L’AUTRICE-Cristina Peri Rossi (Montevideo, 12 novembre 1941), scrittrice, poetessa, traduttrice e attivista politica uruguaiana. In esilio a Barcellona dal 1972, vi ha svolto tutta la sua carriera letteraria. La sua opera, sia in prosa sia in poesia, è basata sul tema amoroso, con un linguaggio denso di allusioni e metafore.
INVOCAZIONE
Che il tuo corpo sia sempre un amato luogo di rivelazioni e non sia lo specchio dove si riflettono gli amanti che furono i corpi amati un giorno e poi dimenticati un amato luogo di rivelazioni e non di ripetizioni.
da Strategie del desiderio, 2004.
CHIESUOLA
Non conosce l’arte della navigazione chi non ha vogato nel ventre di una donna, remato in lei, naufragato e sopravvissuto in una delle sue spiagge.
da Linguística generale, 1979.
LA GIUSTA DISTANZA
In amore, come nella boxe, è solo questione di distanza Se ti avvicini troppo mi infiammo mi impaurisco mi confondo dico sciocchezze comincio a tremare ma se sei lontano soffro intristisco non dormo e scrivo poesie.
da Un’altra volta Eros, 1994.
CHIAROSCURO
(La merlettaia, Jan Vermeer da Delft)
La diligenza delle mani delle dita l’attenta inclinazione della testa l’asservimento a un lavoro tanto minuzioso quanto ossessivo L’apprendistato della sottomissione e del silenzio Madre, io non voglio fare i merletti non voglio i fuselli non voglio la dolorosa saga Non voglio essere donna.
da Le muse inquietanti, 1999.
LE PAROLE SONO SPETTRI
Le parole sono spettri pietre magiche che spezzano i sigilli dell’antica memoria E i poeti celebrano la festa del linguaggio sotto il peso dell’invocazione I poeti accendono i falò che illuminano i volti eterni dei vecchi idoli Quando i sigilli saltano l’uomo scopre la traccia dei suoi antenati Il futuro è l’ombra del passato nelle rosse braci di un fuoco venuto da lontano, non si sa da dove.
da Babel bárbara, 1991.
Rivista L’Altrove
“La poesia non cerca seguaci, cerca amanti”. (Federico García Lorca)
Con questo presupposto, L’Altrove intende ripercorrere insieme a voi la storia della poesia fino ai giorni nostri.
Si propone, inoltre, di restituire alla poesia quel ruolo di supremazia che ultimamente ha perso e, allo stesso tempo, di farla conoscere ad un pubblico sempre più vasto.
Troverete, infatti, qui tutto quello che riguarda la poesia: eventi, poesie scelte, appuntamenti di reading, interviste ai poeti, concorsi di poesia, uno spazio dedicato ai giovani autori e tanto altro.
Noi de L’Altrove crediamo che la poesia possa ancora portare chi legge a sperimentare nuove emozioni. Per questo ci auguriamo che possiate riscoprirvi amanti e non semplici seguaci di una così grande arte.
L’Aquila la mostra fotografica di Ilaria Di Giustili :”La Venere”
L’Aquila la mostra fotograficaLa Venere, di Ilaria Di Giustili: una mostra che si muove tra immagini e poesia, con un contributo di testi di Stefania Macchione e frammenti poetici di Carmela de Felice, con il con il Patrocinio del Comune dell’Aquila.
Il progetto fotografico La Venere, di Ilaria Di Giustili, arriva a L’Aquila dopo una lunga gestazione, che l’ha vista esposta a Roma in una edizione precedente, con altra forma: un percorso di crescita personale oltre che visivo della fotografa l’ha riportata negli anni sul tema della Donna, della sua relazione con sé stessa e con il mondo che la circonda.
Venere, dea dell’amore, è intesa come simbolo di tutte le donne attraverso una serie di scatti che la rappresentano in tutte le sue età e declinazioni spirituali.
La mostra si divide in tre sezioni, la prima dedicata al lato oscuro della Donna archetipo di bellezza e forza, anche – e diremmo soprattutto – quando è fragile e sottoposta a tensioni e violenze fisiche e psicologiche: scatti che vedono i corpi femminili quasi prigionieri delle cornici, allegorie appunto di uno spazio troppo stretto per muoversi nel quale le donne sono rinchiuse, ma non di rado si rinchiudono anche da sole.
La seconda sezione, dal titolo La Venere svelata, vede invece donne immerse in clima di tenerezza e di dolcezza, di relazioni familiari, di complicità, di generazioni che dialogano, da “album di famiglia”
Infine, nella terza sezione, gli abbracci, i baci e la sensualità, con presenze maschili anche nelle fotografie.
Stampe di grandi dimensioni e pannelli con i testi poetici animano il bellissimo sotterraneo del Palazzetto dei Nobili, quasi un labirinto di ambienti misteriosi nei quali l’allestimento guida per mano i visitatori in un viaggio nell’animo della Donna.
Un viaggio che prende maggior valore per essere esposto nel mese di Novembre, ormai dedicato in particolare alla sensibilizzazione contro la violenza sulle donne.
La mostra si propone animata, ogni settimana, da eventi diversi: reading poetici e intermezzi musicali dal vivo più un importante incontro con Salute Donna ODV che si occupa di prevenzione e lotta ai tumori.
· Programma
Opening: sabato 9 novembre ore 17.00
Presentazione con la curatrice Penelope Filacchione presidente dell’Associazione Artsharing Roma – ETS; reading poetico di Carmela de Felice, performance musicale live Dora Ruggiero e Simona Rossi (violino) Clara Gizzi (arpa)
venerdì 15 novembre ore 17:00 Incontro con Salute Donna ODV Associazione per la prevenzione e lotta ai tumori, con la partecipazione dell’Ass. Ersilia Lancia e con visita guidata alla mostra.
venerdì 22 novembre ore 18:00: Serata conclusiva: la poetessa, giornalista, editrice Alessandra Prospero e lo scrittore e regista Federico Del Monaco leggono “Colpa di Alfredo?” di/con Carmela de Felice, performance musicale live Dora Ruggiero e Simona Rossi (violino) Clara Gizzi (arpa), con visita guidata alla mostra.
Marianne Moore (St. Louis, Missouri, 1887 – New York 1972) esordì nel 1921 con Poems, una raccolta di poesie giovanili che H. Doolittle, sua ex compagna al Bryn Mawr College, e R. McAlmon s’incaricarono di pubblicare nel più stretto riserbo. Tra il 1925 e il 1929, dopo un primo successo ottenuto con Observations (1924), diresse la rivista letteraria «The Dial», divenendo uno dei protagonisti del dibattito sulla poesia modernista. Spesso sospesa tra sconfinamenti fantastici e scientifica puntualità d’osservazione (noto l’eclettico bestiario cui M. dà vita nei suoi versi), la sua poesia è siglata da una cifra ironica e da un linguaggio che si fa sempre più rarefatto e compresso. Tra le sue opere più significative: The pangolin and other verse (1936); What are years (1941); Nevertheless (1944); A face (1949); Collected poems (1951 – Premio Pulitzer, National Book Award e Premio Bollingen). Oltre alle raccolte successive (Like a bulwark, 1956, trad. it. 1974; O to be a dragon, 1959; Tell me, tell me: granite, steel, and other topics, 1966), ha lasciato un volume di saggi, Predilections (1955) e un’esemplare traduzione di The fables of La Fontaine (1954). Il Complete poems of MarianneMoore è apparso nel 1967 (trad. it., in 2 voll., 1972-74).
*
La poesia
Non piace neanche a me: ci sono cose assai più importanti di simili inezie. Comunque, leggendola con tranquillo disprezzo, uno scopre che in fin dei conti può esserci del genuino. Mani capaci di afferrare, occhi capaci di dilatarsi, capelli all’occorrenza capaci di rizzarsi, sono cose importanti non in virtù delle interpretazioni pompose che possono suggerirvi, ma perchè sono utili. Quando diventano derivate a tal punto da non essere più intellegibili siamo tutti d’accordo: non possiamo ammirare ciò che non riusciamo a capire: il pipistrello appeso a testa in giù o in cerca di qualcosa da mangiare, elefanti che cozzano, un cavallo selvaggio che si rotola, un lupo sotto un albero, instancabile, il critico ottuso che si contrae di scatto la pelle come a un cavallo infastidito da un tafano, il tifoso di base-ball, l’esperto di statistica- e non ha senso neppure svalutare “documenti commerciali e libri scolastici”. Sono importanti anche questi. Però occorre distinguere: se vengono utilizzati a sproposito da poeti di secondo ordine, il risultato non sarà mai poesia. Nè vi sarà poesia finchè i poeti non sapranno essere i “veristi dell’immaginazione” sdegnando banalità e insolenza, e non sottoporranno al vostro esame “giardini immaginari con dentro rospi veri”. Se, comunque, pretendete da un lato il materiale della poesia allo stato grezzo e dall’altro richiedete ciò che è genuino, allora vuol dire che la poesia vi interessa.
Da Unicorni di mare e di terra. Poesie 1935-1951, Rizzoli.
Serpenti, manguste, incantatori di serpenti e simili
Ho un amico che pagherebbe un occhio della testa per quelle lunghe dita tutte uguali –
per quegli orrendi artigli d’uccello, per quell’aspide esotico e la mangusta –
prodotti del paese dove tutto è fatica, il paese del cercatore d’erba,
del portatore di torce, del servo addetto al cane, del portatore messaggero, del santone.
Affascinato da questo esimio verme, selvatico e feroce quasi quanto il giorno della cattura,
lo fissa con occhi sbarrati che sembrano incapaci d’analisi.
«Il serpe sottile che si snoda fulmineo nell’erba,
la tartaruga placida dal dorso variegato,
il camaleonte che passa dalla frasca alla pietra e dalla pietra al ruscello»,
un tempo gli accendevano l’immaginazione;
ora la sua ammirazione è concentrata tutta qui.
Spesso, ma non pesante, si drizza sporgendo dal suo cesello da viaggio,
l’essenzialmente ellenico, il plastico animale tutto d’un pezzo dal naso alla coda;
non si può fare a meno di guardarlo come si è costretti a guardare le ombre delle Alpi
che nelle loro pieghe imprigionano come mosche nell’ambra
i ritmi della pista di pattinaggio.
Questo animale, al quale dalla notte dei tempi
è stata attribuita tanta importanza,
bello, a quanto sostenevano i suoi adoratori – a che scopo fu inventato?
Forse per dimostrare che quando l’intelligenza nella sua forma pura
s’imbarca in un ordine di pensiero improduttivo deve fare marcia indietro?
Chissà; la sola cosa certa al riguardo è la sua forma; ma perché protestare?
La passione di migliorare il prossimo è di per sé una malattia affliggente.
Meglio la repulsione, che non avanza pretese.
Che cosa sono gli anni?
Cos’è la nostra innocenza,
cos’è la nostra colpa?
Tutti sono nudi,
nessuno è salvo.
E da dove viene il coraggio:
la domanda senza risposta,
il dubbio risoluto – che chiama
muto, e sordo ascolta –
che nella sventura,
nella morte stessa
dà coraggio agli altri,
e nella stessa sconfitta induce
l’anima a farsi forte?
Sa vedere nel fondo delle cose ed è lieto
chi accede alla mortalità e nella sua prigione si eleva
al di sopra di se stesso,
come il mare dentro un abisso
lotta invano per liberarsi
e trova nell’arrendersi
il suo perdurare.
Così chi sente fortemente
opera da forte. Anche l’uccello
cresciuto cantando
rinsalda la propria forma e l’innalza.
Benché prigioniero, dice
col suo canto potente
che la soddisfazione è cosa vile,
cosa pura è la gioia.
Questa è la mortalità.
Questa è l’eternità.
A una lumaca
Se «la concisione è la prima grazia dello stile»,
tu la possiedi. La contraibilità è una virtù
come lo è la modestia.
Non è l’acquisizione d’una cosa qualsiasi
capace di adornare,
né la qualità accidentale
che può accompagnarsi a una cosa espressa bene,
che noi apprezziamo nello stile,
ma il principio nascosto:
nell’assenza di piedi, «un metodo conclusivo»;
«una conoscenza dei princìpi»,
nel curioso fenomeno del tuo corno occipitale.
New York
l’epopea del selvaggio,
cresciuta dove lo spazio ci occorre per i traffici –
il centro del commercio all’ingrosso delle pellicce,
costellato di tende d’ermellino e popolato di volpi,
i lunghi peli che ondeggiano due dita sopra il pellame;
il terreno cosparso di pelli di daino – macchie di bianco su bianco,
«così come un ricamo monocromo su raso può avere una trama varia»;
e vizze piume d’aquila compresse dal vento;
e strisce di pelli di castoro – bianche, sollecite di neve.
Ce ne corre di spazio tra la «regina carica di gioielli»
e il bellimbusto col manicotto,
tra il cocchio dorato a forma di flacone di profumo,
e la confluenza del Monongahela con l’Allegheny
e la filosofia scolastica delle terre selvagge.
Non è la copertina dei romanzetti di frontiera che conta,
le cascate del Niagara, i cavalli pezzati e la canoa da guerra;
non è il dire «la pelliccia se non è più bella delle pellicce delle altre,
è meglio non averla» –
e il cui equivalente in carne cruda e in bacche ci basterebbe
per sfamare l’universo;
non è il clima dell’ingegnosità,
le pelli di lontra, di castoro, di puma
senza armi da fuoco, né cani;
non è il profitto,
ma «la possibilità di accedere all’esperienza».
Una tomba
Uomo che scruti dentro il mare,
impedendo la vista ad altri che come te avrebbero diritto di guardare,
e dell’umana natura porsi nel bel mezzo d’una cosa,
ma in mezzo a questa non ti è possibile stare;
il mare non ha altro da offrire che una tomba ben scavata.
Gli abeti stanno in processione con in cima
una smeraldina zampetta di tacchino,
riservati come i loro profili, non dicono nulla;
non è la repressione, comunque, la più evidente caratteristica del mare;
il mare è un collezionista, pronto a restituire uno sguardo rapace.
Altri, oltre a te, hanno avuto quello sguardo –
e la loro espressione non è più di protesta; i pesci non li esplorano più
poiché le loro ossa non hanno durato;
gli uomini calano le reti, senza sapere che stanno dissacrando una tomba,
e remano via veloci – le pale dei remi
che si muovono insieme come le zampe dei ragni d’acqua
quasi non vi fosse una cosa come la morte.
Le increspature avanzano insieme in una falange –
belle sotto i ricami della spuma,
e svaniscono esauste mentre il mare
penetra mormorando fra le alghe e si ritira;
gli uccelli, attraversano a nuoto l’aria velocissimi, stridendo come sempre –
lo scudo della tartaruga tormenta la base degli scogli muovendosi sotto;
e l’oceano, sotto il pulsare dei fari e il rintocco delle boe,
come al solito avanza, e non sembra neppure
lo stesso oceano in cui le cose, cadendo, sono destinate ad affondare –
quell’oceano in cui, se una cosa si torce o si rigira,
lo fa, semmai, senza volontà né coscienza.
Non c’è cigno più bello
«Non c’è acqua più immobile
delle morte fontane di Versailles.» Non c’è cigno
dal cupo cieco sguardo obliquo
e dalle gambe di gondoliere, bello quanto
il cigno di porcellana
dalle pupille nocciola e dall’aureo collare dentato
che ne attesta l’appartenenza.
Allogato nel candelabro Luigi XV
di boccioli dipinti di celòsie
dalie, ricci di mare e sempreverdi,
se ne sta appollaiato sulla spuma ramificante
di lucidi fiori scolpiti,
alto, a suo agio. Il re è morto.
Che cosa sono gli anni
Che cos’è la nostra innocenza, che cosa la nostra colpa? Tutti sono nudi, nessuno è salvo. E donde viene il coraggio: la domanda senza risposta, l’intrepido dubbio, – che chiama senza voce, ascolta senza udire – che nell’avversità, perfino nella morte, ad altri dà coraggio e nella sua sconfitta sprona
l’anima a farsi forte? Vede profondo ed è contento chi accede alla mortalità e nella sua prigionia ti leva sopra se stesso, come fa il mare dentro una voragine, che combatte per essere libero e benché respinto trova nella sua resa la sua sopravvivenza.
Così colui che sente fortemente si comporta. L’uccello stesso, che è cresciuto cantando, tempra la sua forma e la innalza. È prigioniero, ma il suo cantare vigoroso dice: misera cosa è la soddisfazione, e come pura e nobile è la gioia. Questo è mortalità, questo è eternità.
Da Le poesie, a cura di Lina Angioletti e Gilberto Forti, Adelphi.
In questa età di aspra ambizione giova la noncuranza e
“in verità, non è affare degli dèi cuocere vasi d’argilla”. Non lo fecero in questa circostanza. Alcuni rotarono sull’asse del proprio valore, come se l’eccessiva popolarità potesse essere un vaso;
non si avventurarono in una professione di umiltà. Il cuneo levigato che poteva spaccare il firmamento era ammutolito. Infine si buttò via da se stesso e ricadendo conferì ad un povero sciocco un privilegio.
“Superiore in altezza a tutti gli altri di quanto può esser lunga una conversazione di cinquecento anni”, ci fu uno che raccontava cose che non avrebbero potuto mai essere vere – ed erano migliori le sue storie di tutta l’insocievole, senile
filastrocca che parla di certezza; il suo recitare in sordina era più tremendo, nella sua efficacia,
del più feroce assalto a viso aperto. Il bastone, la sacca, la finta incoerenza dei modi sono i segni che rivelano quell’arma, la salvaguardia di se stessi.
Cogliere e scegliere
La letteratura è un fase della vita. Per chi ne ha paura la situazione è senza rimedio; per chi le si accosta in confidenza non conta quello che se ne può dire. L’opaca allusione, il simulato volo verso l’alto non ottengono nulla. Perché stendere un velo sopra il fatto che Shaw si muove con impaccio sul terreno dei sentimenti ma per il resto è gratificante; che James è tutto quello che di lui si è detto? Non esiste uno Hardy romanziere e uno Hardy poeta, ma un uomo solo che interpreta la vita come emozione. Il critico deve sapere quello che a lui piace: Gordon Craig con il suo “questo sono io” e “questo è mio”, con i suoi tre re magi, i suoi “tristi prati francesi” e il suo “ciliegio cinese”,
Gordon Craig così soggettivo e privo di pudori – un vero critico.
E Burke è uno psicologo, di una curiosità acuta da procione. Summa diligentia; per quell’imbroglione che ha un nome così divertente – molto giovane e molto temerario – Cesare attraversò le Alpi sul sommo di una “diligenza”! Noi non siamo maniaci del significato, ma ci sconcerta la dimestichezza con i significati errati. Noioso calabrone, le candele non sono fatte per l’elettricità. Cagnolino che corri per il prato ad addentare la biancheria
e sostieni di avere preso un tasso, ricorda Senofonte: basta un comportamento elementare per metterci sulla pista. “Una buona salva di latrati”, qualche robusta grinza che increspa la pelle tra le orecchie, è tutto quello che noi pretendiamo.
Nei giorni del colore prismatico
non nei giorni di Adamo ed Eva, ma quando Adamo era ancora solo; quando il fumo non c’era, e il colore era bello, non per l’affinamento di un’arte primitiva, ma per la sua stessa originalità; e nulla c’era a modificarlo se non la nebbia che saliva, e l’obliquo era una variante del perpendicolare, semplice a vedersi e a spiegarsi: non è più così; né la fascia blu-rosso-gialla di incandescenza che era il colore ha serbato il suo schema: è anch’essa una di quelle cose in cui si può immettere e scoprire molto di peculiare; la complessità non è un delitto, ma se la portate fino alla soglia dell’oscurità, più nulla sarà semplice. La complessità, poi, che sia stata affidata alle tenebre, invece di dichiararsi per quella peste che è in realtà, si agita intorno come per confonderci con la tetra illusione che l’insistenza è la misura di ogni risultato e che ogni verità dev’essere caligine. Gutturale com’è principalmente la sofisticazione è quel che è sem- pre stata – agli antipodi delle iniziali grandi verità. “Parte strisciava, parte si accingeva a strisciare, il resto stava torpido nella tana”. Nel procedere lento, sussul- tante, nel gorgogliare e in tutte le minuzie – noi abbiamo la classica moltitudine di piedi. A quale scopo! La verità non è l’Apollo del Belvedere, non è cosa formale. L’onda potrà sommergerla, se vuole. Sappi però che ci sarà se dice: “Ci sarò quando l’onda se n’è andata”.
Da Le poesie, a cura di Lina Angioletti e Gilberto Forti, Adelphi.
«Avamposto»
«Avamposto» è uno spazio di ricerca, articolato in rubriche di approfondimento, che si propone di realizzare un dialogo vivo rivolto allo studio della poesia attraverso un approccio multidisciplinare, nella consapevolezza che una pluralità di prospettive sia maggiormente capace di restituirne la valenza, senza mai sfociare in atteggiamenti statici e gerarchizzanti. Ma «Avamposto» è anche un luogo di riflessione sulla crisi del linguaggio. L’obiettivo è interrogarne le ragioni, opponendo alla tirannia dell’immediatezza – e alla sciatteria con la quale viene spesso liquidata l’esperienza del verso – un’etica dello scavo e dello sforzo (nella parola, per la parola). Tramite l’esaltazione della lentezza e del diritto alla diversità, la rivista intende suggerire un’alternativa al ritmo fagocitante e all’omologazione culturale (e linguistica) del presente, promuovendo la scoperta di autori dimenticati o ritenuti, forse a torto, marginali, provando a rileggere poeti noti (talvolta prigionieri di luoghi comuni) e a vedere cosa si muove al di là della frontiera del già detto, per accogliere voci nuove con la curiosità e l’amore che questo tempo non riesce più a esprimere.
Avamposto
Via Lupardini 4, 89121 Reggio Calabria (c/o Sergio Bertolino)
Descrizione-Le loro esperienze di vita e di scrittura erano molto diverse: Charlotte Brontë riservata, solitaria e anticonformista; Elizabeth Gaskell estroversa, ambiziosa e politicamente impegnata. Eppure, le due scrittrici vittoriane furono grandi amiche. Dopo la morte di Charlotte Brontë, avvenuta nel 1855, suo padre, il pastore Patrick Brontë, affidò proprio alla Gaskell il compito di scrivere una biografia veritiera sulla figlia, troppo spesso vittima di maldicenze e pregiudizi. Elizabeth Gaskell partì così sulle tracce della popolare scrittrice, componendo un’opera notevole per quantità e qualità, attingendo a lettere, intervistando quanti l’ave – vano conosciuta e arrivando fino a Bruxelles, dove nel 1842 Charlotte si era recata insieme alla sorella Emily per studiare la lingua francese. Ne emerge il ritratto di una donna che, andando controcorrente rispetto all’epoca vittoriana, seppe trovare le parole per dare voce alla propria esperienza, anche a costo di apparire «poco femminile» agli occhi dei contemporanei. Orfana di madre e con un padre «eccentrico», Charlotte crebbe in un villaggio sperduto tra le brughiere dello Yorkshire, in una casa di pietra grigia circondata dalle lapidi di un cimitero. Fin da piccola, grazie a un padre colto e all’avanguardia, assieme alle sorelle e al fratello fu avviata agli studi e incoraggiata a pensare con la propria testa. Un’educazione che un giorno l’avrebbe spronata a mettere mano alla penna per dare vita ad alcuni dei grandi capolavori della letteratura inglese, tra cui Jane Eyre, immediato successo all’epoca della sua pubblicazione e ormai classico intramontabile, che firmò con lo pseudonimo Currer Bell. Storia di una donna volitiva, ribelle e passionale, che fece della letteratura una ragione di vita, l’opera di Elizabeth Gaskell ha il pregio raro di una biografia di Charlotte Brontë composta da una scrittrice che occupa un posto di rilievo nel pantheon delle lettere inglesi.More
Nasceva l’11 novembre 1929 Hans Magnum Enzensberger, poeta, traduttore, editore e autore tedesco. Nato in Baviera, aveva solo 15 anni quando il Terzo Reich crollò. Dopo aver studiato letteratura, filosofia e lingua tedesca nelle università di Erlangen, Friburgo e Amburgo, Enzensberger conseguì il dottorato alla Sorbona di Parigi.
Enzensberger scrisse sia in inglese che in tedesco. Oltre ai romanzi, pubblicò più di cinque volumi di poesie, tra cui raccolte per bambini. Il poeta Charles Simic elogiò la vasta portata della scrittura di Enzensberger in questo modo: «Hans Enzensberger ha la più vasta gamma di argomenti, impiega una varietà di stili… quasi tutte le sue poesie, siano esse liriche, drammatiche o narrative, hanno una qualità polemica».
Venne considerato come una delle figure fondanti della letteratura della Repubblica Federale Tedesca e fu uno dei principali autori del Gruppo 47, partecipando, nel 1968, al Movimento studentesco della Germania occidentale. Tra i suoi vari riconoscimenti e onorificenze ricordiamo il Premio Georg Büchner, il Premio Heinrich-Böll e il Premio Principe delle Asturie del 2002. Nel 2009 ricevette il prestigioso premio Griffin Poetry Lifetime Recognition Award.
Enzensberger scrisse molte delle sue poesie in tono sarcastico e ironico. Ne è un esempio, la poesia Middle Class Blues, composta da varie tipicità della vita della classe media, con la frase “non possiamo lamentarci” ripetuta più volte e si conclude con “cosa aspettiamo ancora”.
Qui la poesia in una traduzione di A. M. Giachino:
Non possiamo lamentarci. Abbiamo da fare. Siamo sazi. Mangiamo.
Cresce l’erba, il prodotto sociale, l’unghia delle dita, il passato.
Le strade sono vuote. Le chiusure sono perfette. Le sirene tacciono. Questo passa.
I morti hanno fatto il loro testamento. La pioggia è cessata. La guerra non è stata dichiarata. Questo non è urgente.
Noi mangiamo l’erba. Noi mangiamo il prodotto sociale. Noi mangiamo le unghie. Noi mangiamo il passato.
Non abbiamo nulla da nascondere. Non abbiamo nulla da perdere. Non abbiamo nulla da dire. Abbiamo.
L’orologio è caricato. La vita è regolata. I piatti sono lavati. L’ultimo autobus sta passando.
È vuoto.
Non possiamo lamentarci.
Cosa aspettiamo ancora?
da “Poesia Tedesca del Novecento”, Rizzoli.
Molte delle poesie di Hans Enzensberger presentano questi temi di disordini civili su questioni economiche e di classe.
Ne è un esempio anche Divisione del lavoro:
Che la stragrande maggioranza della stragrande maggioranza non capisca pressoché nulla, per es. poesia, diritti d’opzione, numeri pseudoprimi, e mettici perfino i massimi sistemi – è piú che comprensibile!
La stragrande maggioranza ha tutt’altre preoccupazioni, imperturbabile si tiene ai figli e alle mutue, letto soldi pop sport, a tutto ciò di cui la minima minoranza non vuol sapere nulla.
Dove andremmo a finire coi nostri cervellini se tutti pensassero su tutto?
Solo di quando in quando, in certe interminabili sere, un’occhiata dall’altra parte, alla finestra illuminata dove vivono altri, e la vaga sensazione di essersi persi qualcosa.
da “Piú leggeri dell’aria”, Einaudi. Traduzione di Anna Maria Carpi.
Il lavoro di Enzensberger del 1974 L’industria della coscienza sulla letteratura, la politica e i media diede origine al termine “industria della coscienza”, che identifica i meccanismi attraverso i quali la mente umana è riprodotta come un prodotto sociale. I principali tra questi meccanismi sono le istituzioni di mass media e educazione. Secondo Enzensberger, l’industria della mente non produce nulla di specifico; piuttosto, la sua attività principale è quella di perpetuare l’attuale ordine di dominio dell’uomo sull’uomo. Hans elabora l’industria della coscienza in quanto si applica alle arti in un più ampio sistema di produzione, distribuzione e consumo. Il porta coinvolge specificamente i musei come produttori di percezione estetica che non riconoscono il loro intellettuale, politico e autorità morale: «Piuttosto che sponsorizzare una consapevolezza intelligente e critica, i musei tendono quindi a favorire la pacificazione».
Sebbene principalmente poeta e saggista, Hans Enzensberger si avventurò anche nel teatro, nel cinema, nell’opera, nel dramma radiofonico, nel reportage e nella traduzione. Il suo lavoro fu tradotto in oltre 40 lingue.
Nel 2000 inventò e collaborò alla costruzione di una macchina che compone automaticamente poesie (Der LandsbergerPoesieautomat) Questo dispositivo fu usato durante il Mondiale di calcio del 2006 per commentare i giochi. «Se non sai scrivere poesie meglio della macchina, faresti meglio a lasciar perdere», disse.
First things first
In fondo non abbiamo niente da obiettare a purgatorio, reincarnazione, paradiso. Se cosí dev’essere, prego! Al momento tuttavia abbiamo altre priorità.
Della toilette del gatto, del conto in banca e delle insostenibili condizioni del mondo dobbiamo assolutamente occuparci, già a prescindere da internet e dalle notizie sul livello delle acque.
Certe volte non sappiamo piú dove a forza di problemi sbattere la testa. Intanto c’è sempre qualcuno che muore, e di continuo qualcuno che nasce.
Non si arriva mai sul serio a fare delle riflessioni sulla propria immortalità. Prima bisogna gettare un occhio all’agenda, alle scadenze,
il resto si vedrà.
da “Piú leggeri dell’aria”, Einaudi. Traduzione di Anna Maria Carpi.
Enzensberger Hans Magnus
Hans Magnum Enzensberger, poeta, traduttore, editore e autore tedesco-Scrittore tedesco (Kaufbeuren, Allgäu, 1929 – Monaco di Baviera 2022). Autore anticonformista e versatile (romanziere, autore di testi teatrali, radiofonici ecc.), è stato tra gli animatori del Gruppo 47 ed è una delle figure più interessanti della letteratura tedesca del secondo dopoguerra. I suoi scritti, in particolare i saggi, sono permeati da un profondo pessimismo e denunciano causticamente le storture e le debolezze della società contemporanea.
Opere
Ancora adolescente patì la dura esperienza della guerra a cui partecipò nel 1944-45. La sua poesia (Verteidigung der Wölfe, 1957; Landessprache, 1960; Blindenschrift, 1964; Gedichte 1955-70, 1971; Mausoleum, 1975, trad. it. 1979; Der Untergang der Titanic, 1978, trad. it. 1980), pur risentendo molto dell’insegnamento brechtiano, non vede tuttavia un mezzo di salvezza per l’uomo e si presenta come denuncia spietata di tutte le storture e debolezze della società di oggi. Essa si distingue per l’originalità dell’espressione volutamente antipoetica e provocatoria, ricorrendo sia ai mezzi più facili di rottura (abolizione delle maiuscole, introduzione del gergo commerciale, rottura sintattica, ecc.), sia alla più raffinata demitizzazione della letteratura “bella” nell’uso profanante della citazione. Lo stesso carattere aggressivo e accusatore si rivela nei saggi più strettamente letterari, in cui E., nella ricerca dell'”artista radicale” (Clemens Brentanos Poetik, 1961), denuncia ogni debolezza o inattualità del fenomeno letterario. Molto importante la sua attività giornalistica, sviluppatasi soprattutto su Kursbuch e su Trans-Atlantik, battagliere riviste da lui create rispettivamente nel 1965 e nel 1980, nonché la sua opera saggistica, sempre a contatto con l’attualità senza però mai ridurvisi: Einzelheiten (1962; trad. it. Questioni di dettaglio, 1965); Politik und Verbrechen (1964; trad. it. 1979); Deutschland, Deutschland unter anderem (1967); Das Verhör von Habana (1970; trad. it. 1971); Der kurze Sommer der Anarchie (sotto forma di romanzo, 1972; trad. it. 1973); Palaver. Politische Überlegungen (1974; trad. it. 1976); Ach, Europa! (1987; trad. it. 1989). Del 1995 è la raccolta di poesie Kiosk. Neue Gedichte (trad. it. 2013), mentre sono stati pubblicati nel 1997 ZichZack (trad. it. 1999) e il fortunato Der Zahlenteufel (trad. it. 1997), tra l’apologo e la fiaba, in cui la matematica diventa, per un alunno che non ne è attratto, un mondo quasi magico. Ha poi scritto, tra l’altro: Esterhazy. Eine Hasengeschichte (con I. Dische, 1998; trad. it. 2002); Die Elixiere der Wissenschaft (2002; trad. it. 2004), in cui racconta storie, vere e mitologiche, che orbitano intorno alla scienza; Schreckens Männer. Versuch über den radikalen Verlierer (2006; trad. it. 2007); Josefine und Ich. Eine Erzählung (2006; trad. it. 2010); Hammerstein oder der Eigensinn: eine deutsche Geschichte (2008; trad. it. 2008); la raccolta di poesie Rebus (2009); i saggi Fortuna und Kalkül. Zwei mathematische Belustigungen (2009), Meine Lieblings-Flops, gefolgt von einem Ideen-Magazin (2010; trad. it. 2012) e Sanftes Monster Brüssel oder Die Entmündigung Europas (2011). Tra i suoi lavori più recenti occorre ancora citare Tumult (2014; trad. it. 2016) e Immer das Geld! (2015; trad. it. Parli sempre di soldi!, 2017).
Fonte- Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani
Roma Capitale-Gabriele Lavia va in scena al Teatro Argentina con Re Lear di William Shakespeare-
Roma Capitale al Teatro Argentina va in scena Gabriele Lavia, tra i più grandi maestri del teatro italiano, torna al Teatro Argentina con uno dei ruoli più rappresentativi della drammaturgia shakespeariana: Re Lear di William Shakespeare. In scena con lui un cast imponente, per indagare la fragilità del potere, la follia e la devastazione delle passioni umane.
Re Lear dal 26 novembre – 22 dicembre 2024
di William Shakespeare
traduzione di Angelo Dallagiacoma e Luigi Lunari
regia Gabriele Lavia e con Gabriele Lavia
e con Luca Lazzareschi, Mauro Mandolini, Andrea Nicolini, Federica Di Martino, Silvia Siravo, Giuseppe Benvegna, Ian Gualdani, Giovanni Arezzo, Jacopo Venturiero, Beatrice Ceccherini, Eleonora Bernazza, Gianluca Scaccia, Jacopo Carta, Lorenzo Volpe
Lo spettacolo
Re Lear è una storia di “perdite”.
Perdita della ragione, perdita del Regno, perdita della fraternità.
Non resta che vivere in una tempesta. Ma la tempesta di Lear è la tempesta della sua mente. La tempesta della mente dell’umanità, la morte dell’uomo che ha abbandonato il suo Essere. Ed ora vive il suo non-Essere nella Tempesta della mente, nella Tempesta che lo travolge. E tutti sono travolti. Tranne colui che più degli altri ha sofferto e può “essere-Re” della sofferenza come percorso di conoscenza. Gabriele Lavia
Crediti
scene Alessandro Camera
costumi Andrea Viotti
luci Giuseppe Filipponio
musiche Antonio Di Pofi
suono Riccardo Benassi
assistenti alla regia Matteo Tarasco, Enrico Torzillo
assistente alle scene Michela Mantegazza
assistente ai costumi Giulia Rovetto
suggeritore Nicolò Ayroldi
foto di scena Tommaso Le Pera
produzione Teatro di Roma – Teatro Nazionale, Effimera s.r.l, LAC – Lugano Arte e Cultura
Info e orari
prima, martedì, venerdì, mercoledì 27 novembre e giovedì 12 dicembre ore 20.00
mercoledì e sabato ore 19.00
giovedì e domenica ore 17.00
lunedì riposo
INFO BIGLIETTERIA
Teatro Argentina – Largo di Torre Argentina
Biglietteria aperta dal lunedì al sabato dalle ore 11.00 alle ore 19.00 e la domenica tre ore prima dell’inizio dello spettacolo. In assenza di spettacolo la domenica la biglietteria resterà chiusa. (biglietteria@teatrodiroma.net – tel. 06 684000311/314)
Nella biglietteria è sempre possibile acquistare i biglietti per tutti gli spettacoli del Teatro di Roma in programmazione.
La biglietteria, come consuetudine, si dedicherà da un’ora prima dell’inizio degli spettacoli alla sola vendita dei biglietti degli spettacoli in scena. La biglietteria è dotata di terminale POS.
Biografia di Gabriele Lavia
Nasce a Milano da genitori siciliani, ma cresce a Torino, dove il padre — dipendente del Banco di Sicilia — era stato trasferito per lavoro dopo il breve lasso di tempo trascorso nel capoluogo lombardo.[1] Figura tra le più rappresentative del teatro italiano degli ultimi quarant’anni, debutta come attore teatrale nel 1963 dopo il diploma all’Accademia nazionale d’arte drammatica. Si rivela al grande pubblico recitando nello sceneggiato televisivoMarco Visconti (con Raf Vallone e Pamela Villoresi), per la regia di Anton Giulio Majano, nella parte di Ottorino Visconti. Ha preso altresì parte allo sceneggiato Aut Aut – Cronaca di una rapina (1976), interpretando un rapinatore protagonista di un colpo a una banca.
Misakh Metzarents, l’eterno talento della poesia armena
– Pangea-Rivista avventuriera di cultura & idee
Il Poeta armeno Misakh Metzarents -Ogni paese si rispecchia nel bambino d’oro, l’infante che divora tutti i doni nell’arco di una stagione, il poeta perpetuamente giovane, che svanisce, in un lascito di nostalgia, dissipato dalle sue ispirazioni. Che sia Thomas Chatterton o John Keats, Novalis o Antonia Pozzi, Rimbaud – che muore alla poesia poco più che ventenne – o Shelley o Sergej Esenin, poeti dai tratti sempre inediti, vigorosi di una solitudine del sangue, tra il capriccio e l’estasi. Stagliati in teca, questi poeti dalla giovinezza infinita, a monito, moneta di scambio per popoli dalla creatività disseccata, sempre troppo precoci, cioè troppo ingenui. Tanto al di là da trovarteli sotto al letto, coi coltellini in tasca.
Per l’Armenia, il poeta per sempre bambino, rovinato da una tragedia che diventa lirica, si chiama Misakh Metzarents. Nato nel gennaio del 1886, è stato di recente onorato con un francobollo celebrativo, quasi che, addentellato, pronto per l’affrancatura, il poeta sia più potente e prono alla patria, nella zona franca di chi può tutto e nulla. La vita di Metzarents è priva di eventi clamorosi, di ornamenti che diano al profilo onore di leggenda: tutto, in lui, è lotta con il male, la tisi, che comincia ad agguantarlo quattordicenne. Nel 1902, dopo gli studi presso il collegio di Merzifon, il ragazzo si trasferisce a Costantinopoli: si orienta alla poesia, pronto a recintare in verbi i singoli sintagmi dell’anima, con talento da paesaggista.
Il ragazzo, roso dall’infermità, amante della poesia simbolista francese, muore nell’estate del 1908, a 22 anni. L’anno prima, riesce a pubblicare due raccolti di versi, Tziatzan (“Arcobaleno”) e Nor Tagher (“Odi nuove”), accolte con stupore: c’è chi, in questi versi devoti e ‘moderni’, rintraccia una specie di eversione. Con delicata furia, Misakh porta la poesia armena nella modernità; devoto a Gregorio di Narek, il grande monaco-poeta armeno vissuto intorno al Mille, scrive salmi di irrequieta limpidezza. Ecco, ad esempio, alcuni versi da Madre di Dio:
“Ecco mi accingo ad arrampicarmi sul monticello del mio dolore;
dissipa tu le nuvole dalla via di madreperla dei sogni…
Nella notte discende ancora il ruscello di luce,
una goccia di latte della tua santità divenuta un mare;
e vedi, o Madre di Dio, ecco sto diventando bambino!
e vedi, sto diventando bambino in mezzo alla notte,
in cui sentii discendere la divina voce,
che echeggiava per la mia anima permeata da Dio”.
Nel volumeLa mistica cristiana (Mondadori, 2020), Boghos Levon Zekiyan installa Misakh Metzarents tra gli ultimi protagonisti della Mistica armena: “Anima di una sensibilità assai delicata ed elevata, di una religiosità consapevole e profonda, è autore di composizioni che, oltre all’altissimo valore poetico, sono intrise di un vissuto religioso così singolare e originale da rasentare lo spessore di un’esperienza mistica vera e propria”.
In Metzarents le immagini liriche sembrano acqua tra le dita, riflessi che danno l’idea di un falò, chiostri in assedio, il tempo in un elmo: tutto è trasfigurato dalla disciplina della solitudine, da una riservatezza senza riserve, una preparazione all’addio in danza, potremmo dire, avvento di contrari venti. D’altronde è questo il genio dei poeti morti giovani: si giunge all’appuntamento con loro in ritardo di un secolo; la giacca sull’attaccapanni sembra appartenergli, la riconosci dai polsi e dai bottoni, ma è preparata per te, perché non ti turbi il tormento, il freddo di un oggi con le chele.
Veglia domenicale
Della sera che lentamente fugge è gioiosa la luce purpurea.
Fili d’oro avvolti nella nebbia di velluto dell’incenso,
frange azzurre, l’arcobaleno, voci fluttuanti, una mistica rosa,
lacrime di luce dei ceri che nella quiete si consumano.
La mia anima, assetata d’incenso, s’imbeve dell’attimo quieto,
mentre oscillano i turiboli dagli occhi oro fuoco.
Un torpore d’incanto mi lascia là immobile,
sento il bacio del tulle di zaffiro che l’animo mi avvolge.
Tinte di ametista ungono le volute dell’incenso,
m’inginocchio al mistero le braccia incrociate,
e attendo che spunti dalla mia anima la domenica di luce.
Tutto di smeraldo e di rubino è ora il sogno delle fiaccole,
dagli archi, dall’altare spuntano luce e risa,
adagio la mia anima in questo meraviglioso sogno si tuffa.
Della sera che lentamente fugge, è gioiosa la luce purpurea.
Traduzione di Boghos Levon Zekiyan
*
La sera
Come una ragazza che cammina sotto i pini
che va dove soffia la brezza serale
presso un bosco di melograni in fiore
la sera passa, il giorno si allontana.
Cade la sera come un fiore appassito
in varie sfumature di blu, cammina,
muore lentamente, si piega,
fragile stame di speranza, luce che fluttua infima.
Poi è buio: come la mia anima, incassata
nella solitudine, che fermenta nell’oscurità –
la lampa dei sogni si è sbriciolata, tempo fa,
abbandonando lo spirito sotto la pioggia –
cerca una casa.
*
Canto d’amore
Il vento ha sentimento sufficiente
per illuminare i fiori
piccole torce di luce.
Questa notte la festa illumina le strade
dolce è il balsamo, dolce hashish
nel vento – ne divento ebbro.
Come baci i fiori riempiono il tempo
con petali e semi – tutto è in eccesso
tutto è nel delirio
ma a me manca il solo bacio che desidero.
*
Se potessi conservare qualcosa
terrei quest’ora come un pezzo di me;
distillerei questa singola ora
come fosse un’essenza;
se potessi scegliere, vorrei
che questa singola ora
diventasse tutta la mia vita –
confuso e benedetto,
potrei scrivere per sempre
di questa singola ora con te
e lucidare nel suo lavacro
la mia esistenza, purificato
finalmente di tutto.
*
L’acqua scorre
Barba d’argento sul fiume
che sbatte contro le rocce sterili:
sboccia nel golfo dove l’acqua
è calda e il sole è un nascituro.
I montanari si arrampicano oltre
il villaggio dai ponti sospesi.
Nel cortile del monastero anche
gli alberi si chinano in preghiera.
Il silenzio inghiotte le lacrime del mattino:
questo è il momento in cui bagnano gli orti
e i novizi restano in piedi, in piena luce.
Le chiuse vengono aperte, le vanghe
incurvano il corpo serpentino delle acque.
Le pale girano senza fermarsi, come richiami:
una ragazza intona una canzone – un giorno
si scoprirà donna. La terra mette una mano
sulla bocca del fiume, che chiacchiera ancora:
soltanto lo stolto si lamenta in anticipo
del suo futuro.
*
Delirio
Buio costruito ad arte dalla strega: sono
in delirio – è Amore che mi crolla sul corpo –
un frutto fatato innesta nell’anima
ricordi che voglio dimenticare.
Le luci si spengono ma io amo
la tenebra che fa germinare agonia:
il dolore è largo, è un lago, ed espelle
il mio cuore – berrò il nero calice della vita triste.
È troppo buio e non posso più sognare:
smetto di vogare intorno ai miei amori.
Gli occhi hanno unghie, lampi d’alba
ed è lì che le mie pene, selvagge, si consumano.
*
Le api
I miei desideri sono api:
scavano cinture d’oro
fanno piovere
i loro favi, volano, sciamano,
ronzano, riempiono il sentiero,
strappano il velo della nebbia
ricamato e trasparente
ovunque portano il sole.
Misakh Metzarents
Fonte-Pangea-Rivista avventuriera di cultura & idee
Misak Metsarents or Medzarents (Armenian: ; 18 January 1886 – 5 July 1908) was a leading Armenianneo-romantic poet.
Biography
Misak Metsarents was born Misak Metsadourian in the village of Pingian [hy], near Agn in the Vilayet of Kharpert. In 1886, he moved with his family to Sepastia, where he attended the Aramian School. Until 1902, he attended the Anatolia Boarding School in Marzvan, which was run by American missionaries. From 1902 to 1905, he attended the Central School in Constantinople. However, tuberculosis forced him to leave his education, and he later died from the ailment July 5, 1908, at the age of 22.[1]
Poetry
Metsarents began writing in 1901, with his first verses published in 1903. He also collaborated with many Armenian publications such as “Masis”, “Hanragitak”, “Eastern Press”, “Light”, “Courier”, “Manzumei Efkiar”, “Buzandion”.[2] Much of his poetry discussed the despair of his inevitable mortality.
Legacy
The poet enriched Armenian poetry with his lyrical and genuine masterpieces, although Metsarents only managed to publish two volumes of poetry in his lifetime: “Dziadzan” (Rainbow) (1907) and “Nor dagher” (1907). He was commemorated in 2012 by his portrait appearing on an Armenian postal stamp.[3]
Fabio Zuffanti -Sacre sinfonie. Battiato: tutta la storia-
-Editore IL CASTELLO-
Descrizione –Lo scrittore, critico musicale e musicista Fabio Zuffanti racconta Battiato in un’ampia biografia che si legge come un romanzo. Agevolato da una larga serie di interviste e dichiarazioni rilasciate da Battiato nel corso del tempo e dal contributo di diversi personaggi che lo hanno conosciuto e frequentato, il volume mostra l’evoluzione di un personaggio molto diverso dal “maestro” che tutti conoscono. Il viaggio comincia negli anni 40 del Novecento con l’infanzia in Sicilia, il rapporto con la famiglia e la scoperta della musica. Poi, nel 1964, il trasferimento a Milano, la gavetta, gli incontri, le grandi crisi e i pensieri suicidi, la sperimentazione, l’esperienza con le droghe, la scoperta del misticismo e della meditazione, le amicizie, l’affetto per la madre, la scelta di passare la vita da solo e il successo. Da qui tante altre esperienze lungo i decenni, con sfide sempre nuove che lo portano a confrontarsi con il cinema e la pittura, fino alla malattia e agli ultimi anni della sua vita.
Contatti
IL CASTELLO SRL a socio unico
VIA MILANO 73/75, 20010 CORNAREDO (MI)
Tel. 02 / 99.76.24.33
Fax 02 / 99.76.24.45
info@ilcastelloeditore.it
Il Castello è nata come derivazione della Menotti Libri, una agenzia libraria fondata nell’immediato dopoguerra da Aldo Menotti, che distribuiva le pubblicazioni di case editrici di Roma e del sud Italia.
Nel 1948 al figlio Mosè, che collaborava nell’agenzia, veniva l’idea di stampare un libro. Era l’epoca in cui si stava diffondendo il cinema passoridotto, e così nacque ilVademecum del cinedilettante, tradotto dall’inglese: 1000 copie (per prudenza), che furono vendute in 15 giorni. Un successo! E se ne fece una decina di ristampe.
Al Vademecum seguirono altri manuali di cinema, poi di fotografia e di pittura. Il Castello andava sempre più imponendosi perché non sbagliava un titolo.
Una nota curiosa che può spiegare il successo del Castello. Al signor Menotti furono preziosi l’esempio e i consigli di Italo Briano, un simpatico e validissimo editore genovese che stampava e legava i libri in casa, tutto da sé: titoli specializzati, poche copie, molto cari. “Tanto – diceva – , una tabella o una nozione di un mio libro valgono ben il suo prezzo! E poi vendo i libri al 25% di sconto, così i librai smetteranno di far sconti al pubblico! E per finire, regola base: qua le palanche, ecco il libro”. Che tempi!
Fotoreportage di Franco Leggeri -La Cappella di Santa Brigida di Svezia è stata costruita nel territorio di Castelnuovo di Farfa, si accede dall’Agriturismo Zucchegni, proprio sui ruderi dell’antico “ripostiglio” o “capanno”, dove Santa Brigida aveva trovato posto nel periodo in cui si trovò a Farfa. Quei ruderi, sopravvissero alle intemperie dei secoli successivi, e nel 2007 furono portati a termine i lavori per la costruzione della Cappella, che è ora luogo di culto per i gruppi che frequentano la Casa e per quanti desiderano recarsi sulle orme di Santa Brigida.
Nel corso di questi anni, le suore hanno continuato a pregare e a lavorare in questo luogo e il ricordo della figura di Santa Brigida è andato sempre più crescendo; nel 1993 il Santo Papa Giovanni Paolo II, visitando la Diocesi di Sabina-Poggio Mirteto, il 19 marzo, si fermò a Farfa, dove benedisse una statua di Santa Brigida. La statua è posta sul piazzale antistante la Cappella delle Suore, presso la foresteria del monastero.
Breve biografia della Santa-
Santa Brigida di Svezia, Brigida o Brigitta o Birgitta, nacque nel giugno 1303 nel castello di Finsta presso Uppsala in Svezia; suo padre Birgen Persson era ‘lagman’, cioè giudice e governatore della regione dell’Upplan, la madre Ingeborga era anch’essa di nobile stirpe. la prima parte della sua vita fu quella di una laica felicemente sposata,ebbe ben otto figli. Il suo ceto sociale le permise di studiare. La vita di corte la mette in contatto con la travagliata vita sociale del suo tempo e con la politica europea. Ebbe grande influenza sui giovani sovrani e finché fu ascoltata, la Svezia ebbe buone leggi e furono abolite ingiuste ed inumane consuetudini, come il diritto regio di rapina su tutti i beni dei naufraghi, inoltre furono mitigate le tasse che opprimevano il popolo. Ma poiché non ha mai smesso di pensare alla vita religiosa, studia la letteratura mistica, legge molto, principalmente le Sacre Scritture. Questa fu la sua vita per oltre vent’anni, finché il marito morì nel 1344. Dopo un pellegrinaggio a Santiago de Compostela Brigida diventa una grande mistica, è anche una donna molto pratica, quindi non appena stabilita a Roma nella casa di piazza Farnese, la adattò per i pellegrini che fossero giunti dai paesi scandinavi, a cui si offrivano ospitalità e alta spiritualità. La sua vita era molto austera, totale la sua povertà. Brigida ha una natura forte e volitiva.Per il Papa e per l’Europa si sentirà spinta a partire alla volta di Roma in occasione dell’anno santo del 1350 e da lì non se ne andrà più.
Per Brigida ora è il momento della svolta. Decide di indossare l’abito cinerino del Crocifisso della Verna, simbolo di povertà e penitenza. Ha fondato un Ordine contemplativo femminile e maschile, l’Ordine Suore Brigidine del SS.Salvatore – la cui Regola venne approvata nel 1370 – che disgraziatamente fu spazzato via in seguito alla Riforma protestante in Europa. Profetessa dei tempi nuovi, questa grande santa scandinava, lavorò instancabilmente per la pace in Europa. Morì dopo lunga malattia nel 1373.
Fonte Suore Brigidine dell’Abbazia di FARFA (RIETI)-
Mario Luzi-Un viaggio terrestre e celeste. Con un’appendice di scritti dispersi-
A cura di: Baioni Paola, Savio Davide-Edizioni di Storia e Letteratura – Roma
A cent’anni dalla nascita di Mario Luzi, il volume curato da Paola Baioni e Davide Savio ricorda la figura del grande poeta raccogliendo una serie di interventi che ne indagano l’eredità, tuttora viva e operante sulla letteratura italiana. È soprattutto l’ultima stagione dell’opera luziana, quella “paradisiaca”, a porsi come centro dell’attenzione: sotto l’insegna di Frasi nella luce nascente, Luzi ha sviluppato un coerente percorso di ricerca, che mirava ad approssimare i «fondamenti invisibili» dell’esistenza, secondo i modi dell’interrogazione e della lode a Dio. Pur consapevole della finitudine del linguaggio, Luzi ha intessuto un discorso frammentario ma aperto alle manifestazioni dell’essere, tale da trasformare la poesia in epifania, l’enigma in kerigma. Oltre a ospitare i contributi dei maggiori studiosi di Luzi, il volume è impreziosito da sette scritti dispersi, taluni inediti, reperiti da Stefano Verdino, e dalla riproduzione di alcune carte del taccuino che ospita i lacerti embrionali di un’opera epocale, Nel magma, esaminati da Daniele Piccini. È presente inoltre una sezione di Testimonianze, dove i poeti stessi raccontano Luzi: Milo De Angelis, Franco Loi, Guido Oldani, Silvio Ramat, Davide Rondoni e Cesare Viviani recano un tributo di amicizia e di riconoscenza all’uomo e al maestro, faro insostituibile nelle acque agitate del Novecento.
Edizioni di Storia e Letteratura
via delle Fornaci, 38
00165 Roma
tel. 06.39.67.03.07
Edizioni di Storia e Letteratura
Fondate da don Giuseppe De Luca, le Edizioni di Storia e Letteratura diedero alle stampe il loro primo volume nel 1943. In un periodo tragico della storia italiana, durante il quale era però anche giunta a maturazione l’esigenza di un profondo rinnovamento culturale, De Luca intendeva tener «alta l’indagine storica e letteraria, e risollevare erudizione e filologia», convinto che solo l’attenta ricognizione di tutte le testimonianze e il rigoroso accertamento dei fatti avrebbero potuto promuovere una corretta valutazione del patrimonio sia di ambito civile sia di ambito religioso. Da qui il carattere distintivo delle Edizioni, con un catalogo imperniato sulle scienze umanistiche dove da sempre convive con la voce e la scrittura dei ‘maestri’ la ricerca dei giovani studiosi, a cominciare da Lo scrittoio del Petrarca di Giuseppe Billanovich.
Rilevate negli anni Novanta del secolo scorso da Federico Codignola, le Edizioni di Storia e Letteratura hanno tenuta fissa la prua sulla rotta di un’editoria che si sostanzia di ricerche di valore e rigorosa attenzione al libro, portando la barca con i dolia – il simbolo della casa editrice – a navigare sicura nelle acque per certi versi ignote del nuovo millennio. Il catalogo mantenuto sempre vivo, ben oltre i termini usuali nello scenario editoriale odierno, spazia dalla filologia classica e umanistica alla storia medievale, moderna e contemporanea, dalle scienze documentarie alla filosofia, dalla storia delle religioni alle letterature europee; si distingue per l’attenzione alla memorialistica, per le nutrite collane di carteggi – da Croce e Palazzeschi a Prezzolini, Sturzo e Ungaretti – e per le edizioni nazionali di pregio – Svevo, Tozzi, Verri, Vico, Marino.
La tradizione esemplificata nei nomi degli autori presenti nella collana maggiore – Billanovich, Campana, De Sanctis, Dionisotti, Kristeller, Momigliano tra gli altri – e dalle collane di ampio respiro create da De Luca – Letture di Pensiero e d’Arte, Sussidi eruditi, Temi e testi – si rinnova nei progetti degli ultimi anni avviati con la collaborazione di prestigiose istituzioni culturali, ma anche come contributo indipendente ad un’auspicabilmente viva editoria di cultura. Così, a completare un percorso, sono nate la collana di filologia e letteratura greca Pleiadi e la riproposizione della celebre serie dei Papiri Greci e Latini; a colmare una lacuna è sorta Biblioteca del XVIII secolo. Alle tradizionali collane in anastatica della casa editrice si sono affiancate le Edizioni Gobettiane che ripropongono al lettore contemporaneo l’intero ‘catalogo’ dell’intellettuale-editore torinese. Per un pubblico più ampio, invece, Civitas raccoglie testi brevi e pregnanti corredati da nuove introduzioni. Bites inaugura un nuovo percorso che ambisce a portare rigore filologico ed edizioni critiche nel campo dell’open access e dell’editoria digitale.
Infine, in anni recentissimi argomenti ha aperto la casa editrice alla ‘varia’ con una collana orientata in primis alla storia del pensiero e alla memorialistica, mentre Ricerca filosofica si propone come il contenitore che mancava per la filosofia contemporanea.
Nasce nel 2023, in concomitanza con l’ottantesimo anniversario delle Edizioni di Storia e Letteratura (1943-2023), Il tempo ritrovato. Destinata ad un pubblico ampio e non specialista, per la prima volta dalla fondazione, la collana apre le porte ad opere di narrativa mai pubblicate in Italia. Accoglie anche saggistica e recuperi dal catalogo storico, in una nuova veste grafica. Non si configura come una serie tematica, ma come un cantiere aperto che restituisce al lettore un nuovo tempo, autentico e non misurabile: il tempo della coscienza e della riflessione. Le Edizioni di Storia e Letteratura continuano così la loro navigazione spinte dallo stesso spirito di libertà, alieno ad ogni preclusione ideologica e culturale.
Questo sito usa i cookie per migliorare la tua esperienza. Chiudendo questo banner o comunque proseguendo la navigazione nel sito acconsenti all'uso dei cookie. Accetto/AcceptCookie Policy
This website uses cookies to improve your experience. We'll assume you're ok with this, but you can opt-out if you wish.Accetto/AcceptCookie Policy
Privacy & Cookies Policy
Privacy Overview
This website uses cookies to improve your experience while you navigate through the website. Out of these, the cookies that are categorized as necessary are stored on your browser as they are essential for the working of basic functionalities of the website. We also use third-party cookies that help us analyze and understand how you use this website. These cookies will be stored in your browser only with your consent. You also have the option to opt-out of these cookies. But opting out of some of these cookies may affect your browsing experience.
Necessary cookies are absolutely essential for the website to function properly. This category only includes cookies that ensures basic functionalities and security features of the website. These cookies do not store any personal information.
Any cookies that may not be particularly necessary for the website to function and is used specifically to collect user personal data via analytics, ads, other embedded contents are termed as non-necessary cookies. It is mandatory to procure user consent prior to running these cookies on your website.