Alba de Céspedes – Portale Antenati e Dal registro alla Storia –
Alba de Céspedes (lba Carla Laurita de Céspedes )-nacque a Roma l’11 marzo 1911, da Laura Bertini Alessandrini, romana, e Carlos Manuel de Céspedes y Quesada, ambasciatore per Cuba in Italia.
Suo nonno era Carlos Manuel de Céspedes, un rivoluzionario che dal 1869 al 1873 fu presidente della Repubblica cubana e fautore dell’abolizione della schiavitù. A soli 15 anni, nel 1926, Alba sposò il conte romano Giuseppe Antamoro, per poi separarsene nel 1931.
Il contesto agiato e colto in cui crebbe le favorì un’educazione d’eccellenza, alimentando la sua vocazione per la scrittura e l’interesse per la politica, d’orientamento antifascista.
Sebbene fosse perfettamente bilingue in italiano e spagnolo, e conoscesse diverse altre lingue europee, per la sua produzione letteraria scelse l’italiano come lingua prevalente. Esordì nel 1935 con la pubblicazione della sua prima raccolta di poesie, L’anima degli altri, favorita anche dalla solida amicizia con Arnoldo Mondadori. Nel 1938, invece, pubblicò il suo primo romanzo, Nessuno torna indietro, con il quale vinse il Premio Viareggio l’anno successivo, che tuttavia le fu revocato per volere di Mussolini, a causa della sua militanza antifascista, che le era costata anche alcuni giorni di carcere.
I suoi scritti erano animati da un’attenta cura stilistica, tesa a una letteratura di qualità, in cui la forma era sempre accompagnata da uno spessore dei contenuti e una riflessione profonda su questioni etiche e sociali.
Durante la Seconda guerra mondiale, fu parte attiva della Resistenza partigiana operando con il nome di battaglia “Clorinda”.
A partire dal 1944, fondò e diresse la rivista Mercurio, che divenne un importante punto di riferimento per l’intellettualità italiana durante gli anni del dopoguerra, grazie anche alla collaborazione di penne di gran pregio. La rivista chiuse quattro anni più tardi, nel 1948. Da quel momento in poi, de Céspedes cominciò a collaborare con varie testate, come Epoca e La stampa di Torino.
Negli anni successivi, tra Roma, Cuba e Parigi, si dedicò intensamente alla scrittura, pubblicando numerosi romanzi, spesso ricchi di elementi autobiografici: l’insoddisfazione sentimentale, l’educazione femminile e la lotta per l’identificazione personale e collettiva. Tra i tanti titoli, si ricordano: Dalla parte di lei (1949), Quaderno proibito (1952), Prima e dopo (1955) e Il rimorso (1962).
L’ultimo suo lavoro, rimasto incompiuto, è un racconto autobiografico scritto tra gli anni Ottanta e Novanta, dedicato a Fidel Castro e alla Rivoluzione cubana, pubblicato postumo nel 2011 da Mondadori in occasione del centenario della sua nascita.
Alba de Céspedes morì a Parigi il 14 novembre 1997 dopo una lunga malattia.
Puoi consultare l’atto di nascita sul Portale Antenati: Archivio di Stato di Roma, Stato civile italiano, Roma, 1911
Il suo archivio personale (1876 – 1997), che consta 136 buste, circa 2100 fotografie e 4122 tra libri e opuscoli, è conservato presso la Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori.
Fonte-Direzione generale Archivi – Ministero della Cultura
Descrizione del libro “Il resto è silenzio”. di Chiara Ingrao-La guerra. La guerra che dopo il 24 febbraio 2022 pare rimbombare ovunque, nelle televisioni e sui giornali e sui social, e qualche mese dopo invece scompare, inghiottita dall’assuefazione e menzionata quasi solo come minaccia alle nostre bollette del gas. La guerra in Europa, che potrebbe farsi totale e travolgerci tutti ma rimane lo stesso guerra degli altri, come tutte le altre in ogni parte del mondo: non sono mai nostre, le carni che morde e la sofferenza di chi fugge. Anche se ci sfidano nel profondo dell’anima, come racconta Raffaella Chiodo Karpinsky nella Postfazione a questo volume. La guerra. Cosa succede, quando una degli «altri» scappa, e ce la troviamo accanto ogni giorno? Trent’anni fa, sfidando i commenti sarcastici di sua sorella, Sara ha ospitato in casa Musnida, fuggita da una guerra ai nostri confini. Anche Musnida, come Sara, aveva una sorella ingombrante: un’eroina, uccisa mentre tentava di recuperare il corpo di un fratello nemico. L’Antigone di Sarajevo, come nell’antico mito tebano i cui echi risuonano sulle pagine con la voce dolente di Ismene, la sorella opaca. Nell’alternarsi di banalità quotidiane e tragedia, fra queste tre coppie di sorelle (a Roma, a Sarajevo e a Tebe) rimbalzano come in un gioco di specchi gli interrogativi dell’oggi: i conflitti, le barriere che frantumano la verità e la vita, la paura dell’Altro che fa da scudo alla paura di ascoltare noi stessi.
Baldini + Castoldi srl
Via Stefano Jacini 6, 20121 Milano
Tra il 1980 e il 1983, Chiara Ingrao collabora in RAI alla redazione e alla regia dei programmi radiofonici: Noi Voi Loro Donna e Ora D[1]. Successivamente si impegna nei movimenti per la pace European Nuclear Disarmament, 10 marzo (di cui è una delle fondatrici), 1990: Time for Peace e come portavoce dell’ Associazione per la pace. Nel 1990 è una dei sei pacifisti italiani in missione di pace a Baghdad per il rilascio – concluso positivamente – di 70 ostaggi italiani[1]; contribuisce alle prime iniziative comuni fra pacifisti israeliani e palestinesi, e al movimento contro la guerra in Iraq. In seguito, raccoglie tali esperienze nel libro Salaam Shalom – Diario da Gerusalemme, Baghdad e altri conflitti.
Nel 2003, dopo la morte della madre, Laura Lombardo Radice, ne raccoglie gli scritti e ne racconta la vicenda personale nel libro: Soltanto una vita. Nel 2008 esordisce nel genere narrativo, con il romanzo Il resto è silenzio, ambientato nella Bosnia-Erzegovina degli anni novanta. Nel 2014 è uscito il suo primo libro per ragazzi, il romanzo Habiba la Magica, seguito nel 2018 dalla raccolta di filastrocche Mal di paura. Successivamente è impegnata soprattutto nelle scuole e come animatrice culturale.
Opere principali
Chiara Ingrao, Lidia Menapace (a cura di), Né indifesa né in divisa, Roma, Gruppo misto-Sinistra indipendente Regione Lazio, 1988.
Chiara Ingrao, Salaam Shalom – Diario da Gerusalemme, Baghdad e altri conflitti, Roma, Datanews, 1993.
Chiara Ingrao, Cristiana Scoppa (a cura di), Donne 2000: a cinque anni dalla conferenza mondiale di Pechino. Le cose fatte, gli ostacoli incontrati, le cose da fare, Roma, Presidenza del Consiglio dei ministri, Dipartimento per le Pari Opportunità, 2001.
Chiara Ingrao, Cristiana Scoppa (a cura di), Diritti e rovesci – I diritti umani dal punto di vista delle donne, Roma, AIDOS, 2001.
Laura Lombardo Radice, Chiara Ingrao, Soltanto una vita, Milano, Baldini Castoldi Dalai, 2005.
Chiara Ingrao, Il resto è silenzio, Milano, Baldini Castoldi Dalai, 2007.
Chiara Ingrao, Dita di dama, Milano, La Tartaruga, 2009.
Chiara Ingrao, Habiba la magica, Coccole Books, 2014
Chiara Ingrao, ‘Mal di paura’, Edizioni corsare, 2018.
Chiara Ingrao, Migrante per sempre, Milano, Baldini + Castoldi, 2019.
Roma- va in scena al Teatro Garbatella- Il sequestro degli innocenti-
Roma- Debutta nella magica cornice del Teatro Garbatella, il 13 e 14 novembre, la nuova commedia dei POST-IT 33, “IL SEQUESTRO DEGLI INNOCENTI“, scritta da Salvatore Riggi , per la regia fresca e frizzante di Post-it 33 e Dalila Aprile. La compagnia torna sulle tematiche sociali più scottanti con una nuova storia che parla di giovani e di un futuro pauroso, per quanto incerto.
“… Tre ragazzi vengono ingiustamente licenziati dall’azienda dove lavoravano. Afflitti dalla situazione, decidono di sequestrare il loro ex datore di lavoro per dare un segnale forte e chiaro all’Italia intera. Sì, ma come si sequestra una persona quando gli eventuali sequestratori sono fondamentalmente dei bravi ragazzi? …”
La condizione del giovane lavoratore in un Paese dove il debole soccombe sotto ogni aspetto. Assunzioni fatte solo se prima si firmano le dimissioni preventive, buste paga da tornare in parte ai datori di lavoro, la totale insicurezza sul futuro dei giovani italiani e l’ingiustizia sociale che regna sovrana. Questo è l’intreccio comico e il disagio sul quale si fonda “IL SEQUESTRO DEGLI INNOCENTI”. Una commedia che racconta un’amara condizione, un segreto di Pulcinella, e l’ipocrisia di una Nazione che vorrebbe trattenere i giovani, ma che non è capace e forse neanche ha la voglia di aiutarli per davvero e fino in fondo. “POST-IT 33” è una giovane compagnia di attori laureati presso l’Accademia internazionale di Teatro di Roma che ha fatto di Drammaturgie originali e di nuove forme di comicità la propria firma. Una realtà attiva in Italia e all’Estero dal 2017, con attori che, nonostante la giovane età, vantano numerose collaborazioni, regie e spettacoli con volti noti del Teatro Italiano e della Televisione tra cui: Marco Simeoli, Roberto Ciufoli, Simone Colombari, Luca Negroni, Stefano Masciarelli, Patrizia Loreti, Cinzia Maccagnano, Pietro De Silva.
Informazioni, orari e prezzi
TEATRO GARBATELLA
Piazza Giovanni da Triora, 15 – Roma
13 & 14 NOVEMBRE 2024 – ORE 21.00
INFO E PRENOTAZIONI: 389 312 7865 (Salvo) – 327 050 8733 (Giorgia) – 328 958 6340 (Mariano)
Roma-Che disastro di famiglia – La Regola del topo- al Teatro de’ Servi-
Roma- Va in scena al Teatro de’ Servi, dal 12 al 24 novembre, Che disastro di famiglia – La Regola del topo, commedia di N.L. White con la regia di Luca Ferrini.
“La Regola del Topo” è una vera e propria farsa comicissima, una “commedia delle porte” travolgente e dal ritmo forsennato. Marito e moglie aspettano l’arrivo del capo dell’ufficio adozioni per ottenere l’idoneità a diventare, finalmente, genitori. Peccato che il giorno scelto per questa delicata operazione non sia dei migliori! Lo zio ed il cugino di lui hanno, infatti, in serbo sorprese a non finire al limite della legalità che metteranno a serio rischio non solo l’adozione ma il sistema nervoso stesso della coppia di coniugi.
Tra gag esilaranti, immigrati clandestini, situazioni caotiche, bugie, pistole fumanti e contrabbando aggravato, i protagonisti si troveranno a fronteggiare situazioni tanto complicate quanto esilaranti, dando vita ad una inarrestabile ed esplosiva catena di spassosissimi colpi di scena. Dopo il grande successo de “Il teorema della Rana”, N. L. White torna a teatro più determinato che mai nel voler regalare al pubblico novanta minuti di risate scatenate e di frenetica comicità.
Alt Academy Produzioni
presenta
CHE DISASTRO DI FAMIGLIA
LA REGOLA DEL TOPO
di N.L. White
regia di Luca Ferrini | aiuto regia Andrea Verticchio
con Paolo Roca Rey, Alessandra Mortelliti, Luca Ferrini, Guglielmo Lello, Denis Persichini, Antonia Di Francesco, Davide Sapienza
DAL 12 AL 24 NOVEMBRE
TEATRO DE’ SERVI- ROMA
Informazioni, orari e prezzi
INFORMAZIONI GENERALI
Teatro de’ Servi
Via del Mortaro, 22 | 00187 Roma
Per informazioni e biglietti:
tel. 06.6795130 | info@teatroservi.it
Orari spettacoli:
da martedì a venerdì ore 21
sabato ore 17:30 e 21
domenica ore 17.30
Biglietti: 25 euro
Roma- Cyrano De Bergerac -Nella sua versione originale in versi al Teatro Cometa Off
Roma- Va in scena al Teatro Cometa Off- Cyrano De Bergerac- stronomo, filosofo eccellente. Musico, spadaccino, rimatore, Del ciel viaggiatore, Gran mastro di tic-tac, Amante — non per sè — molto eloquente Qui riposa Cirano Ercole Saviniano Signor di Bergerac, Che in vita sua fu tutto e non fu niente!” Edmond Rostand
Dopo il successo delle scorse stagioni con più di 2000 spettatori e un unanime riscontro di critica, Cyrano De Bergerac con la regia di Matteo Fasanella, torna in scena dal 13 al 17 Novembre 2024 al Teatro Cometa Off di Roma.
Nella sua versione originale in versi, il dramma di Edmond Rostand torna nella storica sala di Roma, che accoglierà l’immortale storia d’amore ispirata alla figura storica di Savinien Cyrano de Bergerac, uno dei più estrosi scrittori del seicento francese.
A proporre il lavoro, partendo dalla versione originale, senza alterarne i versi ma apportando solo qualche taglio, è la DarkSide LabTheatre Company diretta da Matteo Fasanella, già definita dalla stampa “una fucina di giovani talenti”.
A farla da padrone, ovviamente – forte della poetica narrazione in versi – è una delle storie d’amore più belle che la letteratura abbia mai creato: l’amore, il genio, le virtù, l’uomo. La lucidità del personaggio maschile, viene ingannata dall’amore, che mette a nudo le fragilità di un uomo quasi perfetto, aldilà delle sue famigerate carenze fisiche. «Chi la vide sorridere conobbe l’ideale»: un ideale che porta Cyrano alla consapevolezza della sconfitta, ed egli affida il suo genio a un uomo che è in grado di soddisfare tutti i suoi sogni. «Se mi par che vi sia di speranza un’ombra, un’ombra sola»: la speranza, meravigliosa e vana, induce Cyrano a rendere questo amore, forse unico, palpitante. Egli utilizza tutte le sue virtù senza però mai slegarsi dalla maschera che lo protegge. Ne rimane talmente vincolato che, anche quando la verità viene a galla, preferisce immolarsi e concedersi alla sua vera musa ispiratrice: la libertà. Come può l’amore indurre a rinunciare al proprio volto? Come può l’amore portare un uomo a spalleggiare il proprio “nemico” nella conquista del proprio sogno? Interrogativi universali per un’opera altrettanto immortale!
Cyrano De Bergerac di Edmond Rostand – Con: Matteo Fasanella, Virna Zorzna, Alessio Giusto Lorenzo Martinelli e Nicolò Berti – Adattamento e Regia: Matteo Fasanella – Scene: Maurizio Marchini – Costumi: DarkSide e.t.s. – Aiuto Regia: Virna Zorzan – Foto: Christian Sicuro – Smm e Grafica: Agnese Carinci
La Città Futura-Dialettico e ingenuo nel tardo Brecht – Articolo di Renato Caputo-
Dialettico e ingenuo nel tardo Brecht – Articolo di Renato Caputo-
Sia sul piano strutturale dell’opera sia su quello gnoseologico della teoria, l’elemento del naïf e quello dialettico sembrano entrambi indicare nell’ultimo Brecht la direzione di un produttivo scetticismo verso ogni soluzione unilaterale del contrasto tra la componente classica e romantica dell’opera.
Articolo di Renato Caputo-Per comprendere più in profondità che cosa leghi l’elemento ingenuo a quello dialettico, centrali nella riflessione estetica dell’ultimo Bertolt Brecht, bisogna considerarli dal punto di vista della teoria della conoscenza. A questo scopo sarebbe necessario poter risalire alle fonti di cui Brecht si è servito per mettere a fuoco degli elementi così importanti per la sua opera. Anche se forse non è possibile allo stadio attuale della ricerca individuare con certezza le fonti utilizzate da Brecht, una breve analisi storica del concetto di naïf può fornirci degli elementi utili per azzardare quantomeno un’ipotesi plausibile su di esse.
Charles Batteux è stato il primo pensatore a distinguere nettamente il concetto estetico di naïf da quello psicologico, individuandovi la componente essenziale di uno stile bello. Egli lo impiegava, infatti, per indicare, in polemica con il barocco, la semplicità dei classici, che utilizzavano nell’opera solo le parti necessarie allo sviluppo del pensiero, eliminando del tutto il superfluo. Questo termine è stato ripreso dall’illuminismo tedesco che se ne è servito per indicare una semplicità (Einfalt) strettamente connessa con la nobiltà (edel) dello stile. Esso era, quindi, considerato una componente essenziale per giudicare un’opera come pienamente compiuta dal punto di vista artistico. Come ha osservato Detlev Schöttker [1] la storia seguente della categoria del naïf è stata segnata dalla perdita progressiva del significato strutturale a favore di quello concettuale. Questa tendenza ha il suo compimento nell’utilizzo del concetto nell’opera di Friedrich Schiller Sulla poesia ingenua [naive] e sentimentale. Che l’importanza assegnata da Brecht al concetto di naïf potesse venire intesa come un implicito riferimento all’opera di Schiller è risultato evidente a tutti gli studiosi che si sono occupati di questa parte della sua produzione. Tuttavia diversi critici, preoccupati di mantenere ben evidenti le differenze tra Brecht critico del classicismo e i due “dioscuri” di Weimar, hanno mirato a evidenziare le differenze tra il concetto di naïf utilizzato da Brecht e quello di cui si è servito Schiller. Così, ad esempio, Hans Mayer in Brecht e la tradizione si è sforzato di dimostrare che il concetto di cui Brecht si era servito era incommensurabile con quello utilizzato da Schiller per indicare uno “stadio presentimentale”. Schiller, infatti, aveva contraddistinto la poesia moderna con il concetto di sentimentale per differenziarla dall’immediatezza implicita nel concetto di ingenuità che utilizzava per contraddistinguere la poesia degli antichi. Per Schiller, questa concezione ingenua della poesia sarebbe da ritenere oggi del tutto inadeguata a caratterizzare una società come la nostra, segnata da un’intima scissione.
È difficile dubitare che il concetto utilizzato da Brecht abbia un significato ben diverso da quest’ultimo. Tuttavia, benché Mayer non sembri accorgersene, il termine naïf era utilizzato da Schiller anche in un’altra accezione. Con quest’ultima Schiller intendeva caratterizzare la produzione di Johann Wolfgang von Goethe, di un autore cioè che, all’interno del mondo moderno, aveva cercato di riconquistare l’ingenuità caratteristica dell’arte antica. A tal fine non era stato possibile nemmeno per Goethe cancellare la scissione del mondo contemporaneo e della sua espressione artistica, ma era stato piuttosto necessario prendere l’avvio proprio da questa. Goethe, secondo la definizione che ne dà Schiller, sarebbe, dunque, uno spirito greco condannato a vivere in un mondo nordico, che può riconquistare la sua patria originaria solo attraverso “rationalen Wege”. Solo così egli poteva appropriarsi dell’ingenuità degli antichi, ingenuità che, tuttavia, aveva perduto per sempre il carattere di immediatezza che la aveva contrassegnata. Si trattava, infatti, di una Naivität di secondo grado, che doveva portare necessariamente in sé il momento della riflessione. È, quindi, con questa seconda accezione del termine che può essere paragonato il concetto usato da Brecht. Questi come Goethe utilizzerebbe, allora, la categoria di naïf nel senso originario di Batteux, cioè come recupero della semplicità classica. Si tratta, però, di una semplicità artificialmente riconquistata, che deve essere considerata di natura dialettica.
Quindi, sia sul piano strutturale dell’opera sia su quello gnoseologico della teoria, l’elemento del naïf e quello dialettico sembrano entrambi indicare la direzione di un produttivo scetticismo verso ogni soluzione unilaterale del contrasto tra la componente classica e romantica dell’opera [2].
La tendenza inequivocabile del tardo Brecht a una classica essenzialità e immediatezza non significa, in nessun caso, una fuga di fronte alle contraddizioni laceranti della sua epoca in un’unitaria, ma astorica sfera dell’estetico, capace di ricucire la spaccatura tra essere e dover essere [3]. L’imperfezione e l’intima contraddittorietà della realtà devono costituire, al contrario, la premessa indispensabile per l’opera d’arte, la condizione di possibilità del suo carattere necessariamente riflessivo. Non solo perché l’opera non può più sottrarsi al compito di dar conto della crescente complessità del “reale”, ma soprattutto perché la frammentarietà dell’extra estetico e della sua indagine deve avere un riscontro puntuale al livello della struttura formale. A mutare negli ultimi anni, rispetto al precedente periodo avanguardistico, è l’atteggiamento di fronte alla frammentarietà del mondo e di ogni sua possibile analisi. Tensione al classicismo significa essenzialmente per Brecht virile negazione di ogni rassicurante arrendevolezza all’ineluttabilità della frammentarietà, alla metafisica del nichilismo. Il carattere di continuità e infondatezza della ricerca di una possibile e provvisoria soluzione deve restare, infatti, l’imprescindibile correlato etico di ogni esperienza estetica.
L’aspetto mimetico dell’opera, l’unico in grado di preservarne il carattere veritativo, non potendo più ingenuamente giustificarsi come copia – dato che tutti i “prototipi sono sprofondati” – deve conservare la tensione a un’organizzazione totalizzante del suo materiale, che non tema più di manifestare il suo carattere di autonomia e “sentimentalità” [4].
Note:
[1] Cfr. Detlev Schöttker, Bertolt Brechts Ästhetik des Naiven, J.B. Metzler Verlagsbuchhandlung, Stuttgart 1989, p. 15.
[2] La nostra ipotesi interpretativa della concezione brechtiana dell’arte mira a mettere in evidenza quelli che ci sembrano essere i due aspetti fondamentali che la hanno da sempre caratterizzata: il lato espressionistico, demoniaco, “romantico”, e quello lineare, “scientifico”, “classico”. Questa commistione di “apollineo” e “dionisiaco” ci sembra, infatti, il tratto maggiormente in grado di caratterizzare l’intera opera di questo autore, e non solo, come troppo spesso si è scritto, la sua fase più matura. Una tale interpretazione dovrebbe consentirci di azzardare un’ipotesi di soluzione all’annosa questione della tradizione culturale a cui dovrebbe essere ricondotta l’opera brechtiana. Il “Wiesengrund” della sua produzione artistica potrebbe, infatti, venire indicato nella “viva” dialettica in essa presente, tra la tradizione dei classici e una tradizione anticlassica, ironico-popolaresca, che fa proprio della stilizzazione satiricheggiante della tradizione classica il suo elemento di forza. Il nostro compito consiste, allora, nell’illustrare la complessità e la disomogeneità della riflessione brechtiana sull’arte moderna, considerandola come luogo d’incontro di una tradizione legata a una concezione classica dell’arte avente i suoi referenti principali in Aristotele, Hegel e Goethe e una concezione che ha le sue origini nel romanticismo di Friedrich Schlegel e di Hölderlin e che giunge a Brecht attraverso Nietzsche, il giovane Lukács e Benjamin. Una concezione, cioè, che considera la possibilità stessa di un’opera d’arte moderna indissociabile dal momento della differenza, della rottura, dell’ironia.
[3] Nel teatro “borghese” moderno la progressiva perdita della funzione sociale del dramma – ben definita non solo nel teatro antico, ma anche nel medievale – aveva aperto la possibilità, gravida di nuovi sviluppi, ma allo stesso tempo estremamente pericolosa, di fare della rappresentazione scenica uno scopo in sé. Il teatro, rompendo del tutto i ponti con le sue origini rituali e perdendo i solidi legami con un’universale visione del mondo, rischiava di veder drasticamente ridotte le sue funzioni. In primo luogo, era messa a repentaglio la sua valenza pedagogica, la sua capacità di mediare elementi conoscitivi ed etici. In secondo luogo, si era venuta a creare una crescente spaccatura tra la scena ed il suo pubblico, che tendeva ad assumere un atteggiamento sempre più passivo di fronte a una rappresentazione che aveva perso progressivamente ogni contatto con la vita activa. In terzo luogo, si era sviluppata una profonda opposizione tra testo drammatico e azione scenica, tanto che un rafforzamento del primo sembrava mettere a repentaglio necessariamente la seconda.
[4] Lo scrittore realista, per rendere comprensibile la realtà al suo pubblico, non può limitarsi a trasmettergli delle impressioni sensoriali. Il suo ruolo, infatti, deve essere attivo per poter essere attivizzante. Egli deve intervenire sulla realtà, deve prestargli le sue forme e, con l’aiuto di tutte le tecniche letterarie e conoscitive a sua disposizione, deve rappresentare, per quanto è possibile, il suo conformarsi a leggi. Solo così si può trasmettere esemplarmente al proprio pubblico quell’atteggiamento critico che permette di intervenire sulla vita stessa, di trasformarla conoscendola. Proprio per questo motivo la drammaturgia non-aristotelica non si limita a presentare al proprio pubblico un’azione scenica, ma gli comunica un atteggiamento. In altri termini, la dialettica su cui si fonda l’opera è data proprio dalla tensione a rappresentare la realtà così com’è, ma solo per suggerire al pubblico che potrebbe essere diversamente, che è necessario interrogarsi sul come dovrebbe essere. E’ possibile rappresentare la realtà, infatti, unicamente nella sua infinita molteplicità, nella sua irriducibile distinzione di livelli, nel suo perpetuo movimento trasformativo, nella sua insopprimibile contraddittorietà. Presupposto indispensabile della rappresentazione è, allora, la lotta perpetua contro ogni forma di ideologia, di schematismo, di determinismo e di pregiudizio.
Pescara-“Indiscrezioni”, in mostra la fotografia del Premio Oscar Giuseppe Tornatore
Pescara- “Indiscrezioni”, in mostra la fotografia del Premio Oscar Giuseppe Tornatore-Da Bagheria alla Siberia. Sono 28 le fotografie in bianco e nero e a colori firmate dal premio Oscar Giuseppe Tornatore esposte nella mostra Indiscrezioni a Pescara fino al 20 dicembre 2024 presso la prima sala di Fondazione La Rocca, presentata nell’ambito di Fla Festival di Libri e Altrecose e Mood Photography e a cura di Stefano Schirato.
La passione per la fotografia di Tornatore
La passione per la fotografia del regista nacque nel 1964 quando aveva solo otto anni. Sotto la guida di Mimmo Pintacuda, fotografo e proiezionista, il giovanissimo Tornatore inizia ad esplorare e documentare la sua città natale, Bagheria, con l’aiuto di una Rolleicord.
La prima sezione della mostra è dedicata agli scatti della sua Sicilia, con le immagini scattate tra il 1967 e il 1977 in cui Tornatore esplora la sua città e la sua regione. Fotografie che risuonano di nostalgia e di orgoglio, di una connessione chiara e profonda con la sua terra.
E poi i bambini che giocano per strada, le feste popolari, i manifesti incollati ai muri, i volti, i ritratti dei suoi familiari, un omaggio vero alle tradizioni siciliane, alle persone e ai luoghi che hanno plasmato il suo immaginario.
La Siberia
La seconda sezione, invece, presenta fotografie risalenti al 1999, anno in cui il regista si recò in Siberia, dopo essersi dedicato per anni esclusivamente al cinema.
Quell’anno Italgas gli commissionò un lavoro: un viaggio a Novij Urengoi, una città nata negli anni Ottanta grazie alla scoperta di oltre seimila miliardi di metri cubi di riserve naturali. Le foto immortalano la natura, la resilienza della popolazione locale, il contrasto tra il paesaggio urbano e quello siberiano con le sue bufere di neve.
Tornatore poi si spinse oltre il conglomerato urbano, oltre il Circolo Polare Artico, dove fotografò le comunità di cacciatori di renne, documentando l’immensità degli spazi aperti fino ai momenti più intimi degli uomini e donne che vivono lì.
Da Bagheria alla Siberia. Sono 28 le fotografie in bianco e nero e a colori firmate dal premio Oscar Giuseppe Tornatore esposte nella mostra Indiscrezioni a Pescara fino al 20 dicembre presso la prima sala di Fondazione La Rocca, presentata nell’ambito di Fla Festival di Libri e Altrecose e Mood Photography e a cura di Stefano Schirato.
La passione per la fotografia di Tornatore
La passione per la fotografia del regista nacque nel 1964 quando aveva solo otto anni. Sotto la guida di Mimmo Pintacuda, fotografo e proiezionista, il giovanissimo Tornatore inizia ad esplorare e documentare la sua città natale, Bagheria, con l’aiuto di una Rolleicord.
La prima sezione della mostra è dedicata agli scatti della sua Sicilia, con le immagini scattate tra il 1967 e il 1977 in cui Tornatore esplora la sua città e la sua regione. Fotografie che risuonano di nostalgia e di orgoglio, di una connessione chiara e profonda con la sua terra.
E poi i bambini che giocano per strada, le feste popolari, i manifesti incollati ai muri, i volti, i ritratti dei suoi familiari, un omaggio vero alle tradizioni siciliane, alle persone e ai luoghi che hanno plasmato il suo immaginario.
La Siberia
La seconda sezione, invece, presenta fotografie risalenti al 1999, anno in cui il regista si recò in Siberia, dopo essersi dedicato per anni esclusivamente al cinema.
Quell’anno Italgas gli commissionò un lavoro: un viaggio a Novij Urengoi, una città nata negli anni Ottanta grazie alla scoperta di oltre seimila miliardi di metri cubi di riserve naturali. Le foto immortalano la natura, la resilienza della popolazione locale, il contrasto tra il paesaggio urbano e quello siberiano con le sue bufere di neve.
Tornatore poi si spinse oltre il conglomerato urbano, oltre il Circolo Polare Artico, dove fotografò le comunità di cacciatori di renne, documentando l’immensità degli spazi aperti fino ai momenti più intimi degli uomini e donne che vivono lì.
In esposizione una selezione di 28 immagini, scelte tra la produzione fotografica del regista Premio Oscar e suddivise in due sezioni dedicate rispettivamente alla Sicilia (1967-1977) e alla Siberia (1999).
All’età di otto anni, Giuseppe Tornatore comincia a frequentare Mimmo Pintacuda, proiezionista del Cinema Capitol di Bagheria e fotografo. Le foto di Pintacuda stupiscono il futuro regista ancora bambino perché gli mostrano aspetti mai visti del suo paese natale. Grazie all’esempio e alla passione del maestro, con la sua fedele Rolleicord al seguito, Giuseppe inizia un lungo periodo di esplorazione della realtà che lo circonda.
Le immagini siciliane di quel periodo risuonano di nostalgia e orgoglio, rivelando la profonda connessione con la sua terra di origine. Il gioco dei bambini in strada, le feste popolari, i manifesti incollati ai muri, i volti, i ritratti dei suoi familiari: ogni scatto ferma nel tempo un momento e rende omaggio alle tradizioni, alle persone e ai luoghi che hanno plasmato il suo immaginario.
È solo nel 1999 che, dopo essersi dedicato quasi esclusivamente al cinema, il regista torna alla sua antica passione. L’occasione è un lavoro commissionatogli dall’Italgas: un viaggio in Siberia per raccontare Novij Urengoi, un moderno agglomerato urbano, nato intorno agli anni 80’, grazie alla scoperta di oltre 6000 miliardi di metri cubi di riserve di gas naturali.
Tornatore accetta e il risultato è un alternarsi di sagome scure, quasi irriconoscibili, avvolte in bufere di neve e scene di interni familiari e quotidiani. Tornatore si spinge poi oltre il Circolo Polare Artico, dove ritrae le
comunità di cacciatori di renne, rivelando un contrasto affascinante tra la vastità degli spazi aperti e l’intimità delle vite di uomini e donne che hanno imparato a vivere in armonia con un ambiente ostile.
Dove Fondazione La Rocca
Via Raffaele Paolucci 71
Pescara
Orari di apertura
(9 novembre – 20 dicembre 2024)
dal martedì al sabato, ore 16:00 – 20:00
Altre info
Mostra organizzata in collaborazione tra FLA Festival di Libri e Altrecose e MOOD Photography nell’ambito di FLAsh, la sezione del festival dedicata ai linguaggi fotografici.
La mostra è ospitata dalla Fondazione La Rocca.
*** Ingresso libero
’Ateneo e Campus è stato istituito quale Università telematica con Decreto Ministeriale 30 gennaio 2006. Ha sede operativa presso l’ex centro IBM di Novedrate (CO), in un campus immerso nel tranquillo verde della Brianza con 270 camere e in un insieme di spazi e luoghi di interesse a disposizione degli studenti, dei professori e degli ospiti italiani e stranieri per gli esami e le attività di arricchimento curriculare quali corsi intensivi, seminari e convegni
Sonia Elvireanu, “Ensoleillements au cœur du silence” –
“Scintillii nel cuore del silenzio”
(Giuliano Ladolfi editore, 2022) dalla Rivista Atelier-
Nota di Claude Luezior, traduzione a cura di Giuliano Ladolfi
Nella raccolta di Sonia Elvireanu la contemplazione della natura si nutre di profonda riflessione secondo due diverse modalità: una poetica e una esistenziale. Il titolo “Scintillii nel cuore del silenzio” ci indirizza nella lettura: il primo termine ribadisce la vocazione della poetessa a procedere mediante “illuminazioni” o “fulgurazioni”, momenti di grazia in cui la visione poetica viene fermata sulla carta, senza alcun obbligo di trovare tra di essi nessi, consequenzialità, coerenza, sviluppo. Ma questa è la vita che procede in modo desultorio e contraddittorio; è il nostro modo di rapportarci con il reale, modo sempre esposto a una quantità di moti interiori in cui presente, passato e futuro si uniscono e discordano, in cui ricordi e speranze rivivono nella dimensione conscia e inconscia e creano quel magma che nessun tipo di analisi riesce a razionalizzare completamente.
Premio d’Onore al concorso “Exellence 2022”, Accademia poetica e letteraria della Provenza, Francia.
Nella raccolta di Sonia Elvireanu la contemplazione della natura si nutre di profonda riflessione secondo due diverse modalità: una poetica e una esistenziale. Il titolo Scintillii nel cuore del silenzio ci indirizza nella lettura: il primo termine ribadisce la vocazione della poetessa a procedere mediante “illuminazioni” o “fulgurazioni”, momenti di grazia in cui la visione poetica viene fermata sulla carta, senza alcun obbligo di trovare tra di essi nessi, consequenzialità, coerenza, sviluppo. Ma questa è la vita che procede in modo desultorio e contraddittorio; è il nostro modo di rapportarci con il reale, modo sempre esposto a una quantità di moti interiori in cui presente, passato e futuro si uniscono e discordano, in cui ricordi e speranze rivivono nella dimensione conscia e inconscia e creano quel magma che nessun tipo di analisi riesce a razionalizzare completamente.
Dans le recueil de poèmes de Sonia Elvireanu, la contemplation de la nature se nourrit d’une réflexion profonde selon deux modalités différentes : poétique et existentielle. Le titre Ensoleillements au cœur du silence nous guide dans notre lecture : le premier terme réitère la vocation du poète à procéder par “ illuminations “, moments de grâce où la vision poétique s’arrête sur le papier, sans obligation de trouver entre eux des connexions, des conséquences, des cohérences, des développements. Mais c’est la vie, qui se déroule de façon désordonnée et contradictoire ; c’est notre façon de nous rapporter à la réalité, une façon qui est toujours exposée à une quantité de mouvements intérieurs dans lesquels le présent, le passé et le futur s’unissent et discordent, dans lesquels les souvenirs et les espoirs revivent dans la dimension consciente et inconsciente et créent ce magma qu’aucun type d’analyse ne parvient à rationaliser complètement.
Sonia Elvireanu è poetessa, romanziere, critico letterario, saggista, traduttore, membro dell’Unione degli Scrittori della Romania. Ha conseguito il dottorato in Filologia, è professoressa; membro del Centro di ricerca sull’immaginario e del Centro di ricerca filologica per il dialogo multiculturale dell’Università “1 dicembre 1918”, Alba Iulia; è membro della Federazione internazionale degli insegnanti francesi (FIPF), vicepresidente e coordinatore culturale dell’Associazione franco-rumena AMI.
Con la casa editrice Giuliano Ladolfi ha pubblicato la raccolta di poesie Il canto del mare all’ombra dell’airone cinerino (2021).
Peindre les mots: l’expression est connue et a été employée en particulier par l’écrivain suisse Jacques Chessex. De plus, celui qui sait exactement d’avance ce qu’il va peindre est-il vraiment un artiste ? Celui qui connaît précisément ce qu’il va écrire en renvoyant les muses accrochées à ses lignes est-il poète ?
Lire Elvireanu, c’est s’immerger dans un monde onirique qui nous fait penser à celui de Claude Monet, comme nous l’avons déjà noté dans notre recension de son recueil, Le souffle du ciel. Monde enchanté où l’on picore les miettes de la couleur, des ensoleillements où chantent espaces et quiétudes…
Ne t’en vas pas, Lecteur : prends la pause sur le pont japonais du génial impressionniste : écoute la poétesse, susurre, psalmodie ses lignes au goût de miel. En français qu’Elvireanu maîtrise avec une aisance déconcertante, mais ici également en italien, la langue des anges que nous propose avec élégance son traducteur, préfacier et éditeur Giuliano Ladolfi.
Idiomes peints par des créateurs, au-delà du descriptif, propres au rêve, tout à la fois profanes et sacrés, intimistes et fantastiques, dans un au-delà de la texture grammaticale, dans un dépassement de soi.
Dans le brouillard (p.56)
Une brume bleuâtre
enveloppe l’argile au crépuscule,
le murmure d’un bourgeon
meurtri,
sous l’écorce,
le frémissement du silence,
l’iris de l’épanouissement
esseulé.
Brouillard, teintes bleuâtres, murmures, sous l’écorce, touches verbales mais aussi fascination transculturelle d’une écrivaine roumaine nous prenant par la rétine, avec, en miroir, les sonorités transalpines si riches de leurs voyelles! Les nymphéas de Monet en frémissent d’aise… Déambulation délicate, sécrétions de pétales et de mots en un silence feutré…
La poésie, telle la peinture, est souvent faite de surprises, d’émotions, d’inconscient à la marge du narratif : j’ai l’impression d’être dans l’attente du mystère / avec son pouvoir de te prendre aux tréfonds / pour te faire sentir la vie, aux mille visages / s’émerveillant de ses mots, de ton image (p. 106).
On se rapproche du passage entre le formel et le non-figuratif. L’académicien Henri Troyat ne disait-il que, même dans un roman, les personnages prennent le pouvoir ? Ici, c’est l’âme qui, dans l’éclat / de l’argile / céleste (p. 210), occupe toute la scène.
Peintre des mots : Sonia Elvireanu serait-elle un auteur impressionniste ?
Écrivain suisse romand (francophone), Claude Luezior est médecin, spécialiste en neurologie (son nom civil est Claude-André Dessibourg) et ancien professeur à l’Université. Par ailleurs, il a publié une cinquantaine d’ouvrages littéraires, dont une majorité à Paris : romans, nouvelles, recueils de poésie, une biographie romancée à propos du peintre Armand Niquille, un essai concernant la cathédrale de Fribourg ainsi que des ouvrages d’art. Plusieurs livres de Luezior sont traduits en langues étrangères et en braille. Huit d’entre-eux sont enregistrés en livres parlés pour les malvoyants de langue française. Il reçoit plusieurs distinctions, dont le Prix européen ADELF-Ville de Paris au Sénat en 1995 ainsi qu’un Prix de poésie de l’Académie française en 2001 (Hélène Carrère d’Encausse). Fasciné par le monde des idées et des mots, à la fois prosateur (Urbs), poète (Haute Couture) et homme de plume engagé (Nourrir les Colombes contre la guerre en Irak), Claude Luezior défend l’exclu (Monastères), celui que le sort fragilise (Impatiences) ou ceux atteints de handicaps (Rebelles).
Claude Luezior
Sonia Elvireanu è poetessa, romanziere, critico letterario, saggista, traduttore, membro dell’Unione degli Scrittori della Romania. Ha conseguito il dottorato in Filologia, è professoressa; membro del Centro di ricerca sull’immaginario e del Centro di ricerca filologica per il dialogo multiculturale dell’Università “1 dicembre 1918”, Alba Iulia; è membro della Federazione internazionale degli insegnanti francesi (FIPF), vicepresidente e coordinatore culturale dell’Associazione franco-rumena AMI. Ha scritto diverse opere molto apprezzate in patria e all’estero. Con la casa editrice Giuliano Ladolfi ha pubblicato la raccolta di poesie Il canto del mare all’ombra dell’airone cinerino (2021).
Claude Luezior è uno scrittore svizzero di lingua francese, medico specializzato in neurologia (il suo nome civile è Claude-André Dessibourg) ed ex professore universitario. Ha pubblicato una cinquantina di opere letterarie, la maggior parte delle quali a Parigi: romanzi, racconti, raccolte di poesie, una biografia romanzata del pittore Armand Niquille, un saggio sulla cattedrale di Friburgo e libri d’arte. Molti dei libri di Luezior sono stati tradotti in lingue straniere e in Braille. Otto di essi sono registrati come libri parlanti per ipovedenti in francese. Ha ricevuto diversi riconoscimenti, tra cui il Premio europeo ADELF-Città di Parigi al Senato nel 1995 e il Premio di poesia dell’Accademia di Francia nel 2001 (Hélène Carrère d’Encausse). Affascinato dal mondo delle idee e delle parole, scrittore di prosa (Urbs), poeta (Haute Couture) e scrittore impegnato (Nourrir les Colombes contre la guerre en Irak), Claude Luezior difende gli esclusi (Monastères), i fiaccati dal destino (Impatiences) o i disabili (Rebelles).
Traduzione a cura di Giuliano Ladolfi
Dipingere le parole: l’espressione è ben nota ed è stata utilizzata in particolare dallo scrittore svizzero Jacques Chessex. Inoltre, la persona che sa esattamente in anticipo che cosa dipingerà è davvero un artista? È poeta colui che sa esattamente cosa scriverà licenziando le muse aggrappate ai suoi versi?
Leggere Elvireanu comporta immergersi in un mondo onirico che ricorda quello di Claude Monet, come abbiamo già notato nella nostra recensione della sua raccolta Le souffle du ciel: un mondo incantato dove si beccano le briciole del colore, scintillii dove cantano spazi sereni…
Non andare via, lettore: fai una pausa sul ponte giapponese del genio impressionista; ascolta la poetessa, sussurra, canta i suoi versi dal sapore di miele: in francese, lingua che Elvireanu padroneggia con sconcertante facilità, ma qui anche in italiano, la lingua degli angeli, che il suo traduttore, prefatore e curatore Giuliano Ladolfi ci offre con eleganza.
Modi di dire dipinti dai creatori, al di là di una descrizione, affini al sogno, profani e sacri insieme, intimi e fantastici, in un al di là della trama grammaticale, in un superamento di sé.
Nella nebbia (p. 57)
Una nebbia azzurrina
al crepuscolo avvolge l’argilla,
il mormorio di una gemma
straziata
sotto la corteccia,
il sussulto del silenzio,
l’iris della fioritura
solitaria.
Nebbia, sfumature bluastre, sussurri, sotto la corteccia, tocchi verbali ma anche fascino transculturale di una scrittrice rumena che ci prende per la retina, con, di riflesso, i suoni transalpini così ricchi di vocali! Le ninfee di Monet fremono di gioia… Passeggiata delicata, secrezioni di petali e parole in un silenzio sommesso…
La poesia, come la pittura, è spesso fatta di sorprese, di emozioni, di inconscio al margine della narrazione: Mi sento come se stessi aspettando il mistero / con il suo potere di portarti nelle profondità / per farti sentire la vita, dai mille volti, / che si meraviglia delle sue parole, della tua immagine (p. 107).
Ci stiamo avvicinando alla transizione tra il formale e il non figurativo. L’accademico Henri Troyat non diceva forse che, anche in un romanzo, i personaggi prendono il sopravvento? Qui è l’anima che, nel bagliore / dell’argilla / celeste (p. 211), occupa tutta la scena.
Pittrice di parole: Sonia Elvireanu è un’autrice impressionista?
Biblioteca DEA SABINA- La rivista «Atelier»
La rivista «Atelier» ha periodicità trimestrale (marzo, giugno, settembre, dicembre) e si occupa di letteratura contemporanea. Ha due redazioni: una che lavora per la rivista cartacea trimestrale e una che cura il sito Online e i suoi contenuti. Il nome (in origine “laboratorio dove si lavora il legno”) allude a un luogo di confronto e impegno operativo, aperto alla realtà. Si è distinta in questi anni, conquistandosi un posto preminente fra i periodici militanti, per il rigore critico e l’accurato scandaglio delle voci contemporanee. In particolare, si è resa levatrice di una generazione di poeti (si veda, per esempio, la pubblicazione dell’antologia L’Opera comune, la prima antologia dedicata ai poeti nati negli anni Settanta, cui hanno fatto seguito molte pubblicazioni analoghe). Si ricordano anche diversi numeri monografici: un Omaggio alla poesia contemporanea con i poeti italiani delle ultime generazioni (n. 10), gli atti di un convegno che ha radunato “la generazione dei nati negli anni Settanta” (La responsabilità della poesia, n. 24), un omaggio alla poesia europea con testi di poeti giovani e interventi di autori già affermati (Giovane poesia europea, n. 30), un’antologia di racconti di scrittori italiani emergenti (Racconti italiani, n. 38), un numero dedicato al tema “Poesia e conoscenza” (Che ne sanno i poeti?, n. 50).
Direttore responsabile: Giuliano Ladolfi Coordinatore delle redazioni: Luca Ariano
Redazione Online Direttori: Eleonora Rimolo, Giovanni Ibello Caporedattore: Carlo Ragliani Redazione: Mario Famularo, Michele Bordoni, Gerardo Masuccio, Paola Mancinelli, Matteo Pupillo, Antonio Fiori, Giulio Maffii, Giovanna Rosadini, Carlo Ragliani, Daniele Costantini, Francesca Coppola.
Redazione Cartaceo Direttore: Giovanna Rosadini Redazione: Mario Famularo, Giulio Greco, Alessio Zanichelli, Mattia Tarantino, Giuseppe Carracchia, Carlo Ragliani.
Contattaci
http://www.atelierpoesia.it
La rivista «Atelier» ha periodicità trimestrale e si occupa di letteratura contemporanea.
direzioneatelierpoesiaonline@gmail.com
Per tutte le comunicazioni e proposte per Atelier Online, sia di pubblicazione di inediti che di recensioni vi preghiamo di scrivere al seguente indirizzo mail di direzione: eleonorarimolo@gmail.com
MARINO (Roma)- Art x Peace-Progetto itinerante dove la pace è il tema principale-
MARINO (Roma)-Art x Peace-Dopo la grande partecipazione di pubblico ed enorme successo di ART X PEACE nella primo steep di Calcata L’ ASSOCIAZIONE CULTURALE ADRENALINA presenta:“ART X PEACE” 2° step artisti per la Pace.
Sabato 9 Novembre 2024 dalle ore 19:30 presso il Museo Civico U.Mastroianni di Marino. “ART X PEACE” è un progetto itinerante dove la PACE è il tema principale del racconto attraverso opere, performance ed eventi di ARTE, MUSICA, POESIA e SPORT all’interno di luoghi caratteristici e caratterizzanti, dove la socialità ed il messaggio che regalano le opere o i gesti, sono la base per la costruzione di un mondo migliore.
Artisti internazionali, testimonial sportivi e culturali arricchiranno con la loro presenza e con le loro testimonianze l’evento.
Sarà realizzato un docufilm che sarà testimonianza e messaggio.
Tutti gli eventi sono ad ingresso e partecipazione gratuita.
Programma evento:
ore 19:30 Inaugurazione mostra
presentano Mr Ferdy il Guru & Alessandro Gatta
Sigla d’apertura evento ART X PEACE, saluti istituzionali del Sindaco Stefano Cecchi, dell’assessore alla Cultura Pamela Muccini, del Direttore del Museo Alessandro Bedetti del rappresentante dell’associazione culturale Adrenalina, di Mario Placidini giornalista e autore del programma Borghi D’Italia.
Presentazione opere degli artisti partecipanti:
Ferdinando Colloca (autore dell’opera ufficiale dei campionati europei di Atletica Leggera Roma 2024),
Barbara Berardicurti,
Gilda Luzzi,
Angelo Cortese,
Stina Ekelund,
Gaetano Iaccarino,
Nicolo’ Caito
Michele Barbaro,
Carmen Carriero,
Michela Lenzi,
Nina Kulishova,
Julius Kaiser,
Marina Petroni,
Stefania Rossi,
Lidia Scalzo,
Matteo Tomaselli,
Kyrahm Chessa e Julius Kaiser,
Luca Di Bianca (Il Cacciatore Errante) Io sono del Mondo
+ ulteriori artisti in adesione alla mostra/evento
Apertura attività con la presentazione del libro “VOARCHADUMIA”.
In anteprima assoluta, dopo il lancio alla BuchMesse di Francoforte, il romanzo alchemico “Voarchadumia” di Carla Isabella Elena Cace approda ad Adrenalina.
Opera prima della giornalista e storica dell’arte, edito da Idrovolante, promette di affascinare i lettori con un viaggio coinvolgente tra mistero, storia e alchimia. Questo avvincente romanzo, ambientato su due piani temporali — un’indefinita contemporaneità romana e il XVI secolo a Venezia — esplora il profondo legame tra passato e presente attraverso gli occhi di due protagoniste femminili: Isabella e Loredana Tron.
Presente all’evento l’autrice CARLA ISABELLA ELENA CACE e reduce dal Premio Campiello, la super moderatrice Anna Laura Consalvi.
A seguire performance di body art di Nora Lux “TURAN” (progetto Octogon)
Installazione vivente “SKIN & PEACE fluo” del Maestro Ferdy Colloca.
Reading di poesie di Tonino Colloca tratte dalla raccolta “Olive Nere”, Mario Sandro Panico tratte da “L’intimidezza dell’infinito”, Alessandra Iannotta tratte da “Muse sciamane” e di Stefano Ambrosi.
Si ringrazia il Comune di Marino e tutta la Giunta, Il Direttore del Museo Alessandro Bedetti.
E ‘un’iniziativa volte alla valorizzazione della Regione Lazio, anche in modo da favorire la promozione e divulgazione dell’immagine della stessa e produrre importanti ricadute positive in ambito turistico ed economico sui territori interessati.
Si consiglia di parcheggiare le autovetture al Parcheggio Sotterraneo multipiano di Via Mons. Grassi aperto h24.
La storia e le voci di poetesse,da Anna Achmatova a Maria Wisława Anna Szymborska, che hanno lasciato il segno nella cultura mondiale con il loro immaginario potente. Sono autrici che dal Medio Oriente all’Est Europa rappresentano mondi poetici caratterizzati da mille culture e da uno sguardo aperto e profondo sulla contemporaneità.La poesia delle donne, una storia da raccontare -Articolo di Lorenzo Pompeo– Con il loro immaginario potente, le voci delle poetesse hanno lasciato il segno nella letteratura mondiale, con una sensibilità aperta a mille culture e uno sguardo sempre attento alla realtà storica e sociale. Pubblichiamo un estratto del libro di Left “La poesia delle donne” di Rosalba De Cesare e Lorenzo Pompeo che il 20 ottobre 2022 è stato presentato a Roma presso la Biblioteca comunale “Goffredo Mameli” via del Pigneto n. 22-
La poesia femminile rappresenta una questione aperta, un quesito al quale la presente antologia vorrebbe offrire solo un modesto contributo. Non vogliamo offrire risposte definitive, semmai porre domande, a partire dalla definizione stessa della categoria: esiste una poesia femminile? Esiste una differenza significativa che la contraddistingue? È utile o necessario creare una categoria a parte?
Partiamo da alcune considerazioni introduttive: se da un lato a partire da Saffo, vissuta presumibilmente tra il 630 e il 570 a. C., la poesia femminile è una realtà testimoniata nella storia da molte altre figure, è pur vero che fino al XIX secolo si è trattato di presenze marginali, casi eccezionali e rari. Le cose cambiano in modo sostanziale con la Rivoluzione industriale e il lento processo di emancipazione femminile. Attraverso l’ingresso delle donne nel mondo del lavoro, si andò affermando nelle società occidentali prima, e poi in tutto il mondo, seppure in modo graduale e parziale, il principio della parità di diritti. Mano a mano che questo processo avanzava nel corso del XIX e del XX secolo, anche nel mondo dell’arte e della poesia la presenza femminile è diventata sempre più importante, in numeri e peso specifico. Ciò malgrado, si tratta pur sempre di una presenza ancora largamente minoritaria. E se consideriamo la questione in una ottica mondiale, anche oggi esistono Paesi e vaste aree geografiche in cui l’accesso all’istruzione è ancora precluso alle donne, oppure ostacolato da circostanze materiali che di fatto impediscono tale accesso. Ciò malgrado, non è raro il caso di bambine nate in seno a famiglie prive di mezzi che grazie alla loro forza di volontà sono riuscite a far sentire la propria voce attraverso i loro versi malgrado mille difficoltà e ostacoli, facendosi spesso portatrici di una visione del mondo nuova e inedita, ribellandosi cioè a quell’atavico silenzio in cui le loro madri, le sorelle e le nonne erano e sono ancora confinate da una tradizione secolare.
Ma questo è solo uno degli aspetti del mondo della poesia femminile del ’900, a cui senza dubbio occorre prestare la massima attenzione (anche perché si tratta di figure spesso marginali o emarginate anche nel mercato editoriale italiano, che solitamente alla poesia presta già ben poca attenzione). Ma la poesia femminile del ’900 non fu solo uno strumento per rivendicare il diritto alla parola delle donne. O meglio, in alcuni casi lo è stato, ma se la prendiamo in esame esclusivamente da questo punto di vista, si finirebbe per attribuirle uno statuto puramente finalistico e, in quanto tale, presumibilmente inferiore, se consideriamo la poesia una forma d’arte. Eccoci quindi di fronte allo scoglio principale: a questo punto forse qualcuno potrebbe obiettare che sarebbe meglio ignorare completamente la questione di genere (posizione condivisa anche da alcune poetesse, come ad esempio il premio Nobel Wisława Szymborska). Poesia engagé o “arte pura”? – Un antico dilemma, che però può assumere un significato inedito se declinato al maschile e al femminile. Sorgono però a questo punto nuove domande che inevitabilmente chiamano in causa la dimensione pubblica e quella privata della poesia, dei poeti e delle poetesse.
È indubbio che il movimento femminista ha giocato un ruolo importante nello sviluppo della poesia femminile, creando le condizioni necessarie affinché la presenza delle donne nel mondo delle lettere non si limitasse a casi sporadici e isolati. Ma sarebbe limitante ricomprendere tale fenomeno esclusivamente nell’alveo del femminismo. L’arte del ’900 fu prima di tutto sperimentazione e ricerca, rottura di schemi e di immagini preordinate. In questo processo la presenza delle donne è stato un elemento capitale, aspetto forse ancora non del tutto recepito nel canone del secolo appena trascorso….
Il testo è un estratto dal libro di LeftLa poesia delle donne di Rosalba De Cesare e Lorenzo Pompeo.
Premiata con il Nobel per la letteratura nel 1996 e con numerosi altri riconoscimenti, è generalmente considerata la più importante poetessa polacca degli ultimi anni e una delle poetesse più amate dal pubblico di tutto il mondo. In Polonia i suoi libri hanno raggiunto cifre di vendita (500 000 copie vendute, come un bestseller) che rivaleggiano con quelle dei più notevoli autori di prosa, nonostante abbia ironicamente osservato, nella poesia intitolata Ad alcuni piace la poesia (Niektórzy lubią poezję), che la poesia piace a più di due persone su mille.
Questo sito usa i cookie per migliorare la tua esperienza. Chiudendo questo banner o comunque proseguendo la navigazione nel sito acconsenti all'uso dei cookie. Accetto/AcceptCookie Policy
This website uses cookies to improve your experience. We'll assume you're ok with this, but you can opt-out if you wish.Accetto/AcceptCookie Policy
Privacy & Cookies Policy
Privacy Overview
This website uses cookies to improve your experience while you navigate through the website. Out of these, the cookies that are categorized as necessary are stored on your browser as they are essential for the working of basic functionalities of the website. We also use third-party cookies that help us analyze and understand how you use this website. These cookies will be stored in your browser only with your consent. You also have the option to opt-out of these cookies. But opting out of some of these cookies may affect your browsing experience.
Necessary cookies are absolutely essential for the website to function properly. This category only includes cookies that ensures basic functionalities and security features of the website. These cookies do not store any personal information.
Any cookies that may not be particularly necessary for the website to function and is used specifically to collect user personal data via analytics, ads, other embedded contents are termed as non-necessary cookies. It is mandatory to procure user consent prior to running these cookies on your website.