Poggio Mirteto(Rieti)– Loc. πππ¬πππ₯π₯ππππ’π¨ Tenuta SantβAntonio-I resti di una Villa Romana
Simone Fulvio Rollini:βLa localitΓ collinare del πππ¬πππ₯π₯ππππ’π¨ ospita i resti di una villa romana, della quale sono visibili una cisterna e muri di terrazzamento (notevole soprattutto il muraglione in opera poligonale); sulla villa fu impiantato probabilmente nel X sec. l’insediamento di Mont’Orso, la cui torre a pianta pentagonale ancora vive come parte di un casale agricolo della Tenuta Sant’Antonio.
Grazie a Priscilla Armellin e agli Amici del Museo per la divulgazione archeologica.
Un ringraziamento agli amministratori della Tenuta Sant’ Antonio per avermi gentilmente accolto e fatto da guida; ne approfitto per suggerire il vino da loro prodotto, che sto giΓ allegramente degustando, e per augurare che vada presto in porto il progetto di creazione di una struttura ricettivaβ.
Poggio Mirteto-Tenuta di SantβAntonio, Via Formello civ.4
HALET CAMBEL, scompare a Istambul il 12 Gennaio 2014 all βetΓ di 97anni, Γ¨ stata un’archeologa turca, anche la prima schermitrice turca e la prima donna mussulmana della storia a partecipare ad una olimpiade, rappresentΓ² la Turchia alle Olimpiadi di Berlino del 1936.
A lei si deve la scoperta di importanti testimonianze del regno degli Ittiti.
Halet era nata a Berlino nel 1916, terzogenita di Hasan Cemil Cambel, lβaddetto militare turco per la Germania e un buon amico di AtatΓΌrk. In Turchia sarebbe tornata solo dopo la fondazione della Repubblica turca. E proprio la vicinanza del padre con AtatΓΌrk avrebbe modellato anche la famiglia della Cambel: Halet diventerΓ una donna cosmopolita, poliglotta e tollerante. FrequentΓ² il Liceo femminile di ArnavutkΓΆy ad Istanbul. Dopo un periodo di formazione in Archeologia, Preistoria e Storia antica presso l’UniversitΓ della Sorbona di Parigi, nel 1940 conseguΓ¬ il dottorato. Nel 1946, insieme all’archeologo Helmuth Theodor Bossert, scoprΓ¬ la cittadella fortificata di Karatepe alla quale dedicΓ² tutta la sua vita. SposΓ² Nail Cakirhan, che l’aiutΓ² a realizzare il primo museo turco all’aperto su progetto dell’ingegnere Turgut Cansever Oggi il museo si chiama: Karatepe-AslantaΕ AcΔ±k Hava MΓΌzesi. Alla Sorbona di Parigi studiΓ² archeologia e lingue del Vicino Oriente (ittita, assiro, ebraico), allβepoca in Turchia quasi monopolio degli studiosi tedeschi. Tornata in Turchia, sposΓ² Nail Cakirhan noto poeta di sei anni piΓΉ vecchio di lei, con il quale avrebbe trascorso 70 anni della sua vita. CominciΓ² a lavorare come assistente alla facoltΓ di Lettere di Istanbul dove nel 1940 dove completΓ² il dottorato. Nel 1947, nelle Montagne Taurus senza strade nella Turchia meridionale, Γ¨ stata la co-scopritore della fortezza ittita a Karatepe. Halet Cambel Γ¨ senza dubbio la piΓΉ nota archeologa turca, oltre a essere stata la prima archeologa donna del Paese di Ataturk. Ha decifrato decine di iscrizioni ittite e ha diretto numerosi scavi diventando la massima specialista mondiale di ittitologia, da cui il soprannome di βsignora degli Ittitiβ. Insieme allβarcheologo tedesco Helmuth Bossert dal 1947 diresse lo scavo di Karatepe, nel territorio di Adana (Turchia) ai confini della Cilicia orientale. Karatepe βCollina neraβ ha restituito le rovine dellβantica Azatiwataya, cittadella di frontiera del regno tardoittita di Adana, Nei primi anni 1950, quando il governo ha cercato di spostare oggetti da Karatepe ad un museo, Cambel si oppose sostenendo di mantenere gli oggetti sul sito, I manufatti scavati avevano infatti bisogno di un ampio spazio coperto, dove poter essere restaurati, protetti ed esposti. Nel 1957 il governo acconsentΓ¬ e nel 1960 fu completato un museo all’aperto, con alcuni rifugi progettati dal marito architetto.
Sara Parcak ha inventato l’archeologia spaziale, utilizzando immagini satellitari per cercare indizi dei luoghi perduti delle civiltΓ passate, cambiando il modo di studiare le rovine del mondo antico. Dal suo laboratorio in Alabama, sfruttando le mappe dei satelliti, questa trentasettenne ha giΓ scandagliato mille tombe, 17 piramidi, scovato insediamenti di cui si ignorava persino l’esistenza. Il suo lavoro aiuterΓ ora a ricostruire Palmira, distrutta dall’Isis nella Siria in guerra.
La rivoluzione tecnologica nellβarcheologia dai tempi di Indiana Jones
Ammettiamolo, Indiana Jones era un archeologo piuttosto scarso. Distruggeva i suoi siti, usava una frusta al posto di una spatola ed era piΓΉ probabile che uccidesse i suoi colleghi piuttosto che scrivere insieme a loro resoconti archeologici.
Indipendentemente da ciΓ², βI predatori dellβarca perdutaβ, che ha festeggiato il suo 30Β° anniversario lo scorso 12 giugno, ha reso affascinante lo studio del passato per una intera generazione di scienziati.
Gli archeologi moderni che si sono ispirati ai βpredatoriβ hanno perΓ² fortunatamente imparato dagli errori del dottor Jones, e ora utilizzano tecnologie avanzate come le immagini satellitari, la mappatura laser aerea, robot e scanner medici. Niente piΓΉ fruste scientificamente inutili.
Tali innovazioni hanno permesso agli archeologi di individuare dallo spazio piramidi sepolte, creare mappe 3-D di antiche rovine Maya dal cielo, esplorare i relitti di navi romane e trovare prove di malattie al cuore in mummie di 3.000 anni. La maggior parte di questi strumenti proviene da settori quali biologia, chimica, fisica o ingegneria, così come da gadget commerciali, tra cui GPS, portatili e smartphone.
βSe scaviamo parte di un sito, lo distruggiamoβ, dice David Hurst Thomas, curatore di antropologia al Museo americano di storia naturale di New York. βLa tecnologia ci permette di scoprire molto di piΓΉ prima ancora di entrare, come i chirurghi che fanno uso di TAC e risonanza magneticaβ.
Gli archeologi hanno sfruttato queste tecnologie per scoprire antichi siti di interesse piΓΉ facilmente che mai. Si puΓ² scavare con maggiore fiducia e meno danni collaterali, applicare le piΓΉ recenti tecniche di laboratorio su antichi manufatti o resti umani, e datare meglio persone o oggetti.
I satelliti indicano il luogo
Una delle rivoluzioni in corso nellβarcheologia si basa sui satelliti in orbita sopra la Terra. Sarah Parcak, egittologa presso lβUniversity of Alabama a Birmingham, e un team internazionale hanno recentemente usato immagini satellitari a raggi infrarossi per scrutare fino a 10 metri al di sotto del deserto egiziano. Hanno trovato migliaia di nuovi siti tra cui, credono, 17 piramidi.
Le immagini rivelano inoltre strade sepolte e case dellβantica cittΓ egizia di Tanis, un noto sito archeologico presente anche ne βI predatori dellβarca perdutaβ tre decenni fa. βOvviamente, non zoommiamo le immagini satellitari per trovare lβArca dellβAlleanza e il Pozzo delle Animeβ, rassicura la Parcak.
Anche le immagini satellitari ordinarie di Google Earth sono utili. Molti dei siti egizi contengono sepolti edifici in mattoni di fango che si sgretolano nel tempo e si mescolano con la sabbia o il limo. Quando piove, i suoli con i mattoni di fango trattengono lβumiditΓ piΓΉ a lungo e appaiono scoloriti nelle foto satellitari.
βIn passato, sarei saltato su una Land Rover e sarei andato a vedere un possibile sitoβ, dice Tony Pollard, direttore del Centre for Battlefield Archaeology presso lβUniversitΓ di Glasgow in Scozia. βOra, prima di fare questo, vado su Google Earthβ.
I magnetometri sono in grado di distinguere tra metalli sepolti, rocce e altri materiali in base alle differenze nel campo magnetico della Terra. I rilevamenti della resistivitΓ del terreno trovano invece gli oggetti in base alle variazioni della velocitΓ della corrente elettrica.
Dare una spolverata a vecchie ossa
Una volta che gli oggetti o le ossa sono riportati alla luce, gli archeologi possono consegnarli al laboratorio per unβanalisi forense che impressionerebbe qualsiasi agente di CSI. Le scansioni con tomografia computerizzata comunemente utilizzate in medicina hanno rivelato arterie bloccate in una principessa egizia che finΓ¬ mummificata 3.500 anni fa.
Questa tecnica Γ¨ stata usata per identificare le origini di decine di soldati trovati in una fossa comune di 375 anni in Germania. βAlcuni venivano dalla Finlandia, alcuni dalla Scoziaβ, dice Pollard.
βQuando ero un cattivo ragazzo e andai a fare archeologia invece di medicina, mia
madre pensΓ² che avrei speso tutto il mio tempo nel passatoβ, dice Thomas. βCiΓ² non potrebbe essere piΓΉ lontano dalla veritΓ ; facciamo tutto il possibile per tenerci al passo con la tecnologiaβ.
Per il momento la tecnologia non eliminerΓ il bisogno di scavare, dicono gli archeologi. Ma se quel giorno arrivasse, βlβarcheologia diventerebbe molto piΓΉ noiosaβ, afferma Pollard. E non Γ¨ il solo a pensarlo.
βVa molto bene usare le immagini satellitari, ma fino a quando non vai sul campo sei bloccato in laboratorioβ, conclude la Parcak. βΓ una costante nellβarcheologia; devi scavare ed esplorare.β
CittΓ del Vaticano-La necropoli di Santa Rosa, che fa parte della necropoli romana della via Triumphalis, Γ¨ una necropoli romana scoperta nel 2003 nella CittΓ del Vaticano durante i lavori per la realizzazione del parcheggio di Santa Rosa.Lo scavo, condotto dagli archeologi dei Musei Vaticani, ha portato alla luce circa quaranta edifici sepolcrali e piΓΉ di duecento sepolture singole, quasi tutte in ottimo stato di conservazione, tra cui il sarcofago di Publio Cesilio Vittorino (270-290), scolpito a bassorilievo, e la tomba a camera dei Passieni, contenente due are risalenti una all’etΓ di Nerone (54-68) e l’altra alla dinastia dei Flavi (69-96).
GAR- Sessione di scavo Villa Romana delle Colonnacce-
Franco Leggeri Fotoreportage-
Roma- 22 aprile 2017-I Volontari del Gruppo Archeologico Romano, capitanati dal Presidente del GAR -Dott. Gianfranco GAZZETTI e dallβArchitetto Valeria GASPARI, sono stati impegnati in una sessione di scavo a Castel di Guido, presso lβAzienda Agricola Comunale e OASI della LIPU, nella Villa Romana delle Colonnacce. La Villa Romana Γ¨ databile tra il III sec. a.C. e il III sec. d.C. ed Γ¨ costituita da strutture sia di epoca repubblicana sia imperiale.
Nota a margine del libretto di Cantiere-Erano presenti, come sempre , gli βstorici e miticiβ componenti del GAR- L&L- LUCA e LUIGI.
La descrizione della Villa Romana delle Colonnacce Γ¨ tratta ,
riassunto da Franco Leggeri, da un saggio-lezione della
Dott.ssa Daniela Rossi- Archeologa .
Castel di Guido- La Villa Romana Γ¨ del II-III secolo d.C. Γ¨ sita su di un pianoro allβinterno dellβAzienda agricola comunale di Castel di Guido. La Villa ha strutture di epoca repubblicana che sono le piΓΉ antiche e di epoca imperiale. La villa ha una zona produttiva di e la parte residenziale di epoca imperiale. La parte produttiva comprende lβaia o cortile coperto: il grande ambiente conserva le basi di tre sostegni per il tetto, mentre Γ¨ stato asportato il pavimento, al centro si trova un pozzo circolare. Vi Γ¨ una cisterna per la conservazione dellβacqua meteorica, allβinterno della cisterna si trovano le basi dei pilastri che sorreggevano il soffitto a volta. A giudicare dallo spessore dei muri e dei contrafforti si puΓ² desumere che avesse un altezza di circa 5 metri. Nellβambiente di lavoro si trovano un pozzo e la relativa condotta sotterranea. Torcular : sono due ambienti che ospitavano un impianto per la lavorazione del vino e dellβolio. Vi era un torchio collegato alle vasche di raccolta, mentre in un ambiente piΓΉ basso vi era lβalloggiamento dei contrappesi del torchio medesimo ed una cucina con contenitori in terracotta di grandi dimensioni (dolii). La parte residenziale ha un atrio, cuore piΓΉ antico dellβabitazione romana, in cui si conservava lβaltare dei Lari, divinitΓ protettrici della casa. Al centro vi Γ¨ una vasca ( compluvio) in marmo in cui si raccoglieva lβacqua piovana che cadeva da un foro rettangolare sito nel tetto (impluvio). Sale da pranzo, forse triclinari , ampie e dotate di ricchi pavimenti e di belle decorazioni affrescate sulle pareti. Cubicoli, stanze da letto . Vi erano dei corridoi che consentivano il transito della servitΓΉ alle spalle delle grandi sale da pranzo senza disturbare i commensali o il riposo dei proprietari. Il Peristilio o giardino porticato: era lβambiente piΓΉ amato della casa, di solito con giardino centrale ed una fontana. Dodici colonne sostenevano il tetto del porticato, che spioveva verso la zona centrale.
I volontari del GAR , scavano con perizia e recuperano frammenti, βi cocciβ, li puliscono,catalogano e , quindi, li trasportano nella sede di Via Contessa di Bertinoro 6, Roma -dove vengono restaurati e conservati . Nel 1976 la Soprintendenza Archeologica di Roma recuperΓ² preziosi mosaici e pregevoli pitture che sono ora esposti al pubblico nella sede del museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo. Se la Villa Γ¨ visitabile e ben conservata lo si deve allβottimo lavoro dellβArcheologo Dott.ssa Daniela Rossi che la si puΓ² definire βAmbasciatore e protettrice del Borgo romano di Lorium β.
N.B. Franco Leggeri- Socio GAR:βLa descrizione della Villa delle Colonnacce sono tratte da un saggio-lezione che la Dott.ssa Daniela Rossi ha tenuto nella sala grande del Castello nel Borgo di Castel di Guido il 18/04/09 .β
Per ulteriori informazioni si prega di contattare la segreteria del GAR:
Gruppo Archeologico Romano
Via Contessa di Bertinoro 6, Roma Tel. 06/6385256 info@gruppoarcheologico.it
Thriller, fantareligione, inchieste, ricerche, esoterismo, horror, viaggi nel tempo, cβΓ¨ di tutto in questo romanzo che raccoglie 60 anni di vita di un professore texano con la passione dellβarcheologia. Lo vediamo nel 1925 negli scavi a Megiddo per scoprire le scuderie del Re Salomone, nel 1945 a Napoli alla fine del secondo conflitto mondiale, nel 1965 in Messico in una sorta di ricerca sullβarcheologia dellβesistenza. Per finire, lβultimo racconto vede protagonista Kate, una sua ex allieva e ora professoressa nella sua stessa scuola di El Paso, che deve sconfiggere la maledizione della nipote di BelzebΓΉ. Nelson Bentham Mill, Γ¨ un personaggio inventato che rispecchia la tradizione biblista dei ricercatori statunitensi, racconta in prima persona la sua vita nei primi tre racconti; la sua Γ¨ una religione dei primordi, legata al mondo del mistero, calata dentro una realtΓ densa di sentimenti di amicizia, amore, passione, paura e sofferenze. Ma vi sono risvolti della camorra a Napoli e del narcotraffico in Messico, come fenomeni di contorno che entrano con la loro prepotenza e arroganza nelle storie.
Quarta di copertina
Il personaggio di Nelson, presente in questo romanzo, Γ¨ realmente esistito: Nelson Glueck vissuto dal 1900 al 1970, il quale per tutta la vita si Γ¨ speso per trovare conferme e prove archeologiche a conferma della Bibbia.
Ispirandosi al filone dell’archeologia americana, lβautore inventa un nuovo Nelson, stavolta Bentham Mills, del quale si racconta la vita nel periodo dal 1925 al 1965 attraverso viaggi avventurosi e fantastici, dall’esodo biblico, passando dall’esoterismo nazista durante il 1945, per finire alla ricerca di un gesuita scomparso nelle montagne nel 1965. Avventura, suspense, mistero, viaggi nel tempo, soprannaturale vissuto senza eccedere, cammino della fede, indagini, e altro in un romanzo originale che inserisce una vera “saga del personaggioβ che il lettore segue nella sua vita in tre avventure psico-religiose.
Con molti risvolti di contorno, la fede religiosa, tratti semplici di teologia, il paesaggio sociale, la realtΓ autentica come la camorra a Napoli o il narcotraffico in Messico
Si tratta quindi di romanzo che racconta tutta la vita del personaggio con un titolo inequivocabile. L‘autore, sin dall’inizio si pone le stesse domande del lettore, rispetto agli avvenimenti fantastici vissuti. Una lettura che non ha riscontri violenti che mantiene il giusto pathos che serve a raccontare e vivere le vicende, i cambi di scena con l’arcano che domina sempre. L’archeologia descritta parte dal Dio biblico punitivo dei primordi per arrivare al Dio che si fa amare, come indagine fondamentale dove si capisce il senso archeologico della vera religiositΓ .
La sua Γ¨ un archeologia dei primordi, piΓΉ ancestrale, piΓΉ legata al mondo del mistero. Un racconto che perΓ² divulga, assume informazioni reali, come reali sono gli scavi, i reperti, come reale Γ¨ la societΓ di contorno, i paesaggi aspri e meno contorti, i riferimenti biblici, le persone che si incontrano, i sentimenti e le passioni, le paure e le sofferenze.
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Prof.Carlo Franza-LβAppia consolare (Roma-Brindisi) madre di tutte le vie-
Eβ in Campania che staziona la bellissima mostra fotografica, non solo documentaria ma anche multimediale dal titolo βLβAppia ritrovata. In cammino da Roma a Brindisiβ; essa riscopre e racconta il percorso della prima grande via europea, da Roma a Brindisi, percorsa a piedi nellβestate 2015 da Paolo Rumiz, Riccardo Carnovalini, Alessandro Scillitani e Irene Zambon. Inaugurata a Roma nellβAuditorium, la mostra Γ¨ ospitata nel Museo Archeologico dellβantica Capua fino al 25 marzo 2017, rievocando la prima tappa del percorso della Regina viarum. La via consolare fu il tramite per diffondere i principi della civiltΓ romana, lo strumento che fisicamente collegΓ² il βcentro del Potereβ con i luoghi strategici della penisola. Appio Claudio nei cinque anni della sua censura tracciΓ² la via da Roma a Capua per 132 miglia. LβAppia fu il tracciato lungo il quale marciΓ² il temuto esercito romano, ma anche la via della condivisione, degli scambi culturali, dei traffici; ma Γ¨ stata anche la triste strada lungo la quale giungevano a Capua gli schiavi e i gladiatori, dove i 6.000 compagni di Spartaco vennero crocifissi atrocemente e simbolicamente esposti a moβ di monito. Ed Γ¨ sempre lo stesso selciato calcato da Paolo di Tarso e dai primi apostoli che, con la loro testimonianza, segneranno la fine dei culti pagani e delle religioni misteriche. Un ulteriore invito a visitare la mostra Γ¨ offerto da una selezione di iscrizioni, rilievi e sculture provenienti dalla cittΓ . Tra questi spicca la statua del Trittolemo, lβeroe ateniese che dispensava il dono dellβagricoltura allβumanitΓ , unico esemplare a tutto tondo finora noto, a simboleggiare la straordinaria fertilitΓ dellβAger Campanus.
Carlo Franza Γ¨ Nato nel 1949, due lauree conseguite all’UniversitΓ Statale La Sapienza di Roma. Allievo di Giulio Carlo Argan. Storico dell’Arte Moderna e Contemporanea, professore prima a Roma, poi a Torino, oggi a Milano.
ABBAZIA di FARFA- articolo del Prof.Fabrizio Sciaretta-
Lo confesso senza reticenze: scrivere di Farfa mi intimidisce, una sensazione che quando ho la penna in mano non mi capita mai. La paura Γ¨ quella di non riuscire a spiegare il grande fascino che questo luogo esercita su di me. Nel cercare dentro al mio sentire il motivo ultimo di questa difficoltΓ , credo che la risposta sia in un fatto incontrovertibile: lβ Abbazia di Farfa Γ¨ stata per secoli, nello stesso momento, luogo di santitΓ e di potere, di preghiera e di comando.
Di Farfa mi affascina il VI secolo d.C. in cui sorge: lβimpero romano era ormai crollato, disperso, e la civiltΓ che esso incarnava a rischio di sopravvivenza. Tra queste rovine fumanti, Farfa sorge e β come altre grandi Abbazie in Europa β diventa guida per una societΓ che con le unghie ed i denti si oppone allβannientamento. Se non fosse stato per lβopera delle comunitΓ monastiche ciΓ² che abbiamo salvato delle civiltΓ greca e romana β che Γ¨ tanto ma nel contempo solo una parte di quanto esse avevano prodotto β sarebbe probabilmente nulla o quasi e noi saremmo tutti infinitamente piΓΉ poveri. Rapidamente lβ Abbazia di Farfa diviene potente anzi potentissima. E cosΓ¬ coniuga la santitΓ dei suoi fondatori (San Lorenzo Siro prima e San Tommaso da Moriana poi) con la mondanitΓ del governo di un sistema economico ampio, complesso e territorialmente vastissimo. Ma Γ¨ proprio quel potere economico che, nei secoli βbuiβ, le consente di difendere e diffondere la Parola di Dio, cioΓ¨ la nostra stessa civiltΓ . Diviene addirittura Abbazia Imperiale, cioΓ¨ sottoposta allβImperatore e non al Papa (sebbene disti qualche ora di cavallo da Roma) e Carlo Magno β il grande βlaicoβ a cui dobbiamo la rinascita dellβidea stessa di Europa β vi si reca sulla via per Roma in quel Natale dellβ800 che lo vedrΓ incoronato Imperatore del Sacro Romano Impero da Papa Leone III. Un titolo, quello di imperatore, che nessuno aveva mai piΓΉ portato in Occidente da quel 476 che vide la fine di Romolo Augustolo e dellβImpero Romano.
Lβ Abbazia di Farfa Γ¨ capace di resistere ad ogni genere di βoffesaβ: i saraceni che nel IX secolo devastarono la Sabina e poi le lotte con le famiglie di una nascente aristocrazia romana che tra il X e lβXI secolo dominavano la scena della CittΓ Eterna. Ma lβAbbazia rimane grande fino a tutto il XII secolo: seicento anni di storia tra Fede e potere.
Abbiamo detto dei due Santi a cui si deve la fondazione e rifondazione di Farfa, ma tutti coloro che si occupano della Sabina e della sua storia venerano β mi si passi il termine β anche un altro grande monaco farfense: quel Gregorio da Catino il quale, a cavallo tra lβXI ed il XII secolo, analizza, classifica, sintetizza e dona alla storia la testimonianza di migliaia di documenti relativi alle proprietΓ , alle donazioni, ai privilegi dellβAbbazia di Farfa ed alla sua storia.
Le sue opere si chiamano Regestum Farfense, Liber largitorius, Chronicon farfense, Liber floriger e non sono solo una testimonianza incredibile ed inestimabile di grandi fatti e rapporti storici (si pensi solo che il documento piΓΉ antico Γ¨ la lettera del 705 del Duca di Spoleto Faroaldo II al Pontefice Giovanni VII) ma anche una βpuntigliosaβ raccolta di atti relativi alle rocche, ai casali, alle terre della Sabina che ci permette di datare e ricostruire le origini, e spesso anche lβevoluzione, delle comunitΓ sabine di oggi su cui altrimenti si distenderebbe il buio piΓΉ totale. Come faremmo senza il nostro grande amico Gregorio ?
Oggi β tramontati i secoli in cui Farfa possedeva il potere di un vero e proprio stato β lβAbbazia Γ¨ un luogo di immensa spiritualitΓ : vi regna il silenzio ed una assoluta e totalizzante sacralitΓ . Se la vostra sarΓ una visita domenicale, la Santa Messa nella basilica β in cui le testimonianze dellβarte medievale si fondono con quelle del rinascimento β Γ¨ unβesperienza di forte emotivitΓ e la chiave che consentirΓ di aprire un rapporto di consonanza con questo luogo affascinante. Abbazia di Farfa: Appunti di Storia
Ripercorrere compiutamente il commino attraverso i secoli richiederebbe ben altri spazi. Qui di seguito, solo alcune date salienti per avere unβidea delle βpietre miliariβ nella vita dellβAbbazia.
la tradizione vuole che San Lorenzo Siro, monaco orientale venuto in Italia allβepoca delle persecuzioni dellβimperatore dβoriente Anastasio (491-518), abbia fondato lβAbbazia su quanto restava di una precedente villa romana
distrutta intorno al 592 dal duca di spoleto longobardo Ariulfo, viene ricostruita alla fine del VII secolo da monaci della Savoia guidati da San Lorenzo di Morienne nel VIII secolo, sotto la protezione dei Longobardi, prospera e cresce. Nel 774 lβabate Probato, nel momento dello scontro tra Longobardi e Franchi si schiera con questi ultimi mettendosi sotto la protezione di Carlo Magno il quale concede allβAbbazia il privilegio di essere autonoma da ogni altro potere civile e religioso ed assoggettata al solo imperatore
continua lβascesa dellβAbbazia che, addirittura, opera una sua nave da trasporto la quale gode dellβesenzione dai dazi in tutti i porti dellβImpero. Lβabate Sicardo (830-842) erige la Basilica Carolingia, lβOratorio del Salvatore e fortifica in modo possente il complesso dellβAbbazia stessa
lβimpero franco entra in crisi e nellβ890 i saraceni invadono la Sabina. LβAbbazia Γ¨ assediata, resiste sette anni ma alla fine i monaci sono costretti ad abbandonare Farfa. I saraceni la saccheggiano ma Gregorio da Catino ci racconta che Γ¨ per colpa di una banda di βlatrunculi localiβ se lβAbbazia, probabilmente in modo involontario, subisce un devastante incendio
i monaci tornano a Farfa con lβabate Ratfredo, dal 911 ma sono anni di instabilitΓ sia interna che esterna caratterizzati da contrasti con alcune grandi famiglie romane, tra le quali i Crescenzi, che portano ad una fase di debolezza ed alla perdita di possedimenti
nel 966 viene eletto Abate Giovanni III che rimane in carica trentβanni consentendo a Farfa di tornare quella di un tempo. Nel 996 lβimperatore Ottone III la visita e successivamente (sotto lβAbate Ugo) le concede il privilegio di eleggere autonomamente il proprio abate. Farfa torna ad essere pienamente Abbazia Imperiale
lβXI secolo Γ¨ caratterizzato dal conflitto tra impero e papato intorno alla cosiddetta βlotta per le investitureβ. Quando Enrico V riconferma (come erano soliti fare gli imperatori quando salivano al trono) nel 1118 allβAbbazia le sue proprietΓ , questi si estendono in numerose aree dellβItalia Centrale
nel 1122 il Concordato di Worms segna una tregua nel conflitto tra papato ed impero ma anche dellβautonomia di Farfa ed il suo passaggio sotto il controllo di Roma-
il XII e XIII secolo sono un periodo non felice nella storia dellβAbbazia dovuto anche agli attacchi che il suo patrimonio subiva da parte delle famiglie aristocratiche romane in continua lotta tra di loro
nel 1400 Papa Bonifacio IX istituisce per Farfa la figura dellβAbate Commendatario, il quale aveva la gestione del patrimonio dellβAbbazia. In tale ruolo, si alternarono prelati provenienti da casate di prima importanza: nel 1496, il Cardinale Giovan Battista Orsini completa il restauro dellβAbbazia
nel 1567, Farfa entra a far parte della Congregazione Cassinese
nel 1798 Farfa Γ¨ saccheggiata dalle truppe napoleoniche e, nel 1861, viene confiscata, in quanto bene ecclesiastico, dallo stato italiano. Superati anche questi momenti, dal 1921 lβAbbazia con appartiene alla comunitΓ benedettina di S. Paolo fuori le Mura
nel 1928, a testimonianza del suo valore storico, artistico e spirituale, lβAbbazia di Farfa Γ¨ dichiarata Monumento Nazionale
Abbazia di Farfa β La Visita
Il Borgo di Farfa Γ¨ liberamente accessibile ai visitatori cosΓ¬ come la Basilica che Γ¨ solitamente aperta durante il giorno. La visita allβintero complesso dellβAbbazia Γ¨ invece possibile solo se Γ¨ possibile solo se accompagnati dal personale addetto ed Γ¨ consigliata la prenotazione. Informazioni, prenotazioni, visite guidate per singoli e gruppi sono ottenibili ai seguenti recapiti:
Prof.Fabrizio Sciaretta-Laureato in Economia alla LUISS e Master in Business Administration della Carnegie Mellon University di Pittsburgh, Fabrizio Sciarretta ha dedicato i primi anni della sua attivitΓ professionale al giornalismo economico. Rientrato dagli Stati Uniti, ha operato per circa un ventennio nella consulenza di organizzazione e direzione aziendale, ricoprendo incarichi di top management in Italia per due multinazionali americane del settore. Ha poi scelto la strada dellβimpresa e da alcuni anni Γ¨ impegnato come imprenditore nel settore della sanitΓ . Eβ consigliere dβamministrazione di SanaRes, la prima rete dβimprese italiana nel comparto sanitario. Lion da sempre, Γ¨ stato presidente fondatore del Lions Club Roma Quirinale. Nel 2008 ha abbandonato la Capitale in favore della Sabina, e non se ne Γ¨ pentito affatto.
CITTADUCALE- chiesa sommersa Santa Maria di San Vittorino
La chiesa di Santa Maria di San Vittorinola si vuole sorta sui resti di un tempio pagano, sul luogo dove fu martirizzato San Vittorino, e nasce dalla radicale ristrutturazione di una chiesa piΓΉ antica operata dai vescovi de Padilla e Quintavalle, tra il 1606 e il 1613, per mano del mastro lombardo Antonio Trionfa di Domodossola βde villa Roscie de Val de Premiaβ, definito nei documenti scarpellinus. Lβimponente chiesa, a croce greca, un tempo coperta da volte e piccola cupola centrale, Γ¨ scandita in altezza da un alto cornicione che corre per tutto il perimetro interno. Γ ora uno scenografico rudere invaso dallβacqua: la chiesa venne infatti costruita tra due sorgenti ma, agli inizi dellβ800, il loro spostamento andΓ² a coincidere con lβarea interna dellβedificio. I crolli piΓΉ importanti si verificarono negli anni ottanta del β900. La Salaria gli corre alle spalle, e la bella facciata barocca in travertino, rivolta a est, guarda la piana: Γ¨ articolata in uno pseudo pronao lievemente aggettante, e aperta da tre portali, mentre il timpano di coronamento Γ¨ crollato. Si legge la data del 1608 sul portale centrale, e quella del 1613 sul fregio del cornicione che divide la fronte in due ordini. Lβedificio Γ¨ ormai fuori asse e semisommerso per circa due metri e mezzo.
La chiesa di Santa Maria in Vittorino, meglio nota come chiesa di San Vittorino, Γ¨ un edificio religioso diroccato situato nei pressi delle Terme di Cotilia, nel comune di Cittaducale in provincia di Rieti. Γ nota anche come “la chiesa sommersa”, “la chiesa nell’acqua” o “la chiesa che sprofon da”.Descrizione
La chiesa si trova al km 88,1 della Via Salaria, nella piccola frazione San Vittorino del comune di Cittaducale, a breve distanza dalle Terme di Cotilia.
Γ posta all’interno della Piana di San Vittorino (da cui prende il nome di Santa Maria “in Vittorino”): un territorio dove si trovano molte sorgenti mineralizzate e sono frequenti fenomeni carsici come i sinkhole (sprofondamenti improvvisi del terreno).
L’edificio Γ¨ diroccato, non ha piΓΉ il tetto ed Γ¨ parzialmente sprofondato nel terreno. Sono ancora in piedi le mura perimetrali e in particolare la monumentale facciata in calcare giallo.[1] Il suo interno Γ¨ allagato da una sorgente sotterranea che sgorga nel pavimento, con l’acqua che defluisce per mezzo del portale d’ingresso nella campagna circostante.
L’interno, a tre navate, ospitava diverse opere d’arte. Tra queste sopravvivono un bassorilievo dell’Annunciazione e una fonte battesimale (entrambi risalenti al XIV secolo e conservati nella cattedrale di Cittaducale),[2] un affresco (conservato al museo diocesano di Rieti) e l’altare in pietra (collocato nel cortile del centro anziani di Cittaducale).[1]
Storia
Il tempio pagano
La piana di San Vittorino, per via degli evidentissimi fenomeni carsici che vi avvengono, nell’antichitΓ era considerata punto di accesso agli inferi e pertanto era sin da allora un luogo di pellegrinaggio e di devozione. Infatti giΓ in epoca preromana i Pelasgi e i Sabini, forse testimoni dell’impressionante sprofondamento che diede origine al Lago di Paterno, ritenevano quel territorio sacro e vi compivano sacrifici. La zona mantenne la sua sacralitΓ anche presso i romani (tanto che Varrone la definΓ¬ Umbilicus Italiae), e in tale epoca acquisΓ¬ ulteriore importanza grazie allo sfruttamento delle sorgenti nell’impianto termale di Cutilia.
In epoca romana, al posto dell’attuale chiesa, si trovava un tempio dedicato alle ninfe dell’acqua,[2] sorto nei pressi di una sorgente considerata sacra.
La tradizione pagana della sacralitΓ di tale sorgente non finΓ¬ con l’avvento del cristianesimo ed Γ¨ sopravvissuta fino ai giorni nostri: ancora oggi gli abitanti del luogo venerano una madonna ospitata in un’edicola sulla parete esterna della chiesa diruta, e attribuiscono miracolosi poteri curativi all’acqua che sgorga dal pavimento.[3]
La costruzione della chiesa
L’edificazione della chiesa sui resti dell’antico tempio pagano si deve al fatto che, proprio in quel luogo, nel 96 d.C. subΓ¬ il martirio san Vittorino di Amiterno.[1] Il santo fu appeso a testa in giΓΉ su una sorgente sulfurea e morΓ¬ dopo tre giorni, avvelenato dalle emissioni gassose di acido solfidrico provenienti dalla fonte.[4]
Sembra che, giΓ nel IV secolo, nel luogo del martirio del santo sorgesse una piccola cripta, che per un certo periodo ospitΓ² il sepolcro del santo;[4] nel secolo successivo il suo corpo fu trafugato e trasportato nella chiesa di San Michele Arcangelo, ad Amiterno.[4] La piccola cripta lasciΓ² il posto ad una chiesa vera e propria solo diversi secoli piΓΉ tardi, tra il Trecento e il Quattrocento; Γ¨ in quel periodo che fu eretta la chiesa di San Vittorino.[2]
L’aspetto attuale della chiesa risale a dei lavori di ampliamento che, come riporta un’iscrizione ancora leggibile sulla facciata, iniziarono nel 1608 e furono completati nel 1613.[2] L’intervento di rifacimento fu voluto dal vescovo di Cittaducale, Pietro Paolo Quintavalle,[1] ed Γ¨ attribuito da alcuni all’architetto romano Giovanni Battista Soria[5] mentre da altri al domese Antonio Trionfo.[4] Divenne in breve tempo una delle piΓΉ importanti chiese di Cittaducale.[2]
Tuttavia nell’Ottocento il terreno su cui era stata costruita iniziΓ² a sprofondare e una sorgente sotterranea emersa dal pavimento allagΓ² la chiesa, che pertanto dovette essere abbandonata.[2] L’improvviso sinkhole fu dovuto alla superficialitΓ della falda nel terreno dove la chiesa fu fondata (posta a soli 90 cm dal piano di campagna),[6] e probabilmente innescato dal terremoto del 1703.[7]
Dopo oltre un secolo di abbandono, il terremoto del 1979 causΓ² il crollo del tetto della chiesa. Nel gennaio del 1988 la provincia di Rieti avviΓ² l’esecuzione di lavori urgenti per rallentare l’inabissamento ed evitare ulteriori crolli.[8] All’intervento doveva seguire il recupero completo dell’edificio, che tuttavia non venne mai eseguito. La chiesa Γ¨ tuttora abbandonata e continua lentamente a sprofondare.
Nel cinema
Per il carattere suggestivo e surreale del luogo, nel 1983 il regista sovietico Andrej Tarkovskij lo scelse per girare una scena del film d’essaiNostalghia. Nella scena il protagonista, dopo un lungo vagabondare solitario, entra nella chiesa dove incontra una bambina e riflette sul valore della felicitΓ , tra la lettura di un libro e bicchieri di liquore; infine il protagonista incendia il libro e si addormenta nella chiesa.[9]
Β· Andrea Del Vescovo, San Vittorino di Amiterno, su enrosadira.it. URL consultato il 19 agosto 2017.
^Storia di Cittaducale, su webalice.it. URL consultato il 10 giugno 2017 (archiviato dall’url originale il 20 maggio 2017).
^Prone area: Piana di Cotilia – Peschiera, su Italiav Web Sinkhole Database, 31 agosto 2011. URL consultato il 6 luglio 2016 (archiviato dall’url originale il 15 ottobre 2012).
^ Giuseppina Giangrande, Una liberata, un’altra ingabbiata (PDF), in Frontiera, n. 2, Diocesi di Rieti, 16 gennaio 1988, p. 24. URL consultato il 31 maggio 2020.
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