Caravaggio ritovato a Castel San Pietro di Poggio Mirteto in Sabina
Biblioteca DEA SABINA
POGGIO MIRTETO-CASTEL SAN PIETRO
Caravaggio e il paesaggio ritrovato … in Sabina a Castel San Pietro.
-Articolo scritto dal Dott. Enrico Galantini Novi Lena-
La scorsa settimana ho frequentato molto Castel San Pietro, minuscolo paese sulle balze dei Monti Sabini. In questi giorni, googlando Castel San Pietro, ho trovato una notizia, uscita qualche mese fa, che mi ha intrigato e che voglio condividere. E la notizia è questa: uno dei pochi paesaggi (se non l’unico) raffigurati in un quadro di Caravaggio, riguarda proprio Castel San Pietro. Il quadro è il Sacrificio d’Isacco, la versione custodita oggi agli Uffizi, datato dagli storici dell’arte al 1603.
La scoperta è di un architetto, Enzo Pinci, che tra l’altro è proprietario di parte del castello, ed è stata presentata appunto a settembre in una conferenza stampa alla quale hanno partecipato anche storici dell’arte come Claudio Strinati. Le foto lasciano adito a pochi dubbi: Se poi pensiamo che nei primi del 600 il castello era di quei Mattei che negli stessi anni proteggevano il pittore lombardo (che visse anche nel palazzo di via Caetani e che per i principi romani dipinse più opere), i possibili dubbi diminuiscono. E il panorama Caravaggio deve averlo visto dal vivo, venendo cioè in Sabina, visto che il paesaggio dipinto, spiega Pinci, testimonia di un cantiere in corso, come si evince “dalla rappresentazione della copertura in tela oleata che veniva usata nei cantieri dell’epoca”.
Insomma, Michelangelo Merisi da Caravaggio, tra i suoi tanti viaggi, ne fece assai probabilmente anche uno (piccolo) dalle nostre parti. Come sabino acquisito, e appassionato da sempre di Caravaggio, l’idea m’intriga. Me lo immagino arrivare a cavallo da Roma, per riposarsi o per scappare da qualche nemico (o dalla giustizia), girare un po’ nei dintorni, annoiarsi della quiete locale, prima di tornare alla sua vita turbinosa nella capitale.
Dicevo prima del quadro come della versione degli Uffizi. Quella più famosa e storicamente documentata. Che da quasi subito (dal 1608) è attestata nella collezione del cardinale Maffeo Barberini, poi papa con il nome di Urbano VIII. Perché poi ce n’è un’altra, di tela, che è saltata fuori alla fine degli anni 80 (mi ricordo di averla vista in una mostra negli anni 90) e sta in America, a Princeton, nella collezione Piasewska-Johnson.
Secondo Mina Gregori, questa versione è antecedente e dovrebbe essere datata agli ultimi anni del 1500. Io, a naso, l’avrei detta più tarda, visto il fondo nero e la potenza del chiaroscuro. Ma la Gregori, nel catalogo della mostra di cui dicevo, argomenta dottamente e anche in maniera convincente la sua datazione.
Un’osservazione: Caravaggio dipingeva sempre “dal vero”, servendosi di modelli: in questa tela sembra utilizzare curiosamente lo stesso modello per Isacco e per l’angelo (le chiome sono diverse e i profili opposti, ma l’insieme di naso-bocca-mento mi pare inequivocabile).
La qualità della pittura è comunque eccelsa, con un impatto su chi guarda certo più forte rispetto all’altra tela. Uno scontro tra giganti, comunque. Anzi, tra opere dello stesso gigante.
Articolo scritto dal Dott. Enrico Galantini Novi Lena