Oggi 4 dicembre ricorre la data della morte della scrittrice, filosofa e storica –
Il 4 dicembre del 1975, a New York, muore la filosofa e storica tedesca Hannah Arendt. Nata da una famiglia ebrea, la Arendt studia filosofia con il teologo Rudolf Bultmann, Martin Heidegger all’università di Marburg.
Con Heiddeger, ricorda Rai cultura, «Arendt ha una relazione sentimentale segreta, scoprendo solo piuttosto tardi le simpatie naziste del filosofo, da cui si dissocia. Dopo aver chiuso questa relazione, la Arendt si laurea con una tesi sul concetto di amore in Sant’Agostino».
La tesi è pubblicata nel 1929, ma alla Arendt, viste le sue origini, non viene concessa l’abilitazione all’insegnamento nelle università tedesche. Lascia la Germania e si trasferisce prima in Francia e poi negli Stati Uniti, dove vivrà fino al 1975, anno della sua morte. Tra le sue opere più note, “Le origini del totalitarismo”, “Ebraismo e modernità” e “La banalità del male”».
Sessant’anni fa, nel 1964, Feltrinelli pubblica in Italia La banalità del male –Eichmann a Gerusalemme di Hannah Arendt.
«Il saggio – ricorda Elia Bosco sul sito della Radiotelevisione Svizzera di lingua italiana– fu scritto dopo la partecipazione della pensatrice politica, in qualità di giornalista, al processo contro il gerarca nazista Adolf Eichmann, uno dei principali responsabili della cosiddetta “soluzione finale”, svoltosi a Gerusalemme nel 1961, cui esito fu la pena di morte.
L’opera entrò a pieno titolo nella storia del pensiero del Novecento per la sua portata rivoluzionaria, che portò ad una inedita concezione delle categorie tradizionali di bene e di male.
Il concetto di banalità del male si mette in rapporto dialettico, nel pensiero della Arendt, con il concetto kantiano di radicalità del male, utilizzato dalla scrittrice nell’opera del ‘51 intitolata Le origini del totalitarismo. Sulle pagine del New Yorker, Hannah Arendt scrisse che il processo a Eichmann ha rovesciato completamente il tema del male come esso era stato presentato nel testo del 1951. Se in quell’opera i totalitarismi erano stati letti come conseguenza diretta del fallimento della democrazia e del pensiero critico, e piene manifestazioni del male assoluto e radicale, alla luce della macchina di sterminio industriale che Auschwitz rappresentò quella categoria non era più sufficiente per descrivere il dramma dei campi di sterminio e serviva dunque una rielaborazione concettuale».
Togliendoci qualsiasi appiglio metafisico, «che non di rado è stato utilizzato quale comoda uscita di sicurezza, e mettendoci in guardia dalla tentazione di estetizzare il male – scriveva nel 2015 Massimo Marottoli in un articolo su Riforma.it dal titolo Il doppio sguardo –sul film di M. Von Trotta, Arendt ci snida dalle menzogne in cui ci siamo appisolati; ci strappa di dosso gli alibi consolatori che preservano dal contatto diretto con il reale e ci chiama a responsabilità».
Breve biografia di Hannah Hannah Filosofa tedesca della politica, naturalizzata statunitense (Hannover 1906 – New York 1975). Significativo esempio di studiosa impegnata, A. ha lasciato una originale produzione scientifica che intreccia contributi filosofici, politologici e sociologici. Allieva di Husserl e Heidegger, laureatasi in filosofia a Heidelberg con Jaspers, fu costretta a lasciare la Germania (1933) perché di famiglia ebraica: lavorò a Parigi per un’organizzazione sionista fino al 1940; quindi emigrò negli Stati Uniti, dove fu attivista in organizzazioni ebraiche, fra cui la Jewish Cultural Reconstruction. La sua carriera accademica si svolse nelle univ. di Berkeley, Princeton, Chicago (dal 1963) e alla New School for Social Research di New York (dal 1967). Il problema dell’agire umano nella storia e della sua politicità (cioè del rapporto dell’uomo con gli altri uomini in comunità organizzate) è delineato in The origins of totalitarianism (1951; trad. it. Le origini del totalitarismo), una delle prime e più importanti analisi di un sistema politico manifestatosi, secondo A., per lo più nella Germania nazista e nell’URSS. Il totalitarismo si lega al declino dello Stato nazionale e al sorgere dell’imperialismo, alla rottura del sistema classista e all’atomizzazione della società di massa; e viene definito come «forma di governo la cui essenza è il terrore e il cui principio d’azione è la logicità del pensiero ideologico». Problemi ripresi in The human condition (1958; trad. it. Vita activa), in cui si afferma l’importanza della sfera pubblica come luogo privilegiato per la formazione del cittadino come protagonista della vita sociale e politica in tutta la ricchezza delle sue manifestazioni, secondo il modello della polis greca; a proposito del controverso rapporto sulla banalità del male come prodotto di un’organizzazione burocratica e dell’acquiescenza degli individui in Eichmann in Jerusalem (1963; trad. it. La banalità del male); nell’analisi della rivoluzione come fenomeno essenzialmente moderno inteso a liberare e a produrre libertà in On revolution (1963; trad. it. Sulla rivoluzione); nella riflessione sulle funzioni e sull’ubiquità della violenza in On violence (1970; trad. it. Sulla violenza). In polemica con le comunità ebraiche nell’affermazione della sua laicità, A. ebbe come filo unificante del suo pensiero la ricerca delle condizioni della libertà di fronte all’erosione della distinzione fra sfera privata e sfera pubblica, presentato nei volumi Pensare e Volere di un’incompiuta trilogia (manca Giudicare): The life of the mind (post. 1978; trad. it. La vita della mente).
Fonte-Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani –
La ventitreenne americana Florence Fein, figlia di genitori ebrei e nipote di una donna russa, è da sempre affascinata dal mondo sovietico. La Grande Depressione ha colpito gli Stati Uniti e lei, idealista e nauseata dalle contraddizioni del proprio paese, decide di lasciare New York per trasferirsi nella terra d’origine della nonna, inseguendo il sogno socialista e la promessa di un amore oltreoceano. Una volta giunta a destinazione, però, le speranze svaniscono una dopo l’altra, la ragazza si trova faccia a faccia con la brutalità di un regime sempre più opprimente e rimane presto bloccata in un paese da cui non può fuggire. Molti anni dopo, il figlio di Florence, Julian, emigra di nuovo verso gli Stati Uniti, anche se il suo lavoro nell’industria petrolifera lo porta frequentemente a Mosca. Gran parte della vita della madre gli è stata tenuta nascosta e, quando viene a sapere che il fascicolo del KGB su di lei è stato aperto, organizza un viaggio d’affari per scoprire tutta la verità. Ma il cerchio non si è ancora chiuso: per chiuderlo definitivamente Julian dovrà anche convincere suo figlio, l’ostinato Lenny, che nel frattempo sta cercando di fare fortuna nella spietata Russia di Putin, a tornare a casa. Lo stupefacente romanzo d’esordio di Sana Krasikov racconta le vicende di tre generazioni in bilico fra due continenti, intrappolate tra le forze della Storia e le conseguenze delle proprie scelte. Grandioso nell’incedere e intimo nei dettagli, appassionante saga familiare e minuzioso romanzo storico, I patrioti è una potente epopea trainata da una protagonista indimenticabile e orchestrata da una penna eccellente.
«I patrioti è un capolavoro. Il dottor Živago del nostro tempo».
Yann Martel, autore di Vita di Pi
«Ho trovato in ogni pagina un’osservazione tanto acuta, una frase di tale verità e dai dettagli tanto splendenti che ho dovuto rileggerlo per puro piacere. I patrioti mi ha convinto che Krasikov appartenga ai giovani scrittori totemici della sua epoca». Khaled Hosseini, autore di Il cacciatore di aquiloni
«Come racconto intelligente e letterario delle relazioni tra la Russia e l’America del secolo scorso non ha eguali». «The Spectator»
«I patrioti è una storia d’amore alla vecchia maniera: multigenerazionale, intercontinentale, carica di retroscena e ricerche storiche, si muove tra dettagli scrupolosi e panorami ampi, melodramma e satira, la Cleveland del 1933 e la Mosca del 2008». «The New York Times Book Review»
«In un racconto inebriante fatto di protagonisti imperfetti e coraggiosi, passione erotica e politica e lotte strazianti per la sopravvivenza, Krasikov ritrae magistralmente l’oscuro meccanismo a orologeria del totalitarismo e si chiede cosa significhi essere un eroe, un patriota, un essere umano». «Booklist»
– Prof. GIUSEPPE LUGLI-Il Restauro del Tempio di Venere e Roma-
Copia anastatica dalla Rivista PAN -numero Luglio 1935-diretta da UGO OJETTI
Editore RIZZOLI e C. Milano-Firenze-Roma.
Prof.Lugli Giuseppe – Archeologo italiano (1890 – 1967) professore di topografia romana e di architettura all’università di Roma La Sapienza. La carriera del Lugli è stata prolifica anche se fra i suoi molti contributi significativi alcuni sono preminenti: – Fontes ad topographiam veteris urbis romae pertinentes (8 vols. 1952-69). corpus che raccoglie tutte le citazioni testuali nelle fonti antiche romane di carattere topografico e monumentale. – La tecnica edilizia romana: con particolare riguardo a roma e lazio, roma (bardi, 1957) rimane uno studio fondamentale sulle tecniche di costruzione durante il primo millennio a.C. – Forma italiae, una serie di programmi e di concordanza archeologica per l’Italia. Questo lavoro continua oggi come pubblicazione seriale ed ha un progetto di ricerca collegato, diretto dal prof. Paolo Sommella nel dipartimento di storia dell’archeologia e dell’antropologia di Roma antica presso l’Università degli Studi La Sapienza.
Restauro del Tempio di Venere e Roma-
Giuseppe Lugli Archeologo italiano (Roma 1890 – ivi 1967); prof. di topografia romana nell’univ. di Roma (1933-61); socio nazionale dei Lincei (1946). Pubblicò, tra l’altro, un ampio manuale (I monumenti antichi di Roma e suburbio, 3 voll. e un Supplemento, 1930-40), e ricerche sulla tecnica costruttiva e sull’architettura (La tecnica edilizia romana con particolare riguardo a Roma e Lazio, 2 voll., 1957). Iniziò la pubblicazione sistematica dei Fontes ad topographiam veteris urbis Romae pertinentes e la collana della Forma Italiae.
Lugli’s career was prolific, although among his many significant contributions, several are paramount. He is credited with more than 230 scholarly publications.[2] In his topographical career, Lugli compiled the landmark Fontes ad topographiam veteris urbis Romae pertinentes (8 vols. 1952-69).[3] The aim of this corpus was to collect all of the textual mentions in the ancient sources that pertain to the topography and monuments of Rome. The work is organized according to the Augustan regions of the city.
Lugli was also a student of architecture, and in particular of building techniques. His study La tecnica edilizia romana: con particolare riguardo a Roma e Lazio, Roma (Bardi, 1957) remains a seminal study of the technology of construction in Italy during the 1st millennium B.C.[4]
Lugli also founded the Forma Italiae, a series of archaeological maps and concordance for Italy. This work continues today as a serial publication, and associated research project, directed by Prof. Paolo Sommella in the Department of Ancient History, Archaeology and Anthropology at the Università degli Studi di Roma “La Sapienza”. The aim of Forma Italiae is to map the full archaeological landscape of Italy at a sufficient scale to facilitate a variety of research and teaching needs.[5]
A. M. Colini “Ricordo di Giuseppe Lugli” RIASA, n.s., XV, 1968.[2]
Scholarship
1930-1940. I monumenti antichi di Roma e suburbio. [I. La zona archeologica.–II. Le grandi opere pubblicha.–III. A traverso le regioni.] 3 vol., plus Supplemento: un decennio di scoperte archeologiche. Rome: G. Bardi. Worldcat.
1940. Pianta di Roma antica: forma Urbis imperatorum temporibus (1:10.000). Worldcat.
1946. Roma antica: il centro monumentale. Rome: G. Bardi. Worldcat.
1948. La Velia e Roma aeterna. Elementi topografici e luoghi di culto.Worldcat.
1952-1969. Fontes ad topographiam veteris urbis Romae pertinentes. Colligendos at que edendos curavit Iosephus Lugli. Rome. Worldcat.
1957. La tecnica edilizia romana con particolare riguardo a Roma e Lazio. 2 v. Rome: Bardi. Worldcat.
1969. La Domus Aurea e le Terme di Traiano. Rome: G. Bardi. Worldcat.
Marco Mondini- Roma 1922 -Il fascismo e la guerra mai finita
Editore Il Mulino
Descrizione del libro di Marco Mondini-Roma 1922 -Il fascismo e la guerra mai finita «I fascisti erano ossessionati dal potere, e dalla possibilità di redimere la nazione e di trasformare gli italiani, anche a costo di eliminare tutti quelli che non erano d’accordo con loro. […] Le armi non sarebbero state deposte, fino al compimento di questa missione.» L’ascesa al potere del fascismo e il suo atto culminante, la cosiddetta marcia su Roma, possono essere capiti solo all’interno di un quadro più vasto, quello di un’Europa incapace di chiudere i conti con la Grande guerra. E se furono soprattutto i paesi sconfitti a scoprire che uscire dalla cultura dell’odio e della violenza quotidiana non era facile, frustrazione, scontento e desiderio di rivalsa si impossessarono anche degli italiani che pure – almeno formalmente – la guerra l’avevano vinta. Marco Mondini compone la storia corale e implacabile di un’Italia in cui la lotta politica si trasforma in guerra civile e che scivola via via verso il lungo ventennio della dittatura fascista.
Breve biografia di Marco Mondini-Storico
Si è laureato all’Università di Pisa in storia militare nel marzo 1998, e nel novembre dello stesso anno si è diplomato alla Scuola Normale Superiore in discipline storiche. Ha conseguito il perfezionamento (dottorato) in storia contemporanea presso la Scuola Normale Superiore nel 2003[1]. Tra 1999 e 2000 ha prestato servizio nell’Esercito Italiano come ufficiale di complemento, prima alla Brigata “Tridentina” e poi, come ufficiale incaricato della pubblica informazione, presso il Comando Truppe Alpine.
Dal 2003 al 2005 è stato borsista di post-doc all’Università di Padova. Nel 2006 è stato borsista della Fondazione Luigi Einaudi di Torino. Dal 2006 al 2010 assegnista di ricerca in Storia contemporanea alla Scuola Normale Superiore. Dal 2011 al 2017 è stato ricercatore all’Istituto storico italo Germanico-FBK di Trento, dove ha diretto il gruppo di ricerca “1914-1918” (FBK – Università di Trento), e dove dal 2017 è affiliated fellow.[2] Negli stessi anni è stato anche visiting fellow all’ENS di Parigi, all’università di Lille “Charles De Gaulle”, all’università di Paris 7 “Diderot”, all’Oberlin College (USA) e allo US Army War College di Carlisle (Pennsylvania, USA) ed è stato nominato chercheur associé al CNRS e all’Università di Paris-Sorbonne[3]. Dal 2017 è diventato prima ricercatore e poi professore associato presso il Dipartimento di Scienze Politiche, Giuridiche e Studi Internazionali dell’Università di Padova, dove insegna History of conflicts e Storia contemporanea e dove, dal 2023, è Delegato alla comunicazione e alla terza missione [3]. Dal 2019 è membro del Comité directeur del Centre International de Recherche dell’Historial de la Grande Guerre di Péronne.
Durante il Centenario della Grande Guerra, ha fatto parte come consulente della Struttura di missione anniversari nazionali presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri.[4] Collabora con Il Corriere della Sera, con Il Foglio e con Rai Storia, per la quale ha scritto e condotto diversi documentari e le trasmissioni “Archivi. Miniere di Storia” (2018-2019) e dal 2020 al 2024, quando il rapporto tra i due si è interrotto, insieme a Michela Ponzani, “Storie Contemporanee”.[5] Dalla sua prima stagione, è ripetutamente ospite della trasmissione Passato e Presente condotto da Paolo Mieli (Rai 3 – Rai Storia) [6]Nella stagione 2023/2024 e 2024/2025 ha collaborato con Aldo Cazzullo per alcune puntate della trasmissione Una giornata particolare(La7).[7] Nel 2023 ha partecipato al documentario “La caduta”, condotto da Ezio Mauro per La7, sul 25 luglio 1943.[8] Nel 2024 è consulente e tra le voci narranti del documentario “I survived the Holocaust” diretto da Sanela Prašović Gadžo, presentato al Sarajevo Film Festival e allo Stockolm Film Festival.[9]
Gli sono stati attribuiti diversi riconoscimenti tra cui il premio nazionale “Friuli Storia” (2017) per la biografia di Luigi CadornaIl Capo, e il premio “Acqui Storia. Storico in TV” (2022) per il documentario L’ultimo eroe. Viaggio nell’Italia del Milite Ignoto (RAI Storia[10]), scritto e condotto insieme a Nicola Maranesi e Fabrizio Marini.
Opere
Veneto in armi. Tra mito della nazione e piccola patria 1866-1918, Collana Le guerre, Gorizia, LEG, 2002, ISBN 978-88-869-2853-3.
Armi e potere. Militari e politica nel primo Dopoguerra, Quaderni della Fondazione Luigi Salvator, Roma, Aracne, 2006, ISBN978-88-548-0745-7.
La politica delle armi. Il ruolo dell’esercito italiano nell’avvento del fascismo, Collana Quadrante, Roma-Bari, Laterza, 2006, ISBN 978-88-420-7804-3.
Dalla guerra alla pace. Retoriche e pratiche della smobilitazione nell’Italia del Novecento, con Guri Schwarz, Collana Nord-Est. Nuova serie, Verona, Cierre, 2008, ISBN 978-88-831-4439-4.
Alpini. Parole e immagini di un mito guerriero, Collana Percorsi, Roma-Bari, Laterza, 2008, ISBN 978-88-420-8652-9.
Venezia, Treviso e Padova nella grande guerra, con Lisa Bregantin e Livio Fantina, Collana 900 Veneto. La Grande Guerra, Istresco, 2008, ISBN978-88-888-8039-6.
Fiume! Scene, volti, parole di una rivoluzione immaginata 1919-1920, con Alessio Quercioli e Fabrizio Rasera, Museo Storico Italiano della Guerra, 2010, ISBN 978-88-322-6612-2.
Generazioni intellettuali. Storia sociale degli allievi della Scuola Normale Superiore di Pisa nel Novecento (1918-1946), Edizioni della Normale, Pisa, 2011, ISBN 978-88-764-2405-2.
La guerra italiana. Partire, raccontare, tornare 1914-1918, Collana Biblioteca storica, Bologna, Il Mulino, 2014, ISBN 978-88-152-51633.
De Gasperi e la Prima guerra mondiale, con Maurizio Cau, FBK Press, 2015, ISBN978-88-989-8923-2.
Andare per i luoghi della grande guerra, Collana Ritrovare l’Italia, Bologna, Il Mulino, 2015, ISBN 978-88-152-5794-9.
Il capo. La Grande Guerra del generale Luigi Cadorna, Biblioteca Storica, Bologna, Il Mulino, 2017, ISBN 978-88-152-7284-3. [Audiolibro letto da Ezio Bianchi, Feltre, Centro Internazionale del Libro Parlato, 2017], traduzione in tedesco: Der Feldherr. Luigi Cadorna im Grossen Krieg 1915-1918, Berlino / Boston, De Gruyter 2022 ISBN 978-3-11-069342-3
Fiume 1919. Una guerra civile italiana, Collana Aculei, Roma, Salerno Editrice, 2019, ISBN978-88-697-3364-2. – Collana Itinerari nella storia n.24, Milano, RCS MediaGroup, 2024.
Tutti giovani sui vent’anni. Una storia di alpini dal 1872 a oggi, Collezione Le Scie. Nuova serie, Milano, Mondadori, 2019, ISBN 978-88-047-1224-4.
Roma 1922. Il fascismo e la guerra mai finita, Biblioteca storica, Bologna, Il Mulino, 2022, ISBN 978-88-152-9927-7.
Il ritorno della guerra, Collana Biblioteca storica, Bologna, Il Mulino, 2024, ISBN978-88-153-8810-0.
Curatele
Armi e politica. Esercito e società nell’Europa contemporanea, con J.F. Chanet, D. Ceschin, H. Kuprian, C. Jahr, A. Argenio, numero monografico di “Memoria e Ricerca”, 2008, 28.
Narrating War. Early Modern and Contemporary Perspectives, con M. Rospocher, Duncker&Humblot – Il Mulino, Berlino-Bologna, 2013.
Roma-Al via la 18edima edizione di Teatri di Vetro, Festival delle Arti sceniche contemporanee-dall’8 al 21 dicembre, al Teatro India di Roma, Teatro del Lido di Ostia e Teatro Biblioteca Quarticciolo, attraverso strategie performative diverse – spettacoli, performance, pratiche corporee, installazioni performative, sperimentazioni musicali, progetti di partecipazione – pone l’attenzione oltre che sull’opera, sul processo creativo, creando le condizioni per nutrire la relazione con lo spettatore.
Teatri di Vetro è un progetto curatoriale articolato in sezioni. Trasmissioni, Composizioni, Oscillazioni, Elettrosuoni sono gli ambienti, le cornici. Ciascuna parte consente di attivare pratiche specifiche implicando aspetti metodologici, artistici, tematici, relazionali e interconnettendoli tra di loro in un’ottica multidisciplinare e interdisciplinare. Dentro l’architettura l’obiettivo è e resta Oscillazioni. Si configura come la meta e “informa” tutto il resto, ciò che la precede. È lì, nel deragliamento, nell’esplosione dei processi in articolazioni plurali, che si creano le condizioni per condividere e rendere viva la sfida della ricerca e mettere gli spettatori a contatto con il centro che realmente “muove” la scena.
Composizioni, l’8 dicembre al Teatro Lido di Ostia, prevede il coinvolgimento diretto dei cittadini proponendo progetti artistici dal carattere partecipativo; la musica elettronica e le sperimentazioni compositive tra musica e video di Elettrosuoni, dall’8 al 21 dicembre, attraversano il Teatro India e il Teatro del Lido; Oscillazioni, l’11 e il 13 al Teatro Quarticciolo e dal 16 al 21 dicembre al Teatro India, intercetta le spinte più significative della produzione artistica contemporanea di ricerca presentando in prima nazionale e romana i lavori degli artisti della scena nazionale tra cui Silvia Gribaudi, Operabianco, Alessandra Cristiani, Bartolini Baronio, Carlo Massari, Paola Bianchi e tanti altri.
30 spettacoli – 6 prime nazionali, 5 prime romane – creano un ambiente di dialogo e incontro tra artisti e pubblico, invitando gli spettatori a esplorare i processi della creazione scenica, coinvolgendo i cittadini in creazioni collettive e offrendo a tutti una possibilità di affondo nella radice profonda della scena.
“La 18^ edizione di Teatri di Vetro affianca spettacoli di cui il festival ha seguito i processi creativi a nuclei di ricerca in una costellazione di possibili scenici. La programmazione risponde alla complessità dei linguaggi della contemporaneità e invita a interrogare e condividere con il pubblico i processi di creazione, le necessità interne che la scena svela e nasconde, la compresenza e le tensioni vive tra il discorso del teatro e il discorso del pensiero. Un’architettura progettuale resa tangibile dagli oggetti scenici che la compongono. Abitata dalle molteplici figure con cui l’individualità artistica si apre all’esterno da sé, altri artisti e contesti” spiega Roberta Nicolai, direttrice artistica del festival.
OSCILLAZIONI
Apre la programmazione della sezione Oscillazioni un focus su Alessandra Cristiani che presenta Trilogia_la questione del linguaggio corporeo e l’arte di A. Mendieta, C. Cahun, S.Moon. Inaugura l’11 dicembre al Teatro Quarticciolo, con Matrice da Ana Mendieta, prima opera della Trilogia, che trae ispirazione dal lavoro dell’artista cubana che ha indagato l’esperienza dello sradicamento e la perdita delle radici attraverso Land e Body art. Il 13 dicembre al TeatroQuarticciolo è la volta di Lingua da Claude Cahun, ispirata all’ artista pioniera di una sessualità fluida e di uno stile di vita rivoluzionario. Chiude la Trilogia il 19 dicembre al Teatro India,Caduta la neve da Sarah Moon, che prende spunto da una delle maggiori fotografe contemporanee che nel suo percorso ha indagato la bellezza e lo scorrere del tempo con un linguaggio proprio e inconfondibile. A conclusione del lungo processo creativo, il 21 dicembre al Teatro India, Diario performativo, in collaborazione con Alberto Canu e Samantha Marenzi, esplora il linguaggio d’arte come mezzo espressivo, al centro dell’indagine il ritornare o il ripartire dalla radice corporea come causa generante di nuove visioni.
Il 16 dicembre Teatri di vetro sbarca al Teatro India. Operabianco debutta con Trickster un lavoro che parte da The Playhouse di Buster Keaton e da Francis Bacon e in cui l’uso delle citazioni è funzionale all’attraversamento continuo di altre materie nella carne del danzatore. Pixel, scariche elettriche, immagini effimere del web e del cinema, diventano carne, peso, muscoli, acrobazia, respiro. Giselda Ranieri presenta Ice_Scream, un duo tra danza e voce che interroga il binomio oppositivo Riso/Pianto. Un’indagine sul ridere, sul piangere e sull’instabilità degli stati corporei, emotivi e sonori legati a e compresi tra questi due apici. Una ricerca che parla della fragilità e allo stesso tempo della potenza dell’umano che non teme se stesso. Prosegue la serata con Una rinascita appunti su Forough Farrokhzad della Compagnia Bartolini Baronio che compone sulla scena gli appunti di un incontro tra la vita e le opere della poetessa iraniana Forugh Farrokhzad e le memorie personali delle artiste coinvolte. La condizione di spaesamento, l’esilio, esistenziale e reale, causato dalla violenza di condizionamenti sociali ed economici, familiari e culturali, religiosi e di genere, risuona nelle opere e nella storia di ribellione e di ricerca di libertà di Forugh. Chiude la serata Tools di Federico Scettri, un progetto musicale in solo che pluralizza il suono attraverso l’utilizzo del sample come materia viva e dialogica. Un all-in ironico e contraddittorio di field recording, groove, incursioni televisive e interferenze pubblicitarie.
Il 17 dicembre Medusa di Fabritia D’Intino e Federico Scettri si muove nella dimensione immersiva dell’oscurità, indagando il possibile stato di invisibilità di un corpo. Che ne è della danza se nessuno la vede? Ilenia Romano debutta con Strings, un lavoro di sperimentazione sul rapporto di assonanza-dissonanza-risonanza tra movimento e musica. Il solo, creato a partire da Voyage that never ends di Stefano Scodanibbio con esecuzione musicale dal vivo Giacomo Piermatti, crea tra corpo e musica un legame che viaggia per echi di mondi reali e immaginari. Le modificazioni di stato del corpo tra ‘accordatura e scordatura’ creano insieme alla musica le condizioni per un’esperienza sensoriale fortemente immersiva. Μονας (monàs) di Teatringestazione è un’opera ibrida tra installazione partecipata, autopoiesi coreografica e live cinema. Il pubblico facendo esperienza del differimento del proprio corpo in immagine, riflette sul rapporto tra spazio reale e spazio di rappresentazione. Dehors Audela con Sfondi/ Wallpapers_primo studio elabora un ambiente visivo abitato da coppe di un passato agonistico e carta da parati, dove le tracce sulle pareti, emerse, sedimentate, configurano lo stato semovibile della memoria.
Il 18 dicembreTeatrInGestazione in Variante B. NOT FOUND– studio espongono il prototipo che mostra il funzionamento del dispositivo scenico di Μονας. Dehors Audela con Deteriorate, a partire dall’archivio fotografico Totò Musolino, narrano storie inventate attraverso fotografie deteriorate da corrosioni che escludono alcuni elementi interrogando l’ordine degli oggetti all’interno dell’immagine. Perdere l’identità per corrosione, restituisce alle immagini un futuro e le riporta in uno stato eternamente nascente, quello del poter essere tutto e niente. Sempre il 18 debutta Pinocch-Io di Lucia Guarino un percorso che origina il suo pensiero da una personale messa a fuoco sulla fragilità e sull’ambiguità dell’esser-ci, ora-adesso, come esseri umani e viventi. Teatro Akropolis presenta La parte maledetta. Viaggio ai confini del teatro_Carmelo Bene per la regia di Clemente Tafuri. Tra le figure più controverse del Novecento teatrale, Carmelo Bene racconta i fondamenti della sua arte e il conflitto irrisolvibile col sistema del teatro e della cultura. La sua parte maledetta riguarda il paradosso della creazione nel teatro come nel cinema, nella musica e nella poesia, ovvero l’inevitabile incompiutezza dell’opera rispetto a quanto si può intuire e vivere oltre la letteratura, il linguaggio e la rappresentazione.
Il 19 dicembreZugZwang di e con Elisabetta e Gennaro Andrea Lauro: due individui, fratello e sorella, si ritrovano come pedine all’interno di una scacchiera simbolica, cui sono racchiuse tutte le loro possibilità di movimento e di relazione. Ad ogni casa corrisponde un mondo, un enigma da attraversare e decifrare. Insectum in Rome di Silvia Gribaudi e Tereza Ondrová nasce dalla ricerca In-Sectum di Elisabetta Zavoli, fotografa laureata in scienze ambientali e master in fotogiornalismo a Contrasto, e Sara Michieletto, violino primo nell’orchestra del Teatro la Fenice, durante una residenza artistica nella riserva Adolfo Ducke nei dintorni di Manaus, nella foresta amazzonica brasiliana. Le due artiste hanno creato immagini e suoni per riavvicinare le persone ai temi ambientali e spostare il punto di vista antropocentrico dell’esistenza. In Insectum lo studio si fonda sulla visione del mondo dal punto di vista dell’insetto.
Il 20 dicembre debutta Voice Over di Paola Bianchi una coreografia con nove danzatrici in scena, che nasce dalla trasmissione via audio della descrizione di alcune posture presenti nel solo di danza […] KZ e dal passaggio istantaneo e diretto dalla parola al corpo (eterodirezione). Memoria collettiva, trasmissibilità e intrasmissibilità sono i nuclei su cui si appoggia Voice Over, dove il corpo diventa grido senza esporre l’orrore. Strangers in the night, la nuova co-creazione firmata da Jos Baker, Linus Jansner e Carlo Massari, parte del percorso di ricerca sulle Metamorfosi e segna un‘importante passo avanti verso l’affermazione dello stile compositivo identitario di C&C Company. Una ricerca meta-teatrale, che buca la quarta parete e coinvolge il pubblico in un’escalation di follia, violenze e ironia. Irene Russolillo con Fàtico set predispone una pratica collettiva di ascolto in relazione al movimento, declinazione partecipativa dello spettacolo Fàtico: è un punto di incontro tra un concerto e un workshop, in uno spazio condiviso.
Il 21 dicembre è in scena […] KZ di Paola Bianchi è una danza che incorpora il rumore di fondo di audiocassette con la voce di persone deportate nei campi di sterminio nazisti, il fruscio, i vuoti, i buchi, le voci. Fàtico di Irene Russolillo è un progetto coreografico e musicale in cui il canto e la danza battono il tempo di tre orazioni. Battaglia della compagnia francese Emile Saar è la storia di un’opera perduta di cui resta solo la storia che ne raccontano due archeologi.
ELETTROSUONI
La musica elettronica e le sperimentazioni compositive tra musica e video attraversano il Teatro India e il Teatro del Lido. Wahid di Simone Alessandrini costruisce un dialogo tra strumenti a fiato trattati ed elementi del folklore musicale egiziano. A seguito della collaborazione con i Mazaher, collettivo musicale de Il Cairo, Simone Alessandrini rielabora tessuti ritmici e timbrici dello Zar, musica di antichissima provenienza, registrata durante la permanenza in Egitto, volendo creare così, una sintesi tra rituale e performance. Overlay di Riccardo Gola è un ipnotico set per contrabbasso ed elettronica, in cui strati di densa materia sonora si sovrappongono a voci campionate, in una coinvolgente performance di improvvisazione elettroacustica.
COMPOSIZIONI Composizioni, l’8 dicembre al Teatro Lido di Ostia, prevede il coinvolgimento diretto degli spettatori proponendo progetti artistici dal carattere partecipativo e rendendo gli eventi scenici non solo attraversabili, ma campi di gioco e sperimentazione in cui la presenza di cittadini, amatori, bambini, anziani e migranti diventa parte integrante della ricerca.
Elisabetta Lauro con Circuiti, un percorso laboratoriale che si inserisce nel più ampio Obey – progetto che si dirama in diverse direzioni, ognuna con il proprio fulcro tematico – indaga insieme alle giovani danzatrici del Liceo Coreutico Giovanni Paolo II, la dimensione del femminile e il concetto di disobbedienza a partire da un’idea di energia confinata e lineare, per cercare varchi di apertura e zone di fuori fuoco. Il lavoro di Gennaro Lauro, Questo ballo è per noi – parte di To Repel Ghosts/Lettera al Padre, si rivolge ai cittadini maschi o che si identifichino come tali, di età compresa tra i 15 e i 65 anni condividendo con loro e attraverso pratiche corporee una serie di domande: Cos’è il maschile? Di chi è? Mi appartiene? O sono io ad appartenergli? Quanto mi ha dato e quanto mi ha tolto? Può essere più mio? E come? Mentre Variazioni di spettro del collettivo Secondo Nome predispone un confronto aperto e condiviso con i partecipanti sulle modalità compositive e di improvvisazione a partire dal progetto performativo Spettro Variabile. Infine, Sonar di Ivan Gasbarrini/Zona Incerta crea con un ambiente interattivo in cui movimento, suono e video si intrecciano e si confondono. Uno spazio immersivo che si apre alle relazioni, al mutamento, alle possibilità di sconcerto o dissonanza alla fluidificazione tra scena e sala preparando l’atto finale della giornata: una festa.
TEATRI DI VETRO, Festival delle arti sceniche contemporanee – direzione artistica Roberta Nicolai – giunge alla 18esima edizione grazie al sostegno di MIC, della Regione Lazio, della Fondazione Carivit che concede un proprio contributo alla sezione Trasmissioni e in collaborazione con Teatro di Roma, Teatro del Lido, ATCL Lazio, Comune di Tuscania.
OSCILLAZIONI è organizzata e ideata dall’Associazione Il triangolo scaleno. Il progetto, promosso da Roma Capitale – Assessorato alla Cultura, è vincitore dell’Avviso Pubblico biennale “Culture in Movimento 2023 – 2024” curato dal Dipartimento Attività Culturali ed è realizzato in collaborazione con SIAE
In collaborazione con: Teatro di Roma, Teatro del Lido, Teatro Biblioteca Quarticciolo, Accademia Nazionale di Danza, ATCL, ORBITA/Spellbound, TenDance Festival, Teatro Akropolis_Testimonianze ricerca azioni Festival, NDN Network drammaturgia Nuova, ANTICORPI XL, Europe Beyond Access 24-27, ATAC, ARCI Roma Aps, LAZIO YOUTH, DAMS Università Roma Tre, Roma Tre Dipartimento Filosofia, Comunicazione e Spettacolo, Liceo Coreutico Istituto Giovanni Paolo II, Consorzio Casa Internazionale delle Donne Aps, Centro Internazionale La Cometa, Stap Brancaccio Accademia di Teatro e Arti Performative, Associazione Cassiopea Ets Alta Formazione Artistica, Scuola d’arte Cinematografica Gian Maria Volonte’, Liminateatri, Teatro e Critica, Krapp’s Last Post.
CALENDARIO
TEATRO DEL LIDO DI OSTIA domenica 8 dicembre
17h00 Elisabetta Lauro_Obey#circuiti
17h30 Gennaro AndreaLauro_Questo ballo è per noi – restituzione laboratorio
18h00 Secondo Nome_Variazioni di spettro
18h30 Ivan Gasbarrini/Zona Incerta_Sonar installazione interattiva
TEATRO BIBLIOTECA QUARTICCIOLO mercoledì 11 dicembre
21h00 Alessandra Cristiani_Matrice da Ana Mendieta
venerdì 13 dicembre
21h00 Alessandra Cristiani_Lingua da Claude Cahun
TEATRO INDIA lunedì 16 dicembre
19h30 Giselda Ranieri _Ice_Scream
20h30 Operabianco _Trickster
21h30 Bartolini/Baronio_Una rinascita appunti su Forough Farrokhzad
22h30 Federico Scettri_Tools
martedì 17 dicembre
18h00 Operabianco_Dialogo nello scorrere della creazione (incontro)
19h00 Fabritia D’Intino_Medusa
20h00 Ilenia Romano_Strings
21h00 Dehors Audela_Sfondi/ Wallpapers_primo studio
22h00 TeatrInGestazione_Μονάσ (Monás) mercoledì 18 dicembre
18h00 TeatrInGestazione_Variante B. NOT FOUND – studio
19h00 Dehors Audela_Deteriorate
20h00 Lucia Guarino_Pinocch-Io
21h30 Teatro Akropolis_La parte maledetta. Viaggio ai confini del teatro Carmelo Bene
22h30 Simone Alessandrini_Wahid
giovedì 19 dicembre
19h30 Elisabetta e Gennaro Andrea Lauro_ZugZwang
20h30 Silvia Gribaudi & Tereza Ondrová_Insectum in Rome
21h30 Alessandra Cristiani_Caduta la neve da Sarah Moon
22h30 Riccardo Gola_Overlay
venerdì 20 dicembre
17h30 Presentazione della fanzine OSCILLAZIONI#3 Lascia dormire il futuro (incontro)
19h00 Irene Russolillo_Fàtico set
20h30 Paola Bianchi_Voice Over
21h30 Carlo Massari C&C_Strangers in the night
sabato 21 dicembre
19h00 Compagnie Emile Saar_Battaglia
20h00 Alessandra Cristiani_Diario performativo. Movimento n potenza
21h00 Paola Bianchi_[…KZ]
22h00 Irene Russolillo_Fàtico
INFO
Instagram @teatridivetro
Facebook @teatridivetro
YouTube @teatridivetrotriangoloscalenoteatro
PRENOTAZIONI I biglietti per gli spettacolisono prenotabili ai seguenti recapiti: promozione@triangoloscalenoteatro.it | 339.2824889 I biglietti vanno ritirati presso il botteghino del teatro. 10 euro intero, 5 euro ridotto, 3 euro operatori;
riduzione del 50% sul biglietto intero dedicata al pubblico con età inferiore ai 26 o superiore ai 65 anni e ai residenti del X Municipio per la programmazione al Teatro del Lido, del V Municipio per la programmazione a Teatro Biblioteca Quarticciolo e dell’XI Municipio per la programmazione al Teatro India.
Gli incontri previsti dal programma sono a ingresso gratuito
LUOGHI
TEATRO INDIA
Lungotevere Vittorio Gassman, 1
TEATRO DEL LIDO
Via delle Sirene, 22, Lido di Ostia
TEATRO BIBLIOTECA QUARTICCIOLO
Via Ostuni, 8
COME RAGGIUNGERE I LUOGHI
TEATRO INDIA
170 – 781 – M Linea B fermata Basilica San Paolo + 766
Ingresso per le persone con disabilità: via Luigi Pierantoni, 6.
TEATRO DEL LIDO
M Linea B + Linea Roma-Lido fermata Lido centro + linea 01
TEATRO BIBLIOTECA QUARTICCIOLO
Tram 14
Bus 450, 451, 508, 543
Giuseppe Bartoli –Militare antifascista, Partigiano, Autore del libro il libro
-Edizioni Zero Lire-
. 25 APRILE
L’importante è non rompere lo stelo
della ginestra che protende
oltre la siepe dei giorni il suo fiore.
C’é un fremito antico in noi
che credemmo nella voce del cuore
piantando alberi della libertà
sulle pietre arse e sulle croci.
Oggi non osiamo alzare bandiere
alziamo solo stinti medaglieri
ricamati di timide stelle dorate
come il pudore delle primule:
noi che viviamo ancora di leggende
incise sulla pelle umiliata
dalla vigliaccheria degli immemori
Quando fummo nel sole
e la giovinezza fioriva
come il seme nella zolla
sfidammo cantando l’infinito
con un senso dell’Eterno
e con mani colme di storia
consapevoli del prezzo pagato
Sentivamo il domani sulle ferite
e un sogno impalpabile di pace
immenso come il profumo del pane
E sui monti che videro il nostro passo
colmo di lacrime e fatica
non resti dissecato
quel fiore che si nutrì di sangue
e di rugiada in un aprile stupendo
quando il mondo trattenne il respiro
davanti al vento della libertà
portato dai figli della Resistenza.
AD UN PARTIGIANO CADUTO
E’ un fiume di ricordi ormai amico
la strada che conduce
a quei giorni lontani di smeraldo
dove sostammo come creduli ragazzi
a creare coi sogni nelle vene
fantasie di speranze e di parole
fra pugni di “canaglie in armi”
Forse potrei dimenticare il giogo
che mi lega all’arco dei rimpianti
se soltanto le voci dei compagni
tornassero a cantare
come quando la vita dilagava
e tu portavi alla gioia di tutti
il tuo sorriso di fanciullo
e la forza serena dei tuoi occhi
Ma anche se il tempo non ricama
che fili d’ombra sulla memoria
e il tormento di quell’assurdo giorno
quando attoniti restammo
davanti alla pietà della tua forca
è pur sempre l’ora della tua lotta
del tuo caldo vento di libertà
immenso come grembi di colombe
in volo fra fiori d’acquadiluna
Tu solo amico adesso
puoi scegliere i ritorni
e dirci ancora
col battito delle tue ali
le bellezze della vita
e le dolci innocenze della morte.
NOI CHE CADEMMO
Fummo una zolla qualunque
al taglio del vecchio aratro
che il nuovo trattore ferisce
inpianto, sudore e lavoro
Ora ascoltiamo i sospiri
di neri e snelli cipressi
dipinti da soffi di sole
in chicchi di riso azzurrino
che l’acre piovasco flagella
Viviamo in bellezze di morte
fra pioppi inclinati sul rio
E siamo la gialla pannocchia
che nutre la fame del povero
che accende la fede nell’uomo
Siamo promessa di pace
che tesse tovaglie d’altare
e bianchi lini di sposa
per alta promessa di vita
…………………………………….
noi che cademmo a vent’anni
nel sogno sublime dei liberi.
CA’ DI MALANCA
Se non sai leggere
negli occhi rossi
delle ginestre
nate dal sangue
della libertà
la muta preghiera
che scuote le catene
dei tiranni . . . .
Se non t’inginocchi
sulla brace
della carne accesa . . . .
Se non piangi
sui muri di corallo
delle case arse
e se non baci
la paglia insanguinata
dalle vene di tuo fratello
sei solo un fardello inutile
che non paga
il giusto prezzo ai Morti
Solo quando capirai
tutto questo . . . .
Solo quando ricorderai
come mordevi con dente di lupo
l’ultimo pane
nel cavo della mano contadina
potrai rivivere
quella primavera colma di rosso
per il primo fiore della Libertà
I MORTI ASPETTANO UN RAGAZZO DAGLI OCCHI DI SOLE LA MÖRT ED CURBERA LA MORTE DI CORBARA I DISCORSI D’ALLORA A CRESPINO LA DISFATTA UN BARATTOLO DI LATTA UNA FARFALLA DI CENERE
INTRODUZIONE
Udimmo il tonfo delle rane
negli alti silenzi dei meriggi
e il respiro lieve dei cavalli
nelle estese vele delle notti
gonfie di lucciole e di fremiti
Sulle nostre tavole di fieno
abbiamo mangiato
lacrime e canti
fra grappoli di rondini
in giostra nel cielo
Udimmo la scure abbattersi
sui letti deserti dei boschi
mentre carri di ricordi
si trascinavano lenti
Poi arrivò l’alba
d’una rossa primavera
con brezze di mandorli avvolte
nell’immemore pianto della terra
Tornammo dalle nostre madri
dopo una lunga notte insonne
intonando canti senza dolore
Le culle delle foglie
che ci furono compagne
raccolsero il vagito
della rinata libertà
e sui crateri di sangue
– scavati –
dalla nostra lotta
mani nude di orfani
sfidarono il cielo
Dal buio delle fosse
vergini di croci
gli occhi spalancati
dei partigiani caduti
si chiuderanno solo
se la loro speranza
diventerà la nostra.
Sono tornato dove un ragazzo
dai grandi occhi di sole
ha maturato le sue radici
Sono tornato dove abbiamo
sepolto la nostra giovinezza
e dove il nome di battaglia
nasceva tra bagliori di fuoco
Ed ho ritrovato la mia estate
L’estate dei ramarri sui muri
la fionda dall’elastico rosso
i piedi scalzi color di terra
e tutta la luce del giorno
a tingerci d’ambra le mani
Qui “giocavamo” alla guerra
fra siepi di rovi e di more
dietro lo scudo delle foglie
povera “canaglia” della libertà
inerme come grembi di colombe
Raccogliemmo morte e mirtilli
e tra cappotti di lune rosse
rubammo l’oro alle lucciole
Quando tua madre ingobbita
come la collina che ti colse
soffocò l’urlo e i singhiozzi
nella “tana” d’uno scialle nero
per te cantarono le cicale
e si schiusero nidi di viole
C’era un profumo di ginestre
nel cielo della tua ultima estate
Ora ti guardo senza piangere
compagno dagli occhi di sole
e mi chiedo se non fu fortuna
quel tuo andartene allora
col freddo sudore di morte
sul tenerume delle labbra
ancora ebbre di latte materno
Te ne andasti e forse fu meglio
perchè adesso solo le pietre
urlano come monumenti nudi
e perchè ragazzo senza nome
siamo ormai pochi a ricordare
il “sorriso” delle tue tenere vene
che si svuotavano come calici
per l’ultimo brindisi alla vita.
I s’arbuteva coma spig’d grân Si rovesciavano come spighe di grano
cun del biastèm che pareva preghir con delle bestemmie che sembravano preghiere
e vers e’ zêl e verso il cielo
pal’d s-cióp spudedi fra i dént palle di schioppo sputate tra i denti
l’andeva e’nom’d Maria e chietar sént andava il nome di Maria e degli altri santi
E prèm a caschê e fo Curbera Il primo a cadere fu Corbari
e par la bòta e per il tonfo
o tremê la tëra e o fo sobit sera tremò la terra e fu subito sera
A lé stuglé, ribèl senza pio’ él Lì disteso, ribelle senza più ali
u raspeva da e’ mêl raspava dal male
cun cla manaza grânda e cuntadéna con quella manaccia grande e contadina
……. bôna l’era la tëra ……….. ……………… buona era la terra
grasa e féna ……………. grassa e fine
Raspa Curbera, raspa stvò truvé Raspa Corbari, raspa se vuoi trovare
l’eteran cunzem dla libartê: l’eterno concime della libertà:
e’ sangue rumagnöl il sangue romagnolo
cla imbariaghê ogni côr che ha ubriacato ogni cuore
Strèca, strèca la tëra Stringi, stringi la terra
l’è sèmpar cl’udôr è sempre quel profumo
l’è sèmpar l’amôr dla stesa mâma è sempre l’amore della stessa mamma
cut fa da lët pövar fiol’d Rumâgna che ti fa da letto povero figlio di Romagna
Strèca ed elza la tësta, so canàja! Stringi ed alza la testa, su “canaglia”!
L’as drèza la camisa sanguneda Si alza la camicia insanguinata
la pê ôn lôm a Mérz, lôm’d premavera sembra un lume a marzo, lume di primavera
l’è bèl finì e’ su dé par na bangera è bello finire la vita per una bandiera
E cvànd che la prema sfója’d sôl E quando la prima sfoglia di sole
la spôrbia d’ôr tota la campagna spolvera d’oro tutta la campagna
e’partigiân e mör il partigiano muore
Bsén a lô ôn pòpul’d cuntadén Vicino a lui un popolo di contadini
o prega e o biastèma a tësta basa prega e bestemmia a testa bassa
Sôra a lô na bânda d’asasén Sopra di lui una banda d’assassini
la rid cun la vargôgna in faza ride con la vergogna in faccia
E’ sôl c’nas e dà vita a la brèza Il sole che nasce da vita alla brezza
nud coma Crèst, inciudê tna trèza nudo come Cristo inchiodato in una treggia
e pasa per l’amiga campâgna passa per l’amica campagna
l’ultum re dla muntâgna l’ultimo re della montagna
Brigant dla libartê e preputént Brigante della libertà e prepotente
ma s-cét com l’è s-cét la su zént ma schietto come è schietta la sua gente
s-cét coma i nost dê pasê bsén el stël schietto come i nostri giorni passati vicini alle stelle
fra e’ piânt’d mâma e cvèl de parabël tra il pianto di mamma e quello del parabello
(1) Silvio Corbari, medaglia d’oro della Resistenza.
Parlavamo di noi
quando la sera maturava
la stanchezza del giorno
e le contadine velate di nero
raccontavano al cielo
i guasti della pioggia
del vento e della guerra
Parlavamo di noi
all’acqua vergine di fonte
mescolando al grattare del mitra
la ragione di crederci uomini
e il diritto di lasciare
alle bestie da soma
il vanto pesante del basto
Parlavamo d’idee
mescolando bestemmie
ai rosari di pietra
per lasciare lontano l’inverno
che marciva nei solchi
e la fame
che uccideva le ultime favole
negli occhi dei bambini
Parlavamo di noi
cercando nei boschi la vita
e nei sentieri di piombo
le nostre radici di uomo
Parlavamo di noi
quando albe di fuoco
scoprivano i nostri fantasmi
già stanchi al primo mattino
già vecchi a soli vent’anni
Parlavamo del nostro domani
davanti alla salma nuda
d’un compagno caduto
e ad un ventre di terra
– che ingoiava –
le noste tenere radici
lasciandoci in bocca
la voglia rabbiosa
d’un tempo migliore
in cui ancora sperare
Vennero i giorni della primavera
La terra si coprì d’allegria
cantò tutti i colori del cielo
andò a piangere sui seminati
Nell’antica valle del Lamone
fiorì il natale sacro dei ciliegi
e le spighe in curva preghiera
baciarono il rosso dei papaveri
I campi non furono più tristi
quando sopra sbocciarono gentili
le rose selvatiche del maggio
Nessuno parlava di morte
fra le spine dei rossi lamponi
Ma la morte era in ogni pietra
nel filo dell’erbe e delle foglie
La morte vagava lungo il fiume
negli occhi delle bestie inquiete
nel taglio affilato della scure
E venne il giorno del martirio
sull’inerme cuore contadino
sulle mani rotte dal lavoro
sulla vanga ancora impastata
di buona terra e sacro sudore
Quando i barbari furono pronti
tacque il mormorio dell’acque
e una nube scura salì al cielo
a nascondere la rosa del sole
Le mani strinsero altre mani
Le parole e un pianto disperato
narraron sogni e favole smarrite
e negli occhi grandi delle madri
si posò il bacio dei figli
E l’ultimo pensiero andò lontano
ai fuochi spenti alla terra arata
all’oro reciso delle spighe
e ai giorni senza più domani
ai canti che si spegnevano
a loro che salivano il Calvario
e a noi, a noi, che siamo rimasti
a cogliere i frutti d’una stagione
nata da vittime innocenti
Era l’intera valle delle Scalelle
e dei castagni sacri a Campana
che consumava l’ultima ora
Non li chiamavano per nome
per non spaccare la cesta dell’odio
Un cenno, una spinta, un urlo
e la morte li coglieva sul petto
unendo il gemito di chi andava
all’angoscia di chi attendeva
Il campo diventò bara immensa
nel tiepido meriggio estivo
Noch ein! Noch ein! Noch ein!
Ancora uno! Ancora uno! Ancora uno!
E un colpo dopo l’altro
rompeva il grido della carne viva
e il sangue si fondeva in grumi
nel rosario dei ceppi delle mani
nella coppa umida della terra
Quando il silenzio raccolse dai pendii
l’ultimo colpo e l’ultimo grido
– lontano –
oltre la malinconia dei roveti
un requiem di coralli accesi
si scaldava al lume delle case
e noi,, noi, quelli ancora vivi
attendevamo un “nuovo” mattino
P.S. Questa poesia intende ricordare l’eccidio di 42 inermi contadini vittime della barbaria nazista a Crespino sul Lamone – Luglio 1944.
Io non ho perso la guerra quando combattevo
nella nuda terra africana
seppellito come un pidocchio
dentro una gabbana
fatta di sabbia e di sete
mangiando cavallette
Io non ho sporcato
l’argento delle mie stellette
nella steppa russa
mordendo con dente di lupo
le ossa condite di ghiaccio
dei miei fratelli caduti
Io perdo ancora la guerra
tutte le volte che penso
a me e agli altri ragazzi
che col fucile in mano
tenevamo Anna Frank
sepolta in una soffitta
E fra l’occhio spento del cielo
e l’odio assassino della terra
l’ebrea costruiva col sangue
quel monumento di pace
che schiaccia ancora adesso
l’anima di tutti i boia
Quella si che fu la vera disfatta
il marchio d’una sconfitta
che mi urla sempre addosso
con una bocca larga
come una camera a gas
La stella dalla coda
aveva appena perso
l’ultimo filaccio
ancora pregno di sangue
Adesso il mondo
poteva piangere
rannicchiato
fra gli spigoli
delle case arse
Ma un bambino
aveva tanta
tanta voglia di vivere
di correre sulla rugiada
che non appassiva più
sulla terra dischiusa
Cercava un barattolo
per giocare a palla
per capire dal suono
di quel giocattolo
che rideva fra i sassi
che il macello era finito
Ma nessuna luna d’argento
– rotolava –
sul grembo della terra
e allora spense
i suoi piedi nudi
fra spine di pietra
e diventò subito un uomo
Sarà festa grande
al taglio del maggese
per coriandoli di farfalle innamorate
libere dalle culle
dell’amore agreste
Voleranno
verso la vela
tenera del cielo
tra grida pulite
di bambini
frammenti ansiosi
d’albe serene
nati dalla brace
della carne accesa
E tornerà puntuale
il ricordo
della bimba di Bologna
che sognava
una farfalla di fiordaliso
da chiudere
nella gabbia del cuore
Vedo la sua immagine
dibattersi prigioniera
fra i rovi delle schegge
come rosa di macchia
nella siepe
Ogni anno
– per non dimenticare –
un filo di calendule d’oro
illuminerà
il sentiero di cenere
grigio
come la dolcezza
d’un settembre
Angela
non rivedrà più
gronde di luna
né si scalderà
all’abbaino del sole
con occhi
di passero sperduto
Di lei resta solo
un volo immenso
di cenere
che si posò leggero
sui suoi capelli
“come solinga
lampada di tomba”
Qualcuno di fronte a questa pubblicazione potrebbe intanto giustamente chiedersi a cosa serve la poesia. Rispondo con una frase dello scrittore americano William Carlos Williams laddove afferma che «niente di utile si trova nella poesia, ma l’umanità sta morendo miseramente ogni giorno per mancanza di ciò che si trova nella poesia». Pur ritenendo valido questo concetto si potrebbe pensare che la poesia possiede uno status specifico che la destina, lo si voglia o no, ad un pubblico di elite, a ristrette minoranze.
Ma così non è.
Abbiamo intanto un ricco patrimonio di versi dia-lettali che affonda le sue radici proprio nell’animo più popolare della nostra gente. E’ sufficiente ricorrere al lirismo di Aldo Spallicci o alla satira di Olindo Guerrini, alias Stecchetti, che esaltano la sensibilità più riposta e il diapason spirituale dei romagnoli, per capire l’importanza e il valore di immagini espressive che si richiamano alla fatica e al dolore dell’uomo, all’amore per la propria terra e le proprie tradizioni, concetti questi ancora profondamente radicati nell’animo più schietto del popolo.
La poesia è anche pensiero e fantasia, immagine e sentimento e lo sarà sempre fino a quando il sole risplenderà sulle sciagure umane.
Ed è proprio partendo dalla grande tragedia dell’ultima guerra che intendo dipanare il filo delle mie parole evidenziando, in particolare, l’olocausto di milioni di persone che assieme all’antifascismo, va visto come il substrato della Resistenza.
Ho avut o modo di leggere poesie scritte da bambini che hanno vissuto, prima di essere polverizzati nei lager tedeschi, momenti dilaganti di morte e disperazione. Si può cogliere in questi scritti una testi-monianza d’amore, un grido di condanna, un canto di speranza, un anelito di libertà che trascende la ricerca stessa della vendetta. Sono versi che diven-tano humus e linfa vitale offrendosi ad un’epoca in cui l’uomo barcolla alla ricerca di una luce che rischiari sentieri futuri per non morire per sempre.
Sentite cosa ha scritto, prima di entrare nei forni crematori, un ragazzo di quattordici anni: “Prova, amico, ad aprire il tuo cuore alla bellezza quando cammini tra la natura per intrecciare ghirlande con i tuoi ricordi e anche se le lacrime ti cadono lungo la strada vedrai che è bello vivere”
E non va dimenticato neanche il monito del piccolo ebreo Hanus “gasato” ad Auschwitz quando dice “che l’uomo non deve più lasciarsi riprendere dal sonno”. E il sonno in questo caso significa accettare supinamente le libertà perdute.
Ed Alena Synkova sogna orizzonti di pace, pur sapendo di dover morire, lasciandoci questi versi: “Vorrei andare sola dove c’è altra gente migliore in qualche posto sconosciuto dove nessuno uccide” Ho voluto di proposito far precedere alle mie poesie le stupende parole di alcuni dei tanti ragazzi che con il tappeto delle loro ceneri innocenti prepararono la Resistenza di tutta Europa. C’è una poesia che per il suo alto contenuto va inclusa in questa breve documentazione. Non è mia, ma del poeta siciliano Ottavio Profeta. “Se la mia voce morirà sulla croce di pietra cittadina portatela sulla cima del mio monte che s’alza nel vento e si corica nella nebbia Se la mia voce morirà nella mia pianura cercatela nel canneto nella conchiglie del mare e nell’acqua del fiume Se la mia voce morirà ridatemela viva fra gli alberi del bosco dove ogni sera canta un usignolo” –
Tornando ai bambini di Terezin e degli altri campi di sterminio, è sorprendente constatare la consonanza della poesia con la natura del fanciullo, il gusto estetico essenzialmente contenutistico, che non disdegna l’aspetto formale, le continue trasfigurazioni in immagini semplici e profonde. L’età evolutiva rivaluta il suo copioso scrigno di sogni. di intuizioni, di amore. Nel caso dei ragazzi di Terezin, il realismo è esaltato dalla virtù della speranza. Di fronte al bivio del “day after”, la storia e la poesia ripropongono la missione millenaria dell’umanità che si può sintetizzare in pochi versi: “…..e la speranza libera dalla gabbia colorerà la nebbia delle ore”. Questa pubblicazione, voluta dalla Comunità Montana nell’ampio quadro delle celebrazioni del cinquantenario della Resistenza, è indirizzata, in particolare, verso i ragazzi affinchè il ricordo dei loro coetanei che si aggiravano come passere bianche tra i fili spinati dei campi di prigionia, non sia dimenticato. Siamo di fronte alla tragedia di una adolescenza senza dimensione che va vista come un bozzolo di sole spento da uomini in delirio. L’olocausto dei ragazzi polverizzati nelle camere a gas, fu forse segno d’incantesimo, di cenere che s’innalzò come un vortice sulla notte di una civiltà calpestata. Ognuno di noi deve finalmente capire che l’innocente battito d’ali e il solco di terra che “annegava” tenerezza di ossa, appartiene all’umanità tutta come un monito tremendo.
«…..non è più tempo amico di trascinare uomini col giogo sui «Golgota» affamati di croci Non è più tempo delle gioie né di rimembranze serene se capisci che affondi i piedi sul sangue degli innocenti Resta coi bambini di Terezin e vedrai che dopo la lunga notte i licheni tenaci della libertà chiuderanno le crepe profonde delle nostre coscienze stanche» –
Breve biografia di Giuseppe “Pino” Bartoli, nato a Brisighella il 18/07/1920 e deceduto il 20/06/2004. Ex Ufficiale di Stato Civile ed ufficiale della formazione partigiana “Silvio Corbari”, grado riconosciutogli dal Ministero della Difesa, ha ricoperto, nel comune di Brisighella, tutti gli incarichi pubblici: Sindaco, Presidente della Comunità Montana, della Pro Loco, delle Opere Pie e del Museo del Lavoro Contadino. Poeta in lingua e vernacolo nonché prosatore, si è affermato in oltre 500 concorsi letterari, molti dei quali di livello nazionale ed internazionale. Cavaliere della Comunità Poetica Europea e Commendatore dell’Ordine Militare di S.Andrea, socio di 10 Accademie di lettere, arti e scienze, ha conseguito per due volte l’Oscar di Letteratura “Romagna”.
In sua memoria, si tiene annualmente un concorso di poesia, elaborati, disegni, ceramiche, ecc. riservato agli
quei giovani in cui Giuseppe riponeva la sua speranza per il futuro e che credeva fossero la gioia più bella del mondo.
L’inciviltà dell’irrazionalità Di difficile collocazione come genere letterario, “A COME ATEA” di Carla Corsetti è un saggio diretto in particolar modo ai popoli del primo mondo questo primo mondo che detiene – forse ancora per poco – il primato geopolitico, tecnologico, scientifico, economico, militare, e culturale dell’intero pianeta. Per ogni lettera dell’alfabeto, l’autrice ha trattato alcune parole particolarmente significative che le hanno permesso di sviluppare le sue riflessioni di lucida pensatrice.
Questo glossario delle opinioni non è frutto solamente di una mente acuta che sa scandagliare la storia, le cause della violenza e della corruzione nel mondo, la spietatezza e la follia dell’essere umano ma anche frutto d’un cuore caldo che ama l’essere umano, che ha osservato con meraviglia gli occhi innocenti dei bambini e sa che nasciamo tutti puri, ma poi la nostra storia, la nostra cultura, l’ambiente in cui cresciamo e viviamo, producono schegge impazzite, generano il “male” quel “male” che in natura non esiste. La prima lettera di questo saggio-glossario è proprio “Atea”, e l’ateismo viene definito come il fondamento della costruzione critica di ogni individuo razionale.
Chi scrive questa prefazione è anch’egli ateo, ateo nato in un paesino del sud Italia ed educato in compagnia di tutti i sacramenti che la tradizione cattolica gli riservava. Poi sono cresciuto, le fiabe dell’infanzia sono svanite assieme alla fiaba di Betlemme, e la mia vita – mente fredda e cuore caldo, razionalità e sentimento – ha cominciato a trovare la sua armonia. E ogni giorno che mi sveglio sono felice di essere nato, di aver conosciuto la vita. E sono grato all’evoluzione che – attraverso 4 milioni di anni – ha portato la mia mente a ragionare in questo modo.
Vado proprio d’accordo con la mia mente di ateo, perché la mia vita è una continua scoperta, un viaggio responsabile, con la consapevolezza che gran parte di quello che accade a me, alla mia famiglia, al popolo a cui appartengo e alla specie umana, dipende dalle mie azioni, dall’agire di noi uomini e non da un fantomatico dio.
Le statistiche ufficiali dicono che gli atei dichiarati nel mondo sono un terzo del totale della popolazione mondiale, ma probabilmente siamo molti di più in quanto gli atei non fanno mai sfoggio del loro pensiero.
Credo che l’umanità intera possa contare sulla razionalità degli atei, sul loro equilibrio, sulla loro continua ricerca di armonia fra la loro essenza e madre natura che ci ha donato la vita.
Ma essere atei nella tollerante terra nordeuropea è un conto, altra faccenda lo è nell’ultima roccaforte della chiesa cattolica, l’organizzazione più astuta e spietata prodotta dalla specie umana, che – oltre ad aver imprigionato, torturato, bruciato vivi popoli interi – ha incatenato la mente degli uomini per manovrarli, dominarli, depredarli: la nostra povera disgraziatissima Italia, nazione la cui presenza del clero è alla base della corruzione morale che trasversalmente si spalma su tutta la società italiana.
La nostra autrice ci parla con la purezza delle sue idee, mettendo a nostra disposizione una visione dettagliata e generale di tutti i problemi che tratta visione rafforzata dai suoi studi di giurista, che rendono questo testo unico, profondo, a mio parere appassionante. Le tematiche potrebbero già incuriosire solo scorrendo parte del complesso e variegato indice (bibbia, crocifisso, divorzio, donne, famiglia, giustizia, homo sapiens, Islam, libertà di coscienza, mafia, origini, Rinascita Democratica, stato ateo, testamento biologico, unità d’Italia, etc. etc.) ma in realtà le materie trattate racchiudono un principio comune a tutte: far conoscere eventi che davamo per scontati ma che non avevamo mai veramente approfondito, particolari inediti, un grido d’allarme percependo in ogni pagina la motivazione di questo grido: accendere la favilla della speranza tenendo ben chiara una visione dello Stato imperniata su un sistema riconducibile essenzialmente ai diritti fondamentali dell’uomo.
Carla Corsetti non risparmia nulla e nessuno, né il modello comunista né quello neoliberista, entrambi responsabili della povertà di milioni di esseri umani. Né la FIAT (che non conosce la dignità umana) né la classe politica, che aggrava sempre più quella classe lavoratrice economicamente disagiata che per giunta l’ha appoggiata. Alla voce “Giustizia”, l’autrice offre una denunzia implacabile, spietata, così come richiede la gravissima situazione del nostro paese declamando che dopo aver distrutto la scuola, ora hanno distrutto la giustizia civile. E sull’Ordine dei Giornalisti, ci dice che sono pochissimi a farne parte, in quanto quasi tutti gli iscritti o sono politici di mestiere, oppure persone assoldate da bancari o industriali. Un trattamento di particolare durezza Carla Corsetti riserva a tutte le religioni, in special modo a quelle monoteiste, per il loro controllo della sessualità, soprattutto quella della donna per poter avere il controllo sull’intera comunità. E ricorda il proverbio africano: Se darai l’istruzione a un uomo formerai un individuo, se darai istruzione a una donna formerai una società.
Dopo aver paragonato la Lega Nord al Partito fascista per l’odio razziale che fa nutrire contro gli immigrati ci propone una riflessione ch’è anche un augurio, affinché contro l’abbrutimento della barbarie leghista sgorghi il germe del riscatto proprio nell’intelletto di quei ragazzi che non si faranno plagiare dalla follia razzista dei loro genitori: noi non abbiamo fretta e sapremo aspettarli dentro gli infiniti spazi della civiltà.
Ecco, questa frase offre al saggio sociologico-politico “A COME ATEA” una sensazione d’aria fresca, confermandoci che la nostra autrice si occupa di tutte le possibilità della natura umana. Carla Corsetti, inoltre, ci fa incontrare personaggi incredibili come Anna Maria Mozzoni, antesignana dell’emancipazione femminile che lottò affinché le donne potessero votare nel 1876, puntualizzando che esiste un universo femminile distante dal marciume imperante.
La condizione delle donne è un parametro imprescindibile per misurare il grado di civiltà di una Nazione ed è arrivato il tempo che anche gli uomini ne prendano atto.
Fra le pagine più terribili di questo libro-denuncia, ci sono quelle dedicate alla tessera 1816, che testimonia che Silvio Berlusconi faceva parte dal 1978 del programma eversivo “Rinascita Democratica”, promossa dalla loggia massonica P2 (Propaganda Due) capeggiata da Licio Gelli.
Poi la nostra autrice ci offre una dissertazione sullo “Stato Ateo”, premettendo che imporre l’ateismo è un crimine contro l’umanità, come pure imporre una religione è un crimine contro l’umanità (e riflettendo che spesso per “Stato ateo” il pensiero va immediatamente agli Stati comunisti che imposero l’ateismo con la violenza). Mentre gli Stati atei potranno differenziarsi tra dittatoriali e democratici, quelli teocratici saranno necessariamente dittatoriali non potendo contenere in sé il germe della libertà di pensiero, fonte, di per sé, di spinte democratiche.
È la tensione unitaria che tiene avvinto questo singolare glossario delle opinioni che rivela lo struggente balenio del cuore caldo dell’autrice, che fa pulsare la sua razionalità in modo così genuino, puro, che le fa studiare con attenzione il progetto della Commissione Europea EXREL (la cui finalità era quella di prevedere l’evoluzione delle religioni e di conoscere con quali meccanismi potranno evolversi nelle società future).
Carla Corsetti, ben conscia della responsabilità affidata a questo libro, pur sapendo che l’Italia non ha partecipato al progetto EXREL e che nessuno ne abbia parlato, leva la sua penna dalle ali di fiamma soprattutto contro le religioni – inesauribili moltiplicatori di povertà – e ci lascia col sostegno della sua nobile istanza affinché i governi più evoluti impediscano, nel futuro, che le nostre società possano degenerare nell’inciviltà dell’irrazionalità ritrovando quell’idea universale capace di unire il mondo.
Prefazione di Adriano Petta
Breve biografia di Carla Corsetti ,Avvocato, Segretario di Democrazia Atea
Carla Corsetti nasce a Roma nel 1962. Ha conseguito la maturità classica e si è laureata in Giurisprudenza. Ha accompagnato gli studi universitari con un assiduo tirocinio nello studio legale del padre. Esercita la professione di avvocato. E’ sposata e madre di due figli. Si è sempre occupata di politica ed ha ricoperto il ruolo di consigliere comunale nel 1993 in una lista civica di centro-sinistra. Nel 2009 ha fondato Democrazia Atea e attualmente ne è il Segretario nazionale. Si dichiara atea dalla nascita e ritiene che essere anticlericali sia un dovere morale.
Breve biografia di Marina Carullo – Nata a Busto Arsizio nel 1971, Marina Carullo vive a Somma Lombardo con la famiglia. Laureata in giurisprudenza, esercita la professione di avvocato. Ha iniziato a scrivere qualche anno fa, in un periodo particolarmente intenso e impegnativo della propria carriera professionale, scoprendo che tale attività le regalava emozioni e spensieratezza. Questa passione é sfociata nel romanzo “Il Colore delle foglie” primo di una serie dedicata alle avventure della giovane e bella Elena Carabelli.
Descrizione del libro di Marina Carullo “Il colore delle foglie”–Elena Carabelli è una giovane donna benestante che vive un’esistenza serena fino a quando, improvvisamente, si trova ad affrontare un lutto straziante: il suo amato marito, mentre è in viaggio per lavoro, ha un grave incidente d’auto e muore sul colpo. Le dinamiche dell’avvenimento, nebulose e confuse, portano la donna a voler far luce a tutti i costi sull’accaduto. Da quel momento nulla, nella vita della giovane, sarà più come prima. In un susseguirsi di colpi di scena, dove mistero ed amore si mescolano sapientemente, il lettore viene catapultato dentro la vita della protagonista che si dimostra capace di districarsi tra il lutto del compagno, una serie di efferati omicidi, un nuovo amore e una rocambolesca caccia al tesoro per scoprire la verità dietro alla scia di morte che pare perseguitarla.
Sarà in questo viaggio appassionante che Elena imparerà a sue spese che niente è come sembra e che, nella vita reale, bisogna essere sempre disposti a scendere a compromessi.
Breve biografia di Marina Carullo – Nata a Busto Arsizio nel 1971, Marina Carullo vive a Somma Lombardo con la famiglia. Laureata in giurisprudenza, esercita la professione di avvocato. Ha iniziato a scrivere qualche anno fa, in un periodo particolarmente intenso e impegnativo della propria carriera professionale, scoprendo che tale attività le regalava emozioni e spensieratezza. Questa passione é sfociata nel romanzo “Il Colore delle foglie” primo di una serie dedicata alle avventure della giovane e bella Elena Carabelli.
Il Colore delle Foglie –Leggi l’anteprima
Capitolo I
Venerdì 9 settembre 2016
Venticinque anni, compiuti proprio oggi, una laurea in giurisprudenza e un’abilitazione all’esercizio della professione d’avvocato, ambedue nel cassetto; un matrimonio, durato quasi quattro anni e, sempre oggi, il funerale di mio marito. La mia testa era confusa, cercavo di prepararmi in modo dignitoso al funerale, ma la mente divagava ossessivamente sul giorno del mio matrimonio con Alberto… Era il 9 ottobre del 2011, la giornata era soleggiata, fresca e mia madre mi sistemava il velo in testa, terrorizzata dall’idea di rovinarmi l’acconciatura. «Elena, stai ferma! Devo infilarti questo benedetto pettinino senza rovinarti lo chignon.» Il tutto avveniva sotto lo sguardo divertito di mio padre che, ridendo sotto i baffi, guardava amorevolmente mia madre cimentarsi in quell’ardua impresa. Chissà se riuscirò, pensavo nel frattempo, ad avere un matrimonio felice e duraturo come il loro! I miei pensieri vennero bruscamente interrotti dall’arrivo della mia migliore amica, Laura. «È ora di sbrigarsi, lo sposo è già arrivato in chiesa, non vorrai che ci ripensi!» disse con un sorriso compiaciuto per la battuta. «Non sia mai» risposi io. Mi affrettai ad alzarmi e a guardarmi per l’ultima volta allo specchio prima di raggiungere la chiesa. L’abito era veramente meraviglioso, di un tessuto morbido e avvolgente che accarezzava sinuoso la mia figura, mi infilai in fretta le scarpe e, pronti, partenza, via! Destinazione altare! La piccola chiesa in riva al lago era gremita, ma non ci feci molto caso, la mia attenzione era tutta diretta a lui, il mio Alberto che, elegantissimo, mi sorrideva vedendomi varcare la navata della chiesa. Con le gambe tremanti lo raggiunsi all’altare, lui mi prese la mano e me la baciò con discrezione, guardandomi, complice, diritto negli occhi e facendomi pensare a quanto fossi fortunata io, Elena Carabelli, bella ragazza di provincia, a prendere come mio sposo Alberto Mascetti, eclettico e affascinante top manager milanese. Improvvisamente i miei pensieri furono interrotti dal suono del telefono. Risposi. «Elena, amore, io e papà stiamo passando in macchina sotto casa tua, ti accompagniamo noi in chiesa». «Non ti preoccupare, mamma. Sto preparando le ultime cose, vi raggiungo fra poco. Ciao». Riattaccai. Mi guardai allo specchio, la pelle ancora abbronzata, gli occhi azzurro intenso arrossati dalle lacrime, il mio vestito nero e quel senso di vuoto, misto a disperazione, che mi accompagnava da quel giorno. Mi infilai gli occhiali da sole, uscii dall’appartamento e presi l’ascensore. Antonio, il portiere, mi aprì la porta con uno sguardo di sincero rincrescimento. «Ancora tante con[1]doglianze, signora Mascetti». Lo ringraziai, accennandogli un sorriso, e mi diressi verso la macchina, parcheggiata per strada. Faceva ancora molto caldo a Milano e il traffico, dopo la tregua estiva, era ritornato caotico. Mi separavano pochi minuti dalla chiesa, dove entrai malvolentieri fra gli sguardi compassionevoli di tutti. Mi vennero incontro i miei genitori e Laura. «Fatti forza, Elena» disse mia madre. Le sorrisi non molto convinta, attendendo l’arrivo del feretro. La funzione procedeva veloce, in un’atmosfera di composto dolore: quasi non me ne accorsi e il funerale era finito. Una fila di persone, che mi sembrava interminabile, si avvicendava a porgermi le sue condoglianze; le ringraziai garbatamente, non vedendo l’ora di andarmene. Fra i tanti anche l’ingegner Hermann Fisher, amministratore delegato della Betafarma, l’azienda farmaceutica dove lavorava Alberto. «Non la lasceremo sola, Elena, l’azienda penserà a lei in questo momento di grande dolore». Annuii con un sorriso accennato, ricordando fuggevolmente l’occasione in cui lo conobbi… Era a Lugano, all’Hotel du Lac, ad una delle lussuose ed esclusive feste organizzate dalla Betafarma. Io e Alberto eravamo appena sposati. Indossavo un vestito blu elettrico e un paio di orecchini di brillanti e zaffiri regalatimi da lui. Un uomo attraente, sulla trentacinquina, mi guardava da lontano e subito capii di piacergli. Poi si era avvicinato. «Dottor Mascetti, non mi presenta questa splendida signora?» «Oh dottor Fisher, come no. Mia moglie Elena, l’ingegner Fisher, l’amministratore delegato di Betafarma». Subito gli sorrisi e lui mi baciò la mano con galanteria. «Hai fatto colpo sul capo!» mi disse poi Alberto quando Fisher si allontanò. «Meglio così» gli risposi senza pensarci troppo. Nel frattempo la chiesa si era svuotata e tutti ci avviammo al cimitero per la sepoltura. Solo quando l’ultima manciata di terra soffocò la sua bara, mi resi conto che non l’avrei più rivisto!
Capitolo II
Sabato 10 settembre 2016
Sola, nella mia camera, mi giravo e rigiravo nel letto. Era l’una di notte e non riuscivo a dormire, rimbombava nelle mie orecchie lo squillo del telefono di qualche giorno prima, il primo settembre. «Signora Mascetti?» «Sì…» «Sono l’ispettore Vannucci del commissariato di Sanremo, e purtroppo… devo darle una brutta notizia. Suo marito è stato vittima di un terribile incidente stradale. Abbiamo da poco recuperato dal mare la sua macchina. Dovrebbe venire all’obitorio… per il riconoscimento». Incidente, obitorio, riconoscimento? Stavo preparando la cena e quasi pensai d’essere vittima di uno scherzo. «Signora? Signora, si sente bene?» Che idiozia, pensai, come potrei sentirmi bene dopo una notizia del genere? «Sì…», gli risposi col fiato corto, «sto bene».
Venerdì 02 settembre 2016
Sanremo, cosa faceva a Sanremo? pensavo mentre il treno partito da Milano mi portava lì. M’aveva detto che si trattava di un breve viaggio di lavoro, in Svizzera, e invece era a Sanremo… Risvegliatami dai miei pensieri, mi accorsi che il treno, percorrendo meravigliosi paesaggi marittimi, si avvicinava alla stazione di destinazione. Presi velocemente le mie cose e, una volta scesa, un taxi, inerpicandosi sulle colline sanremesi, raggiunse l’ospedale. Lì mi aspettava l’ispettore Vannucci, un bel ragazzo sulla trentina, che mi accolse con un sorriso, forse un po’ troppo smagliante date le circostanze. Se ne accorse e cercò di darsi maggior contegno. «Signora Mascetti?» mi chiese, con un accento romano. «Sì» gli risposi. «Sono Vannucci, ci siamo sentiti telefonicamente. Sentite condoglianze». «La ringrazio». Con il braccio mi invitò a entrare, aprendomi la porta, e mi condusse verso l’obitorio. Una luce metallica illuminava quell’ambiente spaventosamente asettico e spoglio, mi sembrava una situazione surreale, come se stessi vivendo la storia di qualcun altro, non era possibile che tutto questo stesse capitando a me! Mentre ero assorta nei miei pensieri un signore sulla sessantina mi avvicinò, tendendomi la mano. «Buongiorno, sono Giovanni Grasso, il medico legale!» «Buongiorno, Elena Mascetti». Seguito da Vannucci, Grasso mi condusse in un altro locale, freddissimo, con grossi cassettoni a parete. Ne estrasse uno, tolse il lenzuolo che ricopriva il corpo e vidi che era lui, Alberto. «Lo riconosce, signora Mascetti?» «Sì, è mio marito» dissi con la voce rotta dal pianto. Mentre Vannucci cercava maldestramente di consolarmi, offrendomi dei fazzoletti di carta, Grasso si dirigeva verso un altro cassettone; aprendolo, scostò il lenzuolo dal volto e mi chiese: «Sa chi sia questa donna?» Mi avvicinai e la guardai con attenzione: era bella, giovane e bionda; dal rigonfiamento del suo ventre capii che era incinta. «Non ne ho la più pallida idea…» «Era in macchina con suo marito, signora Mascetti» disse Vannucci. Ci fu un attimo di silenzio: mio marito a Sanremo in macchina con una ragazza bella e giovane, ma soprattutto incinta? Ero totalmente spiazzata. Vannucci mi osservava imbarazzato e io non sapevo proprio che dire. «Le ripeto che non so chi sia!» dissi con tono infastidito. «E, soprattutto, non so cosa facesse in macchina con mio marito». «Va bene, signora» affermò Vannucci. «Dovrebbe solo passare in commissariato a formalizzare le sue dichiarazioni e poi la riaccompagno in stazione». Annuii. Vannucci verbalizzò le mie dichiarazioni presso il commissariato e mi accompagnò, in totale silenzio, alla stazione. «Buon viaggio, signora Mascetti». «Grazie ispettore» gli risposi, e così ci congedammo. In realtà, quello fu tutt’altro che un buon viaggio: non solo la morte di mio marito, ma anche quell’inspiegabile compagnia femminile, che forse, però, solo io non riuscivo a spiegarmi. Vedevo gli sguardi dei poliziotti in commissariato, e dicevano chiaramente: «È arrivata la cornuta!»
Capitolo III
Sabato 03 settembre 2016
Arrivai a Milano Centrale alle due di notte, presi un taxi che mi portò a casa. Finalmente sola – dopo quella giornata convulsa e surreale – scoppiai a piangere. Mio marito era veramente quel[1]lo sconosciuto che mi tradiva con una ragazzina, per giunta incinta? Pensai a quel giorno di tanti anni prima in cui lo conobbi sul treno, lui che tornava a Milano dalla Svizzera e io che andavo all’università per un esame; presa dal ripasso frenetico degli ultimi concetti di diritto costituzionale, non mi ero neppure accorta d’essermi seduta vicino a lui. Lui però si accorse di me. «Un esame, signorina?» «Sì» risposi un po’ imbarazzata. Si notava così tanto? «Che materia?» «Diritto costituzionale». «Oh, giurisprudenza allora! Anch’io sono laureato in giurisprudenza! Sono un avvocato e lavoro per una grande casa farmaceutica». Che carino, pensai, così elegante ed educato, deve avere qual[1]che anno più di me. «Anch’io vorrei fare l’avvocato» gli dissi. Mi sorrise. «Bene, allora le lascio il mio numero di telefono, così mi potrà ragguagliare sulla realizzazione dei suoi sogni anche se, sinceramente, spererei che mi chiamasse un po’ prima!». Così si concluse la nostra conversazione. L’avvocato in realtà non l’ho fatto, ma lo chiamai lo stesso… La luce del mattino entrava dalla finestra, avrei voluto dormire ancora, per non pensare a tutto quello che era successo, ma lo squillo del telefono mi riportò prepotentemente nel vortice di quelle giornate assurde. Risposi di malavoglia: «Pronto!» «Elena, tesoro!» sentii dall’altro capo del telefono. «Mamma…» bofonchiai, e in quello stesso istante mi resi conto che non l’avevo ancora informata di nulla. «Ma ti ho svegliata? Dormite ancora a quest’ora? Io e papà aspettavamo te e Alberto per la festa di San Tito!» Oddio, m’ero completamente dimenticata! Sopraffatta dal dolore e dalla frustrazione scoppiai a piangere e le raccontai tutto. In poco meno di un’ora mamma, papà e Laura erano lì con me, per me… «Non puoi stare qui da sola in queste condizioni, Elena, lasciati aiutare!» disse mia mamma. «Prepara le tue cose e vieni qualche giorno da noi, ti farà bene!» «Sì tesoro», replicò mio padre, «staremo tutti insieme come una volta». Anche a me, sinceramente, sembrava una buona idea: la loro presenza e quella di Laura mi avrebbe distratto dall’incubo. In fretta misi in un borsone poche cose, chiusi la porta di casa e me ne andai con loro. Maddalena era una minuscola cittadina sulle rive del Ticino, fresca e lussureggiante, dove tornavo sempre volentieri, soprattutto per disintossicarmi dalla grande città. Non so come fosse possibile, ma al mio arrivo già tutti sapevano del grave lutto, e la cittadinanza al completo, non che fosse molto numerosa, mi attendeva sul sagrato della chiesa. 15 «Elena, cara, che grave perdita…» mi disse il parroco stringendosi a me. Annuii piuttosto forzatamente sotto lo sguardo vigile e curioso di tutti i presenti. «Noi siamo con te cara, di qualsiasi cosa tu abbia bisogno». «Grazie, don Antonio» dissi, e mi congedai. Tutte le volte mi dimenticavo di quanto fosse bella la nostra casetta, immersa nei fiori sulle rive del Ticino. «La mia piccola reggia» dissi. «Non esagerare» replicò mia madre, inorgoglita dal complimento. Mi mancava l’atmosfera di casa mia, così tranquilla e rilassata. Qui sembrava che il tempo si fosse fermato: i ricami sugli asciugamani, i lavori a maglia, le marmellate e la pasta fatta in casa. La mia vita a Milano era diventata tutt’altra cosa: colazione al bar con le amiche, corsetta al parco, pranzo veloce, al club a giocare a tennis e poi a casa per preparare la cena, aspettando il mio Alberto. Mi sembrava di sentire ancora la sua voce: «Elena, sono tornato, cosa c’è di buono per cena? Oltre alla mia bella mogliettina, ovviamente». E, la mente ritornò lì: chi era quella donna, perché era con lui, di chi era quel figlio che portava in grembo? Tutti questi pensieri mi rimbombavano nella testa, quando venni riportata sulla Terra dalla voce di mia madre. «Cosa vuoi per cena?» «Quello che vuoi tu, mamma». «Bene, allora faccio io! Vienimi ad aiutare». Impastando, frullando e tagliando, per un’oretta non pensai a nulla. Ci sedemmo a tavola e mio padre, come di consueto, accese la televisione per il telegiornale della sera. Stavo sussumendo il mio passato di verdura, quando una notizia mi fece trasalire: il manager milanese Alberto Mascetti ha perso la vita in un tragico incidente automobilistico, sul quale indaga la procura di Imperia. Nello stesso incidente ha perso la vita anche una giovane donna incinta, ancora non identificata, che viaggiava nella medesima vettura dell’uomo. Tutti mi guardarono in silenzio, aspettando una mia reazione. «Bene», dissi, «se ancora qualcuno non sapeva della relazione di mio marito, adesso abbiamo rimediato».
Capitolo IV
Domenica 4 settembre 2016
Se affrontare la morte del proprio marito è un’esperienza tragica, non immaginate quanto possa esserlo reggere gli sguardi di chi ti compatisce per essere stata l’ignara e inconsapevole vittima di un adulterio. «È una così bella ragazza, perché il marito l’ha tradita?» «Vai a capirli, gli uomini!» Questo brusio animava l’abitualmente annoiata parrocchia di Maddalena, dove, con il mio arrivo, calò un improvviso ed eloquente silenzio. Don Antonio iniziò l’omelia: «Cari fedeli, sono felice della vostra presenza così numerosa in questi giorni di grande dolore per la nostra cara Elena». Oh no, pensai, e tutti si girarono verso di me. «Uniamo, quindi, le nostre voci in una preghiera per il nostro caro fratello Alberto». Almeno non ha esteso la preghiera alla sua misteriosa compagna di viaggio, pensai fra me e me!
Martedì 6 settembre 2016
Le giornate passavano veloci a casa, già eravamo arrivati a martedì pomeriggio. Sulla veranda aiutavo mia madre a sbrogliare una matassa di lana dall’improbabile colore fucsia, quando il telefono suonò. «Pronto?» «Buongiorno signorina… signora… sono Vannucci». «Buongiorno ispettore». «Ehm… volevo informarla che il dottor Grasso ha ultimato gli accertamenti medico-legali sulla salma di suo marito che, domani, sarà trasportata all’obitorio di Milano per le esequie». «Grazie» gli dissi, interrompendo rapidamente la conversazione. Era arrivato il momento di ripartire alla volta di Milano, dovevo contattare le pompe funebri e organizzarmi quanto prima per il funerale. La sera stessa mi feci accompagnare alla stazione e arrivai a Milano Centrale verso le diciannove. La città era ancora illuminata dal sole, ma quando varcai la porta di casa mi si raggelò il sangue. Con tutto quanto già mi era successo, pensai proprio a un feroce accanimento del destino: anche i ladri in casa! Sembrava che nell’appartamento fosse passato uno tsunami: tende strappate, cassonetti aperti, divani tagliati, cassetti sparpagliati ovunque, un impietoso scempio della mia casa e della mia vita. Pareva che Attila in persona con la sua orda avesse fatto sosta da me. La vicina di casa, signora Spadoni, una donna separata con due figli, era nella casa di campagna dei genitori a trascorrere le vacanze estive. Citofonai, quindi, al dottor Giorgetti, ma anche lui non era in casa. Avrei chiesto in portineria la mattina seguente. Preferii non informare mia madre dell’accaduto e chiamai i carabinieri per la denuncia. Circa un’ora dopo suonò il campanello. «Signora Mascetti?» «Sì». «Siamo i carabinieri, ci apre?» Aprii subito il portone e la porta d’ingresso. Devo dire che anche loro rimasero piuttosto impressionati dallo scempio. «Cosa le hanno rubato, signora?» Da quanto avevo visto, la fedina di brillanti, un paio di orecchini di rubini e qualche cornice d’argento. «Sono entrati con una chiave bulgara, probabilmente. Non ci sono segni di scasso» disse uno dei due. Redassero il verbale e me lo fecero firmare. «Signora, se è assicurata deve consegnarlo al suo agente per il risarcimento». Mentre cercavo di mettere un po’ d’ordine in quel disastro, suonò il campanello di casa. Dovevo aspettarmi altro da questa giornata? «Sono il fiorista, la signora Elena Mascetti?» «Sì!» Dei fiori, pensai fra me e me, e lo feci salire fino alla porta di casa. Sussultai quando mi consegnò uno splendido mazzo di iris, i miei fiori preferiti, quelli che Alberto mi regalava sempre a ogni ricorrenza. Entrai frettolosamente in casa per vedere se c’era un biglietto. «Eccolo!» Lo aprii e lessi: Cara Elena, sono vicino al suo grande dolore. Conti su di me per ogni cosa. Hermann Fisher. E, unito, trovai il suo biglietto da visita. Era la prima volta che, in occasione di un funerale, vedevo i fiori recapitati al vivo e non al morto!
Breve biografia di Alice Walker ha vinto il Pulitzer Prize e l’American Book Award per il romanzo The Color Purple (Colore di porpora). Altri suoi romanzi sono: Now Is the Time to Open Your Heart (È questo il momento di aprire il tuo cuore), By the Light of My Father’s Smile (Nella luce del sorriso paterno), Possessing the Secret of Joy ( Per possedere il segreto della gioia) e In the Temple of My Familiar (Nel tempio del mio familiare). È autore di tre volumi di racconti, tre libri di saggi, altri sei volumi di poesia, tra i quali A (Una poesia percorse il mio braccio) oltre a vari libri per i giovani. Nata a Eatonton, Georgia, tuttora abita nel lato nord della California. Poesie scelte da Revolutionary Petunias (Petunie revoluzionarie), di Alice Walker; A Harvest Book, Harcourt Brace & Company, San Diego, New York, London,1972; e da Absolute Trust in the Goodness of the Earth (Fiducia assoluta nella bontà della terra), Random House Trade Paperbacks, 2004.
Prima di lasciare il palco
Prima di lasciare il palco
Canterò l’unica canzone
Che davvero dovevo cantare.
È la canzone
IO SONO.
Sì: Io sono Io
&
Tu.
NOI SIAMO.
Amo Noi con ogni goccia
del nostro sangue
ogni atomo delle nostre cellule
le nostre particelle ondeggianti
-imperterrite bandiere del nostro Essere-
Né qua né là.
Traduzione di Rocio Bolanos
Nuovo viso
Ho imparato a non preoccuparmi dell’amore
ma di onorare le sue visite
con tutto il mio cuore.
Esaminare i cupi misteri
del sangue
con mente allegra e
leggera,
conoscere il flusso delle emozioni
sciolte e veloci
come l’acqua.
La fonte sembra
qualche inesauribile
sorgente
all’interno della nostra doppia
o triplice essenza;
il nuovo viso che io
rivolgo a te
nessuno al mondo
l’ha visto
ancora.
Breve biografia di Alice Walker ha vinto il Pulitzer Prize e l’American Book Award per il romanzo The Color Purple (Colore di porpora). Altri suoi romanzi sono: Now Is the Time to Open Your Heart (È questo il momento di aprire il tuo cuore), By the Light of My Father’s Smile (Nella luce del sorriso paterno), Possessing the Secret of Joy ( Per possedere il segreto della gioia) e In the Temple of My Familiar (Nel tempio del mio familiare). È autore di tre volumi di racconti, tre libri di saggi, altri sei volumi di poesia, tra i quali A (Una poesia percorse il mio braccio) oltre a vari libri per i giovani. Nata a Eatonton, Georgia, tuttora abita nel lato nord della California. Poesie scelte da Revolutionary Petunias (Petunie revoluzionarie), di Alice Walker; A Harvest Book, Harcourt Brace & Company, San Diego, New York, London,1972; e da Absolute Trust in the Goodness of the Earth (Fiducia assoluta nella bontà della terra), Random House Trade Paperbacks, 2004.
Ilan Pappè-La prigione più grande del mondo. Storia dei territori occupati .
di Ilan Pappé (Autore)-Michele Zurlo (Traduttore)
Descrizione del libro di Ilan Pappè-La prigione più grande del mondo-Dopo la sua acclamata indagine sulla pulizia etnica della Palestina avvenuta negli anni Quaranta, il famoso storico israeliano Ilan Pappe´ rivolge l’attenzione all’annessione e all’occupazione della Striscia di Gaza e della Cisgiordania, esponendoci la prima critica globale relativa ai Territori Occupati palestinesi. Frutto di anni di ricerche, il nuovo lavoro di Pappe´ rappresenta probabilmente l’analisi piu` completa mai scritta sulla genesi dei Territori Occupati e sulla vita quotidiana all’interno di quella che l’autore definisce, appunto, «la prigione piu` grande del mondo». Pappe´ analizza la questione da molteplici punti di vista: attraverso l’analisi di materiali d’archivio recentemente declassificati, ricostruisce sotto una luce nuova le motivazioni e le strategie dei generali e dei politici israeliani – e lo stesso processo decisionale – che hanno gettato le basi dell’occupazione della Palestina; rivolgendo poi lo sguardo alle infrastrutture legali e burocratiche e ai meccanismi di sicurezza messi in atto dagli occupanti, rivela il modo in cui Israele e` riuscito a imporre il suo controllo a oltre un milione di palestinesi; infine, attraverso i documenti delle ONG che lavorano sul campo e i resoconti di testimoni oculari, Pappe´ denuncia gli effetti brutalizzanti dell’occupazione, dall’abuso sistematico dei diritti umani e civili ai blocchi stradali, dagli arresti di massa alle perquisizioni domiciliari, dal trasferimento forzato degli abitanti autoctoni per far spazio ai coloni al famigerato muro che sta rapidamente trasformando anche la stessa Cisgiordania in una prigione a cielo aperto. Il libro di Pappe´ e` al contempo un ritratto incisivo e commovente della quotidianita` nei Territori Occupati e un accorato appello al mondo perche´ non chiuda gli occhi di fronte ai crimini contro l’umanita` a cui e` soggetta da piu` di settant’anni la popolazione indigena della Palestina.
Questo sito usa i cookie per migliorare la tua esperienza. Chiudendo questo banner o comunque proseguendo la navigazione nel sito acconsenti all'uso dei cookie. Accetto/AcceptCookie Policy
This website uses cookies to improve your experience. We'll assume you're ok with this, but you can opt-out if you wish.Accetto/AcceptCookie Policy
Privacy & Cookies Policy
Privacy Overview
This website uses cookies to improve your experience while you navigate through the website. Out of these, the cookies that are categorized as necessary are stored on your browser as they are essential for the working of basic functionalities of the website. We also use third-party cookies that help us analyze and understand how you use this website. These cookies will be stored in your browser only with your consent. You also have the option to opt-out of these cookies. But opting out of some of these cookies may affect your browsing experience.
Necessary cookies are absolutely essential for the website to function properly. This category only includes cookies that ensures basic functionalities and security features of the website. These cookies do not store any personal information.
Any cookies that may not be particularly necessary for the website to function and is used specifically to collect user personal data via analytics, ads, other embedded contents are termed as non-necessary cookies. It is mandatory to procure user consent prior to running these cookies on your website.