-Arch. Carlo Cusin: “Ponte del diavolo-che non c’è-“.
Arch. Carlo Cusin:”Oggi cacciagrossa al “Ponte del diavolo-chenonc’è-” in Sabina ! Così ho incontrato il mio vecchio amico, il Console Manivs Cvrivs Dentatvs a “Septem Balnea”Settebagni per cercare di trovare,sul tracciato arcaico della Salaria vicino a Mefila (oggi Scandriglia),quell’originale struttura di 2300 anni fa,che doveva costituire un imponente sbarramento/briglia idraulica del Fosso delle Vurie e,nello stesso tempo, una solida sostruzione del piano stradale antico… Una grande costruzione con 14 assise/filari di blocchi di calcare locale,montati a secco,non isodomi,in parte montati per diatoni-ortostati,lunga 20 mt,alta circa 13 mt e spessore,in sommità,di circa 5 mt !”.
Questo e’ il semplice schema costruttivo dello sbarramento – briglia idraulica, tutto realizzato su filari abbastanza regolari ma con blocchi non isodomi, parzialmente montati con DIATONI ed ORTOSTATI,cioè di “testa” e “taglio”… al centro si nota il condotto di passaggio/scarico dell’acqua del torrente, così imbrigliato ed i pilastri sporgenti ad intervalli quasi regolari, con funzione di contrafforti, che infatti da 2300 anni è ancora tutto al suo posto…. non come certe costruzioni moderne che sappiamo !
I dipinti etruschi di Cerveteri in mostra al Museo Archeologico Nazionale di Firenze-
Cerveteri-“Dal 20 dicembre 2024 al 7 aprile 2025 il Museo Archeologico Nazionale di Firenze propone la mostra Visioni di miti e riti etruschi a Firenze, a cura di Daniele Federico Maras etruscologo e direttore del museo. Per l’occasione saranno esposte quattro lastre dipinte intere, risalenti alla fine del VI secolo a.C., recuperate a Cerveteri nel 2019 dalla Guardia di Finanza.
La rassegna è frutto della collaborazione tra il Museo Archeologico Nazionale di Firenze, la Direzione Generale Musei del Ministero della Cultura, il Nucleo di Polizia economico-finanziaria di Roma della Guardia di Finanza – Sezione Tutela Beni demaniali e di interesse pubblico, la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la provincia di Viterbo e per l’Etruria Meridionale, in accordo con la Direzione regionale Musei nazionali della Toscana.
Le lastre dipinte
Le quattro lastre di terracotta dipinte, ricostruite da una serie di frammenti, furono recuperate nell’estate del 2019 dalla Guardia di Finanza, nel corso di un’operazione di contrasto al commercio clandestino di reperti archeologici. Sono state prodotte negli ultimi decenni del VI secolo a.C. in un’officina della città etrusca di Caere (l’odierna Cerveteri), probabilmente per decorare le pareti di un tempio. Il fregio della parte superiore, comune a tutte e quattro, raffigura un meandro spezzato che incornicia riquadri con uccelli acquatici e motivi floreali a stella. La superficie è stata danneggiata dai maldestri tentativi di pulizia dei ladri d’arte che le hanno strappate al loro contesto.
Una lastra raffigura il duello tra Achille e Pentesilea: l’eroe greco a sinistra, racchiuso in una pesante armatura, si ripara dietro lo scudo e si prepara a colpire la regina delle Amazzoni, che si scaglia verso di lui brandendo una spada insanguinata. Un’altra raffigura un uomo che brandisce un ramo dalle foglie dorate mentre insegue una donna dalla chioma riccia armata di arco: potrebbe trattarsi di Apollo e Artemide con i rispettivi attributi divini, oppure della vergine cacciatrice Atalanta sfidata alla corsa dal suo futuro sposo Melanione, che vinse la gara lasciando cadere tre mele d’oro per distrarla. Un’altra ancora raffigura il Giudizio di Paride: il messaggero degli dèi Hermes, dalle ali variopinte e con in mano uno scettro, precede Hera, prima delle tre dee in lizza per scegliere la più bella tra loro. In origine le altre due dee (Atena e Afrodite) e il giovane Paride chiamato a giudicare erano raffigurati su due lastre adiacenti, purtroppo andate perdute. E infine, sull’ultima lastra è raffigurato un giovane sacerdote dai capelli lunghi che ha appena completato un rito di divinazione osservando gli uccelli con il lituo (il bastone ricurvo che ora tiene sulla spalla) e sta comunicando la volontà degli dèi al suo compagno, il quale si affretta tenendo in mano un ramoscello con dei frutti rossi.
“Grazie a iniziative espositive come questa, che fa seguito a una breve anteprima nella primavera del 2024 a Vetulonia, si porta a compimento il ciclo della tutela per le quattro lastre, dalla protezione (assicurata dalla Guardia di Finanza), alla conservazione (resa possibile dalla Soprintendenza) fino alla valorizzazione (garantita nel contesto del Museo). Solo così lo sguardo etereo di Pentesilea, l’esuberante vitalità della coppia in corsa, l’esplosione di colori delle ali di Hermes, i gesti enigmatici degli aruspici torneranno a svolgere la funzione per cui sono stati creati: comunicare con il pubblico e trasmettere la voce degli artisti del passato”, ha dichiarato Maras, sin dall’inizio all’interno del gruppo di lavoro della Soprintendenza che ha studiato le lastre per renderle visibili al pubblico.
Roma-Fontana di Trevi, concluso l’intervento di manutenzione-
Roma, 22 dicembre 2024 – A conclusione dei lavori di manutenzione della Fontana di Trevi, curati dalla Sovrintendenza Capitolina nell’ambito del programma di interventi PNRR Caput Mundi, è stata oggi restituita alla cittadinanza una delle aree più simboliche della città, tra le più amate e visitate al mondo.
Gli interventi si sono resi necessari a causa dei fenomeni di degrado che hanno interessato il monumento, situato in una zona ad alta frequentazione pedonale e sottoposto a particolari condizioni microclimatiche che hanno favorito la formazione di patine biologiche, vegetazione infestante e depositi calcarei sulle parti più esposte al contatto con l’acqua.
L’intervento, della durata di circa tre mesi e del costo di 327mila euro, ha previsto un’attività di pulitura approfondita delle superfici lapidee della parte inferiore del monumento, in particolare della scogliera e della zona tra il bordo della vasca e le gradinate di accesso. Sono state riparate le stuccature dei giunti in varie zone della fontana per preservarne l’integrità strutturale ed estetica ed è stata impermeabilizzata la vasca.
Inoltre ACEA per ottimizzare la circolazione dell’acqua ha effettuato una manutenzione straordinaria su tutto l’impianto di ricircolo, pompe, apparecchiature elettromeccaniche, sostituendo anche gli organi di manovra presenti.
Il monumento recuperato sarà visitabile secondo una nuova modalità che consentirà di ammirarlo senza il sovraffollamento che ne ha sempre caratterizzato la fruizione.
L’esperienza fatta con la passerella installata durante l’intervento di manutenzione ha evidenziato il gradimento dei cittadini e dei turisti per una visita di qualità e più diretta. Grazie alla nuova gestione dei flussi sarà possibile anche garantire l’appropriata fruizione della fontana, da sempre sottoposta a un’intensa presenza antropica non regolamentata ed eccessivamente invasiva per i delicati materiali che la compongono.
L’accesso, garantito a un numero massimo di 400 persone circa in contemporanea, è previsto dalla scalinata centrale mentre l’uscita si trova presso il varco dal lato di via dei Crociferi.
La visita sarà regolamentata con le seguenti modalità: tutti i giorni dalle 9 alle 21 (ultimo accesso ore 20.30); il lunedì e il venerdì dalle 11 per consentire le operazioni di raccolta delle monete; ogni due lunedì dalle 14 alle 21 per lo svuotamento e la pulizia della vasca. Accesso libero dalle ore 21.
All’entrata, all’uscita e all’interno del monumento sarà presente personale dedicato all’accoglienza e alla sicurezza. Il servizio è affidato a Zètema Progetto Cultura.
I visitatori potranno liberamente circolare negli spazi dell’invaso della fontana, ma non sarà consentito sedersi sul bordo della vasca, mangiare, bere, fumare.
Nella pannellistica informativa all’ingresso e nei totem sui lati della piazza è presente un qr code che consente di ottenere informazioni storiche sulla fontana.
CENNI STORICI
La realizzazione dell’attuale fontana di Trevi si deve a papa Clemente XII (1730-1740), che nel 1732 indice un concorso da cui emerge vincitore l’architetto Nicola Salvi (1697-1751). Il monumento, concepito come mostra dell’acquedotto Vergine e addossato alla facciata del retrostante Palazzo Poli, è articolato come un arco di trionfo e digrada verso l’ampio bacino con una larga scogliera, vivificata dalla rappresentazione scultorea di numerose piante. Al centro domina la statua di Oceano alla guida del cocchio a forma di conchiglia, trainato dal cavallo iroso e dal cavallo placido, frenati da due tritoni. Rilievi che alludono alla storia dell’acquedotto e figure allegoriche collegate agli effetti benefici dell’acqua decorano, a vari livelli, il prospetto. La costruzione viene conclusa da Giuseppe Pannini (c.1720-c.1810) che modifica parzialmente la scogliera regolarizzando i bacini centrali.
Dopo un intervento di restauro negli anni 1989-1991 (cui è seguita una manutenzione della parte centrale nel 1999), l’ultimo importante restauro è avvenuto nel 2014-2015 grazie a un contributo di FENDI.
Fontana di Trevi, mostra dell’acqua vergine
Mostra terminale dell’acquedotto Vergine – unico degli acquedotti antichi (19 a.C.) ininterrottamente in uso fino ai nostri giorni – è la più nota delle fontane romane e la più famosa nel mondo per la sua scenografica monumentalità.
Documentata nel medioevo, la sua denominazione deriva da un toponimo in uso nella zona già dalla metà del XII secolo (regio Trivii), oppure dal triplice sbocco dell’acqua dell’originaria fontana.
Nel 1640 per volontà di papa Urbano VIII (1622-1644), in concomitanza con l’ampliamento della piazza, Gian Lorenzo Bernini progetta una nuova fontana orientata come l’attuale, la cui costruzione si limita alla messa in opera di un basamento ad esedra con una vasca antistante, addossato agli edifici poi inglobati nel palazzo Poli.
La realizzazione dell’attuale fontana di Trevi si deve a papa Clemente XII (1730-1740), che nel 1732 indice un concorso al quale partecipano i maggiori artisti dell’epoca. Il pontefice sceglie tra i progetti dell’architetto Nicola Salvi (1697-1751) quello più monumentale e “di minor pregiudizio per il retrostante palazzo” sulla cui facciata si inserisce l’intera mostra con uno studio meditato delle proporzioni e delle decorazioni.
La fontana, articolata come un arco di trionfo, con una profonda nicchia, digrada verso l’ampio bacino con una larga scogliera, vivificata dalla rappresentazione scultorea di numerose piante e dallo scorrere spettacolare dell’acqua. Al centro domina la statua di Oceano alla guida del cocchio a forma di conchiglia, trainato dal cavallo iroso e dal cavallo placido, frenati da due tritoni. Rilievi che alludono alla storia dell’acquedotto e figure allegoriche collegate agli effetti benefici dell’acqua decorano, a vari livelli, il prospetto. Si fondono così magistralmente nell’opera del Salvi storia e natura intese in un rapporto dialettico, quale veniva affermato dal nascente illuminismo.
La costruzione viene conclusa da Giuseppe Pannini (c.1720-c.1810) che modifica parzialmente la scogliera regolarizzando i bacini centrali.
Dopo un intervento di restauro negli anni 1989-1991 (ad esso è seguita una manutenzione della parte centrale nel 1999), l’ultimo importante restauro è avvenuto nel 2014 grazie a FENDI, concludendosi dopo diciassette mesi nel 2015, con inaugurazione il 3 novembre. Maggiori informazioni
L’intervento di manutenzione straordinaria del 2024
Tra i mesi di ottobre e dicembre 2024 è stato effettuato un intervento di manutenzione della Fontana di Trevi nell’ambito del programma PNRR – Caput Mundi (Manutenzione straordinaria di alcune fontane monumentali del Centro Storico di Roma, n. 323). Tale attività si pone in una posizione intermedia tra le operazioni di pulitura e manutenzione ordinaria che periodicamente vengono effettuate con lo svuotamento delle vasche, e gli interventi strutturali di restauro (come quelli del 1989-90, 1999 e 2014) mirati a eliminare il calcare e le patine biologiche che si depositano sui materiali. L’intervento è stato finalizzato a rimuovere localmente gli elementi che determinano un rischio di conservazione dell’opera stessa, agendo sulle superfici lapidee della parte inferiore del monumento, in particolare la zona tra il bordo della vasca e le gradinate di accesso, sottoposta a una pulitura approfondita.
L’operazione, condotta a cura della Sovrintendenza Capitolina, è parte di un programma che ha interessato anche la Fontana del Quirinale, della Barcaccia, delle Tartarughe e delle Tiare, per un importo complessivo di 1,187 milioni di euro.
L’indagine preliminare sui materiali
Propedeutica a ogni intervento di manutenzione o restauro è la fase conoscitiva del monumento, con analisi diagnostiche non invasive atte a indagare lo stato di conservazione del bene.
La Fontana di Trevi è costituita da un insieme eterogeneo di materiali, quali ad esempio marmo di Carrara, travertino, stucco e metalli. La loro analisi e il confronto con campioni di riferimento permette di quantificare gli effetti del degrado e stabilire gli interventi più opportuni, atti a rimuovere ad esempio patine e incrostazioni.
Il travertino della Fontana di Trevi in particolare è caratterizzato da una predominante composizione calcarea, con elevata concentrazione di calcio e, in quantità minori, ferro e stronzio. La patina rossa visibile sulla superficie della scogliera dimostra un notevole aumento della concentrazione di ferro, evidenziando un’alterazione significativa rispetto al travertino di riferimento.
I fattori di degrado
Esposta all’aperto, la Fontana di Trevi è soggetta a un insieme di fattori di degrado quali la presenza di inquinanti e agenti atmosferici, acqua e umidità che esplicano la propria azione attraverso processi di natura chimica, fisica e biologica.
L’utilizzo del ferro per le staffe di sostegno ai gruppi scultorei, ad esempio, se da un lato garantisce vantaggi in termini di stabilità e resistenza meccanica, dall’altro pone dei problemi legati ai processi di ossidazione cui il metallo va incontro, con formazione di ruggine e, di riflesso, alterazioni estetiche del travertino.
Un altro fattore di degrado è la presenza costante di acqua e umidità, che comportano rischi di erosione e la formazione di un habitat favorevole allo sviluppo di flora e fauna microbiche, dannose per la pietra e gli altri materiali costitutivi.
Un ruolo, infine, è giocato dagli inquinanti atmosferici, solo in parte mitigati dalla semi-pedonalizzazione della piazza. Piccole particelle si depositano continuamente sulle superfici, richiedendo costante monitoraggio e pulizia.
Gli interventi
Gli interventi sulle superfici lapidee si sono sviluppati attraverso tre fasi:
Pulitura. Disinfezione da microrganismi e rimozione dei depositi superficiali incoerenti e parzialmente aderenti, croste nere, strati carbonatati e ossidi di ferro.
Consolidamento. Ripristino della coesione, riadesione di scaglie e frammenti ed esecuzione e riparazione delle stuccature.
Applicazione di protettivo. Applicazione di uno strato protettivo sulle superfici per contrastare l’azione degli agenti atmosferici e inquinanti.
Sugli elementi metallici è stato eseguito un trattamento per l’arresto dell’ossidazione al fine di prevenire la corrosione di perni, grappe, staffe e cerchiature.
Nell’area di rispetto si è svolta un’attività di diserbo, disinfezione e lavaggio, la revisione delle stuccature alterate e il riposizionamento degli elementi pavimentali divelti a causa della frequentazione pedonale della piazza.
Nella vasca principale e in quelle secondarie, infine, sono stati applicati rivestimenti impermeabilizzanti al fine di proteggere il materiale lapideo dalle infiltrazioni.
La passerella: un modo nuovo di ammirare la Fontana
Nell’ottica di garantire la fruibilità del monumento e offrire al visitatore una prospettiva nuova da cui poter ammirare la Fontana di Trevi, nel primo mese di cantiere è stata allestita una passerella temporanea che ha consentito di osservare a pochi metri di distanza i celeberrimi apparati scultorei, nonché le operazioni di manutenzione in corso. La passerella ha offerto inoltre l’occasione per acquisire nuovi dati sulla frequentazione, utili a risolvere i problemi di sovraffollamento dell’area.
Fara in Sabina-Il Museo Civico Archeologico della Sabina Tiberina si illumina grazie al Teatro Potlach-
Fara in Sabina, 22 dicembre 2024-Un fine settimana pieno di luce a Fara in Sabina. A poche ore dal giorno più magico ed emozionante dell’anno, il Museo Civico Archeologico della Sabina Tiberina – situato nel cuore del borgo medievale di Fara in Sabina – si illumina e splende grazie alle luci installate dal Teatro Potlach. Ieri infatti a Palazzo Brancaleoni, sede del museo, è avvenuta l’accensione delle luci che durerà fino a oggi: grandi e piccoli hanno quindi la possibilità di ammirare il museo vestito a festa in occasione dell’arrivo del Natale. Un gioco di luci che immerge il centro storico della città in un’atmosfera ancora più fiabesca e suggestiva. Si tratta infatti di una delle numerose iniziative che, organizzate dalla Pro Loco di Fara in Sabina APS in collaborazione con il Comune, sono dedicate alla promozione turistica del borgo: una delle tante attività volte renderlo ancora più attrattivo e accogliente.
Il Museo Civico Archeologico della Sabina Tiberina di Fara in Sabina
Il Museo Civico Archeologico di Fara in Sabina è uno dei punti di riferimento per la conoscenza della civiltà dei Sabini, in quanto conserva i materiali provenienti dai due centri più importanti della Sabina Tiberina: Cures ed Eretum. Allestito a partire dal 2001 all’interno del rinascimentale Palazzo Brancaleoni (sito in piazza del Duomo) ha visto – nel corso degli anni – le sue collezioni ampliarsi, grazie agli scavi effettuati con regolarità proprio a Cures ed Eretum. Il cospicuo aumento del numero dei materiali ha reso necessario nel corso del tempo l’allestimento di nuove sale: la sala della Scrittura, interamente dedicata al cippo inscritto ritrovato nel greto del Fiume Farfa, e la sala dedicata alla Tomba XXXVI di Colle del Forno. Della fase rinascimentale, l’edificio conserva intatta la facciata della prima metà del ‘400, mentre gli interni sono stati pesantemente ristrutturati dai successivi proprietari: al tardo barocco possono essere ascritti gli affreschi di una delle sale, dipinti con motivi a grottesche come si usava nei piani nobili delle case di fine ‘700. Inoltre, a inizio anno si sono conclusi i lavori per l’allestimento in via definitiva di un’altra sala, dedicata ad una tomba i cui corredi sono stati protagonisti di vicende tra le più travagliate e a tratti rocambolesche della storia dell’archeologia: la Tomba XI di Colle del Forno, meglio conosciuta come Tomba del Carro.
Per informazioni e prenotazioni: visitfarainsabina@gmail.com 0765277321 – 3802838920.
Fara in Sabina: tra passato e presente
Popolata fin dall’epoca preistorica, Fara in Sabina, ridente comune in provincia di Rieti, fa risalire le origini del suo attuale abitato ad epoca longobarda. Placidamente adagiato a circa cinquecento metri, il borgo di Fara in Sabina è contornato da un incantevole panorama.
Un dolce paesaggio, ove spiccano uliveti e verdi colline. Nel suo territorio, inoltre, vi è una ampia presenza di monumenti e testimonianze storiche di grande rilevanza. Visitando Fara in Sabina, si rimarrà ammaliati dall’incantevole visione di secolari ulivi, abbazie, rocche e torri.
Fara in Sabina tra passato e presente, offre la possibilità di godere di un momento unico, in cui vivere le emozionanti storie e leggende legate a mostri spaventosi, briganti, ma anche a condottieri e santi.
Gioiello di Fara Sabina è il suo centro storico, un delizioso ricco scrigno, che ha conservato, nonostante l’inesorabile trascorrere dei secoli, angoli pittoreschi e alquanto caratteristici.
Girovagando per i vicoli di Fara in Sabina vi imbatterete nel Palazzo Baronale, oggi sede di un interessante Museo Archeologico. Merita una nota particolare la Seicentesca Chiesa intitolata a San Giacomo, e la Collegiata di Sant’Antonio risalente al XVI. Eretto nel XVII secolo sulle rovine del suo castello, vi è il Monastero delle Clarisse Eremite.
Se brillano gli esempi di architettura religiosa, non sono da meno quelli relativi ai suoi palazzi. Una magnifica rassegna è data dal Palazzo Foschi del XV secolo, dal Palazzo Farnese risalente al 1585 e dal Palazzo Orsini, un eccellente esempio di architettura civile del XV secolo.
Tra i siti archeologici presenti a Fara in Sabina, si segnalano i Ruderi di San Martino e i resti di Cures Sabini, di origine preromana. Una gita a Farfa in Sabina, quindi, è una occasione magnifica per riscoprire un territorio stupendo e degustare ottimi piatti della fantastica cucina sabina.
Se siete a Fara in Sabina, non potete di certo perdere l’occasione per visitare anche la celeberrima Abbazia di Farfa, indiscutibile punta di diamante del territorio sabino e che dista solo pochi chilometri dal borgo di Fara.
I segni del lavoro. I siti industriali in Bassa Sabina tra agricoltura e industria dal XVIII al XX secolo
A cura di Fondazione Nenni e Associazione Eolo
Editore Espera
DESCRIZIONE del libro I segni del lavoro. I siti industriali in Bassa Sabina Il volume è il risultato di una ricerca storico-archivistica, coordinata dalla Fondazione Pietro Nenni e dall’Associazione Eolo, che ha permesso di riscoprire all’interno di sette comuni della Bassa Sabina, con l’ausilio di documenti inediti e fonti orali, tracce di industrie, miniere, botteghe artigianali, mulini e mattatoi, forni, frantoi, allevamenti di bachi da seta, officine meccaniche, fabbriche di utensili e ceramiche, laboratori di sartoria e maglieria. Il lettore troverà un volume ricco di informazioni, dati e curiosità, sui siti produttivi, sul tessuto economico e sociale dei comuni di Cantalupo, Casperia, Forano, Magliano Sabina, Poggio Mirteto, Roccantica e Stimigliano tra il XVIII e il XX secolo. L’agricoltura ha rappresentato sempre un aspetto dominante dell’economia locale ma, nel corso del periodo preso in esame, si sono sviluppati oltre ad essa insediamenti produttivi e protoindustriali che hanno cambiato radicalmente la vita della popolazione. È uno studio realizzato con rigore, pensato per valorizzare il patrimonio archeologico industriale e agricolo di questo territorio.
Biblioteca DEA SABINA-Associazione CORNELIA ANTIQUA
Roma- La via Appia antica vista da due illustri viaggiatori del 1700.
Montesquieu:“ Avvicinandoci a Roma s’incontrano tratti della Via Appia, ancora integri. Si vede un bordo o margo che resiste ancora, e credo che abbia più di tutto contribuito a conservare questa strada per duemila anni: ha sostenuto le lastre dai due lati ed ha impedito che cedessero lì, come fanno le nostre lastre in Francia, che non hanno alcun sostegno ai bordi. Si aggiunga che queste lastre sono grandissime, molto lunghe, molto larghe, e molto bene incastrate le une nelle altre; inoltre questo lastricato, poggia su un altro lastricato, che serve da base. Le strade dell’imperatore sono fatte di ghiaia messa su una base lastricata, ben stretta e compressa. Dopo, vi hanno messo un piede o due di ghiaia. Questo renderà la strada eterna. C’è da stupirsi che in Francia non si sia pensato a costruire strade più resistenti? Gli imprenditori sono felici di avere un affare del genere ogni cinque anni”.
Montesquieu, Viaggio in Italia, 1728-1729.
Charles de Brosses:“E’ questo, o mai più, il momento di parlarvi della Via Appia, cioè il più grande,il più bello e il più degno monumento che ci resti dell’antichità; poiché, oltre alla stupefacente grandezza dell’opera, essa non aveva altro scopo che la pubblica utilità, credo che non si debba esitare a collocarla al di sopra di tutto quanto hanno mai fatto i Romani o altre nazioni antiche, fatta eccezione per alcune opere intraprese in Egitto, in Caldea e soprattutto in Cina per la sistemazione delle acque. La strada, che comincia a Porta Capena, prosegue trecentocinquanta miglia da Roma a Capua e a Brindisi, ed era questa la strada principale per andare in Grecia e in Oriente. Per costruirla hanno scavato un fossato largo quando la strada fino a trovare uno strato solido di terra……Codesto fossato o fondamento è stato riempito da una massicciata di pietrame e di calce viva, che costituisce la base della strada, la quale è stata poi ricoperta interamente di pietre da taglio che hanno una rotaia. E tanto ben connesse che, nei posti dove non hanno ancora incominciato a romperle dai bordi, sarebbe molto difficile sradicare una pietra al centro della strada con strumenti di ferro. Da ambedue i lati correva un marciapiede di pietra. Sono ben quindici o sedici secoli che non soltanto non riparano questa strada, ma anzi la distruggono quanto possono. I miserabili contadini dei villaggi circostanti l’hanno squamata come una carpa, e ne hanno strappato in moltissimi luoghi le grandi pietre di taglio, tanto dei marciapiedi che del selciato. E’ questa la ragione degli amari lamenti che fanno sempre i viaggiatori contro la durezza della povera Via Appia , che non ne ha nessuna colpa; infatti, nei posti che non sono stati sbrecciati, la via è liscia, piana come un tavolato, e persino sdrucciolevole per i cavalli i quali, a forza di battere quelle larghe pietre, le hanno quasi levigate ma senza bucarle. E’ vero che, nei luoghi dove manca il selciato, è assolutamente impossibile che le chiappe possano guadagnarsi il paradiso, a tal punto vanno in collera per essere costrette a sobbalzare sulla massicciata di pietre porose e collocate di taglio, e in tutti i sensi nel modo ineguale. Tuttavia, nonostante vi si passi sopra da tanto tempo, senza riparare né aggiustare nulla, la massicciata non ha smentito le sue origini. Non ha che poche o punte rotaie ma solo, di tanto in tanto, buche piuttosto brutte”.
Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: e per questo viene chiamato democrazia.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Le leggi qui assicurano una giustizia eguale per tutti nelle loro dispute private, ma noi non ignoriamo mai i meriti dell’eccellenza.
Quando un cittadino si distingue, allora esso sarà, a preferenza di altri, chiamato a servire lo Stato, ma non come un atto di privilegio, come una ricompensa al merito, e la povertà non costituisce un impedimento.
Qui ad Atene noi facciamo così.
La libertà di cui godiamo si estende anche alla vita quotidiana; noi non siamo sospettosi l’uno dell’altro e non infastidiamo mai il nostro prossimo se al nostro prossimo piace vivere a modo suo.
Noi siamo liberi, liberi di vivere proprio come ci piace e tuttavia siamo sempre pronti a fronteggiare qualsiasi pericolo.
Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Ci è stato insegnato di rispettare i magistrati, e ci è stato insegnato anche di rispettare le leggi e di non dimenticare mai che dobbiamo proteggere coloro che ricevono offesa.
E ci è stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritte che risiedono nell’universale sentimento di ciò che è giusto e di ciò che è buon senso.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e benchè in pochi siano in grado di dare vita ad una politica, beh tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla.
Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via della democrazia.
Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma la libertà sia solo il frutto del valore.
Insomma, io proclamo che Atene è la scuola dell’Ellade e che ogni ateniese cresce sviluppando in sé una felice versalità, la fiducia in se stesso, la prontezza a fronteggiare qualsiasi situazione ed è per questo che la nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Pericle – Discorso agli Ateniesi, 431 a.C. (*)
Tratto da Tucidide, Storie, II, 34-36
(*) Errata corrige: inizialmente era stata indicata la data del 461 a.C., riportata da diverse fonti, ma in realtà il discorso, secondo Tucidide, è stato pronunciato all’inizio della Guerra del Peloponneso (431 a.C. – 404 a.C.)
Roma, 18 dicembre 2024 – Ospitata ai Musei Capitolini, Villa Caffarelli, dall’11 febbraio al 18 maggio 2025, la mostra “I Farnese nella Roma del Cinquecento. Origini e fortuna di una collezione”, a cura di Claudio Parisi Presicce e Chiara Rabbi Bernard, costituisce uno degli eventi di punta organizzati dalla Sovrintendenza Capitolina all’interno dell’intervento “#Amanotesa” (PNRR CAPUT MUNDI), finalizzato a favorire l’inclusione sociale attraverso l’incremento dell’offerta culturale.
Per l’alto valore del progetto espositivo e per la sua rilevanza nell’ambito dell’anno giubilare, l’inaugurazione della mostra (10 febbraio 2025) è anticipata da un evento di “introduzione”, in programma giovedì 19 dicembre, ore 17.30, ai Musei Capitolini, Palazzo dei Conservatori, presso l’Esedra del Marco Aurelio, raccordo ideale tra la figura di Paolo III, la collezione Farnese e i Musei Capitolini.
Saranno presenti per i saluti istituzionali il Sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, l’Assessore alla Cultura, Massimiliano Smeriglio, S.E. l’Ambasciatore di Francia in Italia, Martin Briens, il Prof. Massimo Osanna, Direttore Generale dei Musei del Ministero della Cultura.
Il Sovrintendente Capitolino, Claudio Parisi Presicce, darà avvio ai lavori con un inquadramento di carattere generale su Paolo III Farnese e la Roma rinnovata alla vigilia del Giubileo del 1550 e una introduzione alla mostra, curata insieme a Chiara Rabbi Bernard. Seguirà l’intervento del Professore Carlo Gasparri (Prof. Emerito – Università degli Studi di Napoli Federico II), che ha dedicato molti dei suoi studi alla collezione Farnese di antichità, e la cui presentazione sarà incentrata sulle sculture un tempo di proprietà Farnese, conservate dalla fine del Settecento a Napoli. Alcune delle opere della collezione Farnese, punto di riferimento sin dal Cinquecento per artisti e studiosi, saranno protagoniste di un ulteriore approfondimento da parte del Dottor Adriano Aymonino (University of Buckingham) e della Dott.ssa Eloisa Dodero (Musei Capitolini). A chiudere l’evento sarà il Professore Salvatore Settis (Prof. Emerito – Scuola Normale Superiore di Pisa), che discuterà dei bronzi donati al Popolo Romano da papa Sisto IV – dal 2020 raccolti in un nuovo allestimento nell’Esedra del Marco Aurelio – e del futuro delle collezioni di archeologia nei musei contemporanei.
L’evento è promosso da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali con i servizi museali di Zètema Progetto Cultura. L’ingresso è libero fino a esaurimento dei posti disponibili.
La mostra (11 febbraio 2025 – 18 maggio 2025)
Il progetto espositivo è dedicato al momento di profonda trasformazione urbanistica della città di Roma, promossa da Paolo III Farnese (r. 1534-1549). All’indomani del tragico Sacco del 1527, la città si ritrova di fronte alla necessità di una rinascita rapida e vigorosa. All’impulso di Papa Farnese, si devono alcuni grandiosi interventi, tra cui la monumentalizzazione della Piazza del Campidoglio, affidata al genio di Michelangelo; la celebre statua equestre in bronzo di Marco Aurelio, trasferita nel 1538, per volontà del papa, dalla Piazza del Laterano, diventa il centro del colle capitolino; attorno, simbolo del passato grandioso di Roma, Michelangelo progetta una quinta scenografica e monumentale.
Paolo III avvia anche la più importane collezione di arte e di antichità della Roma del Cinquecento. Risale al 1545-1546 il rinvenimento nelle Terme di Caracalla di alcuni colossi in marmo, tra cui l’Ercole, il Toro e la Flora Farnese. Le statue sono subito trasferite nel cortile del Palazzo Farnese in Campo de’ Fiori.
Erede della collezione alla morte del papa è il nipote Alessandro (1520-1589), che trasforma Palazzo Farnese in una residenza raffinatissima, espressione suprema del potere farnesiano a Roma, in cui convivono sculture, iscrizioni e gemme antiche, preziosi elementi di arredo, disegni, incisioni, dipinti e affreschi dei maggiori artisti del tempo, tra cui Tiziano e i fratelli Carracci.
Se il Campidoglio monumentalizzato da Michelangelo costituisce la massima manifestazione dell’incisività “pubblica” dei Farnese, il palazzo in Campo de’ Fiori ne rappresenta il potere privato.
Ospitare una mostra sulla collezione Farnese ai Musei Capitolini (Villa Caffarelli), dunque, diventa una occasione preziosa per presentare e spiegare questa dinamica pubblico/privato in un momento solo apparentemente remoto, gli anni centrali del Cinquecento, ma in realtà molto più vicino a noi di quanto possiamo immaginare. Come negli anni Quaranta del Cinquecento, alla vigilia del Giubileo indetto da Paolo III, anche oggi Roma si rinnova, spinta dalla necessità di cambiare e trasformarsi, tra molti conflitti e molte incertezze.
Articolata in sei sezioni, la mostra, ospitata negli spazi espositivi di Villa Caffarelli, è il risultato di una complessa campagna di prestiti che ha visto coinvolti numerosi musei italiani e stranieri.
Il percorso espositivo prende l’avvio con la presentazione, attraverso planimetrie e incisioni, degli interventi di trasformazione della città alla vigilia del Giubileo del 1550. Il confronto tra il Camillo in bronzo delle collezioni capitoline, parte del nucleo dei bronzi lateranensi donati al “Popolo Romano” da Sisto IV nel 1471, e la sua copia in bronzo realizzata da Guglielmo della Porta per il Cardinale Alessandro Farnese negli anni Sessanta del Cinquecento, offre lo spunto per una prima riflessione sul rapporto tra collezione pubblica e collezione privata.
Segue una preziosa galleria di ritratti dei protagonisti della collezione negli anni del suo maggiore splendore, da papa Paolo III ai nipoti Alessandro e Ottavio (1524-1586). I grandi marmi rinvenuti nelle Terme di Caracalla, tra le prime sculture antiche a trovare posto nel cortile di Palazzo Farnese a Campo de’ Fiori, sono evocati da preziosi bronzetti, disegni e incisioni, nella sezione, intitolata “I Farnese e la passione per l’antichità”.
Il visitatore è quindi invitato a “entrare” nell’allestimento originario dell’antica collezione di Palazzo Farnese, percorrendo la “Sala dei Filosofi”, caratterizzata nel Cinquecento dalla presenza di statue, come la celebre Venere Callipigia del Museo Archeologico di Napoli, e la splendida Galleria affrescata dai Carracci, qui evocata da importanti disegni
preparatori degli affreschi e da alcune delle sculture più importanti esposte nel grande ambiente di rappresentanza, oggi conservate al Museo Archeologico di Napoli, che tornano ad essere visibili a Roma dopo il loro trasferimento nel corso dell’ultimo decennio del XVIII secolo.
Il percorso virtuale all’interno del palazzo riprende attraverso la ricostruzione del “Camerino” e della Galleria dei Quadri di Palazzo Farnese. La mostra si chiude con una stanza dedicata a un confronto tra due collezioni, quella dei Farnese e quella Orsini, appartenuta al celebre antiquario vicino alla nobile famiglia, accomunate entrambe da un comune destino di dispersione.
La mostra, a cura di Claudio Parisi Presicce e Chiara Rabbi Bernard, è promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e organizzata da Zètema Progetto Cultura in collaborazione con Civita Mostre e Musei.
INFORMAZIONI PER IL PUBBLICO
Introduzione alla mostra
Musei Capitolini, Palazzo dei Conservatori, Esedra del Marco Aurelio Giovedì 19 dicembre, ore 17.30
Ingresso libero fino a esaurimento dei posti disponibili
La mostra
Dall’11 febbraio al 18 maggio 2025
Musei Capitolini, Villa Caffarelli
Via di Villa Caffarelli – 00186 Roma
Tutti i giorni ore 9.30 – 19.30. Ultimo ingresso un’ora prima della chiusura
Info
Tel. 060608 (tutti i giorni ore 9.00 – 19.00) www.museicapitolini.org www.museeincomuneroma.it
Farfa abbazia imperiale- a cura di Rolando Dondarini-
Gabrielli Editori- Verona
Descrizione
Descrizione del Farfa Abbazia Imperiale- Il Volume collettivo che raccoglie i contributi dei più noti studiosi di storia medievale. La loro convergenza offre un ampio quadro sull’influenza della grande Abbazia Imperiale di Santa Maria di Farfa nell’ambito delle vicende e dei rapporti intercorsi tra movimenti monastici, autorità civili e religiose e società della tarda antichità al pieno medioevo e sulla specifica presenza dell’Abbazia e delle sue dipendenze nel territorio dell’Italia centrale.
Con l’appuntamento scientifico che ha generato questi atti (Atti del convegno internazionale Farfa – Santa Vittoria in Matenano, 25 – 29 agosto 2003) si è inteso trattare delle vicende dellAbbazia di Santa Maria di Farfa nel più ricco ed ampio spettro tematico possibile per porre rimedio alla frammentarietà di apporti e indagini relative. Sulla base di questa carenza storiografica per ripercorrere il lungo dispiegarsi delle premesse, della genesi e degli sviluppi di tale esperienza occorreva prenderne in esame la varietà delle questioni, la complessità delle relazioni, la successione dei mutamenti secondo una pluralità di prospettive e di aspetti che compensasse la circoscritta area di estrazione delle precedenti conoscenze, quasi esclusivamente tratte dalle testimonianze di esponenti del grande cenobio sabino. E per queste lacune che gli ideatori del convegno hanno voluto programmare un arco di contributi e relazioni che partendo dalle lontane origini approdasse alle residue impronte della presenza farfense tra Reatino e Piceno. Il Convegno è giunto a coronamento di oltre un decennio di appuntamenti annuali sui diversi aspetti della vita monastica tenutisi a S. Vittoria in Materano presso quella che fu la seconda grande sede del monastero di Farfa. Promossi ed organizzati dal Centro Studi Farfense, quei convegni si richiamavano implicitamente alla matrice della grande Abbazia Imperiale sorta tra tardo antico e alto medioevo ai confini tra la Sabina e il Reatino. E stata quindi naturale laspirazione a ricongiungere le due sedi e la loro storia in un grande convegno che ripercorresse le loro vicende dalle origini al declino, un convegno che non trascurasse alcun lato della ricerca. Volume collettivo a cui hanno partecipato i migliori studiosi di storia medievale presenti in Italia, l’opera fornisce senz’altro una base importante per altri studi e approfondimenti.
IL CURATORE Rolando Dondarini è professore di Storia Medievale e di Didattica della Storia del Dipartimento di Discipline Storiche dellUniversità di Bolognae insegna le stesse discipline presso la relativa Facoltà di Scienze della formazione e presso la Scuola di Specializzazione per lIstruzione Superiore. E fondatore e coordinatore del Comitato Italiano per gli Studi e le Edizioni delle Fonti Normative, socio-fondatore dellassociazione internazionale History & Computing, consigliere direttivo della Deputazione di storia patria per le province di Romagna e socio effettivo della Deputazione provinciale ferrarese di storia patria e coordinatore del LAD (Laboratorio Didattico del Dipartimento di Discipline Storiche dellUniversità di Bologna). E Presidente del Centro di Studi Farfense (emanazione della Scuola di Memoria Storica del Piceno), del Laboratorio Multidisciplinare di Ricerca Storica e dellassociazione Mediae Aetatis Sodalicium. Autore di numerose opere, ha coordinato la pubblicazione della Bibliografia Statutaria Italiana in collaborazione con la Biblioteca del Senato e ha promosso lattivazione del sito internet “De Statutis” www.statuti.unibo.it .
Gabrielli editori – Via Cengia 67 – 37029 San Pietro in Cariano (Verona – Italia)
tel. 045 7725543
Orari ufficio e libreria dal lunedì al venerdì, 9 – 12.30; 14 – 17.30
sabato mattina previo contatto
Roma-Mostra, “San Francesco, tra Cimabue e Perugino” alla Biblioteca del Senato della Repubblica-
Roma-Il 10 dicembre 2024, a Roma, nella Sala Capitolare di Palazzo della Minerva, sede della Biblioteca del Senato della Repubblica, alla presenza del Presidente del Senato, Ignazio La Russa, e del Sottosegretario di Stato alla Cultura, Gianmarco Mazzi, è stata inaugurata la mostra San Francesco, tra Cimabue e Perugino. Nel Giubileo con il Cantico delle Creature, promossa dal Senato della Repubblica in collaborazione con il Ministero della Cultura, Musei Nazionali di Perugia – Direzione regionale Musei nazionali Umbria, che ne cura il progetto scientifico e l’organizzazione. L’esposizione si presenta come una iniziativa che coinvolge diverse realtà istituzionali del territorio umbro, grazie all’eccezionale collaborazione della Custodia Generale del Sacro Convento di San Francesco in Assisi, della Provincia Serafica di San Francesco dell’Umbria e del Comune di Terni, con il contributo del Comitato per le celebrazioni dell’ottavo centenario della morte di San Francesco d’Assisi, della Fondazione Perugia e della Fondazione Cassa di Risparmio di Terni e Narni e il patrocinio del Dicastero per l’Evangelizzazione della Santa Sede.
L’esposizione, che si apre a chiusura dell’ottavo centenario delle Stimmate di San Francesco (2024) e dell’inizio dell’Anno Giubilare (2025), in concomitanza con l’ottavo centenario del Cantico delle Creature (2025), è curata da Costantino D’Orazio (direttore dei Musei Nazionali di Perugia – Direzione regionale Musei Nazionali Umbria) e da Veruska Picchiarelli (responsabile del Dipartimento di Arte medioevale e della prima età moderna della Galleria Nazionale dell’Umbria): l’obiettivo principale di questa iniziativa è quello di raccontare, in forma sintetica ma efficace, un ideale percorso di sviluppo dell’iconografia di San Francesco di Assisi, tra Medioevo e Rinascimento, esaltando il suo ruolo nell’ambito della definizione dell’identità nazionale italiana.
La mostra è l’occasione per declinare e condividere il patrimonio culturale dell’Umbria nel segno del “Poverello di Assisi”, promuovendo alcune delle principali realtà del territorio in cui è presente la sua memoria: in questo contesto, ad alcuni capolavori della Galleria Nazionale dell’Umbria si affiancano opere provenienti da altre istituzioni, in un’ideale linea del tempo volta a indagare l’evoluzione della percezione, della memoria, del messaggio di Francesco.
La mostra è aperta da due eccezionali prestiti, frutto della consolidata collaborazione tra la Galleria Nazionale dell’Umbria con la Custodia Generale del Sacro Convento di San Francesco in Assisi e la Provincia Serafica di San Francesco dell’Umbria.
Il primo concede, in via del tutto eccezionale, la Chartula, una pergamena annoverata tra le più importanti reliquie del santo, un frammento autografo di San Francesco, databile al 1224, vergata dopo l’impressione delle stimmate: in essa sono riportate una ispirata benedizione del Santo al compagno e amico frate Leone e, sul recto, una lirica, Lodi di Dio altissimo; la reliquia, conservata nella Cappella di San Nicola, nella Basilica inferiore di Assisi accanto al suo saio, è ancora ben leggibile, con il “Tau” impresso su un lato, simbolo con il quale il Santo si firmava.
Dal Museo della Porziuncola, che afferisce alla Provincia Serafica di San Francesco, arriva un altro capolavoro dall’intensa identità spirituale: l’effigie del Santo dipinta da Cimabue negli anni in cui era impegnato ad affrescare la Basilica di Assisi, utilizzando come supporto la tavola che, stando alla tradizione, era servita da copertura della prima umilissima cassa di legno nella quale il corpo di Francesco fu tumulato subito dopo la morte (1226).
Partendo da questi oggetti sacri, il percorso prosegue con opere di alcuni tra i maggiori pittori del Medioevo e del Rinascimento: Perugino, Benozzo Gozzoli, Taddeo di Bartolo, Niccolò di Liberatore, in una suggestiva narrazione volta a restituire l’evoluzione dell’immagine del Santo in parallelo all’affermazione, sempre crescente, del culto francescano.
Nel Gonfalone della Giustizia di Perugino, uno dei maggiori capolavori conservati presso la Galleria Nazionale dell’Umbria, Francesco è affiancato da San Bernardino in adorazione della Madonna col Bambino, in una composizione dove compare anche la comunità dei fedeli radunata ai piedi di una formidabile veduta di Perugia, ancora segnata da una selva di torri. Nel tabernacolo di Niccolò del Priore Francesco è protagonista di un evento straordinario che lo accosta ad uno dei momenti più dolorosi della Passione di Cristo: il conferimento delle stimmate lo consacra come alter Christus, l’unico uomo ad aver accolto sul suo corpo le stesse ferite di Gesù. Le opere della mostra si presentano come raffigurazioni di eccezionale potenza simbolica ed evocativa, come nell’elemento centrale del Polittico di San Francesco al Prato, capolavoro di Taddeo di Bartolo, in cui il Santo schiaccia le allegorie dei vizi opposti ai tre voti della Regola Francescana (la Superbia – opposta all’Obbedienza – la Lussuria – opposta alla Castità – l’Avarizia – opposta alla Povertà).
Passando per la sublime eleganza dello Sposalizio mistico di Santa Caterina, opera di Benozzo Gozzoli in prestito dalla Fondazione Perugia, e per la struggente Pietà di Niccolò Liberatore, proveniente dalla Museo d’arte moderna e contemporanea “Aurelio de Felice” di Terni, l’itinerario umbro si conclude, idealmente, con due capolavori dell’artista che ha la sua terra nel nome: Pietro Vannucci, detto Perugino, il quale nel corso della sua vita si misurò più volte con la volontà di dare un volto al Santo. Le sue opere, provenienti dalla Galleria Nazionale dell’Umbria, si accostano agli altri tre capolavori che giungono a Roma dal principale museo umbro, realizzati da maestri del calibro di Taddeo di Bartolo, Niccolò Liberatore (detto l’Alunno) e Niccolò del Priore.
La capacità del meglio maestro d’Italia (come lo definì Agostino Chigi, nel 1500) di rendere la portata mistica e le manifestazioni della sua ardente fede, attraverso i gesti e le espressioni, rende le sue visioni di Francesco particolarmente vive e attuali, ricordando come la contemporaneità del Santo sia il più efficace e puntuale manifesto dell’identità di una terra, di una regione, di un sentire umbro.
Perseguendo la portata eccezionale del suo insegnamento, la mostra nasce da una collaborazione territoriale, che vede unitariamente muoversi Enti e Istituzioni nell’intento non solo celebrativo, ma anche identitario: nell’anno del Giubileo, introiettando il messaggio sotteso al Cantico delle Creature, il Senato della Repubblica onora il Patrono d’Italia attraverso la più profonda identità della regione che gli ha dato i natali e ha accolto il suo transito: l’Umbria, celebrata da opere che indagano i suoi paesaggi, i suoi elementi, le sue tradizioni, i suoi culti, i suoi Maestri, la sua Storia, manifestando le radici sacre e le loro laiche declinazioni.
Elenco delle Opere
SAN FRANCESCO, TRA CIMABUE E PERUGINO.
Nel Giubileo con il Cantico delle Creature
Chartula autografa di frate Francesco con rubriche di frate Leone, 1224, settembre, ambito centro-italiano, inchiostro bruno ferro-gallico e rosso cinabro su pergamena di pelle di capra, Assisi, Cappella di San Nicola, Basilica di San Francesco (chiesa inferiore)
Reliquiario della Chartula, ultimo quarto del XVI secolo – ante 1613, Assisi, Cappella di San Nicola, Basilica di San Francesco (chiesa inferiore)
Cenni di Pepo detto Cimabue, San Francesco d’Assisi, 1280-1290 circa, tempera su tavola, Assisi, Santa Maria degli Angeli, Museo della Porziuncola
Taddeo di Bartolo, San Francesco d’Assisi in gloria schiaccia l’Orgoglio, la Lussuria e l’Avarizia (elemento centrale del verso del Polittico di San Francesco al Prato), 1403, firmato e datato, tempera su tavola, Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria
Benozzo di Lese detto Benozzo Gozzoli, Sposalizio mistico di santa Caterina d’Alessandria e i santi Bartolomeo, Francesco d’Assisi e Lucia, 1466, firmato e datato, tempera su tavola, Terni, Museo d’arte moderna e contemporanea “Aurelio de Felice”
Nicolò del Priore, Tabernacolo a sportelli, Stimmate di san Francesco tra san Francesco d’Assisi e santa Chiara, 1496, tempera su tavola, Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria
Pietro Vannucci detto Perugino, Gonfalone della Giustizia, 1496, olio su tela, Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria
Niccolò di Liberatore detto L’Alunno e Lattanzio di Niccolò, Cristo in Pietà tra la Vergine, san Giovanni Evangelista, le Pie donne e san Francesco, 1500 circa, olio su tela, Perugia, Fondazione Perugia, Museo di Palazzo Baldeschi al Corso
Pietro Vannucci detto Perugino, San Giovanni Battista tra i santi Francesco d’Assisi, Girolamo, Sebastiano e Antonio da Padova (Pala dei Cinque Santi), 1510-1512 circa, olio su tavola, Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria
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