Bernardino MOLINARI in concerto al Teatro AUGUSTEO di ROMA- 9 marzo 1924-Bibliotec DEA SABINA
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Bernardino MOLINARI in concerto al Teatro AUGUSTEO di ROMA- 9 marzo 1924
Programma di sala originale completo
Biografia di Bernardino MOLINARI– (Nacque a Roma l’11 apr. 1880 – ivi 1952)da Giovanni e Maria Stozzi. Dotato di precoce talento musicale – H. Wolf diede un giudizio lusinghiero su una fuga bachiana eseguita dal M. a soli dieci anni (Mucci, p. 17) –, entrò nel 1896 al liceo musicale di S. Cecilia, studiando armonia e organo con R. Renzi e composizione con S. Falchi. Si diplomò nel 1902, affrontando già durante gli studi i primi concerti.
Nel 1908 venne inaugurata a Roma la grande sala dell’Augusteo, destinata a diventare la sede storica dell’orchestra di S. Cecilia: quattro anni dopo, il trentaduenne M. – che si era rivelato prezioso elemento già dal 1909, preparando l’orchestra per l’attesissimo concerto che avrebbe diretto R. Strauss – ne divenne il direttore artistico e stabile. Prendeva così avvio una lunga stagione, destinata a durare fino al 1944, di fondamentale importanza per l’educazione musicale del pubblico romano: in perfetta intesa con il conte Enrico di San Martino, presidente dell’Accademia di S. Cecilia, il M. avviò un capillare lavoro di riappropriazione della cultura sinfonica, messa in disparte da un secolo di predominio operistico, da intendersi come altra grande tradizione musicale italiana, parallela a quella melodrammatica.
Grazie ai concerti da lui diretti, approdarono per la prima volta a Roma e in Italia molti nuovi capolavori di C. Debussy, I. Stravinskij, A. Honegger. Il M. si fece inoltre promotore di una nuova scuola sinfonica italiana: una fitta schiera di nomi dove spiccavano O. Respighi, R. Zandonai, G.F. Malipiero, A. Casella, il giovane G. Petrassi e, prima delle leggi razziali del 1938, M. Castelnuovo Tedesco.
Con tale repertorio non fu sempre facile conquistare il pubblico: burrascosa, per esempio, fu l’accoglienza del concerto (5 febbr. 1922) ove furono presentati i Tre canti d’amore di F. Mantica, le Impressioni pagane di V. Davico e il Concerto gregoriano di Respighi. Una correzione di rotta (dalle serate di sole novità italiane si passò ai concerti misti, ma sempre, se possibile, con una pagina di autore italiano contemporaneo) e importanti iniziative parallele all’attività concertistica (la costituzione, nel 1929, di una commissione di lettura per le partiture inedite) rinforzarono però il sogno del M. di una scuola sinfonica italiana.
D’altronde con gli anni la politica culturale di B. Mussolini tese a privilegiare il sinfonismo rispetto al vecchio mondo del melodramma, vedendo nell’orchestra sinfonica una metafora della compatta disciplina di massa; né il M. mancò di svolgere, quale membro del Direttorio del sindacato nazionale dei musicisti, un ruolo – del tutto informale – di consulente musicale del duce.
Non meno impegnato fu come rielaboratore di partiture. Tra le numerose trascrizioni sono da citare (incise anche in disco): L’isle joyeuse di Debussy (trascritta per pianoforte e orchestrata dal M.), Moto perpetuo di N. Paganini (esteso dal violino solista alla massa dei primi violini) e Le quattro stagioni di A. Vivaldi (riadattate per un’orchestra «allargata»). Il M. fu attivo anche sotto il profilo didattico: nel 1936 varò presso l’Accademia di S. Cecilia un corso di perfezionamento in direzione d’orchestra, destinato a trasformarsi tre anni dopo in cattedra ufficiale. Ne uscirono allievi come F. Molinari Pradelli, O. Ziino e G. Gavazzeni; ma già in precedenza il M. aveva dato il proprio contributo alla formazione delle nuove leve, utilizzando e valorizzando – quale suo maestro sostituto all’Augusteo – M. Rossi, destinato di lì a poco a un’importante carriera. Il M. fu un vero personaggio pubblico, noto per il suo carattere talvolta irascibile (si accaniva in un interminabile numero di prove, esasperando gli strumentisti) e animatore di riunioni – il mercoledì e la domenica, dopo i concerti all’Augusteo – che convogliavano grandi menti di ogni campo artistico.
Il 16 febbr. 1933, per il venticinquesimo anno dell’Augusteo, il M. diresse un trionfale concerto, dal programma identico a quello diretto da G. Martucci nel 1908 per l’inaugurazione.
Ma alla sala restavano solo tre anni di vita: costruita sulle rovine del mausoleo di Augusto, fu demolita – in ottemperanza alla visione urbanistica neoimperiale del regime – nel maggio 1936, per rendere più visibili le vestigia antiche e isolarle dagli edifici circostanti. Dalla stagione 1936-37, e fino al 1946, la sede sarebbe stata il teatro Adriano. Per ironia della sorte, solo nel 1937 l’orchestra di S. Cecilia fu formalizzata come «stabile»: l’unica orchestra sinfonica stabile italiana.
A fronte dei concerti romani non meno importanti furono le presenze del M. all’estero, sia con i complessi ceciliani sia con le orchestre del posto (reiterata la collaborazione con la Filarmonica Ceca a Praga). Importanti poi, nell’ambito dell’asse Roma-Berlino, i concerti in Germania nella stagione 1940-41.
All’indomani della liberazione di Roma, il M. venne duramente contestato nel corso di due serate all’Adriano. Il 9 luglio un suo concerto offrì «il destro […] di inscenare una manifestazione ostile […]. Il pubblico fischiava; alcuni ufficiali americani si fecero largo tra la folla inferocita ed andarono a stringere la mano al Maestro» (Il Tempo, 11 luglio 1944, p. 2). Peggio, però, le cose andarono nel concerto del 12 luglio: dalla galleria piovvero volantini intitolati «Fuori Molinari!», in cui si leggeva «come il fascista Molinari trattasse con rozzi metodi dittatoriali gli orchestrali» e che «si invita ogni spettatore di buon senso a manifestare energicamente il proprio dissenso». La prima parte del concerto fu portata a termine, ma la seconda – era prevista la sinfonia n. 9 di L. van Beethoven – non poté avere luogo perché il soprano solista, Liana Cortini, comunicò nell’intervallo la sua volontà di non cantare per «protesta contro il maltrattamento che il M° Molinari faceva agli interpreti» (Fiorda, p. 71). Alla fine «fischi ed urla lo costrinsero a ritirarsi» (Il Tempo, 13 luglio, p. 2). Il giorno dopo, sempre nel Tempo, apparve una lettera della Cortini, da molti ritenuta complice dei contestatori, dove il soprano ribadiva le proprie ragioni.
L’incidente all’Adriano segnò duramente il M., che si sarebbe riaffacciato su un podio romano solo con l’orchestra del teatro dell’Opera, con due edizioni di Norma di V. Bellini: prima nel gennaio 1946, poi nel luglio dello stesso anno, alle Terme di Caracalla. Furono le ultime apparizioni di una carriera ormai conclusa: incapace di farsi una ragione delle numerose epurazioni di quei mesi (che oltre al M. coinvolsero, per breve periodo, pure Enrico di San Martino), indifferente ai tentativi degli accademici di S. Cecilia di assicurargli una riabilitazione morale (venne eletto vicepresidente), sempre più chiuso in se stesso, il M. morì a Roma il 25 dic. 1952.
Se gli estimatori del M. furono molti, da Debussy (con cui ebbe un fitto scambio epistolare) a Stravinskij, non mancò chi scorse dei limiti nel concertatore: lo stesso altissimo numero di prove potrebbe essere indice di insicurezza, più che di scrupolo professionale (D’Amico). Il librettista e critico musicale E. Mucci, autore nel 1941 di una biografia del M., parlò anche di un’evoluzione del suo approccio interpretativo: più infuocato nella prima parte della carriera, più misurato poi. La documentazione discografica è comunque troppo sguarnita per una disamina della sua arte. Pesa pure, ai fini di un giudizio complessivo, la scarsa frequentazione del genere operistico: oltre a Norma, solo Aida di G. Verdi (di cui il M., sulla scia di A. Toscanini, recuperò la sinfonia disconosciuta dall’autore), Manon Lescaut di G. Puccini e, in ambito francese, Werther di J. Massenet e Romeo e Giulietta di Ch. Gounod, oltre a Oedipus rex (per il M. una logica coda delle frequentazioni con lo Stravinskij sinfonico).
Fonti e Bibl.: Necr., in M. Labroca, Ricordo di B. M., in Rassegna musicale, gennaio 1953, pp. 38 s.; E. Mucci, B. M., Lanciano 1941; Il Tempo, Roma, comunicati redazionali, 11, 13 e 14 luglio 1944, p. 2; G. Boni, B. M., in S. Cecilia, dicembre 1962, p. 5; R. Rossellini, B. M., ibid., pp. 6 s.; N. Fiorda, Arte beghe e bizze di Toscanini, Roma 1969, pp. 69-71; G. Barigazzi, La Scala racconta, Milano 1984, p. 279; F. Nicolodi, Musica e musicisti nel ventennio fascista, Fiesole 1984, pp. 94, 139, 294 s., 300 s., 348, 351, 413; H. Sachs, Musica e regime, Milano 1995, pp. 42 s., 115 s., 128, 175, 202 s., 211 s., 216, 247, 310; F. D’Amico, Un ragazzino all’Augusteo, a cura di F. Serpa, Torino 1991, pp. 235 s.; S. Biguzzi, L’orchestra del duce, Torino 2003, p. 124; Diz. encicl. univ. della musica e dei musicisti, Le biografie, V, p. 134.
Fonte -Enciclopedia TRECCANI on line-
Biografia di Bernardino MOLINARI– (Nacque a Roma l’11 apr. 1880 – ivi 1952)da Giovanni e Maria Stozzi. Dotato di precoce talento musicale – H. Wolf diede un giudizio lusinghiero su una fuga bachiana eseguita dal M. a soli dieci anni (Mucci, p. 17) –, entrò nel 1896 al liceo musicale di S. Cecilia, studiando armonia e organo con R. Renzi e composizione con S. Falchi. Si diplomò nel 1902, affrontando già durante gli studi i primi concerti.
Nel 1908 venne inaugurata a Roma la grande sala dell’Augusteo, destinata a diventare la sede storica dell’orchestra di S. Cecilia: quattro anni dopo, il trentaduenne M. – che si era rivelato prezioso elemento già dal 1909, preparando l’orchestra per l’attesissimo concerto che avrebbe diretto R. Strauss – ne divenne il direttore artistico e stabile. Prendeva così avvio una lunga stagione, destinata a durare fino al 1944, di fondamentale importanza per l’educazione musicale del pubblico romano: in perfetta intesa con il conte Enrico di San Martino, presidente dell’Accademia di S. Cecilia, il M. avviò un capillare lavoro di riappropriazione della cultura sinfonica, messa in disparte da un secolo di predominio operistico, da intendersi come altra grande tradizione musicale italiana, parallela a quella melodrammatica.
Grazie ai concerti da lui diretti, approdarono per la prima volta a Roma e in Italia molti nuovi capolavori di C. Debussy, I. Stravinskij, A. Honegger. Il M. si fece inoltre promotore di una nuova scuola sinfonica italiana: una fitta schiera di nomi dove spiccavano O. Respighi, R. Zandonai, G.F. Malipiero, A. Casella, il giovane G. Petrassi e, prima delle leggi razziali del 1938, M. Castelnuovo Tedesco.
Con tale repertorio non fu sempre facile conquistare il pubblico: burrascosa, per esempio, fu l’accoglienza del concerto (5 febbr. 1922) ove furono presentati i Tre canti d’amore di F. Mantica, le Impressioni pagane di V. Davico e il Concerto gregoriano di Respighi. Una correzione di rotta (dalle serate di sole novità italiane si passò ai concerti misti, ma sempre, se possibile, con una pagina di autore italiano contemporaneo) e importanti iniziative parallele all’attività concertistica (la costituzione, nel 1929, di una commissione di lettura per le partiture inedite) rinforzarono però il sogno del M. di una scuola sinfonica italiana.
D’altronde con gli anni la politica culturale di B. Mussolini tese a privilegiare il sinfonismo rispetto al vecchio mondo del melodramma, vedendo nell’orchestra sinfonica una metafora della compatta disciplina di massa; né il M. mancò di svolgere, quale membro del Direttorio del sindacato nazionale dei musicisti, un ruolo – del tutto informale – di consulente musicale del duce.
Non meno impegnato fu come rielaboratore di partiture. Tra le numerose trascrizioni sono da citare (incise anche in disco): L’isle joyeuse di Debussy (trascritta per pianoforte e orchestrata dal M.), Moto perpetuo di N. Paganini (esteso dal violino solista alla massa dei primi violini) e Le quattro stagioni di A. Vivaldi (riadattate per un’orchestra «allargata»). Il M. fu attivo anche sotto il profilo didattico: nel 1936 varò presso l’Accademia di S. Cecilia un corso di perfezionamento in direzione d’orchestra, destinato a trasformarsi tre anni dopo in cattedra ufficiale. Ne uscirono allievi come F. Molinari Pradelli, O. Ziino e G. Gavazzeni; ma già in precedenza il M. aveva dato il proprio contributo alla formazione delle nuove leve, utilizzando e valorizzando – quale suo maestro sostituto all’Augusteo – M. Rossi, destinato di lì a poco a un’importante carriera. Il M. fu un vero personaggio pubblico, noto per il suo carattere talvolta irascibile (si accaniva in un interminabile numero di prove, esasperando gli strumentisti) e animatore di riunioni – il mercoledì e la domenica, dopo i concerti all’Augusteo – che convogliavano grandi menti di ogni campo artistico.
Il 16 febbr. 1933, per il venticinquesimo anno dell’Augusteo, il M. diresse un trionfale concerto, dal programma identico a quello diretto da G. Martucci nel 1908 per l’inaugurazione.
Ma alla sala restavano solo tre anni di vita: costruita sulle rovine del mausoleo di Augusto, fu demolita – in ottemperanza alla visione urbanistica neoimperiale del regime – nel maggio 1936, per rendere più visibili le vestigia antiche e isolarle dagli edifici circostanti. Dalla stagione 1936-37, e fino al 1946, la sede sarebbe stata il teatro Adriano. Per ironia della sorte, solo nel 1937 l’orchestra di S. Cecilia fu formalizzata come «stabile»: l’unica orchestra sinfonica stabile italiana.
A fronte dei concerti romani non meno importanti furono le presenze del M. all’estero, sia con i complessi ceciliani sia con le orchestre del posto (reiterata la collaborazione con la Filarmonica Ceca a Praga). Importanti poi, nell’ambito dell’asse Roma-Berlino, i concerti in Germania nella stagione 1940-41.
All’indomani della liberazione di Roma, il M. venne duramente contestato nel corso di due serate all’Adriano. Il 9 luglio un suo concerto offrì «il destro […] di inscenare una manifestazione ostile […]. Il pubblico fischiava; alcuni ufficiali americani si fecero largo tra la folla inferocita ed andarono a stringere la mano al Maestro» (Il Tempo, 11 luglio 1944, p. 2). Peggio, però, le cose andarono nel concerto del 12 luglio: dalla galleria piovvero volantini intitolati «Fuori Molinari!», in cui si leggeva «come il fascista Molinari trattasse con rozzi metodi dittatoriali gli orchestrali» e che «si invita ogni spettatore di buon senso a manifestare energicamente il proprio dissenso». La prima parte del concerto fu portata a termine, ma la seconda – era prevista la sinfonia n. 9 di L. van Beethoven – non poté avere luogo perché il soprano solista, Liana Cortini, comunicò nell’intervallo la sua volontà di non cantare per «protesta contro il maltrattamento che il M° Molinari faceva agli interpreti» (Fiorda, p. 71). Alla fine «fischi ed urla lo costrinsero a ritirarsi» (Il Tempo, 13 luglio, p. 2). Il giorno dopo, sempre nel Tempo, apparve una lettera della Cortini, da molti ritenuta complice dei contestatori, dove il soprano ribadiva le proprie ragioni.
L’incidente all’Adriano segnò duramente il M., che si sarebbe riaffacciato su un podio romano solo con l’orchestra del teatro dell’Opera, con due edizioni di Norma di V. Bellini: prima nel gennaio 1946, poi nel luglio dello stesso anno, alle Terme di Caracalla. Furono le ultime apparizioni di una carriera ormai conclusa: incapace di farsi una ragione delle numerose epurazioni di quei mesi (che oltre al M. coinvolsero, per breve periodo, pure Enrico di San Martino), indifferente ai tentativi degli accademici di S. Cecilia di assicurargli una riabilitazione morale (venne eletto vicepresidente), sempre più chiuso in se stesso, il M. morì a Roma il 25 dic. 1952.
Se gli estimatori del M. furono molti, da Debussy (con cui ebbe un fitto scambio epistolare) a Stravinskij, non mancò chi scorse dei limiti nel concertatore: lo stesso altissimo numero di prove potrebbe essere indice di insicurezza, più che di scrupolo professionale (D’Amico). Il librettista e critico musicale E. Mucci, autore nel 1941 di una biografia del M., parlò anche di un’evoluzione del suo approccio interpretativo: più infuocato nella prima parte della carriera, più misurato poi. La documentazione discografica è comunque troppo sguarnita per una disamina della sua arte. Pesa pure, ai fini di un giudizio complessivo, la scarsa frequentazione del genere operistico: oltre a Norma, solo Aida di G. Verdi (di cui il M., sulla scia di A. Toscanini, recuperò la sinfonia disconosciuta dall’autore), Manon Lescaut di G. Puccini e, in ambito francese, Werther di J. Massenet e Romeo e Giulietta di Ch. Gounod, oltre a Oedipus rex (per il M. una logica coda delle frequentazioni con lo Stravinskij sinfonico).
Fonti e Bibl.: Necr., in M. Labroca, Ricordo di B. M., in Rassegna musicale, gennaio 1953, pp. 38 s.; E. Mucci, B. M., Lanciano 1941; Il Tempo, Roma, comunicati redazionali, 11, 13 e 14 luglio 1944, p. 2; G. Boni, B. M., in S. Cecilia, dicembre 1962, p. 5; R. Rossellini, B. M., ibid., pp. 6 s.; N. Fiorda, Arte beghe e bizze di Toscanini, Roma 1969, pp. 69-71; G. Barigazzi, La Scala racconta, Milano 1984, p. 279; F. Nicolodi, Musica e musicisti nel ventennio fascista, Fiesole 1984, pp. 94, 139, 294 s., 300 s., 348, 351, 413; H. Sachs, Musica e regime, Milano 1995, pp. 42 s., 115 s., 128, 175, 202 s., 211 s., 216, 247, 310; F. D’Amico, Un ragazzino all’Augusteo, a cura di F. Serpa, Torino 1991, pp. 235 s.; S. Biguzzi, L’orchestra del duce, Torino 2003, p. 124; Diz. encicl. univ. della musica e dei musicisti, Le biografie, V, p. 134.
Fonte -Enciclopedia TRECCANI on line-