Biagio Carrubba -Giacomo Leopardi “ALLA SUA DONNA”
Professore Biagio Carrubba
-Introduzione alla poesia di Giacomo Leopardi “ALLA SUA DONNA” (Canzone n. XVIII) –
La poesia “ALLA SUA DONNA” fu composta da Leopardi nel settembre 1823 quando perdurava ancora la delusione del viaggio che il giovane Leopardi fece a Roma (novembre 1822 – maggio 1823) e quando l’aridità poetica diventava sempre più duratura. Ultima delle dieci canzoni pubblicate in B 24, ebbe il posto definitivo al numero 18 (forse perché sentita, come spiega il Fubini, come sintesi delle Canzoni e degli Idilli). E secondo me, Biagio Carrubba, è incontestabile che la poesia è aspra, cerebrale, razionale, tutta costruita sul sentimento della disperazione e della rabbia per la perduta vena poetica che non c’era più. Allora, credo che Leopardi cominciò a cercare un qualcosa che potesse sostituire la vena poetica e si rifugiò nell’eterna idea della bellezza femminile, dato che non aveva una donna bella, reale e concreta da amare. Lo spunto per scrivere questa poesia glielo diede il breve scambio epistolare con il giovane letterato belga A.M.Jacopssen a cui Leopardi rispose nella lettera del 2 giugno del 1823 dicendo, per l’appunto, che: “nell’amore, tutte le gioie che provano gli amanti volgari, non valgono il piacere che può dare un solo istante di incanto e di emozione profonda”. Allora conclude Ugo Dotti: “Le cinque strofe della canzone sono appunto la traduzione poetica di questo incanto, di questo ravissement conquistato con la sola immaginazione e la sola contemplazione di ciò che, almeno, in apparenza “non esiste” (da Giacomo Leopardi – Canti – a cura di Ugo Dotti – Feltrinelli Editore – pag. 68).
La poesia, dunque, pur nella sua brevità e aridità sentimentale, mi piace perché constato come il Leopardi non finiva mai di ricercare quel Principio Metafisico che dona tranquillità al continuo affannarsi delle inquietudini metafisiche dell’esistenza degli uomini. Leopardi, in questa poesia, si rivolge all’eterna bellezza femminile e quindi all’amore che da essa nasce per le donne reali e che rende la vita degli uomini più bella, tanto che: “la vita mortale sarebbe con essa simile a quella di Dio” (vv. 32 – 33) e tanto che questa idea perfetta della bellezza riesce a farlo svegliare dalla sua infelicità e a fargli ritornare a palpitare il cuore e a farlo di nuovo sperare. Ora io, Biagio Carrubba, penso che Leopardi, umanamente, avesse ragione a lamentarsi della sua condizione fisica e della sfortuna che gli erano state imposte dalla natura e lo avevano costretto a vivere con un corpo poco bello e pieno di malanni; ma io credo, anche, che, nella sua sfortuna esistenziale, Leopardi è stato anche fortunato perché è diventato il sublime poeta che sarà immortale nei secoli e a cui noi dobbiamo tanta gratitudine per la bellezza poetica che ha profuso nei suoi Canti. Infatti c’è tanta altra gente che sta peggio di lui, perché oltre ad essere sofferenti fisicamente non possono, non avendo la fortuna di essere poeti, far sentire la loro voce e muoiono soli e dimenticati da tutti. Ed io penso che Leopardi non è stato soltanto il grande poeta che ha saputo esprimere la sua protesta contro l’indifferenza degli dei e contro la natura, madre matrigna, ma è stato soprattutto il grande lirico degli infelici, degli andicappati e degli sfruttati della vita, ma che ha saputo esprimere, in modo elegiaco e fermo, il dolore e l’amarezza per la vita che se ne va, impercettibilmente ed invisibilmente, ogni giorno. Ma, incredibilmente e paradossalmente, Leopardi, tanto più invoca la morte, quanto più fa apprezzare la vita, che rimane il bene più prezioso, più delicato e più fragile che ogni uomo possiede. La poesia è composta da 5 strofe di 11 versi ciascuna con rima varia per ogni strofa. Anche oggi, a distanza di due secoli, dalla vita di leopardi, le condizioni di queste persone sfortunate, se pur molto migliorate rispetto allora, rimangono sempre infelici e quindi ci vorrebbe un altro Leopardi che continuasse la sua azione di protesta e di ribellione contro la natura, madre madrigna, e contro chi ha creato l’Universo.
Testo della poesia “ALLA SUA DONNA”.
Cara beltà che amore
Lunge m’inspiri o nascondendo il viso,
Fuor se nel sonno il core
Ombra diva mi scuoti,
O ne’ campi ove splenda 5
Più vago il giorno e di natura il riso;
Forse tu l’innocente
Secol beasti che dall’oro ha nome,
Or leve intra la gente
Anima voli? o te la sorte avara 10
Ch’a noi t’asconde, agli avvenir prepara?
Viva mirarti omai
Nulla spene m’avanza;
S’allor non fosse, allor che ignudo e solo
Per novo calle a peregrina stanza 15
Verrà lo spirto mio. Già sul novello
Aprir di mia giornata incerta e bruna,
Te viatrice in questo arido suolo
Io mi pensai. Ma non è cosa in terra
Che ti somigli; e s’anco pari alcuna 20
Ti fosse al volto, agli atti, alla favella,
Saria, così conforme, assai men bella.
Fra cotanto dolore
Quanto all’umana età propose il fato,
Se vera e quale il mio pensier ti pinge, 25
Alcun t’amasse in terra, a lui pur fora
Questo viver beato:
E ben chiaro vegg’io siccome ancora
Seguir loda e virtù qual ne’ prim’anni
L’amor tuo mi farebbe. Or non aggiunse 30
Il ciel nullo conforto ai nostri affanni;
E teco la mortal vita saria
Simile a quella che nel cielo india.
Per le valli, ove suona
Del faticoso agricoltore il canto, 35
Ed io seggo e mi lagno
Del giovanile error che m’abbandona;
E per li poggi, ov’io rimembro e piagno
I perduti desiri, e la perduta
Speme de’ giorni miei; di te pensando, 40
A palpitar mi sveglio. E potess’io,
Nel secol tetro e in questo aer nefando,
L’alta specie serbar; che dell’imago,
Poi che del ver m’è tolto, assai m’appago.
Se dell’eterne idee 45
L’una sei tu, cui di sensibil forma
Sdegni l’eterno senno esser vestita,
E fra caduche spoglie
Provar gli affanni di funerea vita;
O s’altra terra ne’ supremi giri 50
Fra’ mondi innumerabili t’accoglie,
E più vaga del Sol prossima stella
T’irraggia, e più benigno etere spiri;
Di qua dove son gli anni infausti e brevi,
Questo d’ignoto amante inno ricevi. 55
Parafrasi e costruzione diretta della poesia “ALLA SUA DONNA”.
1ª strofa.
Cara bellezza, che mi fai nascere l’amore,
o da lontano nascondendomi il tuo viso
fuorché quando tu, ombra divina,
nel sonno mi sconvolgi il cuore,
o quando sto nei campi dove il bel giorno ed
il sorriso della natura risplendono,
forse tu hai reso beato il secolo, che
prende nome dall’oro, ora, o leggera anima,
perché invece sorvoli sopra la gente?
O la crudele sorte, la quale ti nasconde a noi,
ti preserva agli uomini del futuro?
2ª strofa.
Ormai nessuna speranza mi resta
di poterti vedere viva e reale;
se sarà così, di non poterti vedere
durante la mia vita, potrò farlo solo
quando il mio spirito privo di corpo,
attraverso una nuova strada, giungerà
a una nuova e sconosciuta dimora (l’aldilà).
Già nella mia prima giovinezza,
incerta e buia, io pensai a te come
compagna di viaggio in questo mio
arido suolo. Ma sulla terra non c’è
qualcuna che ti somiglia e anche se
qualcuna fosse uguale a te nel volto,
negli atteggiamenti e nel parlare,
sarebbe, pur nella somiglianza,
assai meno bella.
3ª strofa.
Se qualcuno, fra cotanto dolore, che
il Fato impose (elargì) agli uomini,
t’amasse sulla terra veramente e come
il mio pensiero ti dipinge, allora
questa vita per lui sarebbe beata:
e mi accorgo chiaramente come
l’amore per te mi farebbe seguire
lode (gloria) e virtù come io feci
nei primi anni della mia gioventù.
Il Fato non aggiunse nessun conforto
ai nostri dolori; e la vita con te
sarebbe simile a quella divina.
4ª strofa.
Nelle valli, dove il canto del contadino
affaticato risuona e dove io siedo e mi
lamento per le mie illusioni giovanili che mi abbandonano,
nelle campagne, dove io ricordo e rimpiango
i perduti desideri e la perduta speranza della mia vita,
allora, mentre penso a te (alla bellezza ideale),
mi sveglio e ricomincio a palpitare.
E se io potessi conservare l’alta immagine
di te nella mia mente, in questo oscuro secolo
e in questa aria nefanda, allora ne sarei contento,
dal momento che mi appago della tua immagine,
dato che mi è impedito di essere contento della realtà.
5ª strofa.
Anche se tu sei una idea fra le eterne idee (Platoniche)
a cui l’eterna sapienza ha proibito
di far rivestire di forma sensibile,
e di far provare nei corpi mortali la vita funerea;
anche se un altro pianeta in più alti cieli
fra mondi innumerevoli t’accoglie;
anche se una stella vicina e più bella del sole
t’illumina e se tu respiri un’aria più pura,
da qua, dalla terra, dove gli anni sono dolorosi e brevi,
ricevi questo inno da un ignoto amante.
Finale
Secondo me, Biagio Carrubba, il finale della canzone è tronco ed è strozzato. Allora io ho composto e propongo quest’altro finale che mi sembra più dolce e più delicato rispetto a quello più duro e più razionale di quello del Leopardi.
Testo della mia ultima strofa proposta.
Tu, Bellezza eterna dell’Amore, accogli
benevolmente e benignamente questa lode
e celebrazione da parte mia, povero aspirante poeta,
perché senza di Te la vita sarebbe buia e tetra,
perché senza di Te la vita sarebbe noiosa e povera,
grazie a Te, invece, la vita risplende sulla terra e
grazie a Te l’Amore rende la vita gioiosa e felice.