« C’est le livre que j’aurais voulu écrire. » Giorgio Bocca (ancien partisan,reporter, cofondateur de La Repubblica)
Résumé-Nuto REVELLI- La Guerre des pauvres- Paru chez Einaudi en 1962 et régulièrement réédité depuis, La Guerre des pauvres fait revivre, à partir du journal tenu par l’auteur, un chapitre héroïque méconnu de l’histoire de l’Italie, depuis la campagne de Russie (il s’engage en juillet 42) jusqu’à la Libération (Cuneo est libérée fin avril 45). Officier du corps expéditionnaire italien sur le front de l’Est dans la division Tridentina, Revelli raconte l’immense défaite et la retraite tragique qui, à la suite de la contre-offensive russe sur le Don, jettent à travers la steppe gelée des dizaines de milliers d’hommes, dont peu survivront. Après, écrit-il, sa vie ne sera plus la même. Quittant l’armée, il prend les armes dans le maquis des Alpes et mène au jour le jour, comme chef partisan puis en tant que commandant de l’une des brigades antifascistes Giustizia e libertà, un autre combat – contre les détachements mussoliniens de la République de Salò et contre les troupes hitlériennes. Au fil des jours et des pages de ce livre-vérité s’affirment la cohérence d’un destin individuel, la dignité des humbles pris dans la folie absurde de l’histoire, la force du témoignage sur « la guerre vue d’en bas ». Portées par une prose sèche et abrupte, une écriture blanche de mémorialiste qui s’invente en marchant et en luttant, loin de la rhétorique du combat ou du sentiment.
Entre Le Sergent dans la neige de Mario Rigoni Stern (1953) et La Guerre sur les collines de Beppe Fenoglio (1968), une autre voix s’élève, qui confère à ces antimémoires de guerre la dimension d’une épopée.
Traduction et annotation d’Angela Guidi et Lucie Marignac
Préface d’Éric Vial
Postface d’Emmanuel Laugier
Inédit en français
De Nuto Revelli ont été traduits : Le Monde des vaincus, Maspéro, 1980 ; Le Disparu de Marburg, Rivages, 2006 ; Les Deux Guerres. Guerre fasciste et guerre de libération, ICIP, 2020.
Photographie de couverture : Jean Gaumy, 2008
L’auteur
Né et mort à Cuneo, dans le Piémont, profondément attaché à ces montagnes qu’il arpenta en chasseur alpin, puis comme partisan après l’armistice du 8 septembre 1943, Nuto REVELLI (1919-2004) est l’une des grandes figures de la Résistance italienne. Son œuvre d’écrivain (il publie dix livres entre 1946 et 2003) s’enracine tout entière dans son expérience de la guerre et dans sa connaissance intime des paysans pauvres du Piémont.
Le préfacier
Éric VIAL, professeur d’Histoire contemporaine à l’université de Cergy-Pontoise, est spécialiste de l’histoire de l’Italie auXXe siècle, en particulier de l’émigration italienne en France. Il a notamment publiéLa Cagoule a encore frappé – L’assassinat des frères Rosselli2010), De Gaulle. Portrait-mosaïque(2017) et dirigéJean Moulin, l’âme de la Résistance(2012). Rue d’Ulm, il a traduit et présenté des textes de Piero Gobetti,Libéralisme et révolution antifasciste(2010), puis l’ouvrage de Sabino Cassese,L’Italie, le fascisme et l’État(2014).
Le postfacier
Essayiste, critique littéraire et poète, Emmanuel LAUGIER est né en 1969 au Maroc. Son premier livre, L’œil bande, paraît en 1996 (rééd. 2016). Suivent une quinzaine de recueils dans lesquels il explore la synthèse entre espaces mémoriels et expérience du présent. Il s’emploie à restituer une disparité de perceptions et d’informations dans l’oscillation d’une écriture en rupture constante de rythme. Aux éditions Nous, il a publié en 2020 Chant tacite.
Sommaire
Préface De Modène à Paraloup, par Éric VIAL
Note de l’auteur
Préambule
La retraite sur le front russe. 16 janvier-10 mars 1943
Le retour en Italie. 17 mars-26 juillet 1943
La guerre de partisan. 8 septembre 1943-27 août 1944
En France avec la brigade Carlo Rosselli. 28 août 1944-23 avril 1945
Italie. La libération de Cuneo. 24-29 avril 1945
Notes
Postface Le présent crénelé de l’action, par Emmanuel LAUGIER
Ingeborg Bachmann-(Klagenfurt, 25 giugno 1926 – Roma, 17 ottobre 1973)-Poetessa, scrittrice e giornalista austriaca.
TUTTI I GIORNI
*
La guerra non viene più dichiarata,
ma proseguita. L’inaudito
è divenuto quotidiano. L’eroe
resta lontano dai combattimenti. Il debole
è trasferito nelle zone del fuoco.
La divisa di oggi è la pazienza,
medaglia la misera stella
della speranza, appuntata sul cuore.
Viene conferita
quando non accade più nulla,
quando il fuoco tambureggiante ammutolisce,
quando il nemico è divenuto invisibile
e l’ombra d’eterno riarmo
ricopre il cielo.
Viene conferita
per diserzione dalle bandiere,
per il valore di fronte all’amico,
per il tradimento di segreti obbrobriosi
e l’inosservanza
di tutti gli ordini.
Cenni biografici di Ingeborg Bachmann-(Klagenfurt, 25 giugno 1926 – Roma, 17 ottobre 1973)-Poetessa, scrittrice e giornalista austriaca. I motivi ideologici della sua formazione intellettuale (Martin Heidegger, Ludwig Wittgenstein) si incontrarono con il tema della generazione venuta dopo gli orrori della guerra nella dimensione di un linguaggio spesso tormentato e astruso, ma sempre autentico.
Figlia[1] di Olga Haas e Mathias Bachmann, Ingeborg nacque nel 1926 in Carinzia, nel cui capoluogo, Klagenfurt, trascorse l’infanzia e l’adolescenza. Dopo i primi studi, negli anni del dopoguerra frequentò le università di Innsbruck, Graz e Vienna dedicandosi agli studi di giurisprudenza e successivamente in germanistica, che concluse discutendo una tesi su (o meglio, contro) Martin Heidegger, dal titolo La ricezione critica della filosofia esistenziale di Martin Heidegger.
Suo maestro fu il filosofo e teoretico della scienza Victor Kraft[2] (1890–1975), ultimo superstite del Circolo di Vienna, da cui i membri, in conseguenza dell’assassinio di uno di loro (Moritz Schlick) da parte di un fanatico nazista e dell’ostilità in seguito dimostrata dal regime politico post Anschluss, erano dovuti fuggire. Nell’epoca dello studio ebbe modo di intrattenere contatti diretti con Paul Celan, Ilse Aichinger e Klaus Demus.[3]
Presto Bachmann divenne redattrice radiofonica[4] presso l’emittente viennese Rot-Weiss-Rot (Rosso-Bianco-Rosso), per la quale compose nel 1952 la sua prima opera radiofonica, Un negozio di sogni. Il suo debutto letterario avvenne in occasione di una lettura presso il Gruppo 47. Da allora divenne una stella luminosa della letteratura in lingua tedesca[5]. Nel 1953, all’età di 27 anni, ricevette il premio letterario del Gruppo 47[6] per la raccolta di poesieIl tempo dilazionato.
In collaborazione con il compositore Hans Werner Henze produsse il radiodrammaLe cicale e il libretto per la pantomima danzata L’idiota nel 1955 e il libretto per l’opera Il Principe di Homburg nel 1960. Nel 1956 pubblicò la raccolta di poesie Invocazione all’Orsa maggiore, conseguendo il Premio Letterario della Città di Brema (Bremer Literaturpreis) e iniziando un percorso di drammaturgia per la televisione bavarese.
Dal 1958 al 1963 Ingeborg Bachmann intrattenne una relazione con l’autore Max Frisch. Nel 1958 apparve il radiodramma Il buon Dio di Manhattan, insignito l’anno successivo del Premio Audio dei Ciechi di Guerra[7]. Del 1961 è la raccolta di raccontiIl trentesimo anno, a sua volta insignito dal Premio per la Critica della Città di Berlino. Nel 1964 le viene consegnato il Premio Georg Büchner[8] e nel 1968 il Premio nazionale austriaco per la Letteratura[9].
La produzione[5] di Ingeborg Bachmann prosegue con la pubblicazione nel 1971 del romanzo Malina, diventato un film di Werner Schroeter del 1991, interpretato da Isabelle Huppert, Mathieu Carrière e Can Togay. Il romanzo è stato concepito come la prima parte di una trilogia chiamata “Cause di morte” (Todesarten) rimasta incompiuta e di cui rimangono dei frammenti: Il libro Franza e Il libro Goldmann. Dal primo dei due frammenti, Xaver Schwarzenberger ha ricavato il film Franza (1986). Nel 1972 fu invece data alle stampe l’ultima opera prima della morte di Bachmann: la raccolta di racconti Tre sentieri per il lago[10], a cui venne attribuito il Premio Anton Wildgans[11].
Morte
La sera del 26 settembre 1973, nella sua casa romana di via Giulia, Ingeborg Bachmann incendiò accidentalmente la sua vestaglia di nylon con la brace della propria sigaretta durante un attacco di torpore, verosimilmente indotto dai barbiturici che stava assumendo come tranquillanti per superare un periodo di stress da superlavoro[12]. Benché vigile al momento del trasporto all’ospedale Sant’Eugenio, struttura specializzata nel trattamento delle ustioni, subì danni renali cui fece seguito un’intossicazione ematica che la portarono alla morte il 17 ottobre[13]. Ingeborg Bachmann fu sepolta il 25 ottobre 1973 nel cimitero di Klagenfurt-Annabichl. A lei è dedicato il concorso letterario che annualmente si tiene nella città natale, in coincidenza della sua nascita, e l’istituto d’istruzione superiore di Tarvisio in Friuli Venezia Giulia.
Opere
Poesie
Invocazione all’Orsa Maggiore (Anrufung des Großen Bären), trad. e cura di Luigi Reitani, Milano, SE, 1994; Nota di Hans Höller, Collana Biblioteca n.752, Milano, Adelphi, 2023, ISBN 978-88-459-3828-3.
Poesie (Gedichte), traduzione di Maria Teresa Mandalari, Parma, Guanda, 1978.
Non conosco mondo migliore (Ich weiss keine bessere Welt), traduzione di Silvia Bortoli, Milano, Guanda, 2004.
Romanzi
Malina (Malina), traduzione di Maria Grazia Manucci, Milano, Adelphi, 1973.
Il libro Franza (Der Fall Franza), traduzione di Magda Olivetti e Luigi Reitani, Milano, Adelphi, 2009. [Comprende e amplia Il caso Franza. Requiem per Fanny Goldmann, traduzione di Magda Olivetti, Milano, Adelphi, 1988]
Racconti
Tre sentieri per il lago e altri racconti (Simultan: neue Erzählungen), traduzione di Amina Pandolfi, Milano, Adelphi, 1980.
Il trentesimo anno (Das dreißigste Jahr), traduzione di Clara Schlick, Milano, Feltrinelli, 1963; traduzione di Magda Olivetti, Milano, Adelphi, 1985.
Il sorriso della sfinge (Die Fähre, Im Himmel und auf Erden, Das Lächeln der Sphinx), traduzione di Antonella Gargano, Roma, Lucarini, 1991; Napoli, Cronopio, 2011.
Saggi
Luogo eventuale (Ein Ort für Zufälle), con tredici disegni di Günter Grass, traduzione di Bruna Bianchi, Milano, Edizioni delle donne, 1981; Milano, SE, 1992.
La ricezione critica della filosofia esistenziale di Martin Heidegger (Die kritische Aufnahme der Existenzialphilosophie Martin Heideggers), Introduzione di Eugenio Mazzarella, traduzione di Silvia Cresti, Napoli, Guida, 1992.
Letteratura come utopia. Lezioni di Francoforte (Frankfurter Vorlesungen), traduzione di Vanda Perretta, Milano, Adelphi, 1993.
Il dicibile e l’indicibile. Saggi radiofonici (Der Mann ohne Eigenschaften – Sagbares und Unsagbares – Das Unglück und die Gottesliebe – Die Welt Marcel Prousts), traduzione di Barbara Agnese, Milano, Adelphi, 1998.
Prose
Il buon Dio di Manhattan (Der gute Gott von Manhattan: ein Geschäft mit Träumen), traduzione di Sergio Molinari, Milano, Il saggiatore, 1961; traduzione di Cinzia Romani, Milano, Adelphi, 1991. [contiene i radiodrammi Il buon Dio di Manhattan, Un negozio di sogni e Le cicale]
Libro del deserto (Der Tod wird kommen. Confluito ne Il libro Franza), traduzione di Anna Pensa, Napoli, Cronopio, 1999.
Quel che ho visto e udito a Roma (Was ich in Rom sah und hörte), traduzione di Kristina Pietra e Anita Raja, Macerata, Quodlibet, 2002.
Epistolari
Lettere da un’amicizia (Briefe einer Freundschaft), carteggio con Hans Werner Henze, a cura di Hans Höller, traduzione di Francesco Maione, Torino, EDT, 2008.
Lettere a Felician (Briefe an Felician), traduzione di Antonella Moscati, Roma, Nottetempo, 2008.
Troviamo le parole. Lettere 1948-1973 (Herzzeit. Der Briefwechsel), carteggio con Paul Celan, traduzione di Francesco Maione, Roma, Nottetempo, 2010 .
Diario di guerra (Kriegstagebuch. Mit Briefen von Jack Hamesh an Ingeborg Bachmann), traduzione di Elisabetta Dell’Anna Ciancia, Milano, Adelphi, 2011.
Interviste
In cerca di frasi vere (Wir müssen wahre Sätze finden), traduzione di Cinzia Romani, Bari, Laterza, 1989.
Verrà un giorno. Conversazioni romane (Ein Tag wird kommen. Gespräche in Rom), a cura di Judith Kasper, Genova, Marietti, 2009.
Film su Ingeborg Bachmann
Die Geträumten – film tedesco del 2016 diretto da Ruth Beckermann, avente per soggetto la ventennale corrispondenza fra Paul Celan e Ingeborg Bachmann[14].[15]
Ingeborg Bachmann – Journey Into the Desert (Ingeborg Bachmann – Reise in die Wüste) – film tedesco del 2023 diretto da Margarethe von Trotta, avente per soggetto la vita di Ingeborg Bachmann – che visse a Berlino, Zurigo e Roma – il suo rapporto con Max Frisch e il suo viaggio in Egitto[16]
autobiografia di Giuseppe Carlo Airaghi-Sono nato e vivo in provincia di Milano.Una moglie, paziente. Due figli recentemente usciti incolumi dall’adolescenza.
A quel bambino mi rivolgo
C’è sempre un sottinteso
persino nella frasi più innocenti.
Le maestre correggono i compiti
occupandosi solo di sintassi
e ortografia. Il compito assegnato
è diventare un buon cristiano
che non corre lungo i corridoi.
Tutte le presunte certezze impartite
segnate bianco su nero alla lavagna
potremmo ora definirle ipotesi
non comprovate. E’ troppo tardi ormai
per alzare la mano.
Non resta che conformarci agli esempi,
sbirciare nel cuore del compagno di banco,
copiarne le risposte, sottrarsi alle domande,
controllare il dizionario alla ricerca
di un sinonimo accettabile che consenta
di declinare i verbi all’infinito.
Fuori dalle vetrate potrebbe esserci il mare.
C’è invece un muro bianco
decorato dalle ombre dei platani.
Luce su luce che danza a braccia nude
strette alle cose felici, alla frutta
poggiata sul tavolo della mensa
prima che la buccia avvizzisca
e risuoni la campanella.
A quel bambino mi rivolgo,
alle sue vastissime estati
attraversate correndo, trattenendo
il respiro, guardando dal basso,
sulle punte dei piedi.
A quel bambino racconto la parte
migliore dei ricordi, convinto che basti
voltare le spalle a ciò che non voglio
per decretarne l’inesistenza.
Non ignoro quanto siano tenaci
gli indesiderati, quali e quante
le forze scese in campo a fronteggiarsi
per lasciare una traccia o cancellarla.
In buona fede l’obiettivo è stato
cercare un luogo dove piantare
la mia presenza, dove verranno
a trovarmi per confermare la mancanza.
Come una sorta di nostalgia,
un’assenza dolce che resta,
che promette di mutarsi in ricordo.
A lui mi confesso quando scrivo,
al bimbo innocente che sono stato.
Lui il mio giudice,
il mio interlocutore.
Il mio accusatore.
Il gelsomino
Nel cortile lievita una parete
verde di gelsomino. Piantata
la primavera in cui di comune accordo
decidemmo di sfidare la sorte.
Ospitò in estate un nido di merli,
incauti. I gatti di casa
non gli lasciarono scampo.
Nella serena inquietudine propria
sconfina, d’estate, oltre il muro di cinta
per contrabbandare la gloria immodesta
dei suoi bianchissimi fiori.
La bellezza richiede la cura,
i rami vanno sfrondati, addomesticati,
che non soffochino la parabola
del televisore, non provochino
le lamentele, legittime, dei vicini
per l’incruenta invasione dei loro balconi.
A volte penso dovrei lasciare fare.
Vederla conquistare la via
ricoprire le auto in sosta, i cancelli chiusi,
sradicare i pali confitti nel cemento,
Vederla creare precari alloggi
per nuovi nidi di paglia,
dichiarare a squarciagola la rinascita
di un’antica sterminata nazione.
Elegia
All’ora di cena cominciavamo a bere.
Oltre la cornice della finestra
tutto il disordine della stanza
si manteneva a malapena in equilibrio
sopra i rami spogli del pino marittimo in giardino.
Con i silenzi edificammo muri
su cui incidere a punta di coltello
il poema delle nostre incomprensioni.
Aspettavamo come ombrelli
lasciati a sgocciolare
davanti alle porte d’ingresso
dei bar sulla spiaggia.
La reciproca fiducia inaridiva
come il pane avanzato a tavola,
persino l’attesa dell’alba sul mare
perdeva ogni senso del sacro.
Per trovare il coraggio di scriverci
attendemmo si consumasse la forza
della separazione, scemasse la magnitudine
dei nostri corpi che regolavano maree,
desideri, orologi da parete.
Pollice verde
1.
L’orto dietro casa è un quadrato
di terra fertile tre metri per tre.
Ai primi di Aprile ho piantato
parole comuni nell’angolo al sole
tra i pomodori, la lattuga e l’indignazione.
Sono germogliate quattro poesie
incivili, piccole piantine fragili.
Se annaffiate con cura, mi hanno detto,
daranno frutti all’inizio dell’estate.
2.
Strappo le erbacce con cura
per lasciare un silenzio pulito,
la misura a spanne dell’accudire,
lo sguardo quotidiano che salva.
3.
Ogni piantina è differente dall’altra.
Ogni frutto ha un gusto differente:
il seme di ogni parola
matura a suo modo.
Una, nata da un racconto di mare,
ha un gusto salato, una mi ha portato
le lacrime agli occhi, un’altra al suono
delle campane nei giorni di festa.
La quarta non è commestibile
ma il suo fiore è uno squillo,
è il più profumato.
Seduta numero 12 (settembre 2021)
È una questione di percentuali,
dottore, e di grumi di memorie
insolubili. Equilibri incerti
tra contrappesi, puntelli e zeppe
per non fare crollare lìimpalcatura.
Più parliamo del passato, dottore,
più lo riportiamo in vita.
Gli scheletri riesumati rischiano
di alterare la statica già precaria.
Se ogni sette anni,
secondo quanto la biologia suppone,
rinnoviamo ogni nostra particella
questi ricordi appartengono ora
ad un corpo differente dal mio.
Il mio corpo oggi è composto
per il 60 per cento di acqua,
10 per cento di rassegnazione,
un 6 per cento di irrisolte concessioni,
un 3 per cento di misantropia.
Qualche punto percentuale di compassione
e stupore ancora è presente
perlomeno se diamo credito
al referto degli esami.
Il resto è materia di analisi
biologica. Gli esami del sangue
evidenziano un eccesso di glicemia.
Eppure io, Dottore, non mangio dolci.
Sarò dolce di mio.
Breve autobiografia di Giuseppe Carlo Airaghi-Sono nato e vivo in provincia di Milano.Una moglie, paziente. Due figli recentemente usciti incolumi dall’adolescenza. Sul comodino mi ostino ad accumulare libri che tento di leggere contemporaneamente senza riuscire a terminarne uno. Malgrado abbia iniziato ad accumulare testi da riporre nei cassetti fin da quando ero ragazzo ho soltanto da poco trovato il coraggio è la sfacciataggine di condividerli.Ho pubblicato le raccolte di poesia “Quello che ancora restava da dire” (Fara Editore,2020), “La somma imperfetta delle parti” (Ladolfi Editore 2021), il poemetto “Monologodell’angelo caduto”(Fara Editore 2022), “Ora che tutto mi appare più chiaro” (PuntoaCapo Editrice 2023) e il romanzo “I sorrisi fraintesi dei ballerini” (Fara Editore 2021).
Giuseppe LANZA-All’albergo del sole- Solaria Editore-Firenze -1932
Articolo scritto da Sergio SOLMI per la Rivista PEGASO diretta da Ugo OJETTI
Giuseppe Lanza(Valguarnera Caropepe, 1º gennaio 1900 – Milano, 11 settembre 1988) è stato uno scrittore, drammaturgo e critico teatrale italiano, vincitore del Premio Bagutta nel 1956 per Rosso sul lago.
Sergio SOLMI – Nacque a Rieti il 16 dicembre 1899 da Edmondo e da Clelia Lolli, modenesi.Seguì gli spostamenti del padre, professore di storia e filosofia nei licei, a Mantova (dove vide la luce la sorella Olga), a Livorno e a Torino: lì concluse il ciclo degli studi elementari iniziato nel 1905-06 a Livorno, e frequentò le scuole medie. Il 29 luglio 1912, Edmondo Solmi morì di tifo a Santa Liberata, presso Spilamberto (Modena), durante le vacanze estive.
Si interrompeva prematuramente in quel punto, a soli trentasette anni, una più che promettente parabola intellettuale: libero docente di storia della filosofia e incaricato dell’insegnamento a Torino dal 1908 al 1910, Edmondo Solmi era stato chiamato nel 1910 a Pavia come professore straordinario, e i suoi eccellenti studi su Leonardo da Vinci avevano suscitato l’ammirazione di Sigmund Freud.
Giuseppe Lanza (Valguarnera Caropepe, 1º gennaio 1900 – Milano, 11 settembre 1988) è stato uno scrittore, drammaturgo e critico teatrale italiano, vincitore del Premio Bagutta nel 1956 per Rosso sul lago.
Sergio SOLMI – Nacque a Rieti il 16 dicembre 1899 da Edmondo e da Clelia Lolli, modenesi.Seguì gli spostamenti del padre, professore di storia e filosofia nei licei, a Mantova (dove vide la luce la sorella Olga), a Livorno e a Torino: lì concluse il ciclo degli studi elementari iniziato nel 1905-06 a Livorno, e frequentò le scuole medie. Il 29 luglio 1912, Edmondo Solmi morì di tifo a Santa Liberata, presso Spilamberto (Modena), durante le vacanze estive.
Si interrompeva prematuramente in quel punto, a soli trentasette anni, una più che promettente parabola intellettuale: libero docente di storia della filosofia e incaricato dell’insegnamento a Torino dal 1908 al 1910, Edmondo Solmi era stato chiamato nel 1910 a Pavia come professore straordinario, e i suoi eccellenti studi su Leonardo da Vinci avevano suscitato l’ammirazione di Sigmund Freud.
Iscritto alla sezione ‘moderna’ del liceo d’Azeglio, Sergio Solmi affidò alla rivistina giovanile Cronache latine, tra il 15 gennaio e l’aprile-maggio 1917, i suoi primi scritti, sintomaticamente divaricati (come sarà l’intero corso della sua esperienza) tra la critica letteraria (brevi saggi su Guido Gozzano e Arthur Rimbaud) e la scrittura d’invenzione in versi e in prosa. Nel medesimo anno fu chiamato alle armi con la classe 1899: nella Scuola di applicazione di fanteria di Parma incontrò Eugenio Montale, Francesco Meriano, Marcello Manni, Renato Tassinari, Ercole Leone Crovella, Cesare Cerati (Parma 1917 si intitolerà il bellissimo mémoire pubblicato in La Fiera letteraria il 12 luglio 1953); combatté sul Monfenera e sul Montello, fu ferito da una scheggia di granata e ricoverato nell’ospedale militare di Castelfranco Veneto, partecipò all’avanzata finale conclusa il 4 novembre 1918 (all’esperienza bellica dedicherà, in La Fiera letteraria dell’11 novembre 1928, i ricordi autobiografici dal titolo Giorni di guerra).
Tornato alla vita civile, s’iscrisse alla facoltà di giurisprudenza dell’Università di Torino, fondò con Giacomo Debenedetti, Mario Gromo e Emanuele F. Sacerdote la rivista letteraria Primo tempo (15 maggio 1922-dicembre 1923), divenne amico di Piero Gobetti, alla cui lezione rimarrà fedele negli anni, conseguì la laurea in giurisprudenza con una tesi di diritto romano, iniziò l’esercizio della professione legale a Milano nel 1923 e sposò, il 20 novembre 1924, Dora Martinet, figlia di un avvocato socialista, incontrata a Pré St. Didier nell’estate del 1921, dalla quale ebbe i figli Renato e Raffaella. Il 14 gennaio 1926 fu assunto nell’ufficio legale della Banca commerciale italiana, inaugurando un lunghissimo rapporto di lavoro inscindibile dalla profonda amicizia stabilita con il protagonista assoluto della storia di quell’istituto di credito, Raffaele Mattioli.
Collaboratore delle principali riviste letterarie italiane (Il Quindicinale, Il Baretti, L’Italiano, Il Convegno, Le Opere e i Giorni, La Fiera letteraria, Solaria, L’Italia letteraria, Pègaso, Leonardo, La Cultura, Fronte, L’Illustrazione italiana, Circoli, Scuola e cultura, Pan, Emporium, Letteratura, Prospettive, Corrente, Primato) e di alcuni quotidiani (l’Unità, dove conobbe Antonio Gramsci, Giornale di Genova, L’Ambrosiano), Solmi si rivelò subito un interprete eccezionalmente acuto e consentaneo della contemporanea letteratura italiana e francese (sua è la prima originale messa a fuoco dei fondamentali caratteri tematici e formali della poesia di Montale), muovendosi nel solco nel magistero crociano ma senza rinunciare a stabilire una elettiva sintonia con alcuni tra i più eminenti hommes de lettres francesi (Charles Du Bos, Paul Valéry, Alain), particolarmente attenti ai risvolti empirici, ‘tecnici’ dell’opera d’arte.
Il pensiero di Alain (1930) è la prima sistemazione teorica del ‘metodo’ di Solmi per l’interposta persona del filosofo Émile-Auguste Chartier; Fine di stagione (1933) il suo libro di esordio en poète su una linea non lontana dal modello montaliano, ma altrettanto aperta all’ascolto di altre voci del Novecento italiano (di Vincenzo Cardarelli principalmente, mentre Emilio Cecchi fu uno tra i capitali modelli del suo esercizio di prosatore).
Di singolare rilievo è il ruolo assolto da Solmi all’interno della redazione del periodico La Cultura, fondato da Cesare De Lollis: ne diventò condirettore nel 1933, in una fase destinata ad accentuarne l’incompatibilità con la politica culturale del fascismo, che porrà fine alle pubblicazioni della rivista nel maggio del 1935 (in Strumenti critici del settembre 2009 è apparso, per la cura di Guido Lucchini, un inedito Promemoria su “La Cultura”, steso da Solmi su invito di Maurizio Mattioli).
Mentre i saggi sulla letteratura italiana del Novecento sarebbero stati accolti in volume molto più tardi, per sollecitazione di Giacomo Debenedetti (Scrittori negli anni è del 1963), le pagine francesi di Solmi trovarono un primo ordinamento nel 1942 in La salute di Montaigne e altri scritti di letteratura francese, proprio in coincidenza con la fase liminare della sua clandestina militanza politica nelle file del Partito d’azione. Per la sua partecipazione alla Resistenza a Milano venne arrestato il 2 gennaio 1945: riuscì a fuggire dal carcere ma fu nuovamente catturato il 6 aprile. Di quelle straordinarie vicissitudini è traccia nella sezione Dal quaderno di Mario Rossetti delle sue Poesie (Milano 1950).
Condirettore, insieme con Roberto Nonveiller, di Lettere ed Arti nel 1946, direttore di La Rassegna d’Italia dal 1949, nel secondo dopoguerra Solmi orientò il proprio assiduo, discretissimo lavoro di poeta, prosatore, traduttore, critico della letteratura e delle arti figurative all’insegna di una radicale libertà metodologica, sostenuta da una inquieta, mercuriale curiosità per tutte le forme espressive, fulmineamente teorizzata, il 28 novembre 1967, in uno degli aforismi del suo Quadernetto giallo: «Mantenere sempre il compasso alla sua massima apertura, anche a costo di slogarsi le gambe della mente» (Opere, I, Poesie, meditazioni e ricordi, 2, 1984, p. 168). Non a caso il magistrale lettore di Montaigne e Leopardi, di Rimbaud e di Montale era stato, fin dal 1959, anno di pubblicazione della memorabile antologia Le meraviglie del possibile, allestita con Carlo Fruttero, uno degli scopritori italiani della science fiction; nella medesima orbita si sarebbe inscritto il complice interesse, condiviso con Franco Fortini e Italo Calvino, per Raymond Queneau, del quale avrebbe tradotto Piccola cosmogonia portatile. Il 24 luglio 1968 divenne socio corrispondente della classe di scienze morali, storiche e filologiche dell’Accademia nazionale dei Lincei.
Nell’ultima fase della sua esistenza, scandita dalla pubblicazione delle Meditazioni sullo scorpione (1972), delle Poesie complete (1974) e di una serie di mirabili raccolte di saggi su Leopardi (1969 e 1975), sul fantastico (1971 e 1978) e ancora sulla letteratura francese (1976), Solmi non venne meno all’abito di strenuo rigore e di leggendaria riservatezza che ne aveva costituito l’inconfondibile stigma, e la sua impareggiabile, generosa socievolezza ne convertì naturalmente il profilo di grande borghese in un punto di riferimento della vita culturale e civile a Milano, tanto più importante quanto meno incline all’esibizione di sé.
Morì a Milano il 7 ottobre 1981, a meno di un mese dalla scomparsa di Eugenio Montale.
Opere. In vita Solmi ha dato alle stampe i suoi libri in questa sequenza: Il pensiero di Alain (Milano 1930; Milano 1945; Pisa 1976); Fine di stagione (Lanciano-Milano 1933); La salute di Montaigne e altri scritti di letteratura francese (Firenze 1942; Milano-Napoli 1952); Poesie (Milano 1950); Levania e altre poesie, con una nota di V. Sereni (Milano 1956); Scrittori negli anni. Saggi e note sulla letteratura italiana del ’900 (Milano 1963, premio Viareggio per la saggistica); Versioni poetiche da contemporanei (Milano 1963); Dal balcone (Milano 1968); Scritti leopardiani (Milano 1969; poi, con il titolo Studi e nuovi studi leopardiani, Milano-Napoli 1975); Quaderno di traduzioni, I-II (Torino 1969-1977); Della favola, del viaggio e di altre cose. Saggi sul fantastico (Milano-Napoli 1971; poi, con il titolo Saggi sul fantastico. Dall’antichità alle prospettive sul futuro, Torino 1978); Meditazioni sullo scorpione e altre prose (Milano 1972, 1979 e 2016, premio Bagutta 1973); Poesie complete (Milano 1974); Saggio su Rimbaud (Torino 1974); La luna di Laforgue e altri scritti di letteratura francese (Milano 1976, premio Viareggio per la saggistica); Poesie (1924-1972), a cura di L. Caretti (Milano 1978); Quadernetto di letture e ricordi, premessa di L. Caretti (Milano 1979).
Tra il 1983 e il 2011 la casa editrice Adelphi (Milano) ha pubblicato, per la cura di G. Pacchiano, l’intero corpus delle Opere: I, Poesie, meditazioni e ricordi, 1, Poesie e versioni poetiche (1983); 2, Meditazioni e ricordi (1984); II, Studi leopardiani. Note su autori classici italiani e stranieri (1987); III, La letteratura italiana contemporanea, 1, Scrittori negli anni (1992); 2, Scrittori, critici e pensatori del Novecento (1998); IV, Saggi di letteratura francese, 1, Il pensiero di Alain. La salute di Montaigne ed altri scritti (2005); 2, Saggio su Rimbaud. La luna di Laforgue ed altri scritti (2009); V, Letteratura e società. Saggi sul fantastico. La responsabilità della cultura. Scritti di argomento storico e politico (2000); VI, Scritti sull’arte. Discorso sulla pittura contemporanea. Saggi e note su artisti italiani e stranieri e altre pagine sparse, con una nota di A. Negri (2011).
Il lavoro di Solmi traduttore di poesia è attestato da Versioni poetiche da contemporanei e dal Quaderno di traduzioni, I-II; di Solmi è, inoltre, la versione italiana (seguita da Piccola guida alla Piccola cosmogonia di Italo Calvino) di Piccola cosmogonia portatile di Raymond Queneau (Torino 1982).
Si deve a Solmi la cura dei due tomi delle Opere di Giacomo Leopardi per la collezione La letteratura italiana. Storia e testi della Ricciardi (Milano-Napoli 1956 e, in collaborazione con la figlia Raffaella, 1966) e delle antologie Le meraviglie del possibile. Antologia della fantascienza (con C. Fruttero, Torino 1959) e Il giardino del tempo e altri racconti. Il terzo libro della fantascienza (Torino 1983).
Non esiste una raccolta neppure parziale delle lettere di Sergio Solmi, che i rari specimina sparsamente resi noti rendono vivamente desiderabile. Sono state edite, a cura di M. Baldini, introduzione di A. Dolfi, le Lettere a Sergio Solmi di Carlo Betocchi (Roma 2006).
Fonti e Bibl.: La Biblioteca e l’Archivio di Sergio Solmi sono presso la Fondazione Natalino Sapegno onlus a Morgex (Aosta). Una notevole testimonianza biografica e autobiografica ha redatto il figlio primogenito, Renato: Nota biografica e testimonianza personale, in Letteratura e società, cit., pp. 663-685 (poi, con il titolo Sergio Solmi. Una testimonianza personale, in Autobiografia documentaria. Scritti 1950-2004, Macerata 2007, pp. 775-792). Su Solmi e la Banca commerciale italiana è utile il saggio di G. Leori – G. Montanari, Le carte di Sergio Solmi, capo dell’Ufficio consulenza legale della Banca commerciale italiana (1942-1953), in Italia contemporanea, 2014, n. 274, pp. 159-174.
Una ricca serie di informazioni bibliografiche, alle quali si rinvia, offrono le monografie di F. D’Alessandro, Lo stile europeo di S. S. Tra critica e poesia, Milano 2005, di A. Giampietro, S. S. critico militante. Un itinerario nella letteratura italiana del Novecento, Bari 2012, e di G. Montanari – F. Pino, S. S. tra letteratura e banca, Milano 2016. A pp. 227-314 del suo libro Francesca D’Alessandro ha reso noto un prezioso quaderno, dal titolo Libri letti, che di Solmi registra le letture comprese tra il 1919 e il 1936 (ne esistono altri due, rispettivamente relativi agli anni 1936-60 e 1960-81).
Tra gli scritti e le testimonianze di carattere generale si vedano: Omaggio a S. S., a cura di L. Erba, in Stagione, 1956, n. 10, (interventi di L. Erba, V. Sereni, G. Caproni, L. Anceschi, M. Luzi, G. Bárberi Squarotti, M. Colesanti, M. Camilucci, E. Bartolini, U. Eco, N. Risi, G. Gramigna); E. Montale, S. S. Settant’anni. Uomo e poeta, in Corriere della Sera, 16 dicembre 1969 (poi, con il titolo S. S. uomo e poeta, in Id., Sulla poesia, a cura di G. Zampa, Milano 1976, pp. 342-344; con il titolo originario in Id., Il secondo mestiere. Prose 1920-1979, a cura di G. Zampa, II, Milano 1996, pp. 2932-2934); I. Calvino, S. lunare ma non troppo, in la Repubblica, 10 ottobre 1981 (poi, con il titolo In memoria di S. S., in Id., Saggi 1945-1955, a cura di M. Barenghi, Milano 1995, pp. 1253-1256); S. Ramat, S., S., in Dizionario critico della letteratura italiana, diretto da V. Branca, III, Torino 1986, pp. 209-211. Sul poeta e prosatore d’invenzione: V. Sereni, postfazione a Levania e altre poesie, cit., pp. 25-43 (poi in Id., Letture preliminari, Padova 1974, pp. 49-63); P.P. Pasolini, Levania e altre poesie, in Il Punto della settimana, 5 gennaio 1957 (poi, con il titolo S.: evasione e impegno, in Id., Passione e ideologia (1948-1958), Milano 1960, pp. 450-452, e in Id., Saggi sulla letteratura e sull’arte, a cura di W. Siti – S. De Laude, con un saggio di C. Segre, cronologia di N. Naldini, I, Milano 1999, pp. 1192-1195); A. Zanzotto, S. S. e “Levania”, in aut aut, 1957, n. 40, pp. 374-384, e Id., Le lune sognate nei versi di S., in Corriere della Sera del lunedì, 13 gennaio 1975 (poi, la seconda con il nuovo titolo Le “Poesie complete” di S. S., in Id., Fantasie di avvicinamento, Milano 1991, pp. 59-73 e 74-77); L. Caretti, Itinerario di S., in Strumenti critici, III (1969), 10, pp. 381-403 (poi in Id., Antichi e moderni. Studi di letteratura italiana, Torino 1976, pp. 427-452, e Introduzione a S. S., Poesie, cit., pp. IX-XXXI); P.V. Mengaldo, Caratteri stilistici della poesia di Solmi, in Giornale storico della letteratura italiana, CXIX (2002), pp. 497-510 (poi in Id., La tradizione del Novecento. Quinta serie, Roma 2017, pp. 237-248); sul critico: E. Montale, recensione a Il pensiero di Alain, in Pègaso, II (1930), 11, pp. 633-636 (poi in Id., Il secondo mestiere. Prose 1920-1979, a cura di G. Zampa, I, Milano 1996, pp. 423-429); G. Debenedetti, gli anonimi paratesti allegati a Scrittori negli anni, cit. (seconda di copertina: Il libro; terza di copertina: L’Autore); P.V. Mengaldo, S. S., in Profili di critici del Novecento, Torino 1998, pp. 38-43; sul traduttore: P.V. Mengaldo, Aspetti delle versioni poetiche di S., in Studi novecenteschi, IX (1982), pp. 45-96 (poi in Id., La tradizione del Novecento. Nuova serie, Firenze 1987, pp. 307-356, e Seconda serie, Torino 2003, pp. 271-314).
Sinossi del libro di Serena McLeen-Dopo la morte dell’amata nonna Angela Bramante, Annabella viene a conoscenza dell’esistenza di Villa dei Conti Bramante, la maestosa e vecchia dimora nella quale, in un piccolo paese della bassa pianura padana, proprio la nonna ha vissuto la sua giovinezza, per poi scappare alcuni anni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale lasciandosi quel passato alle spalle per sempre. Annabella dovr&agrvae; accettare quel lascito e ristrutturare la casa, oppure rinunciarvi: ad aiutarla a scegliere cosa fare sarà una lettera che la nonna le ha lasciato. Ma cosa si nasconde tra le righe di quello scritto? Quando Annabella finalmente scioglierà i propri dubbi, imbarcandosi nel compito affidatole dalla nonna, si immergerà fra le pagine del diario e fra i più dolorosi ricordi di quella parte della vita di Angela, a lei sconosciuta e legata agli anni bui del Fascismo e della guerra. In un momento di crisi artistica e professionale, Annabella troverà nuova ispirazione nella ricerca della verità e nell’incontro con Francesco, che gestisce con la madre la locanda di paese, ma allo stesso tempo scoprirà che dell’eredità della nonna fa parte anche l’inconfessabile storia della sua stessa famiglia: un capitolo torbido e pregno di segreti per colpa del quale Angela ha vissuto tutta la vita sotto il peso della vergogna.Una giovane donna in cerca di se stessa, i terribili segreti di un passato sepolto ma non morto: nel contesto storico della Seconda Guerra Mondiale, un romanzo psicologico che rivela le pieghe più oscure dell’animo umano.
Franco Leggeri Fotoreportage e Articolo -Fiumicino Al Borgo di TESTA di LEPRE-Inizia IL PALIO DEI FONTANILI edizione 2022-
Franco Leggeri Fotoreportage e Articolo –Fiumicino- Borgo di Testa di Lepre- 6 settembre 2022-Mancano poche ore all’inizio della nuova edizione del Palio dei Fontanili .Una settimana quella dell’8/9/10/11 settembremolto importante per il Borgo della Campagna Romana, soprattutto in chiave simbolica infatti, dopo il terribile periodo del Covid19, ripartono tutte le grandi feste e manifestazione che coinvolgeranno tutto il Comune di Fiumicino durante i mesi di luglio e agosto e sarà il Palio l’ultimo dei grandi eventi dell’estate 2022. Durante il Palio si vedranno sfilare oltre al classico Corteo Storico con Musici i Gruppi di Arcieri, gli immancabili Sbandieratori della Città di Cori e l’Associazione Cornelia Antiqua .
La Presidentessa della Proloco , Maria Rita Rastelli, ci dice: ”Estate vuol dire solo una cosa: Riaprire e Ripartire . Il borgo di Testa di Lepre, durante le giornate del Palio, si trasformerà in una AGORA medievale a cielo aperto dove tutti potranno divertirsi con food di qualità, drink, birre artigianali e tanta musica”. Prosegue la Presidentessa :”Quest’anno però, c’è una new entry di tutto rispetto: “all’ Osteria del Palio” sarà servita la pasta fatta in casa con la farina ricavata dal “grano sacro” seminato dalla Proloco”. Chiosa la signora Maria Rita Rastelli:”Durante la manifestazione, oltre ai tantissimi appuntamenti musicali, ai giuochi popolari e rievocazione storiche in costume ,la Proloco porterà sulla tavola dei visitatori e degli ospiti del Palio, il sapore e i profumi della nostra bella Campagna Romana”.
–Gabriele D’ANNUNZIO –Il “LIBRO SEGRETO”-Rivista PAN n°9 -1935
Gabriele D’ANNUNZIO –Scrittore (Pescara 1863 – Gardone Riviera 1938). Fu uno dei maggiori esponenti del decadentismo europeo. Dotato di una cultura molto vasta, mostrò un’inesauribile capacità di assimilare le nuove tendenze letterarie e filosofiche, rielaborandole con una raffinata tecnica di scrittura.
Gabriele D’ANNUNZIO –Scrittore (Pescara 1863 – Gardone Riviera 1938). Fu uno dei maggiori esponenti del decadentismo europeo. Dotato di una cultura molto vasta, mostrò un’inesauribile capacità di assimilare le nuove tendenze letterarie e filosofiche, rielaborandole con una raffinata tecnica di scrittura.
Vita
Era ancora convittore presso il collegio Cicognini di Prato quando esordì con Primo vere (1879), una raccolta di poesie pubblicata a spese del padre (Francesco Paolo Rapagnetta, che, adottato nel 1851 da una zia materna e dal marito di questa, Antonio D’A., ne aveva assunto il cognome, trasmettendolo poi ai figli), e positivamente recensita da G. Chiarini. Trasferitosi a Roma nel 1881 per gli studî universitarî, che non avrebbe mai condotto a termine, fu accolto con simpatia negli ambienti giornalistici e letterarî e cominciò a collaborare alla Cronaca bizantina, la rivista di A. Sommaruga, restando affascinato dai metodi modernamente spregiudicati dell’editore, cui affidò la stampa (1882) di Canto novo e delle novelle di Terra vergine. Nel successivo periodo di dissipatezze (“La giovinezza mia barbara e forte In braccio de le femmine si uccide”), celebrato dall’audace Intermezzo di rime (1883), si unì in matrimonio con la duchessina Maria Hardouin di Gallese (dal matrimonio nasceranno i figli Mario, Gabriellino e Veniero), trovò un impiego stabile come redattore della Tribuna, firmando con varî pseudonimi cronache mondane e culturali, e pubblicò le raccolte di novelle Il libro delle vergini (1884) e San Pantaleone (1886; insieme con altre, una scelta di novelle da questi due libri sarà ripubblicata in Novelle della Pescara, 1902). All’esperienza della più elegante società romana e al nuovo grande amore per Elvira (o Barbara, come preferì chiamarla) Fraternali Leoni, si ispirò il romanzoIl piacere, composto negli ultimi mesi del 1888 e pubblicato l’anno successivo dall’editore Treves di Milano. Dopo la parentesi fastidiosa del servizio militare (1889-90), le ristrettezze economiche lo indussero a spostarsi a Napoli (1891), dove intrecciò una nuova relazione con la nobildonna siciliana Maria Gravina Cruyllas, dalla quale nacquero i figli Renata e Gabriele Dante. A Napoli collaborò tra l’altro al Mattino, si interessò alle opere di Nietzsche e Wagner, e pubblicò a puntate (1891-92) il romanzo L’innocente, apparso poi in volume presso l’editore Bideri (1892) e subito tradotto in Francia; insieme con il racconto lungo Giovanni Episcopo, di poco precedente (1891; in vol. 1892), esso risente l’influsso della narrativa russa. L’influenza della lettura di Nietzsche si fa invece sentire in modo determinante già nel Trionfo della morte(1894), e all’insegna del superomismo si svolgerà la successiva produzione dannunziana, a partire da Le vergini delle rocce (1896). Nel 1895 D’A. partecipò a una crociera in Grecia, che avrebbe poi trasfigurato nel primo libro delle Laudi. Intanto le suggestioni della crociera rivissero in un dramma, La città morta (1896; pubbl. 1898), grazie anche all’incoraggiamento a scrivere per il teatro che a D’A. veniva da Eleonora Duse, la più grande attrice del tempo, con la quale aveva ormai intrecciato una relazione (e per la quale avrebbe scritto poi Sogno d’un mattino di primavera, 1897, La Gioconda, 1899, e La gloria, 1899). Nel 1897 fu eletto deputato nel collegio di Ortona a Mare, ma, sia per la scarsa partecipazione ai lavori parlamentari sia per il clamoroso passaggio dai banchi della destra a quelli dell’estrema sinistra (“vado verso la Vita”), uscì sconfitto dalle successive consultazioni elettorali. La sua preoccupazione dominante, anche per le solite difficoltà economiche ora accentuate dal principesco tenore di vita nella villa detta la “Capponcina” presso Settignano, era piuttosto la produzione letteraria. Furono così composti, in un breve giro di anni, quelli che vengono considerati comunemente i capolavori dannunziani: il romanzo Il fuoco (1900); la tragediaFrancesca da Rimini (1902); i primi tre libri delle Laudi: Maia (1903), Elettra e Alcyone(1904); la tragedia pastorale La figlia di Iorio (1904). Nonostante qualche clamoroso insuccesso e la fine della relazione con la Duse, prevalentemente teatrali furono gli interessi del periodo successivo (La fiaccola sotto il moggio, 1905; Più che l’amore, 1907; La nave, 1908; Fedra, 1909), che pure culminò nell’ultimo grande romanzo dannunziano, ispirato a una drammatica vicenda amorosa, Forse che sì forse che no (1910). Nel 1910, per sfuggire ai creditori, D’A. fu costretto all'”esilio” in Francia, dove rinverdì un prestigio che risaliva agli anni Novanta e alle traduzioni dell’Innocente e del Piacere, scrivendo in francese antico Le martyre de saint Sébastien (1911), che fu musicato da C. Debussy e interpretato dalla danzatrice I. Rubinstein, e La Pisanelle ou La mort parfumée (1913). In traduzione francese, col titolo Le chèvrefeuille, veniva rappresentata nel 1913 la tragedia Il ferro, da lui composta in italiano come la precedente Parisina del 1912. In questi anni lavorò anche per il cinema, contribuendo non poco, con le sue sonanti didascalie, al successo del film Cabiria (1914) di Piero Fosco (G. Pastrone). Nel 1915, invitato a Quarto per inaugurare il monumento ai Mille, rientrò in Italia e avviò una personale, infiammatissima campagna interventista, in aperta polemica con gli atteggiamenti del governo. Dopo la dichiarazione di guerra, si arruolò come volontario e si distinse in una serie di imprese militari, come la Beffa di Buccari o il volo su Vienna, pur essendo rimasto gravemente ferito in un incidente aviatorio in seguito al quale perse un occhio. Nella totale cecità postoperatoria, aveva scritto (1916) il Notturno su sottili strisce di carta che la figlia Renata provvedeva a decifrare e ricopiare. Eroe pluridecorato e figura ormai leggendaria presso i reduci, si fece interprete, dopo la fine della guerra, della loro indignazione per la “vittoria mutilata” e guidò la “marcia di Ronchi” e l’occupazione di Fiume, che tenne, in qualità di “Reggente”, dal settembre 1919 al dicembre 1920, quando fu costretto militarmente a rinunciare alla sua impresa (a testimonianza degli ambiziosi programmi politici e sociali del D’A. fiumano resta la Carta del Carnaro a sfondo corporativista, che, redatta da A. De Ambris, ebbe da D’A. la forma letteraria definitiva). Ritiratosi nella villa Cargnacco, in quello che poi chiamerà il “Vittoriale degli Italiani”, sul Lago di Garda, fu colto alla sprovvista dal colpo di mano di Mussolini, che aveva appoggiato l’impresa fiumana e a essa probabilmente si era ispirato. Con il dittatore fascista intrattenne un rapporto difficile, apparentemente amichevole e di reciproca ammirazione, ma in realtà minato dal sospetto, vedendosi quindi confinato nella dorata prigione del Vittoriale e dissuaso da qualsiasi interferenza politica, in cambio del massimo riguardo formale e di non poche concessioni (nel 1924 fu creato principe di Montenevoso; poté sovrintendere all’edizione nazionale delle sue opere; nel 1937 divenne presidente dell’Accademia d’Italia).
Opere
Tra i molti generi letterarî da lui tentati, D’A. predilesse la poesialirica: essa anzi fu l’asse intorno al quale tutte le altre forme espressive ruotarono e si organizzarono, allo stesso modo in cui intorno alla letteratura ruotarono i varî aspetti della sua personalità poliedrica. Poetici sono del resto i suoi esordî, con due raccolte addirittura passate in proverbio: Primo vere (1879), per la straordinaria precocità, e Canto novo (1882), per l’invenzione di una inconfondibile cifra personale, pur a ridosso e quasi come approfondimento delle originarie suggestioni carducciane. Del classicismo carducciano, e in particolare delle Odi barbare, rimane virtualmente tributaria una poesia d’ora in poi sempre giocata sulla consapevolezza della propria inafferrabilità di Ideale e sulla conseguente inevitabilità dell’artificio: tutta barbara, congetturale e artificiosa, come congetturale e artificioso era stato il tentativo delle Odi carducciane di riprodurre i metri classici nella versificazione italiana. La stessa scoperta sensuale della natura, che rappresenta la novità più caratteristica di Canto novo e accompagnerà D’A. in tutti gli esperimenti successivi, coincide con un artificio, sullo sfondo di un primordio fantastico giustificando una barbarica irruzione nel mondo ignoto della poesia e conciliando il massimo dell’attualità e della concretezza con l’atemporalità del mito classicistico. Mentre il narratore di Terra vergine (1882) approfitta con acume della lezione verghiana, e soprattutto fornisce di un retroterra aneddotico la sfrenata sensualità del Canto novo, con Intermezzo di rime (1883) D’A. apre il gioco che da cronista mondano avrebbe condotto a perfezione nel quinquennio successivo: una scherzosa divinizzazione del bel mondo romano e di un rituale trasparentemente erotico, cui la poesia fosse in grado di restituire serietà, se non esplicitezza, ricavandone dal canto suo la conferma di una funzione sociale e del relativo consenso. È però da romanziere, con Il piacere (1889), che gli riesce di emanciparsi dalle frigide eleganze e dal valore puramente ludico già presentiti e ben esemplati da Isaotta Guttadàuro e altre poesie (1886). Nel romanzo, la “lotta d’una mostruosa Chimera estetico-afrodisiaca col palpitante fantasma della Vita nell’anima d’un uomo” mette finalmente di fronte una fedeltà all’Ideale deprecabile come un vizio immondo, per la disumanità che comporta, e un buon senso tanto immediatamente redditizio e socialmente rispettabile quanto assolutamente sprovvisto di qualsiasi attrattiva letteraria e intellettuale. Lo scrittore ribadisce così l’irrinunciabilità dell’Ideale nell’amore e nell’arte e al romanzo assegna il compito di creare artificialmente nel lettore la disposizione ad assecondare il suo sogno. A questa nuova disposizione del lettore si rivolge la più affabile poesia delle Elegie romane (1892) e soprattutto del Poema paradisiaco (1893), opera in cui, smessi i travestimenti delle raccolte precedenti per agitare l’altrettanto speciosa parola d’ordine della stanchezza dei sensi e della bontà, D’A. riscatta virtuosisticamente il linguaggio più dimesso del suo repertorio, puntando sulla tensione psicologica dei duetti sentimentali e sulla moltiplicazione delle pause che alonano di sottintesi e potenziano anche le parole più banali. Un altro romanzo, L’innocente (1892), proprio a partire da un equivoco umanitarismo esemplato su Dostoevskij e Tolstoj, aveva del resto chiarito che anche il mito della bontà e della semplicità era nutrito di intellettualismo e si fondava su un idealismo consequenziario in maniera spietata. La conversione al superomismo nietzschiano, per quanto effettivamente incoraggiata da affinità psicologiche e culturali indipendenti dalle letture napoletane di D’A., risulta tuttavia decisiva, sia per l’acuirsi degli interessi teorici di uno scrittore che infatti per un intero decennio mostra di prediligere la forma romanzo, e un romanzo per giunta “idealista”, sia per la più risentita percezione della dimensione sociale dell’attività artistica. Si passa quindi dal Trionfo della morte (1894), in cui il già collaudato tema misogino della Nemica coinvolge nella sua ispirazione distruttiva miti e istituzioni inconciliabili con la purezza dell’Arte, a Le vergini delle rocce (1896), il romanzo “di una Bellezza misteriosa e quasi terribile” che racconta, in una maniera provocatoriamente antiromanzesca, il sogno di una folle palingenesi reazionaria contro la “diminuzione” e la “violazione” da cui sono minacciati tutti i valori in una moderna società democratica. E si approda infine a Il fuoco (1900), che mette in scena l’esperimento di una sorta di regia dell’albeggiante vita spirituale delle masse, non più temute e respinte ma incoraggiate e guidate nelle loro oscure aspirazioni verso la Bellezza. Alle teorizzazioni romanzesche, corrispondono i concreti tentativi di un’arte sia pure solo velleitariamente popolare, compiuti attraverso il teatro. Miti, secondo la ricetta classica dell’arte per il popolo, e insieme dimostrazioni della immutata efficacia dei miti antichi sono le tragedie dannunziane, da La città morta (1898) a La figlia di Iorio (1904) a Più che l’amore (1906), a Fedra (1909), in cui la solita lotta per l’Ideale, spinta talora fino al crimine, rappresenta iperbolicamente una comune insofferenza nei confronti del grigiore della vita quotidiana e la parola poetica sperimenta la propria efficacia fuori del libro. La stagione dei capolavori dannunziani culmina però nei due più celebrati libri delle Laudi del cielo del mare della terra e degli eroi, quando l’urgenza del comprendere lascia il posto alla liberatoria conquista di una poesia nella quale felicemente collaborino istinto e artificio. Gli oltre ottomila versi di Maia (1903) sono virtuosisticamente giocati sul mantenimento della stessa tensione espressiva e esplicitamente votati addirittura all’emulazione del poema dantesco, ponendosi altresì a modello delle innovazioni metriche novecentesche e lasciando intravedere una nuova strada per la poesia civile. Alcyone (1904), di là dalla tenue trama di una vacanza estiva a contatto con la natura toscana, trova un motivo unitario nel suo porsi come “tregua” e nella conseguente scelta di argomenti privati e sentimentali, e punta sulla suggestione d’una lingua manipolata senza sforzo evidente e sulla sconcertante prossimità al linguaggio prosastico, sempre imminente e ogni volta mirabilmente eluso (ad esiti altrettanto significativi non giungono il secondo e il quarto libro delle Laudi: Elettra, 1904; Merope, 1912; né Canti della guerra latina, 1933, noto anche come Asterope). La fase del ripiegamento memoriale si apre all’indomani della splendida fioritura primonovecentesca, all’insegna di un autobiografismo meno strumentale e idealizzato. Se così Forse che sì forse che no (1910) traduce, concretamente svilendolo, l’Ideale dei romanzi precedenti nella passione aviatoria e, quasi come postuma compensazione, rappresenta il dramma della femminilità offesa, tutte le prose di memoria e quella che è stata definita “esplorazione d’ombra”, comprese tra l’atteggiamento solennemente meditativo della Contemplazione della morte (1912) e la scrittura apparentemente pedantesca e in realtà comica del Secondo amante di Lucrezia Buti (nel vol. Il venturiero senza ventura e altri studii del vivere inimitabile, 1924, primo dei due tomi che, con Il compagno dagli occhi senza cigli e altri studii ecc., 1928, compongono Le faville del maglio), rivelano addirittura uno scrittore nuovo. Con il Notturno (pubbl. nel 1921), il mutamento dello scenario psicologico e la singolare tecnica compositiva si risolvono nella ricerca di una lirica essenzialità all’interno della prosa, che nella paratassi inevitabile di un eterno presente vive l’ultima stagione di una sensibilità sovrumana, e, con le Cento e cento e cento e cento pagine del libro segreto di Gabriele D’A. tentato di morire (1935), lo scrittore a quella tecnica fa corrispondere la naturalezza quasi meccanica con cui si concede alla registrazione, al ricordo, all’intuizione più penetrante, senza ricavarne più nessuna scintilla di vitalità.
Le opere di D’A. furono da lui stesso riordinate in 48 voll., per l’ed. nazionale (1927-36), cui si aggiunse un vol. di Indici, a cura di A. Sodini (1936). Postumi sono stati pubblicati: Solus ad solam, un diario d’amore, a cura di J. De Blasi (1939); una scelta di sue Lettere a Barbara Leoni, a cura di B. Borletti (1954); i Taccuini, a cura di E. Bianchetti e R. Forcella (1965), seguiti da Altri taccuini, a cura di E. Bianchetti (1976) e da Di me a me stesso, a cura di A. Andreoli (1990); il Carteggio D’A.-Mussolini (1919-1938), a cura di R. De Felice e E. Mariano (1971); alcuni testi inediti, che dovevano far parte della raccolta La penultima ventura (2 voll., 1931), dedicata al periodo fiumano, in La penultima ventura, a cura di R. De Felice (1974), il Carteggio D’A. – Ojetti (1894-1936), a cura di C. Ceccuti (1979).
Poesie di Vittorio Bodini -Pubblicate dal Blog L’Altrove-
Vittorio Bodini è una delle figure centrali nella poesia italiana del Novecento, noto per la sua capacità di fondere esperienze personali con una profonda riflessione sulla condizione umana. La sua opera poetica, ricca di immagini evocative e di una musicalità unica, merita un’analisi attenta che ne metta in luce i temi principali e l’impatto culturale.
Nato a Bari il 6 gennaio 1914, Bodini trascorse la sua giovinezza in un contesto segnato da eventi storici tumultuosi, come la Seconda Guerra Mondiale. Alla fine degli anni ’30 si trasferì a Firenze, dove si laureò in Lettere e Filosofia ed entrò in contatto con importanti correnti letterarie. La sua vita fu segnata da viaggi e esperienze che influenzarono profondamente la sua scrittura. Bodini visse anche in Spagna, un’esperienza che arricchì la sua poesia di una dimensione di ricerca identitaria e di nostalgia. Nel 1954 fondò a Lecce L’esperienza poetica, rivista che durò solo due anni. Gli ultimi dieci anni della sua vita li trascorse invece a Roma, dove morì nel dicembre del 1970.
La poesia di Bodini si distingue per la sua profondità emotiva e per l’uso di un linguaggio semplice ma incisivo. Le sue raccolte più celebri, come il suo libro di esordio, La luna dei Borboni, esplorano temi quali la solitudine, l’amore, la morte e la memoria; immagini che giocano un ruolo cruciale nella sua scrittura. Bodini riflette sul passato con un tono nostalgico, cercando di ricostruire le esperienze perdute. Finalista al Premio Viareggio, il volume esplora il tema della nostalgia attraverso immagini evocative che richiamano la sua terra natale, la Puglia. La luna diventa un simbolo di bellezza e malinconia, riflettendo un desiderio di connessione con le radici culturali e personali. Le poesie sono caratterizzate da un linguaggio ricco di musicalità e da una forte carica emotiva.
L’opera di Bodini si distingue per la sua capacità di esplorare temi universali attraverso una lente personale. I temi della nostalgia, della memoria e della fragilità umana sono costantemente presenti. La sua scrittura è caratterizzata da una musicalità intrinseca, che si manifesta in scelte lessicali ricercate e in un ritmo che invita alla lettura ad alta voce. La fusione di elementi autobiografici con riferimenti culturali e letterari, come il barocco spagnolo, arricchisce ulteriormente la sua poetica.
La presenza di tali tematiche sono da attribuire anche al profondo legame che il poeta ebbe con la cultura e la letteratura spagnola; il surrealismo spagnolo influenzò la sua poetica in vari modi.
Il surrealismo spagnolo si caratterizzava per l’uso di immagini oniriche, simboli e una forte carica emotiva, spesso legata alla realtà sociale e politica del paese. Nel suo soggiorno in Spagna, Bodini si interessò molto allo studio e alla traduzione di autori surrealisti quali Federico García Lorca, Miguel de Cervantes, Rafael Alberti, Francisco de Quevedo e Calderón de la Barça.
Vittorio Bodini si afferma come una delle voci più significative della poesia italiana del Novecento. La sua capacità di esprimere emozioni complesse attraverso un linguaggio evocativo e diretto lo rende un poeta di grande rilevanza.
Di seguito alcune poesie scelte di Vittorio Bodini
Sto davanti alla tua caverna
Sto davanti alla tua caverna. Esci fuori e arrenditi. Noi abbiamo la sintassi e la radio, i giornali e il telegrafo, e tu non vivi che del mio sonno, non hai che la roccia a cui ti tieni abbrancato, e per farmi dispetto non mi rispondi nemmeno.
Il destino dell’uomo
Quando dai pomodori uscirà il sangue il destino dell’uomo sulla terra sarà segnato Gli animali che hanno per vita privata un continente grattacieli d’arnie o l’insonne arabesco saranno nei tuoi occhi come un campo da tennis Gli ingegneri si rompono senza un grido Avran le sere cere minuziose sere dal volto aguzzo inesatte chimere Sono i calici d’ombra Sono i calici in fiamme Il vuoto dei manichini attirerà le montagne.
I pini della Salaria
Attento. Ogni poesia può esser l’ultima. Le parole s’ammùtinano. Comincia un insolito modo con le cose di guardarsi d’intendersi scavalcando le parole in una vile dolcezza. Ahi, e avevo un cuore che voleva abbaiare tutte le notti alla luna e alle pietre. Sì, i cappellini d’edera dei lampioni notturni, le coppie che s’abbracciano nelle macchine ferme… Che posto troverò per voi nella memoria, per voi e per le colme cupole che ammaìna Roma nell’ombra? I pini della Salaria non hanno pigne da far scoppiare al fuoco, pigne calde da mettere nel cavo petto dei morti.
Tu non conosci il Sud, le case di calce da cui uscivamo al sole come numeri dalla faccia d’un dado.
Qui non vorrei morire dove vivere mi tocca, mio paese, così sgradito da doverti amare; lento piano dove la luce pare di carne cruda e il nespolo va e viene fra noi e l’inverno.
Pigro come una mezzaluna nel sole di maggio, la tazza di caffè, le parole perdute, vivo ormai nelle cose che i miei occhi guardano: divento ulivo e ruota d’un lento carro, siepe di fichi d’India, terra amara dove cresce il tabacco. Ma tu, mortale e torbida, così mia, così sola, dici che non è vero, che non è tutto. Triste invidia di vivere, in tutta questa pianura non c’è un ramo su cui tu voglia posarti.
L’Altrove è un Blog di poesia contemporanea italiana e straniera
“La poesia non cerca seguaci, cerca amanti”. (Federico García Lorca)
Con questo presupposto, L’Altrove intende ripercorrere insieme a voi la storia della poesia fino ai giorni nostri.
Si propone, inoltre, di restituire alla poesia quel ruolo di supremazia che ultimamente ha perso e, allo stesso tempo, di farla conoscere ad un pubblico sempre più vasto.
Troverete, infatti, qui tutto quello che riguarda la poesia: eventi, poesie scelte, appuntamenti di reading, interviste ai poeti, concorsi di poesia, uno spazio dedicato ai giovani autori e tanto altro.
Noi de L’Altrove crediamo che la poesia possa ancora portare chi legge a sperimentare nuove emozioni. Per questo ci auguriamo che possiate riscoprirvi amanti e non semplici seguaci di una così grande arte.
Poesie di Alessandro Canzian, quattro inediti da «In absentia»- rivista «Atelier»-
Alessandro Canzian è nato nel 1977 a Pordenone. Nel 2008 fonda la Samuele Editore. Nel 2015 apre il ciclo di incontri letterari Una Scontrosa Grazia e nel 2016 l’osservatorio poetico online laboratoripoesia.it. Nel 2018 cura, assieme a Simona Wright, il 50° numero del “Nemla Italian Studies” del College of New Jersey dal titolo “Writing in a Different Language: Transnational Italian Poetry” (presentato nel 2019 a Washington), mentre nel 2021 fonda la rivista semestrale “Laboratori critici” (con e per la direzione di Matteo Bianchi). Dallo stesso anno collabora con Pordenonelegge pubblicando le collane Gialla e Gialla Oro e, con Roberto Cescon, apre e cura il sito pordenoneleggepoesia.it. Come autore ha pubblicato Il Condominio S.I.M. (Stampa 2009, 2020, prefazione di Maurizio Cucchi, Premio San Vito al Tagliamento 2020).
* * *
Si parla d’incanto. «Scialla»
ho sentito dire da due
ragazzi nel parco. Vivere
è la pena di sentirsi
vivi, con un braccio spezzato.
*
Il respiro scoppiato per caso
tra scapole e strade.
L’uomo è un ramo
che si spezza facilmente.
*
Ogni giorno m’interrogo
sui corpi di mosca caduti.
Un nido di topo già morto
non fa primavera, Dio
è un sinonimo di mai.
*
Piove. Anche il topo
sa la persiana sfondata.
Uno stomaco di notte
incapace di vomitare.
Biblioteca DEA SABINA- La rivista «Atelier»
La rivista «Atelier» ha periodicità trimestrale (marzo, giugno, settembre, dicembre) e si occupa di letteratura contemporanea. Ha due redazioni: una che lavora per la rivista cartacea trimestrale e una che cura il sito Online e i suoi contenuti. Il nome (in origine “laboratorio dove si lavora il legno”) allude a un luogo di confronto e impegno operativo, aperto alla realtà. Si è distinta in questi anni, conquistandosi un posto preminente fra i periodici militanti, per il rigore critico e l’accurato scandaglio delle voci contemporanee. In particolare, si è resa levatrice di una generazione di poeti (si veda, per esempio, la pubblicazione dell’antologia L’Opera comune, la prima antologia dedicata ai poeti nati negli anni Settanta, cui hanno fatto seguito molte pubblicazioni analoghe). Si ricordano anche diversi numeri monografici: un Omaggio alla poesia contemporanea con i poeti italiani delle ultime generazioni (n. 10), gli atti di un convegno che ha radunato “la generazione dei nati negli anni Settanta” (La responsabilità della poesia, n. 24), un omaggio alla poesia europea con testi di poeti giovani e interventi di autori già affermati (Giovane poesia europea, n. 30), un’antologia di racconti di scrittori italiani emergenti (Racconti italiani, n. 38), un numero dedicato al tema “Poesia e conoscenza” (Che ne sanno i poeti?, n. 50).
Direttore responsabile: Giuliano Ladolfi Coordinatore delle redazioni: Luca Ariano
Redazione Online Direttori: Eleonora Rimolo, Giovanni Ibello Caporedattore: Carlo Ragliani Redazione: Mario Famularo, Michele Bordoni, Gerardo Masuccio, Paola Mancinelli, Matteo Pupillo, Antonio Fiori, Giulio Maffii, Giovanna Rosadini, Carlo Ragliani, Daniele Costantini, Francesca Coppola.
Redazione Cartaceo Direttore: Giovanna Rosadini Redazione: Mario Famularo, Giulio Greco, Alessio Zanichelli, Mattia Tarantino, Giuseppe Carracchia, Carlo Ragliani.
La rivista «Atelier» ha periodicità trimestrale e si occupa di letteratura contemporanea.
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Per tutte le comunicazioni e proposte per Atelier Online, sia di pubblicazione di inediti che di recensioni vi preghiamo di scrivere al seguente indirizzo mail di direzione: eleonorarimolo@gmail.com
Alvise Nodale in concerto a Roma venerdì 10 gennaio 2025, alle ore 21 – Il giovane cantautore friulano Alvise Nodale si esibirà per la prima volta a Roma. Appuntamento venerdì 10 gennaio, alle ore 21, all’Antica Stamperia Rubattino (Via Rubattino, 1, nel quartiere Testaccio), divenuta ormai luogo comune della canzone e della musica di qualità nella Capitale.
L’anno appena terminato ha segnato una tappa fondamentale nella vita e nella carriera di Alvise Nodale. Alla pubblicazione del nuovo album, “Gotes”, (Il Cantautore Necessario/Egea Music, 2024, produzione esecutiva A.C.CulturArti, produzione artistica Edoardo De Angelis), ha fatto seguito una serie di importanti riconoscimenti nazionali: miglior testo al Premio Andrea Parodi, ricevuto a Cagliari; il primo premio per la sezione Musica nel Premio letterario “Salva la tua lingua locale”, consegnato a Roma nella sala della Protomoteca in Campidoglio; il XVII Premio Augusto Daolio, consegnato a Sulmona, al Teatro Tony Del Monaco, ai quali si aggiunge un ottimo secondo posto conquistato nella finalissima del prestigioso Premio Lunezia al Teatro Civico di La Spezia.
Il prossimo 10 gennaio, dopo le foto di rito nel momento di suonare la mitica campanella che annunciava l’inizio dei concerti al Folkstudio (sì, proprio quella originale, che ora risuona nel salotto del fortunato locale di Testaccio), Alvise Nodale salirà sul palco dell’Antica Stamperia presentato e “scortato” al suo debutto romano da due storici cantautori della Capitale, Edoardo De Angelis e Fabrizio Emigli, direttore artistico del locale. E’ molto probabile che Emigli e De Angelis intreccino voci e chitarre con Nodale per festeggiare questo battesimo sulle rive del Tevere. Il concerto, preparato da Alvise per l’occasione, conterrà le canzoni del nuovo album “Gotes”, e altre tra le sue preferite, tra cui alcuni canti popolari, bellissimi, della sua terra. Ospite a sorpresa del concerto, oltre ai già nominati De Angelis ed Emigli, una nuova stella della canzone d’autore friulana, Nicole Coceancig, fresca vincitrice, a Livorno, del Premio nazionale intitolato a Piero Ciampi. Anche per Nicole, quindi, un augurale battesimo romano.
Edoardo De Angelis, produttore artistico del nuovo album Gotes, scrive: “Alvise è un artista vero, vale a dire fuori del tempo, e quindi adatto a ogni tempo. La sua offerta è ampia, sempre accompagnata dal sentimento. Questa è la sua ricchezza, il suo colore. La vita dell’uomo è percepita dall’artista con accesa sensibilità: questi ne viene toccato profondamente, e reagisce restituendo nuovi sentimenti, gonfi di vissuto. Sono perle, o gocce, gotes, come scrive Alvise nella sua lingua. Una lingua ufficiale, riconosciuta, si badi, non un dialetto! Una lingua netta, pulita, ma ricca e musicale, che riflette, come in uno specchio, la musicalità di Alvise, la sua caratura di musicista, di amante della chitarra acustìca, del suo suono, delle sue frequenze, della sua anima. Ampia la sua offerta, come dicevo, di sentimenti, di vita, di linee melodiche e di ricercate armonie, e del suono della sua lingua, che, a mio avviso, non si presenta come un limite ma come una straordinaria prerogativa di particolarità, di distinzione personale, confermata dal numero e dalla qualità dei premi nazionali conquistati nei sei mesi successivi alla pubblicazione del nuovo album”.
Nato a Sutrio, in Carnia, nel 1995, Alvise Nodale è legittimo erede dei grandi esponenti della musica popolare della Regione Friuli Venezia Giulia. Tra il primo album autoprodotto, Conte Flame (2015), e The Dreamer (2018), è ospite di importanti rassegne (Madame Guitar, Folkest) e collabora con affermati colleghi friulani, Lino Straulino, Nicole Coceancig, Cristian Mauro e altri. Con Straulino e Alessia Valle fonda i Villandorme. Nel 2021 esce Zornant, raccolta di canti popolari friulani che lui stesso produce, arrangia e suona. Nel 2023 si afferma a livello nazionale: è vincitore, a maggio, della residenza artistica Mille anni al mondo e mille ancora che si svolge a Prato Carnico nell’ambito del Festival Frattempi; a luglio è applaudito ospite della XXI edizione di Ferentino Acustica; a settembre vince a Cremona il concorso New Sounds of Acoustic Music organizzato da Acoustic Music Village.
Questi successi lo portano all’attenzione del cantautore Edoardo De Angelis (già produttore artistico, tra gli altri, di Francesco De Gregori, Sergio Endrigo e Max Manfredi), che insieme ad Alvise lavora, a Udine, alla costruzione di un nuovo album di inediti in lingua friulana, Gotes, pubblicato dall’etichetta Il Cantautore Necessario e distribuito da Egea Music. Il nuovo album porta fortuna ad Alvise, impegnato in una lunga stagione di concerti estivi, con il ritorno a Ferentino e a Cremona. Ma soprattutto il lavoro del cantautore di Sutrio viene riconosciuto a livello nazionale con una vera e propria collezione di Premi: miglior testo al Premio Andrea Parodi; primo premio per la sezione Musica nel Premio letterario nazionale “Salva la tua lingua locale”; XVII Premio Augusto Daolio a Sulmona. E il secondo posto conquistato nella finalissima della trentesima edizione del prestigioso Premio Lunezia.
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