorazioni si distinguono essenzialmente in principali e secondarie. L’aratura è la lavorazione principale e la più diffusa ancora oggi, di solito avviene in estate a una profondità di 20 e 25 cm in Italia settentrionale e centrale, mentre nel meridione oscilla tra 25 e 30 cm. In alcuni comprensori, allo scopo di correggere la struttura del terreno per favorire la regimazione idrica e l’aerazione del suolo, viene effettuata la lavorazione a due strati; in altre parole, si realizza prima una ripuntatura profonda 50-60 cm, utilizzando un ripuntatore, successivamente si ara a 25-30 cm. Le due operazioni possono essere eseguite contemporaneamente qualora si disponga di un araripuntatore. All’aratura seguono lavorazioni complementari come la frangizzollatura, l’erpicatura e la fresatura, che sono praticate con lo scopo di ottenere un letto di semina non zolloso, ben livellato, in cui il seme possa trovare le condizioni ottimali per germogliare e crescere al meglio. In alcune zone, si preferisce praticare arare in modo superficiale, a una profondità tra 10 e 15 cm, creando uno strato minimo adatto comunque alla nascita delle cariossidi e alla crescita delle piantine.
La semina su terreno sodo, accennata in precedenza, è molto diffusa grazie all’uso delle seminatrici che hanno dato buoni risultati in terreni non lavorati, specialmente in quelli dove era stata fatta una buona lavorazione per la coltura precedente. Questo sistema è adatto alle semine su terreni difficili, anche per colture raccolte tra la fine dell’estate e l’inizio dell’autunno, anche in condizioni di piogge frequenti. Questa semina è sicuramente più economica, perché non è eseguita nessuna lavorazione precedente del terreno, ma non è sempre consigliabile, sopratutto nel caso sia stato seminato precedentemente mais o sorgo. Infatti per il frumento seminato potrebbe rischiare una trasmissione di fusariosi, responsabili della contaminazione da micotossine nella granella. Inoltre, nel caso si scelga la semina su terreno non lavorato, è necessario predisporre la “pulizia del letto di semina” eliminando le piante infestanti nate dopo la raccolta della coltura precedente, con un trattamento diserbante.
-Preparazione del terreno per la semina del GRANO per uso Zootecnico-
CAMPAGNA ROMANA -11 ottobre 2022–Fotoreportage di Franco Leggeri– Preparazione del terreno per la semina del GRANO per uso Zootecnico- Lavorazione eseguita con un Trattore FIAT 140 sei cilindri che traina un erpice a disco frangizolle –
Questo sito usa i cookie per migliorare la tua esperienza. Chiudendo questo banner o comunque proseguendo la navigazione nel sito acconsenti all'uso dei cookie. Accetto/AcceptCookie Policy
This website uses cookies to improve your experience. We'll assume you're ok with this, but you can opt-out if you wish.Accetto/AcceptCookie Policy
Privacy & Cookies Policy
Privacy Overview
This website uses cookies to improve your experience while you navigate through the website. Out of these, the cookies that are categorized as necessary are stored on your browser as they are essential for the working of basic functionalities of the website. We also use third-party cookies that help us analyze and understand how you use this website. These cookies will be stored in your browser only with your consent. You also have the option to opt-out of these cookies. But opting out of some of these cookies may affect your browsing experience.
Necessary cookies are absolutely essential for the website to function properly. This category only includes cookies that ensures basic functionalities and security features of the website. These cookies do not store any personal information.
Any cookies that may not be particularly necessary for the website to function and is used specifically to collect user personal data via analytics, ads, other embedded contents are termed as non-necessary cookies. It is mandatory to procure user consent prior to running these cookies on your website.