Roma –Castel di Guido :Sit-in delle Associazioni per salvare dal degrado e l’abbandono il Casale della Bottaccia.
Roma Municipio XIII-Castel di Guido 26 giugno 2022-Si è svolto puntualmente , sulla piazza del Borgo, il sit-in organizzato dalle Associazioni Cornelia Antiqua e Castel di Guido e altro . Il Presidente, Cristian Nicoletta, organizzatore dell’evento, aprendo la manifestazione, ha ringraziato le tantissime Associazioni e i Cittadini presenti per aver risposto all’appello di Cornelia Antiqua a partecipare a questo sit-in al fine di salvare e riqualificare il sito Archeologico della Bottaccia , sottolineando:” che la concretezza operativa, ha iniziato a smuovere qualcosa e, finalmente , i vari “bla-bla” sembrerebbero destinati a finire nella cartella delle inutili promesse ”.
Il Presidente Cristian ha ringraziato la Presidente Diana Calcagni e i Volontari di Retake che proprio oggi , ancora una volta, hanno pulito la via di Castel di Guido e ,come fanno da anni, l’area antistante il Casale . Ha preso poi la parola il dott. Alessio De Cristoforo, funzionario della Soprintendenza responsabile per il Municipio XIII, sotto cui ricade il sito Archeologico della Bottaccia . Il dott. De Cristoforo ha illustrato ,con chiarezza, la Convenzione di Faro (Portogallo) del 2005, recentemente ratificata anche dal nostro Parlamento.
Il Vice-Presidente di Cornelia Antiqua, Gianluca Chiovelli nel suo intervento ha voluto evidenziare il ruolo delle Associazioni con queste parole :”Per riuscire a centrare l’obiettivo è necessario creare una rete di Associazioni e coinvolgere i Cittadini perché-chiosa Chiovelli-le Istituzioni devono essere sollecitate nelle azioni di recupero e valorizzazione dei Siti Archeologici e conservarli come eredità per le generazioni future”. Sono intervenuti dal podio tutti i Presidenti delle Associazioni presenti e che sono attivamente impegnate nella tutela e salvaguardia della nostra Campagna Romana.
ROMA Municipi XIII-XIV –Il 26 giugno 2022 Sit-in nel Borgo di Castel di Guido:
” SALVIAMO IL SITO ARCHEOLOGICO del CASALE della BOTTACCIA”
ROMA Municipio XIII-XIV- Le Associazioni:Cornelia Antiqua e Amici di Castel di Guido, con i rispettivi Presidenti: Cristian Nicoletta e Fabio Scaccia rinnoveranno l’Appello per il salvataggio ed il restauro dell’Antichissimo Casale della Bottaccia.
Saranno Presenti –Alberto Barbattini ,Presidente della Coop. IL PARCHETTO, Luigi Conti, Priore del Palio dei Fontanili di Testa di Lepre, La Dott.ssa Gianna Capannolo per Amici di Castel di Guido ed altre Associazioni che lavorano per il Bene Comune nei Municipi XIII e XIV-
Il Presidente di Cornelia Antiqua, Cristian Nicoletta,rivolge un Appello a tutti gli amanti della Storia e della Campagna Romana:” Supportate questa iniziativa!!! Oltre alle Associazioni è importante la presenza dei Cittadini romani. Proprio in questi giorni i nostri Fotoreportage, relativi al Casale della Bottaccia, sono stati ripresi e pubblicati da molti organi d’informazione”.
L’Appuntamento è per le ore 19:00 presso la Piazza del Borgo di Castel di Guido .
Al termine dell’incontro le Associazioni offriranno un piccolo buffet .
ROMA Municipi XIII e XIV-Associazione Cornelia ANTIQUA
-Il restauro del Cippo Funerario di Cornelio Procliano–
-Articolo di Tatiana Concas-
Associazione Cornelia ANTIQUA : Il restauro del Cippo Funerario di Cornelio Procliano -Articolo di Tatiana Concas-
ROMA- 23 giugno 2022-All’incrocio del ponticello di via della Storta con la via Boccea si trova il casale “Cascina di Sotto”. All’interno di questa proprietà si trova il Cippo Funerario eretto da Valeria Calpurnia in memoria del figlio quindicenne Quinto Cornelio Procliano (databile al secondo secolo d. C.). Ecco l’iscrizione:
D(is) M(anibus) s(acrum)
Q(uinto) Cornelio
Procliano
vixit annis XV
mensib(us) VIII dieb(us) XII
Valeria Calpurnia
Scopele mater
filio piissimo
fecit-
L’iscrizione tradotta:
“D(is) M(anibus) S(acrum)
QUINTO CORNELIO PROCLIANO
VISSUTO 15 ANNI, 8 MESI, 12 GIORNI
LA MADRE VALERIA CALPURNIA SCOPELE
AL PIO FIGLIO FECE”
La Pietra funeraria di Cornelio Procliano è parte della storia del nostro territorio ed è per questo motivo che l’ Associazione Cornelia ANTIQUA , che svolge attività di ricerca e studio , recupero, conservazione e valorizzazione dei reperti archeologici , ha deciso il suo restauro.
Noi dell’Associazione Cornelia Antiqua ,siamo perfettamente consapevoli che l’operazione di Restauro è un’azione volta a ripristinare un oggetto storico e costituisce un atto unico e irripetibile . Con questa premessa e consapevolezza, l’Associazione ha incaricato il Dott. Marco Castracane e la Dott.ssa Angela Santoro ad eseguire, al meglio, tutte le operazioni per recuperare e riportare il Cippo Funerario all’antica bellezza .
Il Cantiere, per le operazioni di Restauro, è stato aperto nel maggio 2022. La prima fase è stata la “pulitura” della Pietra Funeraria che ha richiesto varie giornate di lavoro.
Per la pulizia della Pietra Funeraria si è proceduto con l’applicare, su tutta la superficie e per varie volte, uno strato di biocida e lasciato agire per alcuni giorni, tramite l’applicazione di un telo. Con questo trattamento è stato rimosso lo sporco e disinfettate ed eliminate le eventuali cariche batteriche rimaste sulla superficie del Cippo Funerario.
La fase di pulizia della Pietra è stata completata con la rimozione delle alghe e licheni morti, presenti sulla superficie esterna, mediante l’utilizzo di spazzole morbide ed acqua. Quindi è stato applicato un impacco di cellulosa, imbevuta di carbonato di ammonio in soluzione satura, che ha portato ad un’ulteriore eliminazione dei materiali incongrui. Infine, grazie a successive operazioni di risciacquo, sono state eliminate tutte le particelle di cellulosa utilizzate per l’impacco e con esse, tutti i residui delle alghe e licheni che avevano provocato un annerimento del marmo.
Dopo aver eseguito le operazione sopra descritte è stato possibile, per la nostra Associazione, riportare la Pietra Funeraria alla sua bellezza originaria e, quindi, riconsegnarla al Bene Comune .
Voglio evidenziare il fascino di questo monumento funebre che ,oltre appartenere alla Memoria del nostro territorio, è la sintesi e la testimonianza del dolore e dell’amore materno immutabile nei secoli.
Si ringraziano la dott.ssa Roberta Pardi e la dott.ssa Chiara Scioscia Santoro della Soprintendenza Speciale Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Roma, per aver supportato ed approvato il nostro progetto di restauro.
In concomitanza con le operazioni di recupero dell’antico Cippo, sono state effettuate delle analisi chimico-fisiche eseguite dal Prof. Giovanni Visco e dalla Prof.ssa Maria Pia Sammartino, specializzati in chimica del restauro. Tali analisi hanno permesso di apportare un contributo scientifico, presentato in occasione del “Convegno Giovani Ricercatori”, Roma dal 20 al 23 giugno 2022, presso il dipartimento di Chimica dell’Università La Sapienza.
Si ringraziano il Prof. Giovanni Visco e la Prof.ssa Maria Pia Sammartino, per aver svolto questo studio scientifico a titolo completamente gratuito.
Riportiamo di seguito il titolo e gli autori del contributo scientifico che sarà pubblicato sul libro degli Atti del Convegno: Chemical-physical diagnostics propaedeutic to the conservative restoration of the Cippo Funerario of Quinto Cornelio Procliano (Emanuele Dell’Aglio, Maria Luisa Astolfi, Maria Pia Sammartino, Marco Castracane, Giovanni Visco, Luigi Campanella).
Articolo di Tatiana Concas- Associazione Cornelia Antiqua
Galleria Fotografica
Associazione Cornelia ANTIQUA : Il restauro del Cippo Funerario di Cornelio Procliano
Timbuctù -Abdel Kader Haidara, dopo essersi preso cura della raccolta e del restauro di 350.000 manoscritti di valore incommensurabile, un giorno torna da un viaggio di lavoro e trova la sua città invasa. Così, di nascosto, inizia una silenziosa opera per salvarli dalla furia fondamentalista
Lo abbiamo visto così tante volte negli ultimi anni che quasi ci siamo abituati: i talebani che abbattono i Buddha di Bamiyan con le cariche esplosive, i miliziani dell’Isis che prendono a martellate le statue nel museo di Mosul, la distruzione del sito archeologico di Palmira e l’uccisione dell’uomo che lì dirigeva gli scavi. E’ la “pulizia culturale” dei fondamentalisti, il tentativo di negare molteplicità e differenze in favore del pensiero unico. E quindi addio a tesori inestimabili e meravigliose testimonianze di un passato in cui i popoli convivevano nella tolleranza.
In questo desolante panorama, alcune storie di coraggio vanno invece raccontate. Come quella di Abdel Kader Haidara, il cui amore per i libri e i manoscritti antichi ha permesso di salvare l’immenso patrimonio culturale del Mali.
Tutto comincia nell’aprile del 2012, quando Abdel, tornato da un viaggio di lavoro in Burkina Faso, trova la sua città, Timbuctù, invasa dai miliziani di una delle affiliate africane ad Al Qaeda. Saccheggi, spari, bandiere nere che sventolano sui palazzi governativi e sui pickup che sollevano nuvole di terra per le strade.
Abdel di mestiere fa il bibliotecario e il conservatore di manoscritti antichi. Dal XVI secolo, la sua famiglia si è dedicata alla raccolta di volumi centenari e ha fondato l’Ahmed Baba Institute, in cui questi tesori dimorano. Suo padre si è dedicato per anni ai viaggi in tutta l’Africa, raccogliendo centinaia di manoscritti in Chad, in Sudan e in Egitto.
Alla sua morte, nel 1981, Abdel ha solo 17 anni. Il direttore dell’istituto offre a lui il posto. «Non volevo fare questo – racconta – gli risposi che non ero interessato. Volevo buttarmi nel mondo degli affari e guadagnare un sacco di soldi, non lavorare in una biblioteca». Il direttore però non si arrende. «Mi disse: “Questo è il tuo lavoro, il tuo destino. Hai una grande responsabilità. Sei il custode di una grande tradizione intellettuale”». Dopo mesi d’insistenza, Abdel cede. Studia intensamente e impara in fretta tutto quello che c’è da sapere, dalle tecniche di conservazione a come attribuire un valore economico ai singoli pezzi.
Trent’anni dopo, quando nel 2012 i miliziani invadono la sua città, della collezione fanno parte 350.000 manoscritti raccolti, chiesti in dono o comprati in ogni parte del paese. Molti sono secolari. Tra questi, anche un Corano dalla forma irregolare del XII secolo, scritto su una pergamena fatta con pelli di pesce e rilucente di lettere vergate in blu e oro. E poi testi di astronomia, matematica, scienze occulte e medicine tradizionali. «Molti dei manoscritti mostrano che l’Islam è una religione di tolleranza» racconta.
Ma ovviamente questa visione non è quella dei fondamentalisti. Anzi, gli antichi esempi di disquisizioni intellettuali e analisi del mondo sono proprio ciò che i jihadisti puntano a distruggere. Abdel sa che presto o tardi, i libri saranno in pericolo. Per un po’ fa finta di niente. Cammina per le strade senza guardare negli occhi nessuno e apre la biblioteca come se tutto fosse normale. Ma sa che deve fare qualcosa.
Qualche giorno più tardi, incontra i colleghi all’associazione delle biblioteche, da lui stesso fondata 15 anni prima. «Penso che sia necessario portar via i manoscritti da dove sono – dice loro – e disperderli nelle case qui in città. Non vogliamo che trovino le collezioni e le rubino o le distruggano».
Mesi prima, l’ufficio della Fondazione Ford a Lagos, in Nigeria, gli ha concesso una borsa di studio di 12.000 dollari per studiare inglese a Oxford. I soldi sono stati tenuti da parte in un libretto di risparmio. Abdel scrive alla fondazione e chiede l’autorizzazione per ricollocare i fondi: vuole usarli per proteggere i manoscritti. I soldi arrivano in tre giorni.
Abdel recluta suo nipote e a seguire i bibliotecari, gli archivisti, le segretarie, le guide turistiche di Timbuctù oltre a mezza dozzina di parenti. Il risultato è un colpo degno di “Ocean’s Eleven”.
Comprano casse di metallo o di legno al ritmo di 50 e persino di 80 al giorno, finché nessuno nei dintorni ne ha più. Ma non bastano. Allora incominciano a comprare barili di olio vuoti e li portano da un artigiano in una città vicina perché li batta col martello fino a trasformarli in casse, e identificano le case sicure dove nasconderle, in città o nelle periferie. Organizzano un piccolo esercito di imballatori che lavorano silenziosamente nel buio e organizzano i trasporti a dorso d’asino fino ai nascondigli.
Nel corso di otto mesi, quando neanche le case della città sembrano più sicure, le operazioni finiscono per coinvolgere centinaia di imballatori e corrieri. Contrabbandano i manoscritti fuori da Timbuctù, lungo le strade e i fiumi, oltre i checkpoint dei jihadisti e – dove ancora il governo è al potere – le sospettose truppe del Mali.
Quando i militari francesi arrivano, a gennaio 2013, la maggior parte del tesoro culturale è salvo: i libri andati distrutti nei roghi dei fondamentalisti sono 4000 sui 350.000 originari. «Se non lo avessimo fatto – racconta Abdel – sono sicuro che molti altri sarebbero andati in fumo».
Abdel è particolarmente orgoglioso di aver salvato un manoscritto: un volume che sembra pronto a sbriciolarsi, nel quale si racconta della risoluzione di un conflitto tra i regni di Borno e Sokoto, in quella che è l’attuale Nigeria. E’ l’opera di un intellettuale e sacro guerriero Sufi che governò brevemente Timbuctù nel XIX secolo. Quest’uomo, sostiene Abdel, era un jihadista nel senso originale e migliore della parola: un uomo che conduce una guerra dentro di sé contro le idee malvage, i desideri e la rabbia e li soggioga alla ragione e all’obbedienza ai comandamenti di Dio. «Una bella lezione – commenta Abdel – per chi invece semina il terrore».
Faustina Minore, virtuosa sposa di Marco Aurelio o dissoluta adultera?
Faustina Minore visse a Lorium attuale Castel di Guido-La storia antica, scritta dagli uomini, narra le imprese compiute dagli uomini, le donne appaiono solo in relazione ai loro padri,mariti, o figli. Raramente conosciamo i loro pensieri, la verità sulla loro vita coniugale, le loro gioie o infelicità. Spesso sono state riferite verità di comodo sul loro conto. Perciò ricostruire la biografia di personaggi femminili dell’antichità romana comporta numerose difficoltà perché la loro vita è passata attraverso il filtro di chi scrive e quello degli stereotipi che la società del tempo ha voluto trasmettere. Di una donna della Roma antica il più delle volte si è preferitoricordare la sua dedizione alla casa e alla cura dei figli, dunquerelegarla nel ruolo domestico e riproduttivo. Ma rappresentare un modello ideale di femminilità, incentrato sulla maternità e sulla subalternità, era da tempo diventato inattuale nella società romana, soprattuttonell’età imperiale perchéle donne erano colte, intraprendenti, potevano disporre del proprio patrimonio avuto indote, accumulare notevoli ricchezze e avere pertanto un ruolo di primo piano nella vita economica e politica.
I giudizi sulle donne potenti, emancipate, come le Auguste del II secolo d. C.,furono spesso malevolie hanno lasciato ai posteriuna fama tutt’altro che positiva, ma furono espressi non tanto per amore di verità, quanto per una misoginia di cui era affetta la società romana. Tali giudizi negativi sono tuttavia contrapposti alla diffusione ufficiale di immagini, monete, sculture che rappresentano anche le donne di poterenei loro ruoli di madri amorevoli o spose virtuose. Dobbiamo tenere presente tutto ciòquando consideriamo anche quanto è stato tramandato sulla figura di Faustina Minore, figlia di Antonino Pio e Faustina Maggiore.
“Dolce, amorevole, semplice”. Con queste parole l’imperatore Marco Aurelioha descritto nei suoi “Pensieri”(riflessioni in lingua greca, pubblicate anche con altri titoli:“Colloqui con sé stesso”, o “Meditazioni”, o “Ricordi”, o “A sé stesso”)la sua sposa Faustina Minore (che chiameremo in seguito semplicementeFaustina), adoperando nel descriverla i tradizionali stereotipi del modello ideale femminile, come si voleva che fosse la matrona ideale. Il loro matrimonio avrebbe garantito la continuità della dinastia, perchéla fanciulla rappresentava il passaggiodel potere dal padre Antonino Pio al marito Marco Aurelio.Nella biografia dell’imperatore scritta daGiulio Capitolino, uno degli autori della “Storia Augusta” è Marco Aurelio stesso ad affermare che la fanciulla gli “aveva portato in dotel’Impero”.
Il matrimonio fu celebrato con grande sfarzo, Antonino Pio distribuì ai soldati il consueto donativo che serviva a ottenere il consenso e la benevolenza degli eserciti. Per solennizzare ulteriormente l’avvenimento furono emesse monete in oro, argento e bronzo.
Faustina fu eccezionalmente prolifica, diede alla luce tredici figli dei quali molti morirono in tenera età. Cinque femmine raggiunsero l’età adulta, dei maschi sopravvisse soltanto Commodo, il futuro imperatore (il suo gemello era morto all’età di quattro anni). In occasione della nascita della primogenita, aFaustina fur iconosciuto il titolo di“Augusta”, che da un punto di vista giuridico non prefigurava un ruolo politico definito, ma sotto il profilo sociale era un onore di grande prestigio. La sua fecondità, di buon auspicio per la discendenza, era lodata e ammirata.
Secondo alcuni storici moderni, il matrimonio non poté certo definirsi felice, fu piuttosto un’unione di convenienza.Faustina era promessa a Lucio Vero, fratello adottivo di Marco Aurelio (Antonino li aveva adottati entrambi designandoli suoi successori). Anche Marco Aurelio aveva rotto il suo precedente fidanzamento per obbedire al volere di Antonino e poter diventare suo successore, come avvennenel 161. Egli divise il potere imperiale, come stabilito dal padre, con il fratello adottivo Lucio Vero di cui si tramanda fosse “assai meno virtuoso di lui”. Durante la guerra contro i Parti si abbandonò a una vita di divertimenti mentre i suoi luogotenenti si occupavano dell’impresa militare. Marco Aurelio tollerava le leggerezze del fratello, ma quando agli inizi del 169 Lucio Vero morì,egli poté governare più saggiamente senza dover nascondere i difetti delfratello. Sebbene amasse la pace fu costretto a sostenere molte guerre: contro i Parti, contro i Quadi e i Marcomanni, popolazioni germaniche che abitavano a nord del Danubio.
Faustina lo seguì in due spedizionie per aver accompagnato il marito in campagne di guerra, ricevette il titolo di “mater castrorum”,ossia “madre degli accampamenti militari”, con il quale compare su iscrizioni e monete, titolo che rappresentava un ruolo pubblico accanto all’imperatore, anche se Marco Aurelio, secondo il racconto del biografo della “Storia Augusta”,continuava a lodare le sue qualità domestiche, ringraziando gli Dei per avergli concessa una moglie così fedele, così amabile, e di una lodevole semplicità di costumi.Il ruolo di materna protettrice dei luoghi militari, e quindi dei soldati, era importante per rafforzare la loro lealtà nella protezione delle frontiere dell’Impero. Tuttavia,gli scrittori della “Storia Augusta”,con malevole voci la accusarono discarsa fedeltà coniugale, e in seguitoanche altri si mostrarono concordi nel tramandare la sua condotta libertina.
Edward Gibbon, storico inglese del XVIII secolo, ad esempio,nel suo famoso testo “Storia e decadenza dell’impero romano”, dà credito a tali maldicenze o verità manipolate e scrive:
“Faustina non è meno famosa per le sue disonestà che per la sua bellezza. La grave semplicità di quel Principe filosofo non era capace di fermare la licenziosa incostanza di lei, o di frenare quella sfrenata passione che le faceva spesso trovare un merito personale nel più vile degli uomini. Marco Aurelio pareva o insensibile ai disordini di Faustina, o il solo in tutto l’Impero che l’ignorasse. Ciò gli procurò disonore. Egli promosse molti degli amanti di lei a cariche onorevoli e lucrose, ma per trent’anni continui le diede prove invariabili della più tenera confidenza e di un rispetto che non terminò se non con la di lei vita.”
Faustina fuanche accusata di avere avuto una relazione con un gladiatore, da cui sarebbe nato Commodo. Gli scrittori della “Storia Augusta” raccontano che a Gaeta, residenza imperiale di villeggiatura, Faustina gradisse particolarmente la compagnia di marinai e gladiatori. Sempre secondo le stesse fonti, questa nascita illegittima avrebbe spiegato la totale depravazione di Commodo (il figlio che successe a Marco Aurelio), e la sua attrazione maniacale per gli spettacoli gladiatori durante il suo principato, al punto di scendere nell’arena e di combattere lui stesso.
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Altra notizia contraria alla buona fama di Faustina è riportata sia da Cassio Dione siadalla “Storia Augusta”: Faustina era coinvolta nell’usurpazione del 175 di Avidio Cassio. Quest’ultimo era un valido comandante militare di origine siriana, che aveva combattuto contro i Parti. Poiché Marco Aurelio era gravemente malato, Faustina avrebbe indotto segretamente Avidio Cassio a prepararsi per l’usurpazione in modo che, se fosse successo qualcosa al marito, il comandante avrebbe potuto sposarla e ottenere insieme a leiil potere. Diffusasi la falsa notizia della morte di Marco, Avidio Cassio si era proclamato imperatore. Quando si scoprì che l’imperatore era in vita, Avidio Cassio fu ucciso dai suoi soldati. Marco Aurelio si era rifiutato di leggere i documenti che avrebbero potuto comprovare la colpevolezza della moglie.A chi lo esortava a ripudiare la moglie, se proprio non voleva farla eliminare, egli ricordava che in tal caso avrebbe dovuto restituire la dote, cioè l’impero che gli era stato trasmesso dal matrimonio con la figlia di Antonino.
Cassio Dione riporta la notizia che Faustina poteva essere morta anche a causa del suo coinvolgimento nell’usurpazione del 175 d.C. e che si fosse suicidata.
Altre fonti, molto più tarde, ad esempio Giovanni Antiocheno (uno storico bizantino, cronista del VII secolo)confermano la versione che Avidio Cassio era stato istigato proprio dalla moglie di Marco Aurelio. La notizia di questo ruolo attivo di Faustina nell’usurpazione di Avidio Cassio,ripetuta più volte dagli scrittori antichiè oggi considerata frutto della volontà di metterla in cattiva luce. La complicità di Faustina nella rivolta di Avidio Cassio per alcuni studiosi moderninon merita alcuna credibilità, secondo altri, invece, Faustina aveva in mente un disegno politico ben preciso nel caso della morte del marito, mantenere il proprio potere fino a quando il figlio Commodonon fosse in grado di succedere al padre.
Ma le dicerie per denigrare Faustina non finiscono qui. Marco Aurelio aveva fatto sposare Lucilla, una delle figlie avute da Faustina,con Lucio Vero (suo fratello d’adozione, che era stato promesso sposo di Faustina, prima del suo fidanzamento con Marco Aurelio). Si vociferò allora che Faustina avesse commesso adulterio con il genero e che lo avesse poi avvelenato per vendicarsi di lui che aveva rivelato la loro relazione alla moglie Lucilla.
Tutte queste voci furono smentite dall’atteggiamento di Marco Aurelio.Nel 176, all’età di 56 anni,Faustina morì per malattia in Asia Minore, precisamente ad Halala, ai piedi della catena del Monte Tauro, che sarà ribattezzata Faustinopoli in suo onore. Marco Aurelio fu molto provato dalla sua morte.Il Senato la dichiarò Dea, la sua immagine fu rappresentata nei templi a lei dedicati con gli attributi di Giunone, di Venere e di Cerere, e fu decretato che i giovani sposi andassero nel giorno nuziale a porgere voti dinanzi all’altare della “diva Faustina”, protettrice delle nozze che si auspicavano prolifiche come quelle di lei.
Anche nelle lettere scambiate tra Frontone, scrittore e oratore, e Marco Aurelio, Faustina appareessere stata una buona madre, premurosa e attenta alla salute dei figli e una buona e virtuosa moglie di un imperatore filosofo.
Il ritratto malevolo di Faustina lasciato ai posteri è viziato sicuramente dalla propaganda negativa di chi voleva infangarla. Trenta anni di matrimonio accanto a un uomo di grande cultura e umanità, Marco Aurelio, tredici figli, due campagne al seguito del marito nella seconda delle quali morì, non sono elementi sufficienti per assolverla da tante accuse?Il figlio dato da Faustina a Marco Aurelio, Commodo, manifestò un carattere decisamentenegativo e tra i suoi eccessi si segnalò la passione per i giochi gladiatorii. Pernon far ricadere su Marco Aurelio il disonoredi aver generato un principe degenere,i misogini accusarono di adulterio Faustina attribuendole un amante gladiatore. L’imperatore era riabilitato a scapito del fango gettato sulla moglie. Anche la comprensione nei confronti delle malefatte della donna apportarono a lui un aura di superiore saggezza, e lo resero un modello di clemenza.
“Le accuse di dissolutezza appaiono assurde fino al ridicolo e all’irriverenza dinanzi alla romana fecondità di questa imperatrice che sembra in ciò rinnovare le matrone degli antichi templi.” Così la difende animosamente Ettore Paratore, illustre studioso della latinità, che per sottolineare le sue virtù di madre e di sposa ricorda un medaglione in cui l’Augusta Faustina è rappresentata con due suoi figlioli e un terzo sulle ginocchia. Posta sul retro è incisa questa didascalia “FecunditasAugustae” alludendo alla prolificità dell’Augusta Faustina nel cui volto Paratore vede “l’ultimo sorriso di quell’armonica esemplare civiltà romana che culturalmente trionfava sia in Marco Aurelio, sia in lei.”Nota: molti sono i ritratti di Faustina, nelle varie età della vita, quello qui riprodotto è di Faustina giovane, e si può ammirare nei Musei Capitolini
Campagna Romana. FIUMICINO-Torre in Pietra-Torre di Pagliaccetto Disegno copiato dal catasto Alessandrino del secolo XVII. Foto (2015) della Torre di Pagiaccetto.
ROMA -Municipio XIII-CASTEL di GUIDO -Prima della Storia, il Paleolitico –
Associazione Cornelia Antiqua
Riassunto –In questa Ottava Campagna di scavo sono stati scoperchiati 70 mq della superficie frequentata dall’Uomo durante il Paleolitico inferiore ed i risultati conseguiti sostanzialmente non modificano quanto era stato notato in precedenza.-(Atti Soc. Tosc. Sci.Nat.,Mem.,Seria A,95 (1988)-
Abstract – The eight excavation at the Palaeolithic site 01 Castel di Guido. This excavation brought to light 70 p/m of an area which was frequented by human beings during the Lower Palaeolithic. The results of such an excavation do not alter what was previously pointed aut.
Nel mese di settembre del 1988 ha avuto luogo l’ottava campagna di scavo nella stazione del paleolitico inferiore sita a Castel di Guido, a circa venti km da Roma sulla Via Aurelia. Hanno preso parte a questa campagna di scavo il tecnico del Dipartimento di Scienze Archeologiche Ivano Bigini, una decina di studenti dell’Università di Pisa e di Roma, alcuni membri dell’Archeo-Club pisano e il geologo Dott. Giovanni Boschian di Trieste.
Si è proceduto con gli operai ad asportare, su un’area di 70 mq, il deposito a tufite in direzione della presumibile testata della vallecola, tufite che copriva per circa un metro di spessore la superficie di calpestio dell’uomo del paleolitico inferiore. Questa tufite, nella campagna precedente non era stata asportata con i mezzi meccanici perché conteneva parte di almeno due carcasse di elefante antico, i cui resti erano disposti caoticamente, generalmente in posi-zione inclinata ; si rinvennero pure alcune zanne che con un’estremità arrivavano a contatto con la formazione a sabbia che costituisce, come noto, il piano di calpestio dei cacciatori del paleolitico inferiore.Lungo la zona situata alla base della parete est del deposito era- no presenti numerosi grossi clasti di tufo a scorie nere, alcuni giacenti direttamente sulla sabbia, al di sopra di uno stradello di tufite e infine alcuni sovrapposti. Questo fatto lascia adito all’ipotesi che l’alto morfologico naturale non debba distare molto dalla superficie di scavo ed inoltre dopo la formazione della valle per sgretolamento in diversi momenti del tufo, si sia avuta la deposizione di detti clasti sino alla copertura del deposito con la tufite la quale avrebbe trascinato gli ultimi frammenti di tufo che troviamo sovrapposti. In questa parte dello scavo vi sono scarsi i reperti lasciati dall’uomo che, pur giacendo direttamente sopra la sabbia, erano contenuti in una formazione di circa cinque cm di spessore, costituita da sabbie più o meno “ferrettizzate” e da minuti clasti lacustri, condizione di giacitura questa, per la quale si potrebbero anche avanzare alcune ipotesi. Allo stato attuale della ricerca preferisco, però, attendere lo scoperchiamento completo dell’alto sul lato est, che certamente porterà dati utili per l’interpretazione di questa situazione caotica rispetto alla regolare sedimentazione che si nota nella parte centrale e comunque distante dai due alti morfo- logici che delimitano ad est e ad ovest la vallecola. La superficie a sabbia presenta una lieve inclinazione, che era già stata notata nella campagna precedente (MALLEGNI et alii, 1986), da sud verso nord- est dove si nota una faglia inversa che ha determinato uno scalino di circa venti cm nella formazione a sabbia.
I dati emersi da questa ottava campagna di scavo nulla aggiungono, di nuovo, a quanto era stato rilevato con gli scavi del 1985 in merito al meccanismo di deposizione dei resti lasciati dall’uomo e precisamente «l’aspetto del giacimento quale noi lo conosciamo è in realtà l’assetto finale risultato di una dinamica evolutiva dipendente da un processo erosivo differenziale continuato; questo ha mantenuto esiguo lo spessore del giacimento asportando i materiali più sottili, sabbiosi, distruggendone altri, e provocando magari a più riprese il disseppellimento degli oggetti più grossolani. Questo processo avrebbe avuto come risultato una sorta di «compressione» dello spessore del giacimento: oggetti cronologicamente differenti, anche se culturalmente omogenei, verrebbero oggi a trovarsi affiancati; si potrebbe così spiegare la grande variabilità nell’aspetto superficiale»(PITTI et alii, 1986). Infatti, come già si è detto nelle precedenti Comunicazioni, (LONGO et alii, 1981; FORNACIARI et alii, 1982; PITTI et ahi, 1983, 1984, 1986; RADMILLI, 1985), spesso si rinvengono nei frammenti ossei e negli strumenti ricavati da osso caratteri superficiali completamente diversi che vanno da una patina molto fresca ad una patina che denota un alto grado di alterazione chimica. È verisimile, però, che l’alterazione chimica sia soprattutto dovuta al “percolato”, nel tempo, delle acque che attraversarono la tufite che ricoprì la superficie frequentata dall’uomo, anziché al fattore tempo, perché anche se non siamo in grado di valutare quanto a lungo la valle sia stata un luogo, seppure stagionale, di sosta dei cacciatori paleolitici è, altresì ,probabile che questo sito non sia stato frequentato per millenni.
Le caratteristiche fisiche superficiali degli oggetti avevano fatto dubitare, inizialmente, della loro posizione in sito, quindi, si è avuto il modo di accertare, data la vasta area finora scavata, che i reperti, siano essi manufatti o frammenti ossei, sono depositati direttamente sulla formazione a sabbia, cioè sulla superficie di calpestio dei cacciatori del paleolitico inferiore, che hanno una posizione orizzontale, in alcuni casi le ossa sono in connessione anatomica. Inoltre è molto significativo il fatto che ,spesso, gli strumenti ed i ciottoli calcarei sono stati rinvenuti in un’area ristretta. L’assenza degli scarti di lavorazione viene a documentare, come già si è detto (RADMILLI, 1985),che siamo in presenza di una stazione usata dai cacciatori paleolitici come luogo per la macellazione degli animali e ciò, fra l’altro, si rileva da alcune ossa che presentano i caratteristici segni dovuti alla macellazione, oltre al fatto che, per la posizione che occupavano nell’animale vivente, le ossa finora rinvenute vengono a documentare una selezione, ad opera dell’uomo, di parti dell’animale abbattuto che, staccate dal corpo, venivano portate nell’«accampamento».
Questa situazione, si capisce, non esclude la possibilità che alcune delle ossa provengano dalla tufite soprastante che aveva trascinato quanto rinveniva nel suo movimento, ivi compresi i resti ossei ed i manufatti, culturalmente omogenei a quelli della nostra stazione, che erano presenti sulla superficie soprastante la nostra valle. Infatti, anche se con una percentuale minima (2%) (controllabile perché su di ogni reperto è stato posto un segno distintivo della sua giacitura) la posizione verticale o inclinata, la giacitura seppure su un sottile velo di tufite di alcune ossa e manufatti, la posizione di alcune zanne di elefante che furono trovate al di sopra di alcune ossa più piccole direttamente a contatto con la sabbia, sono tutte prove della provenienza di alcuni oggetti dalla tufite.
Ma da questa situazione al dire, com’è stato detto agli studenti da un mio amico geologo “Quaternarista”, che la tufite è paragonabile alla pasta di una torta nella quale i pinoli vanno sempre a fondo (non i pinoli, in realtà, ma l’uvetta) e pertanto non si tratta di una giacitura primaria dei reperti poggianti sulla formazione a sabbia, bensì della loro provenienza dalla tufite è se non altro azzardato, perché il nostro geologo «ghiottone» visitò lo scavo quando i reperti erano stati asportati e pertanto non ha avuto il modo di accertare le condizioni della loro giacitura, ché ,altrimenti, avrebbe certamente emesso un altro giudizio, non lasciando, così, nell’incertezza alcuni studenti e purtroppo anche alcuni dei miei collaboratori.
Lo scavo ha restituito cinquecento settantuno reperti tra frammenti ossei e manufatti e questi ultimi costituiscono il 10% sul totale degli oggetti rinvenuti. Le ossa appartengono in prevalenza ad un elefante antico, quindi, al bove primigenio, al cavallo ed a rari cervi, cioè a specie la cui presenza, con le stesse percentuali, era stata notata già nelle precedenti campagne di scavo. I reperti provenienti dalla tufite sono rappresentati, per la loro caratteristica deposizione, da due zanne di elefante, da un frammento di cranio e una mandibola ,sempre di elefante, da due frammenti ossei di Bos e da tre manufatti. Tutti gli altri oggetti sono in sito.
Nella categoria degli strumenti sono presenti manufatti su calcare selcioso, su selce, questi ultimi generalmente di piccole e piccolissime dimensioni quali un bifacciale di selce il cui asse maggiore è di 4,4 cm, e su osso. Per la lavorazione degli strumenti su osso venivano usati “scheggioni” staccati da ossa lunghe di elefante ed in due bifacciali il tallone laterale presenta le tipiche caratteristiche della tecnica del distacco di tipo clactoniano. Quest’anno sono stati rinvenuti cinque bifacciali, di cui quattro con patina fresca, ed il quinto con superficie alterata per azione chimica. Mentre nei bifacciali su osso, che erano stati rinvenuti nelle precedenti campagne di scavo, era sempre presente il tallone conservato, quest’anno, invece, due esemplari presentano il tallone asportato mediante distacco di schegge ed in tutte e cinque gli esemplari la lavorazione conferisce loro un profilo lievemente sinuoso (Fig. 3). Abbiamo così ancora una volta la prova che per avere una conoscenza quanto più vicina alla realtà sulle caratteristiche della tipologia e della tecnologia dei manufatti necessita scavare su un’area quanto più vasta possibile. I bifacciali finora rinvenuti a Castel di Guido, sia quelli su osso, che quelli su calcare selcioso rientrerebbero, per la tecnica di lavorazione, nell’acheuleano medio ma oggi noi sappiamo, soprattutto dopo lo studio dell’industria acheuleana di Torre in Pietra come per la distinzione in acheuleano antico, medio e superiore o evoluto non siano sufficienti le sole caratteristiche tecnologiche e tipologiche, perché proprio a Torre in Pietra sono stati trovati associati bifacciali che per la loro tecnica di lavorazione apparterrebbero sia all’acheuleano medio che a quello superiore.
Fra gli strumenti ossei sono presenti alcuni che hanno un ritocco molto scadente lungo uno dei margini e alcuni esemplari confermano il distacco delle schegge dalla diafisi mediante la tecnica clactoniana. Nell’industria litica, oltre ai consueti ciottoli non lavo- rati, alcuni di siltite, e quindi in cattivo stato di conservazione, sono stati trovati una ventina di strumenti ricavati da piccoli ciottoli, per la cui definizione tipologica mi sembra necessario sia opportuno ultimare lo scavo e avere così una visione completa di questa «micro industria» che sappiamo accompagnare i “macro strumenti” in alcune industrie del paleolitico inferiore. Sono stati, inoltre, rinvenuti alcuni ciottoli rotti a metà lungo l’asse minore, un chopper, un chop – ping tool, quattro ciottoli con ritocco lungo un margine ed un bifacciale su calcare selcioso. Un altro esemplare proviene dalla tufite soprastante . Anche quest’anno, come nelle campagne precedenti, alcuni brevi tratti della superficie di calpestio erano privi di reperti ed il significato di questa assenza probabilmente si potrà conoscere a scavo e studio ultimati.
BIBLIOGRAFIA
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PITTI C., RAOMILLI A.M. (1986) – Sesta campagna di scavo nella stazione del Paleolitico inferiore a Castel di Guido presso Roma. Atti Soc. Tosc. SCo Nat., Mem., Ser. A, 92, 339-350.
MALLEGNI F., RAOMILLI A.M. (1987) – Settima campagna di scavo nella stazione del Paleolitico inferiore a Castel di Guido presso Roma. Atti Soc. Tosc. SCoNat., Mem., Ser. A, 93, 235-251.
MALLEGNI F., RAOMILLI A.M. (1988) – Human temporal bone from the lower Palaeolithic site of Castel di Guido, near Rome, Italy. Am. lourn. Phys. Anthrop., 76, 175-) 82.
(ms. preso il 15 dicembre 1988; ult. bozze il 31 dicembre 1988)
Ricerca in Biblioteca di Franco Leggeri per l’Associazione Cornelia Antiqua
Grande mostra che il Parco archeologico del Colosseo dedica alla figura di Giacomo Boni (Venezia, 1859 – Roma, 1925).
Roma-Aperta dal 15 dicembre 2021 al 30 aprile 2022 “Giacomo Boni. L’alba della modernità” è curata da Alfonsina Russo, Roberta Alteri, Andrea Paribeni con Patrizia Fortini, Alessio De Cristofaro e Anna De Santis, con l’organizzazione e la promozione di Electa.
La vita e la personalità dell’archeologo e architetto viene raccontata attraverso quattro sezioni, nei luoghi dove ha principalmente operato e di cui ha definito l’attuale fisionomia: il Foro Romano e il Palatino
Informazioni
Luogo: COLOSSEO
Indirizzo: Piazza Del Colosseo – Roma – Lazio
Quando: dal 15/12/2021 – al 30/04/2022
Vernissage: 15/12/2021
Autori: Giacomo Boni
Curatori: Alfonsina Russo, Roberta Alteri, Andrea Paribeni
In provincia di Rieti emerge dalla terra santuario di un’antica dea. Articolo di Maurizio Zuccari
Individuato a Montenero, presso Rieti, , dea sabina. I primi reperti sono esposti nella locale chiesa di San Cataldo, mentre prosegue la campagna di scavi da parte dell’università di Lione.
Erano secoli che la tampinavano. Millenni. Prima i romani che soppressero il popolo che la venerava, i sabini. Poi monaci e sant’uomini su e giù per oscure forre, a distruggere ogni vestigia d’antichi dei, edificando sulle rovine di templi e sacelli chiese e cappelle. E gli eruditi umanisti, quando le nebbie del Medioevo cominciarono a schiudersi su altre ere, e i filosofi dei secoli nuovi. Infine, soprintendenze e archeologi. E, sempre, cacciatori di pietre e tombaroli d’ogni epoca. Lei niente, resisteva a ogni assalto, svanita nel nulla come il nome che l’evocava. Vacùna. Dal Vacuum, il vuoto delle selve primigenie dove l’umano smarriva percezione di sé, affidandosi al divino femminino che evocava a un canto l’ozio ristoratore nella transumanza dei greggi e l’assenza della persona amata, il sostentamento fisico e morale. Punto di passo tra le dee madri preistoriche e le teogonie arcaiche, unica deità femminile al vertice di un pantheon protostorico. Suprema oggettivizzazione d’un popolo di pastori nomadi che dalle piane alluvionali tra il Tigri e l’Eufrate si mossero, a piedi, a ondate, fino alle catene appenniniche dell’Italia centrale, agli albori dell’età del ferro. Per dare vita a una comune koiné cetroitalica, impasto di lingua, cultura e strutture sociali che avrebbe permeato di sé le popolazioni di stirpe sabellica, dai piceni ai sanniti. E fondato quella Roma che, alla fine, tutti avrebbe ingoiato, padri e fratelli. Lei no. Troppo complessa era la dea, troppo distante dalla mentalità dei conquistatori e dalla rozzezza dei mores romani per poterla comprendere appieno, o anche solo assimilare. Si preferì dare a essa nomi nuovi, incerti attributi. Vesta, Bellona, Vittoria. Vacuna rimase sempre un mistero, per tutti.
GLI SCAVI ARCHEOLOGICI A MONTENERO
Ora quel mistero è riemerso dalla polvere dei millenni. A Montenero, a mezza via tra Roma e Rieti, su un pianoro sotto al quale scorre il Farfa, al crocevia d’uno di quei tratturi che dalla Sabina amiternina, interna, conducevano a quella tiberina. Qui s’è trovato il primo dei suoi templi, dei tanti santuari d’altura che punteggiavano la sua terra. Un pool di archeologi di Lione, coordinati da Aldo Borlenghi e Matthieu Poux, seguendo una dritta dell’archeologo locale Federico Giletti, scavano e setacciano pietrami per una campagna che, avviata nel 2019 e complicata dalla pandemia, durerà un paio d’anni e sta dando i suoi primi frutti. Grazie anche alla fattiva collaborazione della giunta comunale guidata dalla giovanissima Lavinia De Cola. Scordatevi colonnati e statuaria, quel che c’è e si vede nei 200 metri quadri dell’area di scavo son tre muracci a secco, brani di pavimentazione in cocciopesto e tesserine marmoree, terrecotte di copertura franate, fosse sepolcrali e favisse dove si sono conservati gli ex voto.
IL SANTUARIO DELLA DEA VACUNA
Quel che s’è trovato è esposto nel giardino della parrocchiale di San Cataldo, spazzolato e lavato dai ragazzi dell’università Lumière di Lyon. Un utero miniaturizzato. Un volto di coccio. Pissidi e brocchette. E basi, carbonizzate, dei bracieri dove ardevano i fuochi vacunali nelle cerimonie autunnali in onore della dea, a base di frutta di stagione e vino novello. “Aspettiamo di trovare qualche iscrizione per avere la certezza che si tratti del santuario di Vacuna. Ora siamo al 99%”, dicono i ricercatori. Per ora, la certezza è un cippo rotolato giù dal pianoro, trovato negli Anni Cinquanta, con una dedica alla dea. Roba romana, come tutto il resto ritrovato finora, risalente al terzo secolo avanti Cristo. Al tempo dell’ultima guerra sannitica, o meglio italica, e della definitiva occupazione della Sabina. E si continua a scavare, tra reperti e sepolture dell’Anno Mille. Segno d’una frequentazione, e della sacralità del luogo, ben oltre il tempo della conquista.
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