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Archeologia
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Roma-Apertura Straordinaria dei Sotterranei di Fontana di Trevi -Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
Roma-Apertura Straordinaria dei Sotterranei di Fontana di Trevi
Roma-sabato 19 ottobre ore 13.10 “Sotterranei di Fontana di Trevi: Antica Città dell’Acqua del Vicus Caprarius. Apertura Straordinaria” Hotel Trevi, Vicolo del Babuccio 20/21.
In occasione dell’Apertura Straordinaria – luoghi solitamente chiusi al pubblico e visibili eccezionalmente Solo per le nostre visite- visiteremo tre piani di un quartiere ormai nascosto, posto sul lato orientale di Via del Corso: i Sotterranei di Fontana di Trevi. Entreremo in ambienti risalenti al I sec. d.C., osserveremo le tecniche edilizie e i materiali utilizzati, capiremo l’importanza dell’area archeologica in questione. Narrerò le diverse funzioni che il luogo ha avuto nei secoli, la trasformazione da botteghe e complesso abitativo intensivo – a lussuosa domus di cui si conservano i n situ reperti di rivestim enti marmorei parietali e un pavimento musivo in tessere di marmi policromi. Cammineremo sul suolo di ambienti adiacenti al Vicus Caprarius e comprenderemo la vicinanza dell’Acquedotto Vergine. Sosteremo infine nel piano rialzato risalente all’età Medioevale ed ammireremo la struttura dall’alto. Capiremo meglio la storia della magnifica Fontana di Trevi e la stratificazione dei secoli… un percorso unico!
Costo: Euro 18 (ingresso, prenotazione, visita guidata e cuffie)
Riduzioni: Euro 17 – studenti 18/25 anni, insegnanti
Euro 15- ragazzi 14/18 anni
Euro 14- ragazzi under 14 anni, studenti universitari di Archeologia
Appuntamento davanti l’ingresso Hotel Trevi, vicolo del Babuccio 20/21
Prenotazione Obbligatoria entro Venerdi 18 ottobre
Termineremo la visita guidata alle ore 14.30 circa
Non è possibile partecipare alla visita se il cliente manifesta i sintomi del Covid 19 o stato febbrile.
E’ richiesto sempre il pagamento anticipato per evitare contatti personali.
E’ gradita la prenotazione almeno il giorno prima della data scelta.
La prenotazione è sempre obbligatoria e avviene SOLO tramite richiesta scritta a info@chiaraproietti.it o Whatsapp al 335 67 47 268 ( più diretto) o SMS indicando il nome e cognome del/i prenotati, il numero dei partecipanti e il recapito telefonico, la mail ed eventuali riduzioni.
Vi consiglio questa pratica, siamo al lavoro e non sempre riusciamo a rispondere in tempo reale alle chiamate dirette.
Poichè i gruppi sono SEMPRE limitati, non è consigliabile presentarsi sul luogo della visita senza aver ricevuto da parte nostra la conferma di partecipazione.
I biglietti NON sono rimborsabili ma cedibili a terzi.
Vi consiglio di portare i Vs auricolari monouso: dal 2023 per evitare un eccessivo consumo di plastica, saranno a pagamento.
Nota bene: Prima di iniziare la visita guidata – se ancora non ho il piacere di conoscerVi direttamente- Vi prego di assicurarVi che a guidare il gruppo sia Chiara Proietti e chiedete sempre di Visite Guidate di Chiara
Al momento la Legge che disciplina i Beni Culturali vieta l’ingresso in tutti i musei, monumenti e aree archeologiche comunali e nazionali ad animali di qualsiasi taglia. Sono ammessi Solo i cani guida per i non vedenti.
In caso di disdetta, Vi prego di avvertire almeno 24 ore prima dall’appuntamento, altrimenti sarò costretta a far pagare il costo per intero.
Vi Ringrazio e Vi Aspetto!
Chiara – Whatsapp 335 6747268 (orario 10-18)
Gruppo Facebbok: Visite Guidate di Chiara (NON la pagina)
Instagram: chiaraproiettiarte
Dove e quando
- Visite guidate
- Il 19/10/2024 Inizia a breve
- A PAGAMENTO PER FAMIGLIE DI GIORNO
- Vicus Caprarius – la Città dell’Acqua
- Vicolo del Puttarello, 25 – Roma
- Centro
ANTRODOCO (Rieti)-Chiesa Santa Maria Extra Moenia-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA-
ANTRODOCO (Rieti)-Chiesa Santa Maria Extra Moenia
Via Cotilia – 02013 Antrodoco (RI)
Descrizione-Antrodoco-Autentico tesoro d’arte medievale (è monumento nazionale) appena fuori l’abitato. La si vuole edificata sulla vestigia di un tempio pagano dedicato a Diana (sec.V^) vicino ad un cimitero cristiano. Gli indizi di costruzione romana sono totalmente scomparsi sotto i lavori di ripristino susseguitisi nelle varie epoche; restaurata nel IX e X sec., fu poi ampliata nel XI e XII sec. La chiesa è nominata dal Papa Anastasio IV in una bolla del 1154 e la sua consacrazione, avvenuta sotto il Vescovo di Rieti Gerardo nel novembre 1051, fu sanzionata dallo stesso Federico I nel dicembre 1178. L ’interno è a tre navate; nella parte superiore dell’abside è affrescata un’immagine del “Redentore benedicente”. La facciata è a capanna con tetto irregolare e rivestimento con pietre grezze, sul portale notevole l’arco semicircolare sorretto da un architrave ornato di foglie e di animali stilizzati; ai lati le due colonne con capitelli a fogliame risultano addentrate rispetto alle colonne e ai semipilastri che sorreggono l’arco stesso. Nella torre campanaria, a sinistra della facciata, ben visibile l’alternarsi di monofore, bifore e trifore la cui varietà del materiale presente, conferma chiaramente i vari interventi di restauro. La pittura meglio conservata è lo Lo Sposalizio di S. Caterina d’Alessandria, databile alla prima metà del XV sec.. Rilevante dal punto di vista architettonico, a destra della Chiesa, il Battistero di S.Giovanni a pianta esagonale; nella sua collocazione non ha raffronti nella zona configurandosi come caratteristica tipica delle Regioni del Nord Italia. L’interno presenta un interesse notevolissimo per gli affreschi sulle pareti stilisticamente appartenenti a pittori umbro- laziali-abruzzesi del tardo trecento che danno luogo a dei cicli: Storie di Giovanni Battista, Fuga in Egitto e Strage degli Innocenti . Notevole appare il Giudizio Universale sopra la porta del Battistero. Pregevoli gli affreschi della Pietà e la figura del Precursore. Da poco sono stati completati i lavori di restauro sugli affreschi della chiesa e del battistero.
© 2021 MiC – Pubblicato il 2020-04-14 18:00:35 / Ultimo aggiornamento 2020-06-22 11:38:56
APERTURA-
Lun
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Gio
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Ven
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Chiesa Santa Maria Extra Moenia
Via Cotilia – 02013 Antrodoco (RI)
Goethe J.W- Viaggio in Italia-CAMPAGNA ROMANA-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
Goethe J.W- Viaggio in Italia-CAMPAGNA ROMANA
Goethe J.W- Roma, 7 novembre 1788.-Sono qui , scrive Goethe , da sette giorni e lentamente si va formando nella mia mente il concetto generale di questa città. Non faccio altro che andare in giro senza riposo; studio la topografi a della Roma antica e della moderna, guardo le ruine e i palazzi, visito una villa e l’altra e le cose più meravigliose mi cominciano a diventar familiari; apro solamente gli occhi, guardo, vado e ritorno, poiché solo in Roma è possibile prepararsi a godere Roma.Confessiamolo pure, è un’impresa ardua e dolorosa, cavar fuori la vecchia Roma dalla nuova; ma si deve fare e sperare in una soddisfazione finale inapprezzabile. Si incontrano da per tutto tracce di una magnificenza e di uno sfacelo che sorpassano ogni nostra immaginazione.Quello che hanno lasciato i barbari è stato devastato dagli architetti della nuova Roma.Se si pensa che questa città vive da più di duemila anni, a traverso mutamenti così svariati e profondi, e che è ancora la stessa terra, gli stessi monti e spesso le stesse colonne e gli stessi muri, e nel popolo ancora le tracce dell’antico carattere, allora si diventa complici dei grandi decreti del destino e riesce difficile in principio all’osservatore di notare come Roma segue a Roma e non solo la nuova e la vecchia, ma anche le diverse epoche della vecchia e della nuova.Io cerco ora perfino i punti seminascosti, trovando molto giovamento dagli studi precedenti, poiché dal secolo XV in poi sono stati artisti e dotti in gran numero che hanno dedicata tutta la loro vita a questa impresa.Questa sconfinata profondità opera in noi silenziosamente quando ci aggiriamo per le vie di Roma in cerca di cose da ammirare.Altrove bisogna cercare attentamente per iscoprire cose che abbiano significato, qui invece ne siamo circondati e riempiti.
[…].”
BIOGRAFIA di Johann Wolfgang von Goethe. drammaturgo, poeta, saggista, scrittore, pittore, teologo, filosofo, umanista, scienziato, critico d’arte e critico musicale tedesco.
Johann Wolfgang von Goethe –Poeta, narratore, drammaturgo tedesco (Francoforte sul Meno 1749 – Weimar 1832). Genio fra i più poderosi e poliedrici della storia moderna, si manifestò in un’epoca in cui ormai risultava operante la consapevolezza d’una acquisita libertà di sentimenti e di espressione; gli fu quindi spontaneo rendersene partecipe e anzi incrementarla segnando un cambiamento radicale nella coscienza culturale tedesca ed europea. Definito “olimpico” per il suo equilibrio, per esso esaltato e anche censurato, e talora persino schernito, di questo equilibrio non fece oggetto di soddisfatta fruizione bensì oggetto ambizioso d’una continua, tutt’altro che olimpica ricerca, operata nei varî campi d’interesse, negli studî scientifici, nell’azione pubblica e soprattutto nella produzione poetica. Il padre Johann Kaspar, di modesta famiglia originaria della Turingia, valente giurista e consigliere imperiale, gli fu modello nella serietà degli studî e nella inesausta curiosità; la madre Katharina Elisabeth Textor, figlia del sindaco della città e appartenente alla migliore borghesia originaria della Svevia, gli trasmise il “piacere del favoleggiare”. Cresciuto quindi in un ambiente assai scelto, ebbe un’educazione adeguata, e già a 16 anni era a Lipsia per studiarvi diritto. Nel clima illuministicamente aperto della città fornì le sue prime prove poetiche secondo la moda anacreontica promossa da F. Hagedorn e Ch. M. Wieland, privilegiando un’espressione personalizzata contro la pedanteria moraleggiante imposta da J. Ch. Gottsched e da Ch. F. Gellert. Così, nel 1767, scrisse in alessandrini la commedia pastorale Die Laune des Verliebten (“I capricci dell’innamorato”), che è la prima professione d’un amore agitato e irritabile. Sulla stessa linea, tornato a Francoforte, nel 1769 scrisse la commedia d’ambiente Die Mitschuldigen (“I correi”), quadro acuto e scettico del mondo borghese. Marginali composizioni poetiche, raccolte in Buch Annette (“Libro per Annette”) e in Neue Lieder (“Canti nuovi”) fanno avvertire, oltre la moda, la ricerca d’un senso inconsueto della natura. Una grave malattia lo dispose a subire l’influsso della religiosità pietistica della madre e ancora di più dell’amica di lei, Susanne von Klettenberg, che lo orientò a cercare, come poi sempre fece, l’orma del divino nel segreto della natura.
Nel 1770 si trasferì a Strasburgo per terminarvi gli studî; tra le esperienze decisive che ivi compì spiccano l’incontro “fatale” con J. G. Herder e le sue teorie su storia e natura, creatività individuale e divenire universale, e la lettura di Shakespeare, che segnarono la prodigiosa produzione del successivo quinquennio. Ne sono testimonianza i Sesenheimer Lieder (“Canti di S.”), dettati dall’amore per Friederike Brion, nel loro insieme atto esplicito di adesione al movimento dello Sturm und Drang; la grossa cronaca drammatizzata, d’impronta shakespeariana, Die Geschichte Gottfriedens von Berlichingen mit der eisernen Hand (“Storia di G. di B. dalla mano di ferro”, 1771), poi (1773) rielaborata col titolo di Götz von Berlichingen, vasto e farraginoso affresco di argomento nazionale che fece decadere altri e persino più ambiziosi progetti di drammi come Mahomet e Prometheus, di cui rimasero solo brevi ma significativi frammenti. A questi, però, si affiancano inni a sfondo cosmico-panteistico, che sono testimonianze inequivocabili d’un sentimento integralmente aperto a un’esperienza di totalità, sull’onda d’un ardore creativo che G. non conobbe mai più (oltre Mahomets Gesang, “Canto di Maometto“, Prometheus, Wanderers Sturmlied, “Canto del viandante nella tempesta”, e Ganymed). Del resto quello era un periodo di tormentata inquietudine anche sul piano esistenziale, e nella produzione poetica si avverte una smania creativa che rischia talora la dispersione. Nel recupero del popolaresco, alla maniera del lontano H. Sachs, scrisse le satire carnevalesche Jahrmarktsfest zu Plundersweilern (“Festa della fiera di Pl.”, 1773) e Ein Fastnachtsspiel … vom Pater Brey (“Una rappresentazione carnevalesca di Padre Pappa”, 1773); una farsa di forte anche se non limpida accentuazione critica (Satyros, 1773); un’epica religiosa che sferza il filisteismo delle chiese (Der ewige Jude, “L’ebreo errante“, 1774). Prova d’uno stato d’animo di disagio, a lungo insanabile, per il colpevole abbandono di Friederike Brion è Clavigo (1774), tragedia della fanciulla abbandonata dall’amato più per leggerezza che per responsabile scelta. Di lì a poco Stella (1775), dramma d’un uomo che con pari intensità ama due donne, denuncia l’aspirazione alla libertà sentimentale. Una produzione tanto varia è tenuta insieme tuttavia dalla continua disposizione a confessarsi, a legare fino alla più intima convergenza vita e poesia. In tale spirito nacque anche l’opera conclusiva e più fortunata di questa felice stagione, il romanzo epistolare Die Leiden des jungen Werthers (“I dolori del giovane W.”, 1774), appassionata storia di una delusione amorosa che si conclude con il suicidio del protagonista; essa, in un’epoca segnata da un sentimentalismo esorbitante, conobbe un immediato, clamoroso successo. Intanto si era già affacciato nello spirito di G. il tema del Faust, che lo accompagnerà ossessivamente sino agli ultimi giorni della sua lunga vita.
Tornato a Francoforte al termine degli studî, dopo aver soggiornato a Wetzlar per farvi pratica presso il supremo tribunale imperiale, abbandonò gli ambiziosi disegni di carriera tracciati per lui dal padre, e nell’autunno del 1775 lasciò, questa volta definitivamente, la città natale per stabilirsi alla corte di Weimar, minuscola capitale d’un povero ducato di 120.000 abitanti. Entrato nelle simpatie della famiglia ducale, fu nominato consigliere segreto e quindi ministro, ottenendo infine il titolo nobiliare. Il primo decennio trascorso a Weimar fu di relativo silenzio poetico e d’intensa attività pratica. Il contatto costante coi problemi della vita lo sospingeva, piuttosto, verso le scienze naturali. Si occupò di geologia e di mineralogia (fra l’altro scrisse il trattato Über den Granit, “Sul granito”, 1784), passò all’anatomia, scoprendo nello stesso 1784 l’osso inframascellare; fu attratto infine dalla botanica e dalla storia naturale, in cui la sua riflessione trovava testimonianza di quella immanenza del divino che aveva già avvertito in forma intuitiva. Si compiva così la maturazione di quel panteismo cui del resto già da tempo aderiva. La produzione letteraria di questo periodo si può considerare limitata alle liriche e all’atto unico Die Geschwister (“I fratelli”, 1776), ispirati a Charlotte von Stein, donna di grande cultura alla quale G. fu legato per dieci anni e che influì profondamente sulla sua formazione. Nell’autunno del 1786, il viaggio in Italia si configura quasi come una fuga e segna un passaggio decisivo per la vita e l’ispirazione del poeta. Nel “paese dei limoni”, l’Italia classica del meridione e, più ancora, Roma, trovò realizzata quella sintesi di natura e arte, passato e presente, spiritualità e sensualità verso cui era proteso, e sentì rifiorire tutte le aspirazioni poetiche che il decennio attivistico di Weimar aveva in buona parte represso. Nel giugno del 1788 tornò a Weimar e il suo cambiamento gli procurò accoglienze decisamente fredde. Interruppe la relazione con la signora von Stein, e iniziò la convivenza con la giovane e umile Christiane Vulpius, che sposò solo nel 1806 pur avendone avuto fin dal 1789 un figlio, August, morto poi a Roma nel 1830. L’operosità creativa che era esplosa in Italia continuò a Weimar, in una stagione contrassegnata dal succedersi di opere quasi tutte ad alto livello. In Italia aveva portato a termine l’Egmont (1787), dramma della libertà dell’uomo che soccombe solo davanti alle forze del mondo esteriore e nemico, e ultimata la stesura in versi della Iphigenie in Tauris, testimonianza di un umanesimo ormai pienamente maturato, fusione perfetta di grecità e cristianesimo. Fu terminato invece a Weimar il Torquato Tasso, dramma di anime in cui gli elementi autobiografici (il poeta consapevole della propria genialità inserito in una sorda e intrigante corte principesca) sono filtrati ma tutt’altro che rimossi. Frutto dell’esperienza italiana, e in particolare romana, furono anche le Römische Elegien (1788-89), che nella fusione di classicità formale e sensualità di immagini segnano nel modo più palese il taglio fra questa e la precedente stagione poetica; ad esse seguiranno, dopo un nuovo, meno fortunato viaggio in Italia, i Venetianische Epigramme (1790). Dopo lo scoppio della Rivoluzione francese, G. da un lato dichiarò apertamente il proprio disprezzo verso gli ipocriti fautori del nuovo corso (nelle mediocri commedie Der Grosskophta, “Il gran mago egizio”, 1792, e Der Bürgergeneral, “Il cittadino generale”, 1793), dall’altro però fu egli stesso profondamente turbato dalla Rivoluzione, con sentimenti misti di adesione ai suoi principî e apprensione per il suo corso. Cercò allora sfogo in quella che definì la sua “Bibbia empia del mondo”, cioè nella versione in esametri omerici del bestiario medievale Reineke Fuchs (“La volpe R.”, 1793), satira più cinica che accorata dei dilaganti vizî. Una più pacata e valida presa di posizione fu quella dell’idillio in esametri Hermann und Dorothea (1797), che inquadra i valori morali di una sana, tradizionale etica borghese.
Intanto, nel 1794 si era creato il sodalizio con J. C. F. Schiller che, durato fino alla morte di quest’ultimo (1805), nel decennio definito per eccellenza classico, portò a reciproco arricchimento le due personalità, pur tanto diverse per estrazione e per temperamento. Per G. l’amicizia con Schiller significò una coscienza della propria missione poetica pienamente riconquistata. Sulla rivista di Schiller, Die Horen, G. pubblicò, nel 1795-97, le Unterhaltungen deutscher Ausgewanderten (“Conversazioni di emigrati tedeschi”), specie di piccolo Decameron, prototipo del genere ancora inedito della novella classica; vi pubblicò anche il Märchen (“Fiaba”), da cui tanto dipese la fiabistica romantica. La solidarietà fra i due giunse persino alla scrittura in comune, da cui nacque la raccolta di Xenien (“Doni ospitali”, 1797), epigrammi di aspra censura ai letterati contemporanei. Sia pure per pochi numeri, anche G. pubblicò una sua rivista, Die Propyläen (1798-1800), in cui propagandò il suo verbo classicistico. Come teorico, pur fornendo prove di alto interesse, per esempio il saggio Winckelmann und sein Jahrhundert (“W. e il suo secolo”, 1805), non riuscì sempre a evitare l’insidia dell’accademismo, in cui del resto incorse anche una certa produzione poetica: è il caso della frammentaria tragedia Helena, del 1800, poi rifusa nella seconda parte del Faust, e dell’epos Achilleis, del 1799, concepito come continuazione dell’Iliade. L’interesse per il classicismo spinse G. a riprendere anche i due temi per antonomasia “goethiani”, quello di Wilhelm Meister e di Faust. Già prima del viaggio in Italia G. aveva iniziato, e poi sospeso, un vasto romanzo a sfondo autobiografico, Wilhelm Meisters theatralische Sendung (“La missione teatrale di W. M.”), il cui manoscritto fu ritrovato solo nel 1910; era la narrazione realistica delle esperienze di un giovane della buona borghesia innamorato del teatro. Nel 1794 G. ne riprese il tema e nel 1796 uscì una compiuta stesura del romanzo sotto il titolo Wilhelm Meisters Lehrjahre (“Gli anni di noviziato di W. M.”), capolavoro del genere tipicamente tedesco dell’Entwicklungsroman (romanzo di formazione) e nello stesso tempo quadro vivace di tutta un’epoca. Al Faust G. si era dedicato fin dal 1772, e nel 1775 era pronta una prima e incompleta stesura, il cosiddetto Urfaust (il cui ritrovamento è avvenuto solo nel 1887), una delle opere più legate alla poetica dello Sturm und Drang. Mutilo delle scene terminali era anche il primo Faust (Faust. Ein Fragment, 1790), e solo nel 1808 uscì la redazione definitiva della prima parte (Faust. Der Tragödie erster Teil), dopo un lavoro frazionato lungo l’arco di un decennio. Per il poeta, ormai giunto all’età matura, si trattava di un’acquisizione di recupero, e la dedica con cui si apre il monumentale edificio poetico rievoca le figure del dramma come emergenti da un passato lontano. L’immediatezza della presenza di Mefistofele, il ritmo serrato della tragedia di Gretchen delle precedenti stesure, sono andati perduti; ma la prospettiva su cui il dramma si apre ha finalmente raggiunto l’estrema vastità significativa del grande dramma simbolico, che coinvolge le potenze divine e demoniache e attinge dimensioni cosmiche, eppure rimane sostanzialmente dramma psicologico dell’uomo che non può rinunciare alla sua volontà di dominare il mondo.
Con la morte di Schiller (1805) e la catastrofe nazionale di Jena (1806), si era aperta per G. la lunga stagione della senilità. Allo sconforto e all’isolamento aveva reagito immergendosi negli studî scientifici, in particolare sull’ottica, senza con questo rallentare l’intensità della produzione letteraria. Allo stesso anno del Faust appartiene il dramma allegorico Pandora, e nel 1809 vide la luce Die Wahlverwandtschaften (“Le affinità elettive”), esemplare romanzo sulla passione amorosa vissuta in età adulta. La profondità dell’analisi psicologica e la tensione della vicenda sono sorrette da una scrittura perfettamente sorvegliata che asciuga senza offuscare il pathos che attraversa l’intera narrazione. Dopo una laboriosa gestazione uscì nel 1819 il Westöstlicher Divan (“Divano occidentale orientale”), dettato anzitutto dall’amore, tanto forte quanto dolorosamente votato a una cosciente rinuncia, per Marianne von Willemer, giovanissima poetessa. È il solo complesso di poesie pubblicato da G. in unico volume, e costituisce l’eccezionale testimonianza di una volontà e di una capacità di rinnovamento che attingevano alle più varie esperienze di vita e di cultura, recuperate attraverso un procedimento selettivo accorto e costante. Anche lo stile, non più immediato e plastico, è divenuto rarefatto e sfiora talvolta il sublime nella mediazione fra la vivacità del sentimento e l’amaro dell’acquisita saggezza. G. nel frattempo si era reso conto, dopo i due incontri con Napoleone, nel 1808, dell’importanza ormai storica della sua persona. All’avvento della Restaurazione, in un mondo che riconosceva sempre meno come proprio, sentì doveroso tornare indietro per fissare indelebilmente la sua personale storia. Non scrisse una vera autobiografia, ma ne lasciò ampî e spesso suggestivi squarci in Dichtung und Wahrheit (“Poesia e verità”, 1809-14 e 1830), che, pur coprendo solo gli anni fino al 1775 e senza essere sempre cronachisticamente attendibile, assunse il significato di documento storico, cioè d’interpretazione di un’intera epoca. Per alcuni aspetti documento ancora più suggestivo, anche se stilisticamente meno accurato, fu l’Italienische Reise (“Viaggio in Italia”, 1816-17, 1829), che ancora oggi gode di enorme fortuna.
Nonostante i frequenti attestati di stima da tutta Europa e l’omaggio di uomini come Byron e Manzoni, G. conobbe negli ultimi anni l’amarezza dell’isolamento quasi integrale nel nuovo clima culturale creatosi con il Romanticismo, a lui radicalmente estraneo. Nel riprendere ancora una volta i temi di Meister e di Faust, volle testimoniare e verificare globalmente la sua esperienza di poeta, di prosatore e di uomo confrontandosi con un mondo in cui non era possibile ripristinare quell’umanesimo integrale che era stato l’ideale del Rinascimento. Il Wilhelm Meisters Wanderjahre (“Gli anni del pellegrinaggio di W. M.”, 1829) rivela la disponibilità e l’interesse di G. per le esigenze di un assetto sociale nuovo, ma reca un sottotitolo sintomatico, Die Entsagenden “I rinuncianti”. L’ultimo Faust fu elaborato tra il 1825 e il 1831, con la dolorosa parentesi della morte del figlio e di una grave malattia da cui G. si riprese, forse, per la estrema determinazione di portare a compimento l'”opera della sua vita”. Quest’opera denuncia il peso dell’investimento che è stato fatto su di essa e risulta eterogenea, sovraccarica, diluita da intellettualismi e genericità, ma ha pagine di straordinaria bellezza e resta la potente e inquietante somma poetica di tutta una vita. Faust, che all’inizio si ridesta a nuova vita, è destinato alle esperienze più sbalorditive, ad attingere dimensioni sempre più vaste e globali, passando di affanno in affanno e di colpa in colpa finché, vecchissimo e quasi cieco, saluterà la morte con un esaltante inno alla libertà. La seconda parte del Faust (Faust. Der Tragödie zweiter Teil) fu pubblicata pochi mesi dopo la morte di G., per sua esplicita volontà. Egli era certo che non avrebbe ricevuto comprensione da parte di contemporanei, e non s’ingannava: in particolare l’ultimo G. non era fatto per essere agevolmente inteso, ma in generale il clima intellettuale e politico degli anni della Restaurazione non era fatto per recepire un autore che sembrava fossilizzato su posizioni esclusive e in ogni modo antiquate. Il 1848, e quanto ad esso tenne dietro, portò a rinvenire in Schiller piuttosto che in G. il genio ispiratore, quale poeta della libertà. La varia, complessa, spesso tragica vicenda storica della Germania durante gli ultimi cento anni a più riprese ha ribadito tale ideologica predilezione. Ma già il cosiddetto “realismo poetico” assunse G. come suo modello e maestro; il liberalismo borghese vide in lui l’ultimo e sommo rappresentante di una cultura umanistica, a un tempo tipicamente tedesca e profondamente europea; più tardi il monismo scientifico e filosofico guardò a lui come al poeta-pensatore capace di grandi e profetiche intuizioni. Nonostante la varietà e disparità d’opinione dei suoi innumerevoli critici (tra cui Hauptmann, Hofmannsthal, George, Hesse, Th. Mann), è unanime il giudizio che lo riconosce campione geniale dell’autonomia individuale, nel solco di una cultura di cui ha saputo raccogliere e incrementare la grande eredità.
Fonte-© Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani –
La Transumanza: Storia -Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
La Transumanza: Storia
La Transumanza: Storia
L’Abruzzo ha un volto molto antico: quello dei suoi tratturi, bracci, tratturelli che ne segnano il territorio, là dove sono stati conservati e tutelati . Le antiche cartine d’Abruzzo mostrano una sorta di sistema vascolare di una regione che attraverso l’ “erbal fiume silente”, come d’Annunzio nella sua poesia “I pastori” definiva il tratturo, si alimentava ed alimentava la propria economia,quella della transumanza.
Il termine deriva da “ trans” forma avverbiale: attraverso e humum: terra : andare attraverso con il significato di trasferimento di persone e bestiame in estate ai pascoli della montagna e in autunno al piano.
Questo “sentiero naturale tracciato dalle greggi”, viene da molto lontano, perché già all’epoca dei Romani si individuavano come
“semita aspera qua pecora in montes ire solent” (aspri sentieri sui quali sogliono transitare le pecore sui monti). Su questi “sentieri” si svolgevano le partenze ed i ritorni, con un fenomeno chiamato
appunto transumanza.
Tratturo, che sui dizionari viene definito “largo sentiero erboso per far transitare greggi e armenti dalla Puglia ai monti degli Abruzzi e viceversa” è un termine moderno, che si incontra poco nella letteratura italiana, salvo nell’ ”Alcyone”, e nel libro terzo delle “Laudi del cielo del mare della terra e degli eroi” del D’Annunzio.
La Transumanza: Storia
La transumanza è un sistema di allevamento antico diffuso in molte aree del bacino del Mediterraneo che prevede in estate lo sfruttamento dei pascoli dislocati a quote più elevate sui territori montani e d’inverno il trasferimento delle greggi in pianura anche a distanza di centinaia di Km . Nel caso dell’Abruzzo la transumanza orizzontale veniva praticata già in epoca italica dai Sanniti che si scontrarono con i Dauni della Puglia proprio per il controllo dei pascoli invernali. Durante il periodo romano la transumanza ebbe un forte incremento grazie ad una efficiente organizzazione dello stato. Alcune importanti città romane sorsero proprio sui tratturi per controllare lo spostamento delle greggi tra esse Peltuinum e Juvanum in Abruzzo e Sepino in Molise.
La seconda rivoluzione economica nel campo della pastorizia si ebbe alla metà del XV secolo per opera di Alfonso d’Aragona re di Napoli che prese a modello il sistema in uso da tempo nella penisola iberica dei pastori spagnoli chiamata mesta.Riorganizzò le vecchie “calles” romane che presero il nome di tratturi. Era tutto un mondo che si muoveva, tutta un’economia che si sviluppava intorno a queste vie che organizzata con precise leggi fiscali, è servita a sostenere per secoli le finanze del Regno di Napoli e delle Due Sicilie.
Alfonso I d’Aragona, con la Prammatica del 1 agosto 1447, istituì la Dogana per la “Mena delle pecore” in Puglia. Le terre di pascolo, dette locazioni, erano del Demanio Regio e si potevano utilizzare solo pagando la “fida”, un canone annuo, fissato in rapporto al numero delle pecore , ogni 100 pecore davano diritto ai pastori, detti locati, di utilizzare 24 ettari di terre non arate, chiamate poste.
Un sistema fiscale, duro per i piccoli pastori, che ha fruttato enormi entrate, fino al maggio 1806, quando Giuseppe Bonaparte, re di Napoli abolì le servitù sul Tavoliere di Puglia.
Con l’unità d’Italia alcuni dei tratturi principali furono assimilati alle strade nazionali e protetti, altri furono riassorbiti dall’agricoltura. Questo sistema di percorsi naturali, storicamente sedimentato, era incardinato su pochi valichi che limitavano e canalizzavano i collegamenti con il resto della penisola.
Una società gerarchica
Le greggi transumanti appartenevano a grandi proprietari detti armentari , ricchi possidenti che investivano i loro capitali nell’allevamento e nella produzione della lana. Ma anche gli ordini e le congregazioni religiose e i feudatari locali e gli esponenti dell’alta borghesia possedevano numerose greggi. I piccoli proprietari locali che per necessità si recavano nei pascoli invernali si riunivano in società per ridurre le spese dell’attività. Tra i pastori vigeva una ferrea organizzazione gerarchica .
A capo stava il padrone che si serviva del “massaro di pecore” che organizzava tutte le attività connesse al pascolo. Il “casaro” era addetto alla lavorazione e trasformazione del latte , il buttero sovrintendeva agli animali da soma e agli spostamenti logistici durante il periodo della transumanza. I “ pastori” erano addetti
alla custodia delle greggi . Ad ognuno veniva affidata una “ morra” di pecore composta da circa 200 animali , infine venivano i più giovani detti “ pastoricchi” a cui erano affidati i compiti minuti e umili .
Una vita dura
La vita dei pastori era fatta di sacrifici e rinunce. I pastori transumanti a settembre riprendevano mestamente la via delle Puglie dove rimanevano fino a maggio quando, dopo la fiera di Foggia, iniziava il viaggio di ritorno verso la montagna natia e le famiglie lasciate per molti mesi. Quando tornavano portavano nelle loro bisacce i doni per i loro bambini e le loro spose .
Drammatiche ed epiche insieme, le partenze a fine settembre separavano i nuclei familiari, affidati alle madri coraggio delle montagne abruzzesi, che si riunivano per poche settimane da maggio a giugno in un’atmosfera di ritrovati sentimenti e passioni e poi di nuovo in montagna nella solitudine dei pascoli in attesa di ridiscendere in paese . La vita del pastore non era facile
caratterizzata da privazioni e stenti. D’estate, quando seguiva le greggi sui pascoli della montagna era costretto a vivere all’interno delle grotte adibite sia a stazzo , ricovero degli animali durante la notte, sia a rifugio del pastore , e quando non vi erano ripari naturali costruivano rifugi in terra o in pietra o anche capanne a tholos dalla copertura a cupola a base circolare o quadrata. Il cibo scarseggiava ed era costituito essenzialmente da ricotta siero e pancotto una
semplice minestra fatta con il pane secco e condita con poco olio. Si mangiava carne solo quando qualche pecora moriva , per cause accidentali o divorata dai lupi. La giornata era lunga e scandita dagli astri. All’alba si alzavano quando in cielo splendeva il pianeta Venere a sera riposavano quando compariva la “ stella del pecoraio”.
Nel silenzio delle lunghe ore passate a guardia del gregge i pastori
impiegavano il tempo intagliando il legno, leggendo i racconti cavallereschi e le gesta dei Paladini di Francia o scrivendo i loro pensieri e le loro riflessioni ma anche risentimenti e rancori incidendoli sulla roccia . Esiste infatti una letteratura di tipo pastorale scritta sulle pietre della Maiella che va dal 1600 ai nostri giorni. Molti di umili origini avevano imparato a leggere e a scrivere proprio intorno al fuoco dello stazzo. Un’altra occupazione dei pastori era
suonare le zampogne o le ciaramelle strumenti musicali tradizionali che portavano sempre con loro durante il lungo periodo della transumanza.
La cultura della Transumanza: testimonianze, usi,rituali
Lungo le antiche vie i pastori transumanti portavano con sé diversi strumenti a dorso di muli ed asini. Per le loro necessità utilizzavano bisacce, tascapane, ciotole, posate di legno, corni di bue, inoltre sgabelli a tre piedi, secchi di legno, attrezzi per la tosatura, collari antilupo. Alcuni di questi oggetti venivano anche realizzati artigianalmente dagli stessi pastori. Durante gli spostamenti e le soste, i pastori raccoglievano verdure e radici commestibili che cucinavano a sera. Erano soggetti a continui pericoli come furti di
bestiame, assalti di lupi, morsi di serpenti perciò nella tradizione orale i pastori vengono rappresentati mentre dormono “con un occhio solo”. Per questa loro condizione di vita , quindi, l’invocazione della protezione divina dava la forza necessaria per affrontare i rischi del viaggio ed i sacrifici del mestiere, infatti, lungo i tratturi e nei territori attigui ,sono sorte durante i secoli molte chiese caratterizzate da un’arte strettamente legata al mondo pastorale esse erano molto importanti non solo dal punto di vista spirituale che ma anche commerciale. E’ in prossimità di queste strutture, infatti, si svolgevano anche delle fiere per la commercializzazione di prodotti artigianali e gastronomici.
Diversi furono i protettori dei pastori transumanti. Tra questi, San Michele al Gargano, San Nicola di Bari e la Madonna Incoronata di Foggia. L’anno religioso per i pastori si scandiva due volte l’anno, quello estivo e quello invernale e questi due cicli coincidevano con i festeggiamenti dei santi protettori della transumanza.
Lungo il tracciato tratturale, nel corso dei secoli sono sorte anche taverne, fontane, riposi. Le taverne, che erano delle osterie attrezzate con servizi ricettivi per i pastori e grosse stalle per gli animali, erano tante e frequentate sia da pastori che da viandanti occasionali. Gli abbeveratoi sono disseminati lungo tutti i percorsi , ma, per la necessità di acqua sorgiva, sono concentrati nelle zone medie e alte dei tracciati. Molte di queste architetture sono arrivate fino a noi e vengono ancora oggi utilizzate dai pastori stanziali. Questo patrimonio archeologico, seppur quasi del tutto sconosciuto, presenta notevoli caratteri di qualità ed originalità.
La rete tratturale
La rete tratturale che arriva ad uno sviluppo massimo di circa 3000 km, eracaratterizzata da connessioni e nodi. Così i tratturi, fiumi d’erba larghi fino a 111 metri, secondo le rigide regole che ne stabilirono la larghezza massima per evitare conflitti con i contadini, non erano solo corridoi di scorrimento, ma strutture dotate di servizi e attrezzature per uomini e animali. Lungo il percorso i pastori e gli armenti potevano trovare ricoveri dove trascorrere le notti più fredde, recinti, abbeveratoi e isolate chiese rupestri di cui sono rimasti stupendi esemplari . Tali punti di sosta rappresentavano momenti in cui la socializzazione dava luogo a scambi culturali tra persone provenienti da realtà geografiche diverse ancor più considerando la ridotta mobilità dei tempi.
I principali tratturi erano:
L’ Aquila – Foggia, detto Tratturo Magno. Si sceglieva tra due piste parallele:
Manoppello Guardiagrele Montenegro o
Bucchianico , Chieti , Lanciano
Celano – Foggia. Aggirava Pratola Peligna e
Sulmona, sosta ai riposi di Cesale e Taverna
del Piano, presso Rivisondoli. Costeggiava
Roccaraso, Lucito e Lucera.
Pescasseroli – Candela. Raggiungeva Castel
di Sangro, poi seguiva due tracciati: i monti
del Matese o il percorso sannitico
Pescolanciano – Campobasso
La Via dei Tratturi
“ E vanno pel tratturo antico al piano quasi per un erbal fiume silente su le vestigia degli antichi padri…” Così D’Annunzio descrive la discesa dei pastori verso il mare nella sua poesia “I pastori”.
Dopo la via Francigena e ll Cammino di Santiago il percorso dei “tratturi” le lunghe vie d’erba che collegavano la l’Abruzzo montano con il Tavoliere di Puglia, è tra le esperienze più suggestive. Consente infatti di ripercorrere gli stessi tracciati usati dai Sanniti, dai Romani, e dal 1200 in poi, da centinaia di pastori , milioni di pecore e carovane di muli carichi di masserizie che camminavano silenziosamente in mezzo a quelle ampie distese d’erba. E’ come fare un viaggio nel passato, nelle tradizioni nella cultura e nella religiosità delle genti d’Abruzzo che da sempre hanno legato la loro vita alla pastorizia transumante.
Partendo dai pascoli estivi del Tavoliere di Puglia si risale gradatamente tutto il Molise interno fino ad arrivare nei pascoli estivi delle montagne abruzzesi abitate ancora dal Lupo Appenninico, dall’Orso Bruno Marsicano antagonisti di sempre delle greggi e dei pastori.
Oggi di quelle antiche vie erbose rimane ben poco, come rimane ben poco di quella civiltà pastorale che le aveva generate , l’ ultimo
spostamento a piedi di pastori e pecore pare sia avvenuto nel 1972
Eppure una sensibilità nuova verso il passato sta coinvolgendo persone sensibili associazioni e istituzioni affinché queste testimonianze, o ciò che rimane di esse, non precipitino nell’oblio, insieme all’immenso patrimonio di storia e cultura che portano con sé.
Ricostruzione storiografica di Elisabetta Mancinelli email :
mancinellielisabetta@gmail.com – l0347@hotmail.com
I documenti sono tratti dall’Archivio di Stato , da “ Transumanza e società” di Raffaele Colapietra e da “ Pastori, lanaioli e contadini” di Aurelio Manzi e Giuseppe Manzi.
Museo di Roma in Trastevere- Premio IILA Photo Identità. Così uguali Così diversi – XV edizione-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
Museo di Roma in Trastevere-
Premio IILA Photo Identità. Così uguali Così diversi – XV edizione-
Museo di Roma in Trastevere-PHOTO IILA è il premio dedicato a fotografi latinoamericani under 40.- È uno dei progetti di cooperazione culturale dell’IILA-Organizzazione internazionale italo-latino americana, realizzato con il contributo del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale italiano (DGCS/MAECI), in collaborazione con i Paesi latinoamericani membri dell’IILA e il Centro Sperimentale di Fotografia Adams.
Photo IILA è un premio finalizzato a promuovere la conoscenza della fotografia latinoamericana emergente e a incentivare le opportunità di collaborazione internazionale. Sin dal 2008 questo premio offre in Italia un interessante spazio allo sguardo originale dei giovani fotografi latinoamericani sul mondo: un vero e proprio osservatorio privilegiato sull’America Latina contemporanea, attraverso le scoperte e gli interrogativi che il mezzo fotografico sa cogliere in profondità e trasmettere con immediatezza.
Il tema della XV edizione è “Identità. Così uguali, così diversi”: identità è ciò che ci definisce come esseri umani e come parte di una comunità caratterizzata da molteplici forme di espressione e da peculiarità che rendono ogni individuo unico all’interno della società.
In mostra i lavori di
Andrés Pérez (Repubblica Bolivariana del Venezuela), vincitore di questa quindicesima edizione con il progetto “Familia Muerta”;
Verónica Javier (Uruguay), menzione d’onore con il progetto “Patrones identitarios”;
Enrique Pezo (Perù), vincitore della precedente edizione, che presenta il progetto ispirato alla città di Roma realizzato durante la residenza d’artista svolta nel 2023, “Ficciones de un tiempo infinito”.
Per concludere, con l’intento di rafforzare il fecondo dialogo fra fotografia latinoamericana e fotografia italiana, l’IILA ha invitato ad esporre assieme ai fotografi latinoamericani Dario De Dominicis, con il progetto “Francisco”.
Informazioni
Luogo
Museo di Roma in Trastevere
Orario
Dal 18 settembre al 27 ottobre 2024
Da martedì a domenica ore 10.00 – 20.00
Ultimo ingresso un’ora prima della chiusura
Chiuso il lunedì
CONSULTA SEMPRE LA PAGINA AVVISI prima di programmare la tua visita al museo
Biglietto d’ingresso
Consulta la pagina Biglietti
Informazioni
Tel 060608 tutti i giorni 9-19
Tipo
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Giorni di chiusura
Lun
Archi Commemorativi e Trionfali nelle Colonie Romane- Foto del 1908-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
-Gli ARCHI COMMEMORATIVI E TRIONFALI DELLE COLONIE ROMANE.
Copia anastatica dell’Articolo dalla Rivista EMPORIUM n° mese di maggio 1908
Un arco trionfale, o arco di trionfo, è una costruzione con la forma di una monumentale porta ad arco, solitamente costruita per celebrare una vittoria in guerra, in auge presso le culture antiche. Questa tradizione nasce nell’Antica Roma, e molti archi costruiti in età imperiale possono essere ammirati ancora oggi nella “città eterna“.
Alcuni archi trionfali erano realizzati in pietra, a Roma in marmo o travertino, ed erano dunque destinati ad essere permanenti. In altri casi venivano eretti archi temporanei, costruiti per essere utilizzati durante celebrazioni e parate e poi smontati. In genere solo gli archi eretti a Roma vengono definiti “trionfali” in quanto solo nell’Urbe venivano celebrati i trionfi e onorato l’ingresso del vincitore. Gli archi eretti altrove sono generalmente definiti “onorari” e avevano la funzione di celebrare nuove opere pubbliche. Originariamente gli archi erano semplici e avevano una sola apertura (fòrnice), nell’età tardoimperiale si arricchirono con fòrnici laterali e rilievi scultorei decorativi. Sulla sommità, detta attico, erano poste statue e quadrighe guidate dall’imperatore. L’età augustea inaugurò una tipologia grandiosa dell’arco di trionfo; era arricchito con rilievi in marmo o in bronzo che raccontavano le imprese di guerra dell’imperatore.
La costruzione degli archi romani assunse man mano, un ruolo pressoché simbolico. Essi infatti si rifanno alle porte monumentali, allineate alle mura della città, ma da esse si differiscono non tanto strutturalmente, ma, appunto, simbolicamente. Essi sono, infatti, dedicati a grandi imprese compiute da imperatori, generali, quali guerre, conquiste o anche alla semplice edificazione di infrastrutture come ponti e strade. Altro elemento di grande importanza, e quindi da sottolineare, è la circostanza che la monumentalità sia data dalla sovrapposizione di due elementi strutturali: la volta ed il trilite (due colonne che sorreggono un architrave). Di questi due, solo la volta è l’elemento portante: il peso dell’intera struttura è scaricato solamente su di esso e non sulla struttura trilitica.
Orizzonte Terra-Premio Città Di Tarquinia “Vasco Palombini”-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
Orizzonte Terra-Premio Città Di Tarquinia “Vasco Palombini”
Il Museo Archeologico Nazionale e Auditorium S. Pancrazio ospita la seconda edizione del Premio Città di Tarquinia per la scultura ceramica dedicato a “Vasco Giovanni Palombini”. Le opere degli artisti partecipanti al premio saranno esposte all’Auditorium S. Pancrazio, in via delle Torri n. 15, mentre la sede del Museo Archeologico ospiterà una sezione omaggio dedicata al maestro Luigi Mainolfi, voluta dal critico e storico dell’arte Lorenzo Fiorucci, Direttore del Museo di Arte Ceramica contemporanea di Torgiano, in quanto vincitore della seconda edizione del Premio Luciano Marziano destinato a “eccellenti personalità della critica d’arte”.
Il Premio “Vasco Palombini” consiste in un premio acquisto del valore di € 5.000, messo a disposizione dalla famiglia Palombini e dalla S.T.A.S. – Società Tarquiniense d’Arte e Storia di Tarquinia, che verrà attribuito a uno dei quattro artisti tra: Victor Fotso Nyie, Samanta Passaniti, Marta Palmieri, Michele Rava attraverso l’attento esame di una giuria di qualità che decreterà la miglior opera in mostra. La giuria di quest’anno è composta da Flaminio Gualdoni, critico, storico d’arte e vincitore della I edizione del Premio Luciano Marziano; Francesco Sposetti – Sindaco di Tarquinia; Maria Elisabetta De Minicis – Consigliere di Amministrazione Fondazione Carivit – Museo della Ceramica della Tuscia; Giovanni Mirulla, direttore della rivista DA’. Design e artigianato; Marco Tonelli, critico e storico d’arte; Attilio Quintili, scultore e ceramista; Paola Palombini, in qualità di rappresentante della famiglia erogatrice del premio.
PERCHÈ UN PREMIO DEDICATO A VASCO GIOVANNI PALOMBINI
L’istituzione del Premio rappresenta un nuovo iter dedito alla ricerca, promozione e valorizzazione della ceramica contemporanea, associato al potente richiamo dello straordinario patrimonio storico-archeologico che la città conserva, e vuole essere un viatico non solo culturale, ma anche turistico.
La città di Tarquinia, Patrimonio dell’Umanità e sito Unesco dal 2004, vanta tra i suoi cittadini più illustri Vasco Giovanni Palombini, scomparso nel 2017 e vuole ricordarlo con un premio a lui dedicato per la straordinaria sensibilità artistica e per la cultura, passione che lo ho portato a raccogliere una prestigiosa collezione personale e a caldeggiare nel corso della sua vita, l’attività di artisti di fama internazionale. Palombini è stato Ufficiale della Guardia di Finanza, titolare di un importante studio di commercialisti a Roma e Milano, Professore a contratto presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” e presso la LUISS, vicino da sempre al mondo dell’arte quale consulente, tra l’altro, della RAI, della LUXVIDE, dell’Accademia Nazionale di Danza e presidente del collegio dei revisori dell’azienda Palaexpò che gestiva il Palazzo delle Esposizioni di Roma e il sito espositivo delle “Scuderie del Quirinale”. Più volte consigliere comunale a Tarquinia, ha ricoperto la carica di presidente della Società Tarquiniense d’Arte e Storia dal 2008 fino al 2013. Ha caldeggiato l’attività di molti artisti nel territorio, divenendone uno dei più facoltosi mecenati. Molto vicino tra gli altri allo scultore cileno Sebastian Matta, presente a Tarquinia per oltre trent’anni e ideatore del laboratorio “Etruscu-ludens”, nell’ambito del quale realizzò un’importante produzione di scultura ceramica. Si devono a Palombini, inoltre, la riqualificazione del Museo della ceramica d’uso a Corneto e le mostre in omaggio a Manlio Alfieri e Alessandro Kokocinski, ideate per promuovere l’immagine e la cultura del territorio tarquiniese attraverso le opere di quegli artisti che per nascita o adozione lo avevano prescelto quale luogo di vita e fonte di ispirazione per il proprio lavoro.
ORIZZONTE TERRA: UN DIALOGO TRA ANTICO E CONTEMPORANEO
Orizzonte Terra è il titolo scelto per il Premio e la personale di Luigi Mainolfi che, spiega il curatore della mostra Lorenzo Fiorucci, prende le mosse dalla storia di
Tarquinia ed in particolare dalla Terracotta come primo elemento lavorato consapevolmente dall’uomo. Ne sono prova l’eccellenza della lavorazione le forme autoctone plasmate a mano, poi i vasi di produzione etrusca e, infine, quelli greci d’importazione conservati nel
Museo Archeologico Nazionale di Tarquinia, gli ultimi decorati con narrazioni quotidiane e mitologiche, gradite alla committenza etrusca.
Avverte Fiorucci: […] quello che interessa il nostro scopo è individuare una linea di ricerca attuale che si basi sulla scultura di terra. Se infatti questa tipologia di ricerca è stata battuta intercettando il gusto di molti, oggi appare più riservata a un’attenta nicchia di operatori”. Tanti sono gli artisti che nel corso della storia hanno contribuito a dare lustro in questo ambito di ricerca: da Arturo Martini che si definiva “il vero etrusco: loro mi hanno dato un linguaggio e io li ho fatti parlare”, Marino Marini, Lucio Fontana, il Leoncillo e poi proseguita negli anni Sessanta con Nanni Valentini, Pino Spagnuolo, Amilcare Rambelli, Giancarlo Sciannella; e ancora, Giuseppe Penone, Luigi Mainolfi, Bruno Liberatore, Massimo Luccioli, Armanda Verdirame e tanti altri.”L’obiettivo della mostra” – spiega Fiorucci – “è quello di indicare un orizzonte di terra partendo da un omaggio fuori concorso proprio a Luigi Mainolfi, dove il maestro presenterà alcune opere in terracotta ricucendo un ideale dialogo tra l’antico e il contemporaneo proprio al muse di Tarquinia. […] Nasce in questo modo un dialogo tra generazioni e linguaggi diversi, ma che hanno tutti come origine e prospettiva un orizzonte di terra”.
Orizzonte Terra
Museo Archeologico Nazionale – Luigi Mainolfi
Vernissage: Museo Archeologico Nazionale sabato 28 settembre, ore 18.00
28 settembre – 27 ottobre, orario di apertura al pubblico del museo.
Auditorium S. Pancrazio – Marta Palmieri, Samanta Passaniti, Michele Rava, Victor Fotso Nyie
Vernissage: Auditorium S. Pancrazio sabato 28 settembre, ore 19.00
28 settembre – 27 ottobre, orario di apertura al pubblico, tutti i giorni dalle 10.00 alle
13.00 e dalle 16.30 alle 19.30.
Premio Città di Tarquinia promosso e organizzato dalla Società Tarquiniense d’Arte e Storia è realizzato con il sostegno del MIC (Ministero della Cultura), con il patrocinio di: Associazione Italiana Città della Ceramica, Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza (MIC); Fondazione Carivit – Museo della Ceramica della Tuscia di Viterbo; Museo d’Arte ceramica contemporanea di Torgiano, Collettivo BAI di Comiso, Fondazione Giulio e Giovanna Sacchetti; Parco Archeologico di Cerveteri e Tarquinia.
Mostra: Orizzonte Terra
Premio Città Di Tarquinia “Vasco Palombini”
Tarquinia – Museo Archeologico Nazionale e Auditorium S. Pancrazio
Apertura: 28/09/2024
Conclusione: 27/10/2024
Organizzazione: S.T.A.S., Società Tarquiniense d’Arte e Storia
Curatore: Lorenzo Fiorucci
Indirizzo: Piazza Cavour n. 1/a – Tarquinia (VT)
Museo Archeologico Nazionale (Piazza Cavour n. 1/a – Tarquinia) – Luigi Mainolfi
Vernissage: Museo Archeologico Nazionale sabato 28 settembre, ore 18.00
28 settembre – 27 ottobre, orario di apertura al pubblico del museo.
Auditorium S. Pancrazio (Via delle Torri n. 15. Tarquinia) – Marta Palmieri, Samanta Passaniti, Michele Rava, Victor Fotso Nyie
Vernissage: Auditorium S. Pancrazio sabato 28 settembre, ore 19.00
28 settembre – 27 ottobre, orario di apertura al pubblico, tutti i giorni dalle 10.00 alle
13.00 e dalle 16.30 alle 19.30.
Per info: Società Tarquiniense d’Arte e Storia E. tarquiniense@gmail.com T. +39 0766.858194
Francesco Guadagnuolo: una mostra per i Laghi di Castel Gandolfo e di Nemi-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
Francesco Guadagnuolo: una mostra per i Laghi di Castel Gandolfo e di Nemi-
Il noto pittore Francesco Guadagnuolo, residente ai Castelli Romani, ha realizzato una mostra con l’intento di sensibilizzare al rischio prosciugamento dei Laghi di Castel Gandolfo e di Nemi.
L’esposizione è presso la Biblioteca Comunale di Genzano di Roma, Viale G. Mazzini, 12, in occasione dell’ “Ottobre Scientifico” sul tema: “Crisi Climatica e protezione ambientale: salvaguardare l’ambiente oggi per l’umanità di domani“.
La mostra di Guadagnuolo è visitabile da lunedì 7 ottobre a lunedì 28 ottobre 2024 con orari Lun 09:00-18:00, Mar 13:00-18:00, Mer/ Gio/ Ven 09:00-13:30.
I Laghi dei Castelli Romani, di Castel Gandolfo e di Nemi, rischiano l’estinzione, stando ad una relazione amministrativa dell’ANBI (Associazione Nazionale delle Bonifiche Italiane). Una condizione che è stata riferita, ultimamente, nell’interesse della Nazione con un servizio, divulgato il 14 agosto 2024, dal geologo Mario Tozzi sul quotidiano ‘La Stampa’. I due importanti laghi che hanno una grande storia, in passato, sono stati visitati spesso da Papi e Imperatori – asserisce Tozzi – attualmente risultano “sull’orlo del collasso”.
Il M° Guadagnuolo sempre attento alla salvaguardia dello stato naturale e dell’ambiente ha pensato bene di realizzare due opere pittoriche per focalizzare subito il problema ed invitare a chi di dovere ad intervenire subito e non arrivare com’è successo alla perdita del Lago di Pergusa (prov. di Enna), in Sicilia, terra di origine di Guadagnuolo, il quale con un dipinto, l’ha voluto recentemente segnalare.
Nei dipinti di Guadagnuolo i Laghi di Castel Gandolfo e di Nemi sono al centro del paesaggio, fanno risaltare la resa atmosferica, infatti, la luminosità riporta qualunque tratto del luogo in uno scenario impegnato di natura e di bellezza.
Per il Lago di Castel Gandolfo, negli ultimi 12 mesi il livello è sceso in modo drammatico, di oltre 50 centimetri, infatti, Guadagnuolo ci va vedere un’atmosfera nostalgica i cui contrasti sono affievoliti e impiegati nel tratto centrale del paesaggio. La luce adagia ogni porzione dell’ambientazione. Delicate ombre sono create per dare una certa dinamicità. Le colline che contengono il Lago plasmano una sorta di angolatura prospettica che dirige la veduta in profonda – interiorità. Altresì la prospettiva aerea consente di produrre la percezione di allontanamento. É un dipinto dalla dimensione rettangolare con profili diradati che catturano la luce abilmente. L’incanto dell’effigiato si espande dalle alternanze di morbidezze e attività percepibili nelle forme contenute e nelle rappresentazioni esposte. Lo splendore sensibilizzante del creato arriva ad assorbire i momenti diurni e notturni, rallentando l’iter naturale della realtà. Oltre a ciò, gran parte del dipinto è rivolto alla raffigurazione del cielo nell’alba del nuovo giorno.
Per quanto concerne il Lago di Nemi, negli ultimi tre anni il livello del lago è sceso di 2 metri e si sono persi 9 milioni di metri cubi di acqua, infatti, Guadagnuolo ci fa vedere un ambiente malinconico e appartato anteponendo le segrete luminescenze della tarda serata per dare un’apparizione poetica del paesaggio. Egli prepone luci meno decise, modulazioni lievi e particelle interiori del paesaggio.
Individuiamo il chiarore del calare del sole di un Lago di cui non sappiamo quale sarà il suo futuro. I tratti vermigli impiegati per raffigurare il cielo ci lasciano uno stato d’animo inquieto pensando cosa si poteva fare prima e cosa si può fare adesso per salvarlo. La visione del Lago si abbandona, quasi stemperandosi con il cielo smarrendosi attorno al cratere del Vulcano. Guadagnuolo con questa interpretazione particolare rimanda un’apparenza del creato nella sua non dimenticata magnificenza.
Nei due Laghi dipinti da Guadagnuolo si scorge l’incognito del tempo, la condizione di un futuro differente a ciò che stiamo assistendo. Ma quale sarà il futuro? La natura ha un suo corso, a differenza dell’essere umano, ha la prerogativa di conservarsi di continuo, senza mai sparire, solo la mano dell’uomo riesce a far morire la natura.
Le due opere sono caratterizzate da colori tenui, armonizzati, per fare uscire ogni splendore dei Laghi, cercando in tutti i modi di fare il possibile per tutelarli, quasi vien voglia d’immergersi all’interno dell’opera per viverla di ogni contenuto tramandando un sentore di pacatezza ed estasi.
Attraverso la sua opera Guadagnuolo ci espone la necessità di intervenire con l’aspirazione di perdurare esaurientemente, prima che sia troppo tardi: “salvare i Laghi di Castel Gandolfo e di Nemi“.
È molto malinconico considerare come in zone così meravigliose e leggendarie ci sia questo drammatico pericolo della perdita dei Laghi, così ricchi di passato e mito che fanno parte della risorsa del patrimonio naturale dell’Italia.
INFORMAZIONI
Mostra: Francesco Guadagnuolo: una mostra per i Laghi di Castel Gandolfo e di Nemi
Roma – Biblioteca Comunale di Genzano
Apertura: 07/10/2024
Conclusione: 28/10/2024
Curatore: Francesco Guadagnuolo
Indirizzo: Viale G. Mazzini, 12 – Roma
Orari: Lun 09:00-18:00, Mar 13:00-18:00, Mer/ Gio/ Ven 09:00-13:30
Il Museo delle Civiltà di Roma progetta di diventare il più grande museo italiano di arti e culture asiatiche-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
Il Museo delle Civiltà di Roma
progetta di diventare il più grande museo italiano di arti e culture asiatiche
Il Museo delle Civiltà di Roma ha presentato EUR_Asia, il nuovo percorso temporaneo dedicato alle Collezioni di arti e culture asiatiche. Distribuita su cinque sezioni, tra il piano terra e il primo piano del Palazzo delle Scienze, l’esposizione riunisce circa 200 opere, tra manufatti, documenti d’archivio, resoconti di indagini diagnostiche e nuove produzioni artistiche. Il percorso museografico vuole esplorare sia la lunga storia che gli sviluppi futuri delle Collezioni di Arti e Culture Asiatiche del Museo delle Civiltà.
La mostra include anche A Recollection Returns with a Soft Touch, un intervento audiovisivo dell’artista multidisciplinare Gala Porras-Kim, che ricopre il ruolo di Research Fellow al Museo delle Civiltà ed è Artist in Residence presso il MAO-Museo d’Arte Orientale di Torino, istituzione partner del progetto.
EUR_Asia segna l’inizio di un progetto più ampio che ha come obiettivo la realizzazione del più grande museo italiano di arti e culture asiatiche. Entro il 2026, le collezioni archeologiche e artistiche dell’ex Museo Nazionale d’Arte Orientale e quelle etnografiche di provenienza asiatica dell’ex Museo Nazionale Preistorico Etnografico saranno riunite al piano terra del Palazzo delle Scienze all’EUR, creando un nuovo spazio espositivo completamente rinnovato.
EUR_Asia intende essere, in questo senso, un ulteriore e importante passo verso la realizzazione di un museo che, grazie all’aggiornamento degli allestimenti e a un impianto metodologico elaborato in costante dialogo con le comunità di provenienza delle collezioni e le ricerche artistiche e scientifiche contemporanee più avanzate, sia sempre più accessibile, inclusivo, plurale, operando in linea e in attuazione anche degli obiettivi previsti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza per contribuire a porre al centro di tutta l’attività istituzionale e della sua programmazione l’accessibilità museale in termini fisici, cognitivi, multisensoriali e culturali.
Nell’allestimento di EUR_Asia di ciascuna opera, proveniente da aree ed epoche diverse, sarà analizzata la relazione molteplice fra materialità e funzionalità, superando così il concetto di riferimento o limite geografico per approfondire porosità e dinamismo dei soggetti culturali, delle matrici storiche e delle tematiche storico – artistiche. Pur rimanendo esposti nelle vetrine museali, gli oggetti si confrontano fra loro e con la storia stessa dell’istituzione museale, oltrepassando non solo i confini ma anche i millenni. Si configura così un percorso aperto e libero, sia nello spazio sia nel tempo, che permette di riflettere anche sul concetto di “museo d’arte orientale” e, quindi, sul concetto stesso di “Oriente” , consolidatosi in Europa durante il XIX secolo. Al di là di questa opposizione storica e delle narrazioni anche esotizzanti che ne sono derivate, il percorso di EUR_Asia rintraccia invece le connessioni tra manufatti, coordinate spaziali, epoche temporali, saperi e credenze, tradizioni culturali o tecniche artigianali e materie naturali, configurandosi quindi come la mappa – fatta di incontri e confronti, scambi e negoziazioni – delle storie, plurime e composite, di queste collezioni
Andrea Viliani, direttore del Museo delle Civiltà, e Loretta Paderni, referente dei fondi Grande Progetto Beni Culturali assegnati al Museo delle Civiltà, hanno sottolineato che la progettualità in corso costituisce una premessa indispensabile delle ambiziose opere di adeguamento edile, impiantistico e di allestimento finanziate con circa 10 milioni di euro dal piano strategico del Ministero della Cultura denominato Grandi Progetti Beni Culturali. La progettazione è stata affidata su gara europea all’RTP (Raggruppamento Temporaneo di Professionisti) formato da ISOLARCHITETTI, MILAN INGEGNERIA, PRISMA ENGINEERING, NADIA FRULLO, BRH+, AURORA MECCANICA, ed è stata espletata da Invitalia la gara per l’affidamento dei lavori relativi all’operatore economico VINCENZO MODUGNO SRL. L’inizio dei lavori è previsto nel 2024 e la conclusione entro il 2026.
Il percorso temporaneo EUR_Asia, realizzato in occasione dei 130 anni dalla nascita e dei 40 anni dalla scomparsa di Giuseppe Tucci, è stato pensato per coinvolgere il pubblico in questo processo di trasformazione, attraverso collaborazioni con autrici e autori che ne modificheranno e aggiorneranno periodicamente l’allestimento. Inoltre, dall’autunno 2024 saranno presentati eventi e programmi di approfondimento organizzati in collaborazione con una pluralità di soggetti istituzionali, università, centri di ricerca ed enti del terzo settore, che verranno annunciati prossimamente, tra cui Asiatic Collections Netkork-Europe.
Il museo è nato nel 2016 in seguito a tre decreti del ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo Dario Franceschini. Il nuovo istituto ha così riunito entro un’unica amministrazione, dotata di autonomia speciale, le collezioni di quattro musei nazionali fino ad allora separati, tre dei quali erano comunque già collocati nelle rispettive sedi in piazza Guglielmo Marconi,[1] ovvero:
- Museo nazionale preistorico etnografico,[2][3]
- Museo nazionale delle arti e tradizioni popolari,[4]
- Museo nazionale dell’Alto Medioevo,[5]
- Museo nazionale d’arte orientale.[3]
A questi si aggiunsero in seguito le collezioni di altri due musei disciolti, ovvero il Museo africano[6] e il Museo geologico nazionale.[7]
Inizialmente il Museo delle civiltà si era proposto soprattutto come un “museo di musei”,[8] mantenendo una distinzione formale tra i sei istituti e intitolandoli ai rispettivi fondatori o comunque a figure significative per l’ambito di competenza (rispettivamente Luigi Pigorini, Lamberto Loria, Alessandra Vaccaro, Giuseppe Tucci, Ilaria Alpi e Quintino Sella).
Questi criteri, tuttavia, sono stati superati nel 2022, sotto la direzione di Andrea Viliani (entrato in carica ad inizio anno), il quale ha proposto un approccio diverso promuovendo l’integrazione delle collezioni in un’ottica interdisciplinare e di creazione di un moderno museo antropologico.[9][10]
Sede e collezioni
Il museo è ospitato in due edifici in stile razionalista, collegati tra loro da un imponente colonnato e progettati – come l’intero quartiere EUR – per tenervi l’Esposizione Universale del 1942, che non ebbe mai luogo a causa dello scoppio della seconda guerra mondiale.[11]
Il Museo delle arti e tradizioni popolari è collocato nel Palazzo delle tradizioni popolari, appositamente concepito per accoglierne i reperti: essi avrebbero dovuto infatti costituire la Mostra delle arti e tradizioni popolari durante EUR42. Il museo aprì però solo nel 1956.[4]
Il Museo preistorico etnografico e il Museo dell’Alto Medioevo sono invece collocati sin dal 1967 nel coevo Palazzo delle scienze, originariamente progettato e costruito per accogliere la Mostra della scienza universale durante EUR42.[2][3][5]
Presso il medesimo edificio sono state poi collocate le collezioni degli altri musei confluiti nel Museo delle Civiltà:
- il Museo nazionale d’arte orientale, già sito a Palazzo Brancaccio nel rione Esquilino;[3]
- l’ex Museo coloniale (disciolto Museo africano), che esponeva reperti legati al colonialismo italiano, per i quali è attualmente in corso un allestimento critico e de-coloniale;[6]
- infine, a seguito di un accordo tra l’ISPRA e il Museo delle Civiltà,[12] sono qui confluite anche le collezioni di geo-paleontologia e di lito-mineralogia dell’ex Museo geologico nazionale (in precedenza a Palazzo Canevari nel rione Sallustiano). Un primo allestimento delle collezioni ISPRA è stato presentato nel dicembre 2022[13] e la loro musealizzazione sarà completata entro la fine del 2024.[7]
Direttori
Dalla sua fondazione, il museo è stato diretto da:
- Leandro Ventura (1 settembre 2016 – 9 aprile 2017)
- Filippo Maria Gambari (10 aprile 2017 – 19 novembre 2020)[14]
- Loretta Paderni (ad interim)
- Andrea Viliani (dal 26 gennaio 2022)
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Orari
da martedì a domenica ore 8.00 – 19.00 (ultimo ingresso ore 18.30)
LUNEDÌ CHIUSO
APERTURE SERALI
Mercoledì 25 settembre, ore 19.00 – 22.30 (ultimo ingresso 22.00)
Sabato 28 settembre, ore 19.00 – 21.30 (ultimo ingresso 21.00)
Giovedì 3 ottobre, ore 19.00 – 22.30 (ultimo ingresso 22.00)
APERTURE FESTIVE
Ognissanti: venerdì 1 novembre
Giorno dell’Unità Nazionale e Giornata delle Forze Armate: lunedì 4 novembre
Immacolata Concezione: domenica 8 dicembre
Santo Stefano: giovedì 26 dicembre
INFORMAZIONI
Per informazioni su orari, biglietti ed eventi, è disponibile il servizio URP del Museo delle Civiltà ai seguenti contatti:
+39 335 731 0064 / + 39 335 732 4233 attivi martedì, mercoledì e giovedì, dalle ore 9:30 alle 11:30.
e-mail: mu-civ.info@cultura.gov.it
Biglietti e visite guidate
Biglietti
È disponibile per il Museo Delle Civiltà il nuovo servizio di e-ticketing di Musei Italiani.
È possibile acquistare i biglietti online cliccando qui, attraverso l’app (disponibile su Play Store e App Store) e sul portale web museitaliani.it. Qualora necessario è inoltre possibile modificare il nominativo e l’orario di prenotazione del biglietto online.
Biglietto intero: € 10
Biglietto agevolato: € 2
Ingresso gratuito ogni prima domenica del mese
Biglietto gratuito ai cittadini dell’Unione Europea sotto i 18 anni, per gli Abbonati e per gli aventi diritto
Abilitata con pagamento POS. Il biglietto acquistato non è rimborsabile