Città di Latina-Premio COMEL: grande successo per l’inaugurazione di Alluminio, sotto la superficie-
Città di Latina-Inaugurata lo scorso sabato, 26 ottobre 2024, la mostra “Alluminio, sotto la superficie”, fase conclusiva della XI edizione del Premio COMEL, è stata letteralmente un bagno di folla, che si è riversato nella galleria di via Neghelli a Latina. Tantissimi appassionati, artisti del capoluogo e venuti da fuori, esperti del settore, cittadini curiosi di scoprire l’arte in alluminio.
Questa XI mostra del Premio COMEL ne è un bellissimo esempio: 13 opere che utilizzano l’alluminio in 13 modi diversi e scavano nell’intimità del sentire, forti del tema proposto quest’anno che ha invitato i partecipanti ad andare al di là delle apparenze, al cuore delle cose superando ogni esteriorità, ogni finzione. Partendo dalla capacità dell’alluminio di proteggere sé stesso dagli agenti esterni attraverso una patina protettiva, che gli permette di mantenere intatte le sue caratteristiche, gli artisti sono andati oltre questa barriera protettiva, che ricorda le maschere che le persone più sensibili mettono su per proteggere i propri sentimenti, le proprie vulnerabilità.
In queste 13 opere si nota infatti il mettersi a nudo degli artisti partecipanti, il desiderio di vedere la realtà per come si presenta: priva di orpelli e sovrastrutture.
L’acqua, la natura, il magma primordiale da cui nasce la vita, sono i luoghi ideali di queste opere; la mente, i ricordi, i tasselli che compongono l’Io, le esperienze ne sono il contenuto, e la mostra offre un viaggio in 13 mondi differenti, che lavorano il materiale con tecniche e stili diversi, ma tutti di altissimo livello tecnico.
E se l’arte contemporanea è esattamente la sperimentazione, l’ecletticismo, la continua fluidità, si può dire che “Alluminio, sotto la superficie” ne è un felice esempio. Come hanno potuto testimoniare gli artisti e i membri della giuria presenti alla serata: oltre a Giorgio Agnisola che ha introdotto l’esposizione, Bruna Esposito artista di fama internazionale e il critico d’arte Stefano Taccone, che insieme ad Alessandro Beltrami hanno selezionato i 13, tra quasi 400 iscritti, e decreteranno il vincitore della XI edizione.
I visitatori della mostra saranno altrettanto protagonisti perché votando le tre opere preferite potranno scegliere il vincitore del Premio COMEL del Pubblico. L’invito ai cittadini è quello di esserci, passeggiare tra le opere e provare a capire quale mondo interiore in esposizione si avvicina di più al proprio, al personale modo di sentire, alla propria sensibilità e scegliere le tre opere che parlano dirette al loro cuore. Si potrà votare fino al 10 novembre.
In attesa della cerimonia di premiazione che si terrà sabato 16 novembre, la mostra sarà visitabile tutti i giorni (tranne il 1° novembre) dalle 17 alle 20.
I 13 finalisti:
Sasho Blazes (Ocrida, Macedonia); Maria ElenaBonet (Minsk, Bielorussia/Sant’Elia Fiumerapido, FR, Italia); Massimo Campagna (Napoli, Italia); Stefania De Angelis (Roma, Italia); Rebecca Diegoli e Francesca Vimercati (Pavia e Besana in Brianza, Italia); Gianluigi Ferrari (Altilia, CS, Italia), James Fausset Harris (Gedda, Arabia Saudita/Carrara, MS, Italia); Robert Hromec (Bratislava, Slovacchia); Rosy Losito (Bari/Latina, Italia); Dimitar Minkov (Pleven, Bulgaria); Gloria Rustighi (Massa, MS, Italia); Karolina Stefańska (Cracovia, Polonia); Achilles Vasileiou (Atene, Grecia).
INFO
Alluminio, sotto la superficie – Premio COMEL Vanna Migliorin Arte Contemporanea XI edizione
Promossa e organizzata da Maria Gabriella Mazzola e Adriano Mazzola
Dal 26 ottobre al 16 novembre 2024
Inaugurazione: 26 ottobre 2024 ore 18.00
Fine votazioni del pubblico: 10 novembre 2024
Premiazioni: 16 novembre 2024 ore 18.00
Apertura: tutti i giorni dalle 17.00 alle 20.00 eccetto il 1° novembre
Spazio COMEL Arte Contemporanea, Via Neghelli 68 – Latina
Nobuyoshi Araki compiles decades’ worth of images in this ultimate retrospective of his career. First published as a Limited Edition and now in a new, compact format, this collection delves deep into Araki’s best-known imagery: Tokyo street scenes; faces and foods; sensual flowers; female genitalia; and the Japanese art of bondage.
Dopo aver studiato fotografia, cominciò a lavorare per l’agenzia pubblicitariaDentsu, dove conobbe la sua futura moglie, Yoko. Dopo il matrimonio Araki pubblicò una raccolta di fotografie (Sentimental journey, 1971) scattate alla moglie durante il loro viaggio di nozze. Yoko morì nel 1990 di cancro alle ovaie, e le foto dei suoi ultimi giorni vennero pubblicate da Araki in un libro dal titolo Winter journey.
Ha pubblicato più di 350[1]libri ed è considerato uno degli artisti più prolifici di sempre. Ha lavorato anche per riviste come Playboy, Déjà-Vu ed Erotic Housewives. È stato più volte arrestato in Giappone, anche se non è mai finito in carcere, con l’accusa di oscenità; anche il direttore di un museo venne arrestato per aver esposto alcune sue foto.
^ Il numero dipende da come vengono contate le riedizioni di opere già pubblicate. Ma Kōtarō Iizawa ne ha contate 357 in Araki-bon! 1970–2005 / A Book of Araki Books! 1970–2005 (Tokyo: Bijutsu Shuppansha, 2006; ISBN 4-568-12071-3). (Nonostante il titolo alternativo in inglese, il libro è solo in giapponese)
Bibbiena | Arezzo- Dal 01 Aprile 2023 al 04 Giugno 2023
Il CIFA, Carla Cerati – Le scritture dello sguardo”–Centro Italiano della Fotografia d’Autore, ente nato per volontà della FIAF – Federazione Italiana Associazioni Fotografiche,associazione senza fini di lucro che si prefigge lo scopo di divulgare e sostenere la fotografia su tutto il territorio nazionale, presenta la nuova mostra “Carla Cerati – Le scritture dello sguardo” che inaugurerà sabato 1 aprile 2023 alle ore 16.30 presso il CIFA e il nuovo libro a lei dedicato per la collana “Grandi Autori della fotografia contemporanea”.
L’esposizione fotografica proposta da FIAF e curata da Roberto Rossi, Presidente FIAF, presenta una parte importante, ed in alcuni casi meno conosciuta, del lavoro fotografico di Carla Cerati. Il libro che accompagna la mostra, curato da Lucia Miodini ed Elena Ceratti, è l’occasione per continuare l’esplorazione promossa dall’editoria FIAF del mondo delle Fotografe Italiane iniziato nell’anno 2000 con il volume dedicato a Giuliana Traverso e che annovera nelle sue due principali collane, quella delle Monografie e quella dei Grandi Autori, nomi come Eva Frapiccini, Patrizia Casamirra, Antonella Monzoni, Paola Agosti, Angela Maria Antuono, Chiara Samugheo, Stefania Adami, Lisetta Carmi, Cristina Bartolozzi, Giorgia Fiorio.
Ben più di un’antologica della sua produzione, la mostra ci aiuta ad entrare in contatto con la forte personalità di questa Autrice espressa nell’impegno civile e alimentata dalle passioni per la scrittura e per la fotografia. “L’una e l’altra”, affermava Carla Cerati: sono due attività che coesistono, ma non si fondono. È sempre un’osservazione della realtà: la fotografia le serve per documentare il presente, la parola per recuperare il passato. L’incontro tra fotografia e testo caratterizza il percorso di Cerati.
La Cerati si avvicina alla fotografia agli inizi degli anni ‘60 fotografando il suo ambiente famigliare. È un periodo in cui anche grazie al crescente sviluppo economico del dopoguerra, la fotografia diventa una pratica personale diffusa e alla portata anche dei ceti sociali meno abbienti. Per chi come Cerati desidera andare oltre la cosiddetta foto di famiglia e vuole approfondire contenuti e tecnica fotografica, non esistono in Italia, salvo rarissime eccezioni come il Bauer, prima scuola pubblica di fotografia fondata nel 1954, altri luoghi da frequentare che i circoli fotografici.
Un percorso analogo è stato compiuto da altri fotografi della sua generazione, come ad esempio Gianni Berengo Gardin, Mario De Biasi, Nino Migliori, Fulvio Roiter, che, avvicinatisi alla fotografia frequentando le associazioni fotografiche fin dall’immediato dopo guerra, hanno poi scelto la strada del professionismo sotto varie forme. Cerati per un certo periodo frequenta il Circolo Fotografico Milanese, che in quegli anni è animato da un intenso dibattito tra coloro che privilegiano visioni di tipo estetico-formale e altri interessati alla ripresa del reale. Fa sua questa seconda visione e decide di avvicinarsi al professionismo.
Nata a Bergamo da una famiglia di origine borghese con regole e principi tradizionali molto rigidi, se ne allontana sposandosi a 21 anni. La vita nell’immediato dopo guerra può essere economicamente difficile per dei giovani sposi e per contribuire al bilancio familiare lavora come sarta, prima a Legnano e poi a Milano, dove la coppia si trasferirà nel 1952. Quando alla fine degli anni ’50 decide di acquistare dal padre una Rollei, ha già potuto assistere al tumultuoso e complesso sviluppo del capoluogo milanese e non resta indifferente ai cambiamenti che ne derivano: il suo stile documentario caratterizzato da un rapporto immediato con il reale, sfocia in una capacità narrativa di tipo sociologico. Guarda ai piccoli eventi del quotidiano e rifugge dagli stereotipi e dalla retorica avvicinandosi per affinità di pensiero e di impegno civile alla concerned photography promossa da Cornel Capa.
“Con questa mostra e la monografia a lei dedicata, la FIAF desidera rendere omaggio ad un’Autrice che si è sempre impegnata attivamente sul fronte della tutela della professione” – ha dichiarato Roberto Rossi, Presidente FIAF.
Carla Cerati è stata parte attiva e segretaria della sezione Milanese dell’AIRF (Associazione Italiana Reporters Fotografi), fondata nel 1966, in un momento in cui i fotoreporter lottavano perché il loro lavoro e la loro professionalità venissero riconosciuti. E nel 1976, a seguito della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Legge Bonifacio che sanciva i diritti dei fotogiornalisti, è stata tra i firmatari insieme a Uliano Lucas, Carlo Arcadi, Walter Battistessa, Giancarlo De Bellis, Alberto Roveri e Mauro Vallinotto, di un documento che, a partire dall’analisi dei punti di criticità del lavoro del fotogiornalista, propone una visione non individualistica della professione. Non ultimo il suo impegno nell’approfondire e diffondere la conoscenza dei suoi colleghi fotografi, come ad esempio Paolo Monti e Gabriele Basilico, pubblicandola in interviste video conservate nelle Teche RAI.
“Siamo veramente felici di poter ospitare al CIFA i lavori di Carla Cerati e di dare al pubblico la possibilità di immergersi nelle scritture del suo sguardo – ha dichiarato Claudio Pastrone, Direttore del CIFA – Passando dal corridoio principale ed entrando e uscendo dalle 16 celle del Centro il visitatore ha la possibilità di comprendere la sua storia umana e professionale. Cerati fotografa dai primi anni Sessanta, inizialmente rivolge il proprio sguardo all’ambiente che le è prossimo. Poi con occhi disincantati fotografa il mondo che le sta attorno. Convinta, lo dichiarerà più tardi, che la fotografia possa contribuire a cambiare la società. Il suo percorso, complesso e impegnato su vari fronti, mantiene una propria unità e coerenza nell’attenzione per la condizione umana, per la dimensione esistenziale; nella sua capacità di raccontare fuori da ogni retorica con uno sguardo intenso, partecipe e al contempo unico ed efficace, le contraddizioni della contemporaneità”.
Dal 01 Aprile 2023 al 04 Giugno 2023
Bibbiena | Arezzo
Luogo: CIFA – Centro Italiano della Fotografia d’Autore
Descrizione del libro “Ritratti 2005-2016 “ di Annie Leibovitz –Per questa raccolta Annie Leibovitz ha selezionato 150 ritratti di figure celebri e di grande influenza sulla scena mondiale. Le sue immagini documentano la cultura contemporanea attraverso l’occhio e l’intuizione dell’artista, facendo leva su una sorprendente capacità di mettere a nudo i tratti più intimi anche di personaggi la cui notorietà sembrerebbe aver già svelato ogni segreto. Annie Leibovitz è una delle fotografe più influenti del nostro tempo e la sua carriera si snoda su quasi cinque decenni, a partire dagli anni ’70 quando si è dedicata a immortalare il mondo del rock-and-roll.
La Grande fotografa Anna-Lou Leibovitz
Anna-Lou Leibovitz nasce negli Stati Uniti nel 1949 da una famiglia benestante, il padre è un ufficiale mentre la madre è un’affermata ballerina. Cresce tra i numerosi spostamenti dettati dalle esigenze del padre, membro dell’aereonautica, tra una base militare e l’altra.
Ha grande considerazione della madre, la sua prima fonte d’ispirazione artistica. Decide di seguire le sue orme come cantante ma poi, in seguito ad alcune fotografie scattate personalmente, decide di dedicarsi allo studio della pellicola.
Le fotografie in questione sono alcuni scatti ripresi da lei durante una scalata sul monte Fuji nel 1967.
Un talento nato che riesce appena tre anni dopo, nel 1970, a farsi assumere dalla rivista Rolling Stone, rinomata per l’attenzione nei confronti della musica e dell’attualità.
La sua scalata ai ranghi è rapida e travolgente, appena 10 anni dopo è la responsabile della fotografia della rivista.
Nel frattempo segue in tour i veri Rolling Stone. Attraversa con loro tutta l’America nella loro grande serie di concerti, nel 1975.
Lavorando a stretto contatto con gli artisti la sua visione del mondo cambia e sviluppa un profondo attaccamento agli attimi di intimità che si creano coi membri del gruppo.
Realizza quindi come la fotografia sia lo strumento decisivo nel raccontare ogni genere di storia, anche quelle il cui significato appare minimo, perché è la voce del fotografo stesso a dargli nuova vita ed importanza.
Decide così di coniugare la propria carriera al proprio percorso da fotografa freelance, proiettato alla scoperta dell’anima della vita stessa; delle piccole cose, delle storie che i volti, i paesaggi, gli ambienti, possono raccontare.
Nel 1980 scatta l’ultima fotografia a John Lennon e a sua moglie, Yoko Ono, prima che Lennon venga ucciso, appena cinque ore dopo.
Dalla morte di Lennon inizia un percorso di transizione che la porta a dedicarsi maggiormente a se stessa e alla propria vocazione: tre anni dopo riesce ad abbandonare la dipendenza da cocaina ed ad entrare a gran merito tra i ranghi dei fotografi di Vanity Fair.
Qui si dedica attivamente ai ritratti: la sua perizia è tale che numerosissimi attori, cantanti, politici, artisti di ogni livello desiderano farsi immortalare dalla fotografa.
Nel contempo assiste alla scomparsa della compagna di vita Susan Sontag, di cui era profondamente innamorata, strappatagli dalla leucemia. Le sue fotografie seguono gli ultimi anni di vita dell’artista passo dopo passo verso la fine.
Da questo momento in avanti il suo lavoro si concentra maggiormente sulla trasmissione del sapere e sulla riorganizzazione delle proprie opere.
Ha pubblicato numerosi libri, calendari, fotografie di moda e ritratti e continua ancora a tenere masterclass di fotografia e a parlare (e a far parlare) del suo talento.
Annie Leibovitz: lo stile e la fotografia
La fotografia di Annie Leibovitz si diversifica parecchio durante lo svolgimento della sua carriera senza mai arenarsi a lungo su una preferenza stilistica
La fotografa preferisce sfruttare a 360 gradi le possibilità degli strumenti a sua disposizione; i colori, il fotoritocco digitale, le tecniche classiche, il bianco&nero, tutti questi elementi sono strumenti usati a piacere ed a seconda delle esigenze.
Ci sono però alcune costanti: la composizione, la linearità, la scelta curata e attenta delle forme e dei toni; tutto questo contribuisce a dare coerenza all’immagine che risulta propriamente bella, raffinata, gradevole e seducente all’occhio.
Ma il suo talento sta anche nel sapere piegare le proprie tecniche all’esigenze dei soggetti. Ecco allora che gli scatti pubblicitari, molto numerosi, sono piuttosto colorati, esagerati ed artefatti.L’immagine si riempie di dettaglio e colori manipolati con una maestria incredibile che sfrutta una palette scelta adoperata in concerto con la luce per creare ricchissime gamme di sfumature che esaltano la brillante vivacità dei toni e, allo stesso tempo, creano contrasti morbidi con transizioni di colore leggere ma decise. Le pubblicità di Annie, soprattutto quelle del suo periodo più maturo, danno piena voce al potenziale che uno studio fotografico può mettere a disposizione. Tra le varie imprese che chiesero i suoi servizi troviamo la Disney, la quale commissionò una serie di scatti che ritraggono attrici che impersonano le principesse più famose. Ci sono poi le riviste di moda e le copertine del “Rolling Stone” senza dimenticare il suo lavoro per la Lavazza e la Pirelli, entrambe note per i loro calendari, realizzati quasi esclusivamente da fotografi di affermato talento.
Ma il vero animo della fotografa traspare dagli scatti più personali: fotografie strappate agli angoli della vita quotidiana che ritraggono l’amore in tutte le sue forme, dal più romantico al più casalingo, passando per l’idealizzazione di quel sentimento che unisce tutti gli uomini verso la vita.
Qui il bianco&nero è preponderante; i contrasti sono molto accentuati, danno un aspetto laccato all’immagine che evidenzia il ruolo della luce nello scatto e nel contempo gli imprime un filo di drammaticità.
Alcune delle fotografie che la fotografa stessa ricorda più affettuosamente sono quelle improvvisate, frammenti di emozioni e personalità che emergono naturalmente: un Mick Jagger in ascensore, un John Lennon che improvvisamente si spoglia e si rannicchia al fianco di sua moglie, piccoli spezzoni di vita di coppia estratti dal proprio bagaglio personale.
Non sorprende quindi che tante personalità abbiano riconosciuto il talento di un’autrice così versatile e abbiano desiderato essere immortalate proprio da lei.
Il lavoro sui ritratti è forse il più noto: dalla Regina Elisabetta II, passando per il Presidente Obama e la sua famiglia, fino a vip ed artisti come Leonardo Di Caprio, Angelina Jolie, lennon, Maryl Streep e molti altri.
Sono immagini molto diverse tra loro, per tecnica, scelte e composizione. Ogni elemento dell’immagine lavora con gli altri per dare tridimensionalità emotiva alla rappresentazione.
Annie ricerca la bellezza all’interno delle sue fotografie e riesce a trovarla avvicinandosi all’anima dei suoi soggetti ma riuscendo nel contempo a mantenere un sottile velo di distacco che gli permette di raccontare, in maniera quasi imparziale, anche gli ultimi giorni di vita della sua compagna.
Curiosità:
Annie è stata la prima donna fotografo ad esporre alla Washington National Portrait Gallery.
Ritrattista affermata, Leibovitz ha uno stile caratterizzato dalla stretta collaborazione tra fotografo e modello.
Origini e formazione
Di ascendenze ebraiche, Annie Leibovitz nasce a Waterbury, nel Connecticut, terza di sei figli. Suo padre era un ufficiale dell’Aeronautica USA, e molto spesso doveva spostarsi per seguire diversi incarichi, questo portò Anne a numerosi trasferimenti e ad un’infanzia molto movimentata tra una base militare e l’altra. Durante uno di questi viaggi, la Leibovitz scopre la fotografia e si appassiona fin da subito.[1] La madre di Annie, invece, è un’istruttrice di danza classica, ed è proprio l’influenza di questa figura che trasmetterà alla fotografa l’amore per l’arte in generale e per il bello.[2] La donna era solita documentare la vita della famiglia, producendo filmati ricordo e scattando diverse fotografie.
Le prime foto scattate da Annie sono state scattate nella base militare delle Filippine, dove il padre era impegnato nella guerra del Vietnam. Questa esperienza e il contatto con la guerra nei primi anni di vita segneranno non solo la personalità della Leibovitz ma anche il suo lavoro e le sue convinzioni future. Crescendo e rientrando negli Stati Uniti la ragazza rifiuterà il mondo in cui è cresciuta per dedicarsi al suo opposto: l’arte, al punto da intraprendere un corso di pittura, per poi proseguire gli studi universitari presso l’Istituto d’Arte di San Francisco. La fotografia continua ad essere una passione, portata avanti in parallelo a tutte le altre questioni della sua vita. Grazie ai suoi studi conosce i celebri fotografi Robert Frank ed Henri Cartier Bresson, si appassiona sempre di più all’arte della fotografia e ne apprende le varie tecniche ed i segreti del mestiere, decidendo di farla diventare la sua strada e abbandonando il corso di pittura.
Carriera fotografica
Nei primi anni dopo gli studi, Annie Leibovitz inizia diverse collaborazioni saltuarie con riviste minori, venendo però sempre più apprezzata per il suo approccio alla fotografia e per la qualità degli scatti. Fin da subito si specializza nei soggetti umani, ritratti per lo più, e inizia a ritagliarsi una buona fetta di popolarità. Nel 1969 si reca nel kibbutz israeliano Amir, per documentare la vita dei volontari, creando così il portfolio che le permetterà di fare il salto e approdare alla rivista Rolling Stone. Terrà questo impiego per 13 anni, dal 1970 al 1983, in cui affinerà la sua tecnica e produrrà scatti sempre più ricercati e riconoscibili, accrescendo la sua fama e popolarità. Celebre la copertina con Meryl Streep che sembra staccarsi un viso particolarmente plastico. Nel 1975, occupò il ruolo di fotografa della tournée di concerti del gruppo rock dei The Rolling Stones, voluta e assoldata dalla band stessa.[3] Negli anni 1980 la Leibovitz fotografò delle celebrità per una campagna pubblicitaria internazionale della American Express. Dal 1983 ha lavorato come fotografa ritrattista per Vanity Fair. Nel 1990 viene premiata col Infinity Awards per la Applied photography. Nel 1991 ha tenuto un’esposizione alla National Portrait Gallery. Annie Leibovitz ha inoltre pubblicato cinque libri di sue fotografie, Photographs, Photographs 1970-1990, American Olympians, Women, e American Music. Nel 1998 e ha realizzato il Calendario Pirelli 1999. Nel 2008 ha realizzato il calendario Lavazza 2009. Infine è stata scelta come fotografa per il Calendario Pirelli 2016 che vede ritratte 12 donne tra cui Yoko Ono, Tavi Gevinson e Patti Smith.
Vita privata
La sua compagna di vita è stata Susan Sontag, fino alla morte di quest’ultima, avvenuta nel 2004.[4]
-Io Dipinto-La collezione di autoritratti del Novecento della Collezione Nobili-
Città del Vaticano-Dall’11 ottobre i Musei Vaticani presentano per la prima volta al pubblico l’intero corpus della Collezione Nobili: un eccezionale nucleo di 64 autoritratti appartenuti alla più ampia raccolta di opere d’arte di Franco e Maria Antonietta Nobili, costituita dall’imprenditore e dirigente italiano (Roma 1925-2008) assieme a sua moglie nel corso della seconda metà del Novecento.
Tenendo fede a un antico desiderio dei genitori, e per onorarne la memoria, le opere sono state generosamente donate nel 2021 dalle cinque figlie delle coppia e accolte, quindi, nel patrimonio dei Musei Vaticani, all’interno della Collezione d’Arte Moderna e Contemporanea.
Allestita negli spazi delle Salette della Torre Borgia, l’esposizione – curata da Rosalia Pagliarani del Reparto Arte Ottocento e Contemporanea – mette in mostra un insieme di autoritratti che spazia dai nomi più noti dell’arte italiana di primo e secondo Novecento, come Giacomo Balla, Giorgio de Chirico, Mino Delle Site, Emilio Greco, Pietro Marussig, Pippo Oriani, Ottone Rosai, agli altrettanto celebri nomi della Scuola Romana e dintorni, come Ferruccio Ferrazzi, Franco Gentilini, Virgilio Guidi, Mario Mafai, Luigi Montanarini, Adriana Pincherle, Fausto Pirandello e Alberto Ziveri, assieme ad artisti stranieri come Xavier Bueno, Jean Cocteau e José Ortega. Gli interessi umanistici dei coniugi Nobili, così come l’amore per Roma, si rivela attraverso la presenza di scrittori-artisti come Carlo Levi, Trilussa e Mino Maccari, mentre una rappresentanza ottocentesca è costituita dagli intensi autoritratti di Antonio Mancini, Filippo Palizzi ed Ettore Ximenes. Affascinante e ancora poco nota è la figura della veneziana Linda Buonajuti: la sua autorappresentazione come Amazzone a figura intera è stata scelta, nella sua straordinaria atmosfera mitteleuropea, come opera di apertura dell’esposizione.
Ad accompagnare la mostra, che resterà aperta fino all’11 gennaio 2025, un catalogo illustrato a cura di Rosalia Pagliarani (Edizioni Musei Vaticani), frutto di studi e ricerche sulle nuove acquisizioni. Il volume, contenente le schede delle 64 opere – molte delle quali inedite –, ripercorre altresì la storia collezionistica e il rapporto speciale che in taluni casi si creò tra la famiglia Nobili e l’artista.
I grandi fotografi. Ediz. illustrata di Juliet Hacking
C. Spinoglio (Traduttore)- Editore Einaudi
Descrizione del libro di Juliet Hacking- “Ridurre circa 180 anni di produzione fotografica (si pensi che il solo Cartier-Bresson produsse di più di mezzo milione di negativi in un’unica vita) a meno di quaranta nomi, significa che le biografie presentate qui appartengono a coloro che sono passati alla posterità. I trentotto artisti rappresentati in queste pagine hanno tutti creato immagini straordinarie servendosi della fotografia. Ma non sono assolutamente i soli grandi fotografi esistenti. Lo scopo di raccontare queste vite è quello di rammentare al lettore alcuni dei piaceri e dei valori della biografia nel suo rapporto con la storia dell’arte: non solo la sua accessibilità e il suo interesse, ma anche il suo ruolo di correttivo alla moda attuale delle cronologie (con la loro natura sedicente fattuale). Spero che questi brevi saggi aiutino a controbilanciare l’idea dominante secondo cui la biografia è anti intellettuale. Anche se l’aforisma classico ars longa, vita brevis continua a essere attuale, ora siamo meno inclini a concepire la vita e l’opera di un artista in opposizione tra loro, e le vediamo entrambe come l’arena in cui si modellano, si forgiano e si creano forme nuove con il loro irresistibile slancio vitale”.
L’Autrice. Juliet Hacking, dopo aver diretto per tre anni il Dipartimento di fotografia di Sotheby’s di Londra, dal 2006 dirige il Master in fotografia (storica e contemporanea) del Sotheby’s Institute of Art. Ha curato e scritto il catalogo per la mostra «David Wilkie Wynfield: Princes of Victorian Bohemia» per la National Portrait Gallery. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo il volume, da lei curato, Photography. The Whole Story (Thames & Hudson 2012) e, in italiano, I grandi fotografi (Einaudi, 2015).
Juliet Hacking
Program Director, MA Contemporary Art, London
PhD, MA and BA (Hons), Courtauld Institute of Art, London.
Juliet Hacking began her academic career as a Visiting Lecturer (at the Universities of Derby and Reading, and the Courtauld Institute). In 1999 she took on a year-long research post at the National Portrait Gallery, London, where she also curated the exhibition and wrote the book ‘Princes of Victorian Bohemia: Photographs by David Wilkie Wynfield’ (Prestel, 2000). From 2000 to 2003 she was a junior specialist in the Photographs Department at Sotheby’s auction house in London; becoming, in 2003, Head of the department. She joined Sotheby’s Institute of Art, London, in 2006, and was the Programme Director of the MA in Photography for 10 years. In 2016 she became a member of the MA in Contemporary Art faculty, and was recently appointed its Programme Director. She is the author of ‘Lives of the Great Photographers’ (2015), general editor of ‘Photography: The Whole Story’ (2012) [both Thames & Hudson], author of ‘Photography and the Art Market’ (Lund Humphries, 2018) and the co-editor of ‘Photography & the Arts: Essays on 19th-Century Practices and Debates’ (forthcoming, Bloomsbury). She is also co-series editor of ‘Hot Topics in the Art World’ with Lund Humphries.
Andrea Zucchinali-Jacques-André Boiffard. Storia di un occhio fotografico
Premessa di Elio Grazioli-Editore Quodlibet srl
Il libro-Fotografo eclettico e surrealista della prima ora, Jacques-André Boiffard (1902-1961) è una figura inafferrabile e affascinante, rimasta sinora nella penombra nonostante il ruolo significativo svolto nella storia delle avanguardie. Solo dal 2011, grazie alla collezione che Christian Bouqueret ha donato al Centre Pompidou, è possibile avere una visione d’insieme della sua opera di cui questo volume si propone di tracciare le tappe fondamentali. Dall’apprendistato presso l’atelier di Man Ray alle enigmatiche fotografie di Parigi scattate per Nadja di André Breton, dalle perturbanti immagini realizzate per «Documents» sotto la guida di Georges Bataille alle collaborazioni con Man Ray, Jacques Prévert e Lou Tchimoukow, questo libro, che esce in concomitanza con la prima mostra fotografica interamente dedicata a Boiffard dal Centre Pompidou di Parigi, è il primo a fornire, oltre alla biografia, l’analisi di un percorso artistico che si pone come la «storia di un occhio» in grado di interpretare visivamente la complessa esperienza surrealista.
In copertina Jacques-André Boiffard, Renée Jacobi, «Documents», n. 8, 1930, dettaglio.
Volume disponibile anche in versione elettronica. Acquista su: torrossa.it
L’autore-Andrea Zucchinali
Andrea Zucchinali, studioso del Surrealismo, con questo volume su Jacques-André Boiffard porta a termine un lavoro di ricerca svolto presso l’Università degli Studi di Bergamo.
Recensione Una delle migliori intuizioni di Susan Sontag sulla fotografia è certamente quella sul connaturato surrealismo dell’immagine ottica, dovuto alla sua capacità di creare una “realtà di secondo grado”. Si tratta però di una scoperta che avevano fatto gli stessi surrealisti, reclutando tra le loro file un fotografo insospettabile come Eugène Atget, che aveva rivelato nelle sue passeggiate parigine una realtà misteriosa nascosta sotto le apparenze. Ma per la curiosa impermeabilità delle discipline umanistiche la fotografia surrealista non ha riscosso, al di là delle rituali attenzioni all'”artista” Man Ray, l’attenzione che meriterebbe per il ruolo da essa svolto nel movimento. Da qualche anno autori come Rosalind Krauss e Georges Didi-Huberman, insieme, sul piano espositivo, al Centre Pompidou, hanno però approfondito la vicenda creativa di Jacques-André Boiffard, giovane ex-studente di medicina, che fece “atto di surrealismo assoluto” fin dalla pubblicazione, nel 1924, del Manifesto di Breton.
Un attento studio sulla vicenda di questo fotografo ricorda oggi anche al pubblico italiano quanto lo studio del surrealismo non possa prescindere dalla “sua” fotografia. Le radicali affermazioni dei surrealisti contro la razionalità in nome del sogno, della poesia, del meraviglioso sembrano in effetti evocare alcune proprietà che la fotografia, sia pur stretta finallora nei vincoli dei generi ottocenteschi, aveva già dimostrato di avere; e tuttavia il nuovo spirito fotografico non ha nulla in comune con l’idea di fotografia e anche con il tirocinio dei fotografi di genere: Man Ray, presso cui Boiffard si forma, non è certo un educatore tipico (“Non posso insegnarvi nulla. Guardate e aiutatemi”). Il giovane apprendista si specializza in ritratti mentre affianca il maestro anche nel suo percorso cinematografico che lo porterà alla definizione di un cinema surrealista (Emak Bakia, 1926, L’étoile de mer, 1928, Les Mystères du Chateau de Dé, 1929). Il passaggio decisivo sarà però la collaborazione con Breton per il suo Nadja (1928), in cui l’esigenza dello scrittore di una narrazione oggettiva (“clinica”) della vicenda e la sua ostilità alla descrizione del romanzo tradizionale trovano nella fotografia una perfetta alleata; ma non solo: le strade deserte di Parigi in cui si svolge la vicenda sono descritte da immagini “banali”, quasi amatoriali, e allo stesso tempo enigmatiche, incapaci di fornire alcuna rivelazione, ma dove è sempre sottesa una dialettica tra ordinario e meraviglioso.
Parte del gruppo, tra cui Boiffard, si allontana da Breton per subire l’influenza di Bataille; per il fotografo sarà l’inizio dell’esperienza nuova e decisiva, dal 1929, alla rivista “Documents”, il cui elemento centrale, il concetto di informe di Bataille (non assenza di forma, ma apertura alla possibilità di forme molteplici), sarà illustrato soprattutto dalle sue straordinarie fotografie: due enormi, sproporzionati, alluci maschili riprodotti a tutta pagina su fondo nero (un rovesciamento dell’estetica del dettaglio che il fotografo proseguirà anche negli anni successivi) accompagnano l’articolo di Bataille sulla polarità tra alto e basso, ma senza “rendere surrealista” l’immagine, semplicemente mostrando il soggetto nella sua realtà; e così i monumenti parigini fotografati per evidenziarne la materialità, la pesantezza; o le maschere grottesche indossate da un uomo in posizioni ordinarie, che vogliono mostrare l’ipocrisia di una società fondata sull’omologazione. Suggerisce l’autore che le immagini di Boiffard non vanno apprezzate per un loro “stile” (sostanzialmente assente), ma per la loro coerenza al progetto complessivo della rivista: sono “catalizzatori di senso”, acquistano forza in relazione all’articolo che accompagnano e a questo danno forza. Banale e insieme inquietante, oggettiva e insieme conturbante, la fotografia surrealista rivela la natura stessa di ogni fotografia; nel 1940 Boiffard conclude gli studi di medicina e abbandona l’arte, fino alla fine della sua vita sarà radiologo, una specializzazione “fotografica” per nulla estranea alla rivelazione surrealista.
Quodlibet srl
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Mostra collettiva che affianca artisti emergenti ad altri già affermati-
Roma Capitale-Galerie Nathalie Obadia per Rhinoceros Gallery propone una mostra collettiva che affianca artisti emergenti ad altri già affermati, mettendo in comunicazione ricerche che creano nuove interferenze artistiche.
Nelle sale progettate da Jean Nouvel espongono insieme Seydou Keïta fotografo e ritrattista attivo in Mali dal 1948, testimone della vivacità e della modernità presenti nella società africana post coloniale e Laure Prouvost, che propone un corpus di opere – tra le quali arazzi dalle imponenti dimensioni – che creano un archivio di visioni e catturano il flusso di immagini e testi dal quale quotidianamente siamo investiti.
Romana Londi presenta opere del 2024 nelle quali si riflette il suo approccio alla pittura basato sulla sperimentazione che esplora l’immediatezza della vita, fondendo realtà contrastanti in opere ibride.
Antoine Renard con le sue sculture sintetizza una ricerca legata al corpo, alla giovinezza e alla tradizione culturale – il suo David cita apertamente l’opera di Donatello – insieme a esplorazioni della sfera olfattiva e sensoriale.
Andres Serrano si rifà all’estetica classica e attraverso la struttura e la colorazione trasforma i soggetti delle sue fotografie in elementi monumentali. Qui l’effetto è amplificato dalla scelta di alcuni soggetti legati all’Italia, come il michelangiolesco Mosè di San Pietro in Vincoli, proprio a Roma.
Di Joris Van De Moortel, musicista e performer, oltre che pittore e scultore, sono visibili a rhinoceros gallery tele di grandi dimensioni, acquerelli e tempere, densi di riferimenti letterari che spaziano da William Blake a L’arbre des batailles, trattato di diritto militare scritto alla fine del XIV secolo per il giovane re di Francia Carlo VI.
Le opere di Agnès Varda sono quasi un ritorno alle origini. Alle sue celebri regie la cineasta anticipatrice della Nouvelle Vague ha sempre accompagnato, sin da giovanissima, l’attività di fotografa. Sono presenti in mostra undici immagini della serie Patates Coeurs, soggetto che l’artista affronta a più riprese considerandolo “simbolo di una vita che si rinnova costantemente”.
Roma- All’Accademia di Ungheria la mostra i Grandi Maestri della Fotografia Andrè Kertész-“Nella sua opera, l’ungherese André Kertész diede vita ad un universo tutto suo, in cui gettò le basi dell’approccio del linguaggio fotografico moderno. Attraverso le sue fotografie, ci insegna fino alla fine dei tempi la necessità e la gioia elementare di creare immagini nonché i principi fondamentali dello stesso mezzo. “La fotografia è la mia sola lingua”, diceva Kertész, ed in effetti ne aveva una padronanza come nessuno prima di lui.
Nelle sue immagini liriche la soggettività ed il modernismo vanno a braccetto. Le sue fotografie profondamente umaniste e personali, ma allo stesso tempo portatrici anche di messaggi universali parlano a tutti. Includono in se stesse l’esperienza del “vedere”, la gioia dello scatto, la magia della scoperta, ma anche i piccoli miracoli della vita reale. Le sue fotografie sono opere d’arte autonome, naturali, pulite, ma anche potenti e perfette nella loro semplicità. Nelle sue immagini la peculiare unità della forma e del significato rivela come l’estetica non possa esistere senza l’etica.
Fin dalla sua infanzia Kertész si preparò consapevolmente a divenire fotografo e a sperimentare la gioia di creare immagini. Ancor prima di poter prendere in mano una macchina fotografica, aveva già scattato delle foto d’interni, quindi all’epoca delle sue prime fotografie disponeva già delle capacità necessarie di poter produrre delle composizioni. Era un fotografo nato: sapeva cosa voleva ed era consapevole di avere l’approccio giusto tra le mani. La sua macchina fotografica l’aveva adoperata per lunghi decenni a mo’ di diario visivo immortalando tutto ciò che gli destava curiosità: la propria vita, se stesso, la sua compagna, i suoi amici, i suoi spazi personali e il mondo che lo circondava. Gli avvenimenti della sua vita e le sue emozioni si trasformavano organicamente in immagini, catturate con la precisione di un osservatore acuto e sensibile. Kertész operò affinché la sua opera fosse legata a due continenti (Europa e America) e a tre Paesi (Ungheria, Francia e Stati Uniti d’America). Sebbene il meritato successo internazionale sia arrivato troppo tardi, egli divenne tuttavia uno dei fotografi più celebri al mondo, e non solo in ambito professionale; alcune delle sue fotografie iconiche divennero difatti opere emblematiche della cultura contemporanea.
Le fotografie esposte nell’ambito della mostra Grandi Maestri della Fotografia- André Kertész – sono il frutto di una selezione effettuata dallo stesso artista al tramonto della propria vita, come dono per la città che gli aveva regalato delle esperienze uniche nell’infanzia e gli aveva dedicato il Museo commemorativo André Kertész. La presente retrospettiva, a cura dello stesso artista, comprende non solo le immagini legate a Szigetbecse, bensì anche le fotografie più note dell’opera omnia di Kertész, offrendo agli interessati una panoramica unica dell’operato dell’artista di fama mondiale”. (Gabriella Csizek, curatrice)
L’esposizione che presenta una ricca selezione della collezione del Museo commemorativo André Kertész di Szigetbecse, è stata realizzata in collaborazione con il Robert Capa Contemporary Photography Center di Budapest e l’Accademia d’Ungheria in Roma.
A Roma 15 murales trasformano una via del quartiere Garbatella in una passeggiata artistica-
Articolo di Ludovica Palmieri
Roma-Quartiere Garbatella- Articolo di Ludovica Palmieri-15 murales realizzati sulle saracinesche delle attività commerciali di Via Anton Noli per celebrare i lavoratori e la Costituzione Italiana. Così Serrande d’arte trasforma un’anonima strada del quartiere Garbatella di Roma in una galleria a cielo aperto da visitare rigorosamente durante gli orari di chiusura delle attività. Ed è proprioper il suo essere comune e poco frequentata ma densa di lavoratori onesti e operosi che Simona Gaffi e Daniele Signore, fondatori del collettivo artistico Phzero, hanno scelto proprio Via Antoni Noli come megafono visivo per raccontare la Costituzione Italiana attraverso le storie di chi quotidianamente si impegna nel suo lavoro. Partendo dal principio che l’Italia è una Repubblicademocratica fondata sul lavoro, “il progetto di riqualificazione urbana Serrande d’arte”,hanno affermato gli artisti, “intende dare voce ad un tema che accomuna tutti: il diritto al lavoro, un valore fondamentale per l’intera società, sancito dalla Costituzione”. Phzero, il duo artistico che fonde arte e tecnologia
Il duo artistico, nato nel 2020, fonda la sua pratica sulla fusione tra arte e tecnologie digitali per valorizzare il tessuto urbano e sociale attraverso esperienze artistiche innovative e coinvolgenti. Grazie al digitale, Phzero interpreta la street art in maniera hi-tech, veicolando tematiche sociali attraverso opere interattive e sperimentali, realizzate anche in collaborazione con professionisti di altri settori. Anche per Serrande d’arte il duo ha adottato come medium la stencil art perfezionandola con tecnologie per il controllo numerico.Nell’ottica degli artisti, la stencil art è una metafora del potere della collaborazione e dell’inclusività. “Le opere nella stencil art”,hanno spiegato gli Phzero, “si caratterizzano per essere costituite da più disegni, realizzati con le singole mascherine e uniti dai cosiddetti ‘ponti’. Porzioni di colore che per noi simboleggiano l’unione e il lavoro di squadra necessari per l’integrità di una comunità. Perché, solo collaborando e valorizzando le differenze, si possono superare le sfide e raggiungere obiettivi comuni”.
La Garbatella: per gli Phzero la location ideale per il progetto Serrande d’arte
La Garbatella, immaginata negli Anni Venti dal sindaco Ernesto Nathan come un rifugio per i lavoratori ed edificata secondo il modello inglese delle città giardino, è il quartiere ideale per accogliere Serrande d’arte. I 15 murales degli Phzero, focalizzati sugli articoli della Costituzione dedicati al lavoro, ribadiscono la storica identità del quartiere. Così, dal 27 ottobre 2024, trasformando Via Anton di Noli in una passeggiata artistica, mettono ulteriormente al centro la dignità dei lavoratori come spinta propulsore alla crescita civile e sociale della comunità.
La “Mostra” è visibile negli orari di chiusura. Questo il timing di “Serrande d’Arte”, il progetto ideato dal collettivo artistico Phzero per rendere omaggio ai lavoratori, realizzato, significativamente, in via Anton da Noli, nel cuore della Garbatella-
Ludovica Palmieri
Fonte – Artribune è la più ampia e diffusa redazione culturale del Paese (conta 250 collaboratori in tutto il mondo) e il più seguito strumento d’informazione, aggiornamento e approfondimento in Italia sui temi dell’arte, della cultura e su tutto ciò che vi ruota attorno.
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