Buon compleanno a Giuseppe Ungaretti nato il 08/02/1888-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
Buon compleanno a Giuseppe Ungaretti nato il 08/02/1888
“Non voglio che molti sappiano
ch’io ho scritto; voglio che qualcuno mi ami.”
– La tua luce-
Scompare a poco a poco, amore, il sole
Ora che sopraggiunge lunga sera.
Con uguale lentezza dello strazio
Farsi lontana vidi la tua luce
Per un non breve nostro separarci.
In Ungaretti vibrano i grandi interrogativi dell’uomo con una chiarezza e un’urgenza che lo assimilano certamente a Leopardi perché anche di fronte al dolore più insensato, come la morte di un figlio, riuscì a mantenere viva la speranza, segno di un cuore sempre indomito e guerriero. Fu un poeta straordinario, Ungaretti, e la sua influenza sulle generazioni successive fu profonda. Francesco Flora quasi non si rassegnava al fatto che la poesia di Allegria – insieme delle sue prime raccolte – funzionasse, cosciente di quanto fosse pericolosa l’operazione di una improvvisa rottura con ogni forma di tradizione poetica italiana. Ma Ungaretti non fu mai imitatore di se stesso: il suo stile cambiò, sempre seguendo il suo cuore indomito e il suo spirito guerriero. Infatti, nel giorno del suo ottantesimo compleanno, Ungaretti, tracciando un bilancio della sua vita, affermò: «Sono stato un uomo della speranza; anzi, il soldato della speranza».
Da “L’allegria”
Agonia
Morire come le allodole assetate sul miraggio
O come la quaglia passato il mare nei primi cespugli perché di volare non ha più voglia
Ma non vivere di lamento come un cardellino accecato
Veglia Cima Quattro il 23 dicembre 1915
Un’intera nottata buttato vicino a un compagno massacrato con la sua bocca digrignata volta al plenilunio con la congestione delle sue mani penetrata nel mio silenzio ho scritto lettere piene d’amore
Non sono mai stato tanto attaccato alla vita
Fratelli Mariano il 15 luglio 1916
Di che reggimento siete fratelli?
Parola tremante nella notte
Foglia appena nata
Nell’aria spasimante involontaria rivolta dell’uomo presente alla sua fragilità Fratelli San Martino del Carso Valloncello dell’Albero Isolato il 27 agosto 1916
Di queste case non è rimasto che qualche brandello di muro
Di tanti che mi corrispondevano non è rimasto neppure tanto
Ma nel cuore nessuna croce manca
E’ il mio cuore il paese più straziato Allegria di naufragi Versa il 14 febbraio 1917
E subito riprende il viaggio come dopo il naufragio un superstite lupo di mare
Mattina Santa Maria La Longa il 26 gennaio 1917
M’illumino d’immenso.
Soldati Bosco di Courton luglio 1918
Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie.
La madre 1930
E il cuore quando d’un ultimo battito Avrà fatto cadere il muro d’ombra, Per condurmi, Madre, sino al Signore, Come una volta mi darai la mano.
In ginocchio, decisa, Sarai una statua davanti all’Eterno, Come già ti vedeva Quando eri ancora in vita.
Alzerai tremante le vecchie braccia. Come quando spirasti Dicendo: Mio Dio, eccomi.
E solo quando m’avrà perdonato, Ti verrà desiderio di guardarmi.
Ricorderai d’avermi atteso tanto, E avrai negli occhi un rapido sospiro.
Dove la luce 1930
Come allodola ondosa Nel vento lieto sui giovani prati, Le braccia ti sanno leggera, vieni. Ci scorderemo di quaggiù, E del mare e del cielo, E del mio sangue rapido alla guerra, Di passi d’ombre memori Entro rossori di mattine nuove.
Dove non muove foglia più la luce, Sogni e crucci passati ad altre rive, Dov’è posata sera, Vieni ti porterò Alle colline d’oro.
L’ora costante, liberi d’età, Nel suo perduto nimbo Sarà nostro lenzuolo
Sentimento del tempo 1931
E per la luce giusta, Cadendo solo un’ombra viola Sopra il giogo meno alto, La lontananza aperta alla misura, Ogni mio palpito, come usa il cuore, Ma ora l’ascolto, T’affretta, tempo, a pormi sulle labbra Le tue labbra ultime.
Da “Il dolore” Giorno per giorno 1940-1946
4 Mai, non saprete mai come m’illumina L’ombra che mi si pone a lato, timida, Quando non spero più…
7 In cielo cerco il tuo felice volto, Ed i miei occhi in me null’altro vedano Quando anch’essi vorrà chiudere Iddio…
8 E t’amo, t’amo, ed è continuo schianto
9 Inferocita terra, immane mare Mi separa dal luogo della tomba Dove ora si disperde Il martoriato corpo… Non conta… Ascolto sempre più distinta Quella voce d’anima Che non seppi difendere quaggiù… M’isola, sempre più festosa e amica Di minuto in minuto, Nel suo segreto semplice…
13 Non più furori reca a me l’estate, Né primavera i suoi presentimenti; Puoi declinare, autunno, Con le tue stolte glorie: Per uno spoglio desiderio, inverno Distende la stagione più clemente!… |
Biografia di Giuseppe UNGARETTI-Poeta italiano, nasce ad Alessandria d’Egitto, l’8 febbraio 1888, da genitori lucchesi, colà emigrati, perché il padre Antonio lavorava come sterratore al canale di Suez. Frequenta l’École Suisse Jacot e si forma sui classici francesi: Baudelaire e Mallarmé soprattutto. Stringe amicizia con Enrico Pea e i fratelli Thuile; con Kavàfis e Zervos (il gruppo di “Grammata”). Nel 1912 U. migra a Parigi, si iscrive alla Sorbona (tesina su Maurice de Guérin con Strowski; segue i corsi di Bergson al Collège de France). Si lega ai futuristi italiani a Parigi – le sue prime poesie appariranno nel 1915 su Lacerba – ma anche ad Apollinaire, Paul Fort, Léger. Nel 1914 rientra in Italia e si arruola come volontario, soldato semplice, sul Carso. Nasce Il Porto Sepolto, stampato a Udine nel 1916. Finita la guerra, pubblica, per impulso di Papini, Allegria di naufragi, presso Vallecchi, 1919. Sposa Jeanne Dupoix, 1920. Si trasferisce a Roma nel 1921, una Roma barocca e cattolica, che fa da sfondo al Sentimento del Tempo, 1933. Nel 1936 si stabilisce a San Paolo del Brasile, ove gli è stata offerta la cattedra di Lingua e letteratura italiana presso l’università. Nel 1937 muore il fratello, nel 1939 il figlio Antonietto; nel 1942 rientra in Italia, ove è nominato “per chiara fama” titolare della prima cattedra di Letteratura italiana contemporanea presso l’università di Roma. Dai lutti privati e collettivi nasce l’esperienza del Dolore, 1947. Dalla vicenda di barbarie della seconda guerra mondiale sorge più alta l’esigenza di raccogliere, nella meditazione dei classici, la memoria della dignità e della tragedia di essere uomini: saranno le mirabili traduzioni dei 40 Sonetti di Shakespeare, delle Visioni di Blake, della Fedra di Racine, delle poesie di Gongora e Mallarmé, dell’Eneide e delle “Favole indie della genesi”. Potrà così compiersi il viaggio e l’ultima ‘mira’: La Terra Promessa, 1950 e Il Taccuino del vecchio, 1960; rielabora poi, ‘a lume di fantasia’, le prose d’arte e di viaggio: Il Deserto e dopo, 1961. Raffinato esercizio di autoesegesi e di poetica sono le quattro lezioni, tenute nel 1964 alla Columbia University, New York, sulla Canzone. Muore a Milano nella notte fra il 1° e il 2 giugno 1970, già accolti, a Capodanno, “Gli scabri messi emersi dall’abisso”, in una poesia che sempre “torna presente pietà” (L’impietrito e il velluto). L’opera di U. è oggi riunita nei volumi Vita d’un uomo. Tutte le poesie (a cura di L. Piccioni, 1969); Vita d’un uomo. Saggi e interventi (a cura di M. Diacono e L. Rebay, 1974); Vita d’un uomo. Viaggi e lezioni (a cura di P. Montefoschi, 2004). Alla conoscenza del laboratorio giovanile ungarettiano ha contribuito il vol. di Poesie e prose liriche. 1915-1920 (a cura di C. Maggi Romano e M. A. Terzoli, 1989), autografi ritrovati, con le lettere, tra le carte di Papini. In ed. crit. sono apparsi: L’allegria (a cura di C. Maggi Romano, 1982) e Sentimento del tempo (a cura della stessa e di R. Angelica, 1988).
“Amo le mie ore di allucinazione […]. Anche le mie ore di randagio, d’immaginario perseguitato in esodo verso una terra promessa” (G. Ungaretti, lettera a G. Papini del 25 luglio 1916 dalla zona di guerra). Introdurre al Porto Sepolto (1916) con una citazione che presenta il nomade già in viaggio, in esodo, verso una Terra promessa, significa proporre la visione non già di un incipit, ma di un’origine, sempre ricercata e sempre più lontana; attestare non tanto un”opera prima’, ma il nucleo generatore più fecondo dei grandi miti ungarettiani di “riconoscimento” e di “quête” sino – appunto – alla Terra Promessa.
Così, al compimento del proprio percorso di poetica Ungaretti raggiungerà – poeta europeo – i modelli che l’avevano accompagnato, sin dalla Jeune Parque, 1917, di Paul Valéry o dalla Waste Land, 1922, di Eliot ove già si figura nel “drowned Phoenician Sailor” il “Piloto vinto d’un disperso emblema” del Recitativo di Palinuro. E, più ancora, affiora la recente esperienza dei Four Quartets, 1936-42, ove “Moves perpetually in its stillness”, – perpetuamente muove nella sua quiete – il desiderio di forma: “effimero / Eterno freme in vele d’un indugio” (Cori […] di Didone, VIII).
Come nel suo Petrarca, il Triumphus Eternitatis sarà assorbito dal buio nella notte dell’ossimoro: “Mi fanno più non essere che notte, / Nell’urlo muto, notte” (Ultimi Cori per la Terra Promessa, 12; dal Taccuino del Vecchio, 1960), nell’afono vuoto: “Che, dal fondo di notti di memoria, / Recuperate, in vuoto / S’isoleranno presto, / Sole sanguineranno” (ivi, 12). La poesia dell’ultimo Ungaretti si colloca accanto alle voci più nude della desolazione, come quella di Celan, che tradurrà mirabilmente La Terra Promessa (Das verheissene Land) e il Taccuino del Vecchio (Das Merkbuch des Alten). Anche quando non rimanga che “dondolo del vuoto” (L’impietrito e il velluto, 1970), deserto e Lösspuppen, crisalidi di Loess e “impalpabile dito di macigno”, pure, per memoria di forma, il ritorno è, sempre, istante possibile: “Petrarca / ist wieder / in Sicht” (Celan), “Fulmineo torna presente pietà” (L’impietrito e il velluto, clausola), nell’eterno bagliore / abbaglio di illuminazione e miraggio: “Incontro al lampo dei miraggi / Nell’intimo e nei gesti, il vivo / Tendersi sembra sempre” (Monologhetto). L’eterno Ist wieder: è di ritorno, nuovamente, nostra unica eternità, memoria di poesia che rinnova ricreando, unico e solo “diritto di ritorno” – “zurück – und zurückreicht” – che sempre ci resta:
E nel silenzio restituendo va,
A gesti tuoi terreni
Talmente amati che immortali parvero,
Luce.
(Ungaretti, Segreto del poeta).
Und in der Stille
deinen Erden-Gesten
– so sehr geliebt, daß sie mir
[unsterblich schienen –
zurück – und zurückreicht:
Licht.
(Celan, Dichters Geheimnis).
Fonte – Enciclopedia on line -TRECCANI