Breve biografia di Grazia Di Lisioè nata a Cabras e vive tra Teramo e Pescara. Poetessa, scrittrice, si è dedicata all’insegnamento e all’approfondimento di linguaggi espressivi. Ha partecipato a varie rassegne di Teatro-Scuola, “Giostra di Orlando”, “Cavallo di Troia”, “Progetto Ilio”, creando l’elaborazione drammaturgica dei testi con la collaborazione di Enti teatrali, l’IRRE Abruzzo, Lazio e l’ETI di Udine. Oltre al premio Pirandello (Agrigento 2003-2004), conferito ai suoi alunni per le sezioni teatro e cortometraggio, ha ricevuto il Premio Didattica “Raffaele La Porta” (Pescara). Per la poesia, suo ultimo approdo, ha pubblicato le raccolte Voci e silenzi (2003 Sigraf), Le accese solitudini (Tracce 2005), Annoda fili acquei con traduzioni in francese (Gedit 2008), Compresenze con traduzioni in sardo (Tracce 2009) e Un asciugar di tempo (Noubs 2014). Tra i riconoscimenti per la poesia edita, il primo premio “Ida Baruzzi Bertozzi” 2011 (Chiavari) e il secondo premio “Astrolabio” 2014 (Pisa). Ha ricevuto, inoltre, il secondo premio per il saggio in lingua campidanese Sa terra sonadora (Noubs 2011), Quartu S. Elena 2012. È presente in Astrolabio, Logos, nella collana Sentire, su Arte e cataloghi d’arte, sul sito online di Lietocolle. Ha collaborato con A B C, Senza Titolo, Il Monitore, La Tenda.
Torna a abitarmi la paura
nell’isola che mai il vento doma.
Sono quel vento…
nuvola di turbamento.
Tra orme e ombre – segno degli dei –
la tela si sfilaccia a larghe trame
d’antiche lontananze…
S’illivida il pensiero come piuma
che si fa barca in mare. Vibra
in silenzio e lentamente spare.
Mi insegue ovunque la mia terra
e punge d’ingombro un sentimento
nei boschi e nei declivi di olivi
dai contorti fili. Come in un sacro
tempio sembra che all’acqua si leghi
il cielo. E di bellezza m’assale
uno sgomento.
(poesia inedita)
Il giorno resta vuoto come appeso
al fragile sentiero del pensiero.
Il mondo s’è fermato su una foglia
vaga di sogni stinta è la corolla.
Altro non chiedi del viaggio amaro
che rimembrare la melodia di ieri.
Non i sorrisi mancano ma gli anni
a spalancare impensabili segreti.
Nel dubbio che ogni cosa senza forma
sia guscio morto di bellezza.
(poesia inedita)
In un viavai di indugi e di pensieri
liane oscillano della memoria.
in ombra taciturne si passano
parola e filigrane intessono
a una canzone nuova.
Quale filo t’incatena nella valle
oscura? Eri farfalla d’oro.
Brucavi l’erbe in orizzonti estremi-.
Io non ricordo questo vuoto appeso
non ricordo turbamento e peso.
in angoli smarriti
la vita trema come rena sparsa.
Indecisione estrema come seme
d’erba in un cristallo di neve.
Da “Un asciugar di tempo” (Noubs 2014)
Più nessuna fronda fa garrula
corona alla stagione delle ombre.
La levità del tempo ci attraversa
la muta cognizione del dolore.
Mentre sentiamo scorrere le ore
lampi vediamo aprirsi di momenti
come se per miracolo la forma
intonasse di luce un ritornello.
E un mondo s’aprisse di bellezza.
(poesia inedita)
Incautamente sulla tua via
in lembi battuti dal vento
dove cactus non nudi del tempo
fioriscono nere scintille,
non lascerò che tu varchi la porta
per inseguire di Alentejo
la scia. Via me n’andrò
tra crocchi di lappole amare
dove l’alba promessa m’attende.
(poesia inedita)
Mi dici “bello il tuo costume
con la fascia colorata”
e io “solo quando soffia il vento”.
Due monadi silenti
– un grillo e una farfalla bianca –
l’una ferma sul lettino
l’altra in volo frettoloso verso l’oltre.
Felice di ritrovare il mare
dell’infanzia – un raggio d’aria
in piccola barca su lunghe onde
nella nebbia della fine.
(poesia inedita)
Nessun cielo di smalto sull’arida
sponda. La luna tremula sull’onda.
Sento frusciare anemoni di mare
nell’alveo verdeazzurro di memorie.
Vorrei snodare il grembiule
alle maree – scrutare l’abisso
dentro un bisso ma l’onda come il tempo
resta viandante perso sulla riva.
Care sembianze d’acque chiare
delle dolci primavere
Sognare rive labili di mondo
discendere dall’ugola del tempo
su varchi di cielo senza luce.
Babelico squilibrio di memorie.
Fuori dal tempo perdersi sognare
da finte ombre e da pensieri umani.
La luce li attraversa li fa vani
come dissolti nodi di esistenza.
Da “Un asciugar di tempo” (Noubs 2014)
L’alba nascente
s’è lasciata cullare
aprendo gli occhi
ai colori del mondo.
Arcobaleno raro.
*
Giochi di luce
sopra i tetti innevati,
arcobaleni.
Un pesante fardello
colorato di luce.
*
Pesa la terra –
ghirigoro di ghiaccio –
fascino arcano
d’armoniosa bellezza
di mutevoli forme.
*
Oh le violette
germogliate anzi tempo
sotto la neve.
Come luci nell’ombra
d’una muta stagione.
*
Osservo andare
sonnolenta la luna.
Fiore di luce
nel viaggio incantato
sotto lampi di neve.
Breve biografia di José Hierro – (Madrid, 3 de abril de 1922-21 de diciembre de 2002). è stato un poeta spagnolo, critico d’arte e membro dell’Accademia Reale della Lingua. La sua famiglia si trasferì a Santander quando era bambino e lì studiò per diventare perito industriale, fino al 1936. La sua prima poesia, Una bala le ha matado, fu pubblicata nel 1937. Alla fine della guerra civile fu arrestato e processato. Rimase in carcere fino al 1944, dove iniziò a interessarsi sistematicamente di letteratura. Quando fu rilasciato si trasferì a Valencia, dove si dedicò alla scrittura, collaborò a un dizionario mitologico e, insieme a José Luis Hidalgo, partecipò alla fondazione della rivista Corcel.
Luna d’agosto
Tamburello dei secoli per addormentare l’uomo
imprigionato nel cuore muto dell’universo.
Mezza mela d’oro da mangiare per il bambino
finché non si sentirà eterno.
Alberi, ponti, torri, montagne, mari, strade.
E tutto ciò che va alla deriva svanirà.
Quando essi non vivono più, nello spazio, liberi,
tu continuerai a vivere.
E quando ci stanchiamo (perché dobbiamo stancarci).
E quando ce ne andremo (perché vi lasceremo).
Quando nessuno si ricorda che un giorno moriremo
(perché moriremo).
Tamburello dei secoli per addormentare l’uomo,
mezza mela d’oro che misura il nostro tempo,
quando non sentiamo più, quando non saremo più,
tu continuerai a vivere.
“Luna d’agosto” testo originale spagnolo
Pandereta de siglos para dormir al hombre
preso en el corazón mudo del universo.
Media manzana de oro para que el niño coma
hasta sentirse eterno.
Árboles, puentes, torres, montes, mares, caminos.
Y todo a la deriva se irá desvaneciendo.
Cuando ellos ya no vivan, en el espacio, libre,
tú seguirás viviendo.
Y cuando nos cansemos (porque hemos de cansarnos).
Y cuando nos vayamos (porque te dejaremos).
Cuando nadie recuerde que un día nos morimos
(porque nos moriremos),
pandereta de siglos para dormir al hombre,
media manzana de oro que mide nuestro tiemo,
cuando ya no sintamos, cuando ya no seamos,
tú seguirás viviendo.
Accanto al mare
Se muoio, che mi mettano nudo, nudo accanto al mare. Saranno le acque grigie il mio scudo e non si dovrà lottare.
Se muoio che mi lascino da solo. Il mare è il mio giardino. Non può, chi amava le onde, desiderare un’altra fine.
Sentirò la melodia del vento, la misteriosa voce. Sarà finalmente vinto il momento che miete come falce.
Che miete incubi. E quando la notte inizierà ad ardere, sognando, singhiozzando, cantando, io nascerò di nuovo.
José Hierro
(Traduzione di Alessandro Ghignoli)
da “José Hierro, Poesie scelte”, Raffaelli Editore, 2004
∗∗∗
Junto al mar
Si muero, que me pongan desnudo, desnudo junto al mar. Serán las aguas grises mi escudo y no habrá que luchar.
Si muero que me dejen a solas. El mar es mi jardín. No puede, quien amaba las olas, desear otro fin.
Oiré la melodía del viento, la misteriosa voz. Será por fin vencido el momento que siega como hoz.
Que siega pesadumbres. Y cuando la noche empiece a arder, soñando, sollozando, cantando, yo volveré a nacer.
José Hierro
da “José Hierro, Quinta del 42”, Editora Nacional, 1952
Una splendida poesia d’amore di José Hierro
Se fosse vero che due anime
camminano congiunte, senza
che i corpi si conoscano;
Se fosse vero
che si son toccate da sempre,
che bevvero la stessa luce,
che lo stesso destino le culla;
Se fosse vero che son foglie
dello stesso arbusto, eterno e verde;
Se fosse vero che il loro trionfo
si compie il dì che avranno
gli occhi dell’anima gemella
fissi nella loro carne presente;
Se tutto ciò fosse vero,
come mai quel giorno di settembre
non ti cercai, chiamai, portai;
Come mai ignoravo che esistessi,
Come mai non trattenni la stella
che t’arrossava la fronte;
Come mai potevo cantare
sotto la fiamma del ponente;
Come mai poteva non esistere
il tuo passato di ora, che mi doleva.
Come ha potuto essere.
E come non lo impedii, con unghie, denti,
cuore…
VORREI NON ODIARE QUESTA SERA
(José Hierro del Real)
Vorrei non odiare questa sera,
non portare sulla mia fronte la nube oscura.
Questa sera vorrei avere occhi più chiari
per posarli sereni nella lontananza.
Dev’essere bellissimo poter dire:
“Credo nelle cose che esistono e in altre
che probabilmente non esistono,
in tutte le cose che possono salvarmi,
anche ignorando il loro nome;
conosco la frutta dorata che dona l’allegria.”
Vorrei non odiare questa sera,
sentirmi leggero, essere fiume che canta,
essere vento che muove la spiga.
Guardo a ponente. S’abbuiano i lunghi percorsi
che vanno nella notte,
che donano la loro stanchezza alla notte,
che entrano nella notte
a sognare nella sua grande menzogna.
Le strade non portano
Le strade non portano
a nessuna meta; tutte
terminano in noi.
La fiamma del crepuscolo
ci fonde in unità.
È bello camminare,
sognare, cantare. Bello
essere gran tenerezza
con un cuore vicino,
(con un dolore remoto).
La sera si denuda,
mostra i suoi ori profondi.
Ogni forma ci incanta
col suo vino gioioso.
Ormai non c’è nulla: – passato,
futuro, ombre, gioie -,
fuori di noi.
La sera spolvera
il suo caldo tesoro.
I suoi pampini di fuoco
stillano nei nostri occhi.
La sera è nostra. Il mondo
fu fatto per noi.
Siamo il suo centro vivo
e gira il tempo intorno.
Passa e non può ferire
col suo dolore remoto
il nostro cuore vicino.
Le strade non portano
a nessuna meta; tutte
terminano in noi.
(Traduzione di Oscar Macrì)
BIOGRAFIA José Hierro
José Hierro . (Madrid, 3 de abril de 1922-21 de diciembre de 2002). è stato un poeta spagnolo, critico d’arte e membro dell’Accademia Reale della Lingua. La sua famiglia si trasferì a Santander quando era bambino e lì studiò per diventare perito industriale, fino al 1936. La sua prima poesia, Una bala le ha matado, fu pubblicata nel 1937. Alla fine della guerra civile fu arrestato e processato. Rimase in carcere fino al 1944, dove iniziò a interessarsi sistematicamente di letteratura. Quando fu rilasciato si trasferì a Valencia, dove si dedicò alla scrittura, collaborò a un dizionario mitologico e, insieme a José Luis Hidalgo, partecipò alla fondazione della rivista Corcel. Nel 1944 scrive la prima critica pittorica dell’opera di Modesto Ciruelos. Negli anni ’40 torna a Santander dove collabora alla rivista della Camera di Commercio. Nel 1946 entra a far parte dell’innovativo gruppo “Proel”, editore dell’omonima rivista di poesia, nella quale pubblica il suo primo libro di poesie, Tierra sin nosotros, nel 1947. Nel 1950 scrive Con las piedras, con el viento (Con le pietre, con il vento) e nel 1953 appare Antología poética (Antologia poetica). Stabilitosi a Madrid, inizia a lavorare per la Radio Nacional de España, oltre a scrivere critiche d’arte e a collaborare con riviste e giornali. Nel 1955 pubblica Estatuas yacentes e nel 1962 il volume Poesías completas. Ha tenuto un gran numero di conferenze sulla poesia e sull’arte nella maggior parte delle capitali europee e le sue poesie appaiono nelle più importanti antologie di poesia contemporanea. Ha ricevuto il Premio Nacional de las Letras nel 1990, anno di pubblicazione di Agenda. Nel 1998 ha pubblicato Cuaderno de Nueva York e ha ricevuto il Premio Cervantes. Ha ricevuto la laurea Honoris Causa dall’Università di Torino nel 2002. È morto alla fine dello stesso anno.
José Hierro del Real. (Madrid, 3 de abril de 1922-21 de diciembre de 2002). Poeta español, crítico de arte y académico de la Real Academia de la Lengua.
Su familia se traslada a Santander siendo niño y allí estudia la carrera de perito industrial, que tuvo que interrumpir en 1936. Su primer poema, Una bala le ha matado, aparece publicado en 1937.
Al finalizar la Guerra Civil es detenido y procesado. Permanece en la cárcel hasta 1944 y allí empieza a interesarse de forma sistemática por la literatura, apareciendo ya en sus primeros escritos diversos hechos vividos durante la contienda.
Cuando sale de prisión se traslada a Valencia, donde se dedica a escribir, colabora en un diccionario mitológico y, junto a José Luis Hidalgo, participa en la fundación de la revista Corcel. En 1944 realiza la primera crítica pictórica sobre la obra de Modesto Ciruelos.
Durante los años 40 vuelve a Santander y, además de trabajar en diferentes oficios, colabora en la revista de la Cámara de Comercio, donde escribe sobre economía y sobre los hombres ilustres de la industria cántabra.
En 1946 se relaciona con el renovador grupo “Proel”, editor de la revista poética del mismo nombre en la que publica su primer libro de poemas, Tierra sin nosotros, en 1947.
En 1950 escribe Con las piedras, con el viento y en 1953 aparece Antología poética, una amplia selección de su obra lírica.
Durante esa época fija su residencia en Madrid, donde comienza a trabajar en Radio Nacional de España, además de realizar crítica de arte y colaborar en revistas y periódicos.
En 1955 se publica Estatuas yacentes y en 1962 el volumen Poesías completas.
Durante las décadas siguientes continúa creando poesía, participa en actividades literarias, realiza crítica de arte analizando la obra de artistas del campo de la pintura y de la escultura, y forma parte de numerosos jurados literarios. Pronuncia gran número de conferencias sobre poesía y arte en la mayoría de las capitales europeas y sus poemas figuran en las más destacadas antologías de poesía contemporánea.
Premio Nacional de las Letras, en 1990, año en el que ve la luz Agenda.
En 1998 publica Cuaderno de Nueva York y recibe el Premio Cervantes.
Nombrado Doctor Honoris Causa por la Universidad de Turín, en 2002. Fallece a finales de ese mismo año.
José Hierro está considerado como una de las voces más representativas de la poesía social de posguerra.
Vittorio Franceschi ha fatto del mondo dello spettacolo la sua vita, diventando attore di teatro, regista e drammaturgo. Dopo aver girato l’Europa, lui insieme ai suoi testi, oggi insegna recitazione alla Scuola di Teatro Alessandra Galante Garrone di Bologna, di cui è codirettore.
MERCUZIO
Un verso che ti prende alle spalle
eccomi ti dice
sono l’intruso che non ti dà pace
l’esteta delle tue ubbie, il vandalo
delle tue ritrosie
non ti scostare dice
non ti faccio del male
voglio solo accertarmi del tuo cuore
voglio esserti Mercuzio
in cerimonia d’amore
reggere il tuo polso se sei pronto.
AMORE AL TEMPO DI SAFFO
Chissà i banchetti, chissà
le tazze lasciate lì sul prato
e nelle stanze i profumi; chissà
l’ombretto degli occhi e le unghie
meravigliose nei graffi; chissà
i sandali lì di lato in disordine, chissà
le dita sottili e le caviglie,
umide le labbra. E fuori
oltre le crete e i marmi, oltre
i sassi scuri dei selciati, oltre
il bronzo dei monili e la pietra
dei capitelli, in cima
oltre le capre e il cardo, oltre
il mirto e la porpora, gli uccelli
in libertà gioiosa e più su
più su più su le nuvole
STRAPPO
Nel costato, che all’inizio dici:
più a fondo!
può succedere, poi
più sotto, nel ventre
che dici: che succede?
poi
è troppo! ti alzi, ti vesti…
è tardi, è già successo.
I tuoi soliti occhi
non sono più gli stessi di pupilla
e il resto del corpo
che fu letizia! è già squarcio.
Chi mette le mani
lì dentro, al calduccio di viscere?
L’unghia è spezzata.
C’è un raschio nel buio
e mortale velluto sulla bara.
Da: Vittorio Franceschi, Canti dell’autunno inoltrato, Raffaelli 2018.
VITTORIO FRANCESCHI è nato nel 1936 e diplomatosi all’Accademia Antoniana di Bologna nel 1958,Vittorio Franceschi ha fatto del mondo dello spettacolo la sua vita, diventando attore di teatro, regista e drammaturgo. Dopo aver girato l’Europa, lui insieme ai suoi testi, oggi insegna recitazione alla Scuola di Teatro Alessandra Galante Garrone di Bologna, di cui è codirettore. Accanto all’amore per il teatro coltiva anche quello per la poesia. Nel 2004 ha pubblicato Stramba Bologna sghemba e nel 2011 Il volo dei giorni, entrambi con la nostra casa editrice; Tre ballate da cantare ubriachi e altre canzoni del 2013 è stato invece pubblicato dall’editore Pendragon. Da poco è uscita la sua ultima raccolta poetica, Canti dell’autunno inoltrato, che questa sera (giovedì 17 maggio) l’autore presenterà in forma di spettacolo nella sua città di
Pulsee Winter Lights: le luminarie d’artista di Marcantonio-
A Pescasseroli(AQ), nel cuore Parco Nazionale d’Abruzzo, Marcantonio disegna le luci d’artista per la prima edizione di Pulsee Winter Lights –Articolo di Simona Isacchini.
Nella suggestiva cornice invernale dei paesaggi abruzzesi, Pescasseroli si accende con il nuovo progetto Pulsee Winter Lights che mette insieme arte e sostenibilità, sul modello di ARTEPARCO che, insieme a Pulsee Luce e Gas e con il sostegno del Comune di Pescasseroli hanno reso possibile questa iniziativa. A fare da apripista al nuovo appuntamento dicembrino nel piccolo borgo abruzzese, è l’artista e designer Marcantonio, con l’opera site specific MICRO MACRO, installazione luminosa che fonde cultura, territorio e sostenibilità, in un nuovo connubio di innovazione artistica e attenzione all’ambiente.
Il modello sostenibile di ARTEPARCO e Pulsee Winter Lights
L’arte contemporanea e il dialogo tra uomo e natura sono gli ingredienti fondamentali del modello alla base di Pulsee Winter Lights. Un’iniziativa che s’inserisce perfettamente nel solco tracciato da ARTEPARCO che, dal 2018, invita annualmente un artista a confrontarsi col patrimonio naturale delle Foreste Vetuste – patrimonio Unesco – del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise. Le opere realizzate fino a oggi sono sempre nate da una relazione con la natura circostante, valorizzando la bellezza del paesaggio attraverso l’arte contemporanea e, allo stesso tempo, stimolando una riflessione sul rapporto tra uomo, ambiente e sostenibilità. «Se con ARTEPARCO abbiamo voluto portare l’arte contemporanea all’interno del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, uno dei siti naturalistici dalle origini più antiche in Italia, oggi vogliamo spingerci oltre, inoltrandoci anche nelle strade di Pescasseroli», ha affermato l’ideatore, Paride Vitale.
Pulsee Winter Lights amplia questa visione, estendendo il concetto di museo a cielo aperto fino alle strade di Pescasseroli, il grazioso borgo nel cuore del Parco. In questo modo, il progetto celebra il territorio e al tempo stesso coinvolge la comunità locale. In un’esperienza unica, immersiva e ancor più simbolica nel periodo natalizio, Pescasseroli si trasforma in un palcoscenico dinamico animato da arte, cultura e natura.
Le luminarie di Marcantonio: MICRO MACRO
Con Pulsee Winter Lights, l’Artista e designer Marcantonio torna a riflettere sul rapporto natura-uomo, qualche anno dopo l’opera realizzata per ARTEPARCO Animale – Vegetale (Il Cuore), un cuore anatomico. «Riflettendo sul rapporto tra uomo e natura, ho voluto dedicare la mia installazione a quell’elemento biologico che ci accomuna tutti, animali e vegetali, la più piccola unità vivente: la cellula. Il nostro corpo è composto da cellule allo stesso modo in cui la nostra società si compone di noi individui: i miei microrganismi luminosi diventano così i nuovi abitanti del centro storico di Pescasseroli, che entrano ed escono dagli edifici proprio come facciamo noi», spiega Marcantonio.
Le luminarie d’artista, queste piccole cellule come parti di un unico organismo vivente, concepite come vere e proprie installazioni site specific, sono il punto di incontro tra l’arte contemporanea e la tradizione popolare. Così, l’urbanistica del paese si ridisegna con una sensibilità che richiama la stessa riflessione sul legame tra uomo e natura che ha ispirato ARTEPARCO. Alla celebrazione della bellezza del territorio si aggiunge un’esperienza immersiva che arricchisce il periodo natalizio con una riflessione in più sulle tematiche dell’ambiente e della collettività.
L’esperienza immersiva di Pulsee Winter Lights
Marcantonio ha scelto un antico vicolo del centro storico di Pescasseroli per le sue luminarie, via Valle del Fiume. Qui le sue cellule si diffondono nello spazio tra la strada e le architetture che la abitano, come esseri animati e colorati. A rendere più completa quest’esperienza, ha contribuito la scelta dell’artista di abbinare, durante l’inaugurazione, alle luminarie la musica di Mort Garson, con quell’inno al mondo naturale che è Mother Earth’s Plantasia, il suo concept album ambientalista, che perfettamente si sposa con le cellule di MICRO MACRO. In questa circolarità tra uomo e natura, tra microcosmo e macrocosmo, l’arte e il design trovano espressione nella luce delle tradizionali luminarie, reinterpretate in un linguaggio tutto contemporaneo.
Roma-: Officina delle Arti Pier Paolo Pasolini – Teatro Eduardo De Filippo
Proposte e ospiti di dicembre
Roma-Officina delle Arti Pier Paolo Pasolini – Teatro Eduardo De Filippo il Laboratorio di Alta formazione artistica e HUB culturale della Regione Lazio diretto da Tosca, chiude il 2024 con nuove proposte culturali e format consolidati. Il mese di dicembre offre un calendario che spazia tra musica, teatro, incontri, eventi speciali, con la presenza di numerosi ospiti.
Si comincia martedì 3 alle ore 21 con lo spettacolo teatrale L’ARMARU di Mariacristina Di Giuseppe, che vede sul palco Laura Mòllica, attrice, cantante e anche regista di questa messa in scena, con il musicista Giuseppe Greco. I contributi di cinematografia sono di Rosario Neri. L’armaru (armadio) è il testimone affatto muto delle trattative di compra-vendita della casa della nonna di Agata. Questo armadio inizierà, a suo modo, a dare alla protagonista dei segnali e a metterla in comunicazione con il misterioso, immenso ‘mondo femminile’ che è suo destino conoscere. Lo spettacolo sarà preceduto da una breve presentazione di questo lavoro, nato prima come opera teatrale per diventare in seguito un romanzo, con l’autrice Mariacristina Di Giuseppe ed Edoardo De Angelis.
Un nuovo appuntamento di uno tra i format più amati dal pubblico di Officina Pasolini: mercoledì 4 dicembre, alle 21 sul palco del Teatro Eduardo De Filippo, prenderà vita SUPERFICIE LIVE SHOW – attori sul palco a portata di video, ideato e condotto da Matteo Santilli. Monologhi, anteprime, brevi video, lezioni e tante ‘rubriche’ create ad hoc per questo show. Parteciperanno: Giovanni Alfieri, Leonardo Bianconi, Angelo Curci, Michele De Paola, Dino Lopardo, Lorenzo Maragoni, Enoch Marrella, Bianca Mastromonaco e il musicista Munendo.
Martedì 10 dicembre alle 21, Carlotta Proietti ed Ermenegildo Marciante saranno protagonisti di PER FUTILI MOTIVI, lavoro teatrale di Andrea Muzzi, con la regia di Marco Carniti. In un mondo distopico nel quale la gentilezza è bandita, l’odio rappresenta la forza dominante e il collante sociale, invece di cooperazione e supporto reciproco tra le persone, la norma è vivere in competizione, tra diffidenza e aggressività.
Attrice, produttrice e cantautrice Carlotta Proietti si cala nei panni di Costanza, la funzionaria dell’ufficio che deve controllare ogni deviazione da questo schema repressivo. Si trova però di fronte Pietro, un uomo mite che resta arroccato alla sua “irritante” gentilezza. I costumi sono di Susanna Proietti, l’aiuto regista è Francesco Lonano.
Venerdì 13 e sabato 14 dicembre alle 15.30, approda a Officina Pasolini AFRODITE SHORTS 2024. Questo Festival di cortometraggi, giunto alla nona edizione, è organizzato dall’Associazione Donne nell’Audiovisivo – Wif Italy che dal 1996 si adopera per la promozione e la crescita professionale del lavoro svolto in ambito audiovisivo dalle donne. Nato da una ‘costola’ dell’omonimo Premio Afrodite, il Festival ha lo scopo di promuovere le nuove leve della cinematografia femminile che, troppo spesso, non trovano altri percorsi se non nel cinema breve e che proprio nel cortometraggio esprimono un’efficace sintesi dei valori, del talento, dei sogni, della realtà delle donne. Nel corso dell’evento verrà anche assegnato il premio Afrodite New Vision a cura della sezione Multimediale del Laboratorio di Officina Pasolini.
Una novità, domenica 15 e martedì 17 alle 21, è lo spettacolo di e con Massimo Venturiello, LA PRIMA INDAGINE DI MONTALBANO di Andrea Camilleri, realizzato in collaborazione con Officina Teatrale. Un reading teatrale nel quale prendono vita i personaggi dei romanzi e che ha per protagonista uno tra i più iconici poliziotti della letteratura, che ha conquistato l’interesse di milioni di lettori. L’idea di portare per la prima volta in teatro il commissario più famoso della narrativa contemporanea italiana è nata in seguito allo straordinario successo che hanno ottenuto gli audiolibri (pubblicati in Rete dalla Storytel) che Massimo Venturiello ha avuto il privilegio di interpretare. L’attore e doppiatore, infatti, fu scelto proprio dallo scrittore siciliano per leggere “La rete di protezione” e quell’interpretazione è diventata un audiolibro, accompagnata da altri sette titoli. In questa vicenda nasce il commissario Montalbano, guidato dalla lingua inventata dal Maestro, carica di musicalità, impegnato in una trama che inchioda e non consente distrazioni. Sul palco, con Massimo Venturiello, ci saranno il 15 Emanuele Buzi (mandolino e chitarra) e Valdimiro Buzi (mandolino, mandola e chitarra) e il 17 dicembre Valerio Mileto (mandolino e chitarra) e Valdimiro Buzi (mandolino, mandola e chitarra).
AL RITMO DELLA LUNA, primo disco di Clara Graziano, sarà protagonista del concerto di giovedì 19 dicembre, alle 21. Cantante e organettista di origine campana, Clara Graziano è attiva nell’ambito musicale dal 1988, quando ha iniziato una collaborazione artistica con Ambrogio Sparagna, con il quale condivide ancora oggi l’impegno nell’Orchestra Popolare Italiana dell’Auditorium Parco della Musica di Roma. In questo suo primo album solista, l’artista conferma di essere una delle autrici e interpreti più efficaci della musica popolare circense, offrendoci un diario lunare di un ricco percorso artistico, in grado di raccontare le varie forme del suo lavoro creativo. Alla produzione del disco hanno collaborato diversi ospiti come Tony Esposito, Lucilla Galeazzi, Gabriella Aiello, Raffaello Simeoni, Ziad Trabelsi e Paolo Rocca. Accompagneranno Clara Graziano sul palco Gabriele Coen al sax soprano e clarinetto, Rosario Liberti al bassotuba, Sasa Flauto chitarra e ukulele e Arnaldo Vacca alle percussioni.
Chiude l’anno solare, venerdì 20 dicembre, alle 21, UNO A UNO del giornalista Enrico Deregibus. Questa volta suo ospite sarà GNUT, al secolo Claudio Domestico, una tra le migliori voci del cantautorato contemporaneo. Nato a Napoli nel 1981, è un cantautore, chitarrista, produttore e compositore di colonne sonore. Le sue influenze musicali partono dal folk inglese di Nick Drake e John Martin, passando per la canzone napoletana, il Blues e la musica africana del Mali. Ha aperto i concerti di: Afterhours, Marta sui Tubi, Cristina Donà e negli anni ha collaborato con Mauro Pagani, Stefano Bollani, Peppe Barra, Pier Cortese e molti altri. Ha partecipato a due album di Daniele Sepe con i brani L’ammore ‘o vero, Ti amerò più forte e Stella ‘e mare. Con la sua chitarra, GNUT ci farà anche ascoltare alcuni brani.
Arrivederci al 2025!
Informazioni, orari e prezzi
OFFICINA DELLE ARTI PIER PAOLO PASOLINI Ingresso Teatro Eduardo De Filippo: Viale Antonino di San Giuliano 782/angolo Via Mario Toscano, a pochi passi da Ponte Milvio.
Tutti gli eventi sono gratuiti, con prenotazione obbligatoria sul profilo Eventbrite di Officina Pasolini al seguente link
Officina delle Arti Pier Paolo Pasolini [url=http://www.officinapasolini.itwww.officinapasolini.it[/url]
Sottopongo alla vostra attenzione alcuni versi di Giorgio Piovano (1920-2008) . Mi sembra straordinaria la capacità mostrata dall’autore di trasformare in poesia la vita di milioni di uomini cancellati e dimenticati dalla storia.
Proemio
Questo è il poema degli uomini senza storia
Che alle cerimonie fanno sempre la parte del pubblico
E vengono a galla solo quando si compilano
Le statistiche dei cataclismi :
il poema degli uomini che non hanno mai
avuto una bandiera
e si sono sempre trovati
accodati a quelle degli altri.
Questo è un poema anonimo e materiale
Fatto solo di cose usuali
E di facce senza niente di speciale;
poema cosi povero e rozzo
che per spiegarsi non ha
se non parole di tutti i giorni
e di tutto il campionario
delle gioie e dei dolori
che la Vita mette in vetrina
sa commuoversi solo di quelli
che si possono chiamare
con nome e cognome.
E questo è il suo proemio
messo avanti per avvertire
le schive Anime Nobili
che qui non è aria per loro.
[…]
Ultimo canto
[…]
Io non sono che uno
della mia generazione, uno dei tanti che si credevano i soli
ad avere una storia.
Ma ora so
che un po’ tutti possiamo parlare
della casa della nostra infanzia
dei terrori davanti la porta socchiusa
del corridoio deserto,
del gioco dei pellerosse nei prati
vicino al gasometro, dopo scuola,
delle principesse rapite dai corsari,
di nostro padre che rantolava
nel letto su una montagna di cuscini,
e del vento notturno alle finestre della nostra stanza,
il vento nato sugli altipiani
tremila miglia lontano…
Fummo in molti che lungo le mura
solitarie delle antiche città
erravano viandanti inquieti
tormentandosi per la gloria.
Fummo in molti che accanto a una donna
ci affacciammo alle balaustre
dove splende la curva
del pianeta e s’inseguono
per stellari praterie
eternamente giovani
le comete scintillanti.
E fummo in molti a conoscere
la sapienza dei libri
i cieli d’ardesia sulle città
e il sapore acre del cloroformio,
gli andirivieni dei parenti
davanti alle sale d’operazione
e la guerra, il sangue rappreso nei fossi,
il rombo dei quadrimotori
i lampi dell’artiglieria nella notte
e il vecchio abbattuto sotto i ciliegi
che incarogniva nero
nella gramigna tra milioni di mosche
[…].
La mia storia è la storia di tutti
e la vostra è la mia.
Ascoltate come nel mondo
più incalzanti che nel filo
del telegrafo le linee e i punti
brusiscono i pensieri
di miliardi d’uomini.
[…]
Quanto ancora dovrà salire
l’amaro nella gola degli uomini
che contemplano nel riquadro
dell’inferriata le stelle
della loro ultima notte?
[…]
Io non ho che la mia vita
e la sapienza dei libri.
Io non sono che un cieco
sulla riva del mare
investito dall’uragano
che gli mulina intorno, lontane e vicine
le voci dei naufraghi che chiedono aiuto.
Giorgio Piovano, Poema di noi, Effigie edizioni,Milano 2007.
Il “Poema di noi” (premio Viareggio opera prima nel 1950) è stato scritto negli anni Quaranta. Giorgio Piovano si richiamava a quel filone del “realismo socialista” che allora ispirava molta della letteratura di sinistra. Di fronte all’evolversi degli avvenimenti, al modificarsi dello stesso “modo di far politica”, potrebbe apparire anacronistico riproporre oggi – almeno nei termini in cui lo viveva allora l’autore – quel “bisogno di verità e coraggio” di cui ha parlato Davide Lajolo nella prefazione a “Il fuoco e la cenere”. In realtà, esiste un tenace filo conduttore tra le attese di ieri e quelle di oggi, come d’altra parte, senza quelle speranze, appare arduo capire la delusione e il disincanto che oggi sembrano serpeggiare in una parte della sinistra italiana ed europea. Sarebbe tuttavia riduttiva una lettura di questi versi condotta solo in chiave politica e nostalgica. La poesia di Piovano è soprattutto emozione, come scrive nell’introduzione un altro poeta civile, Alberto Bellocchio: “Poesia? Quella di Piovano è qualcosa di più. È spettacolo, è rappresentazione drammatica, è un torrente in piena, un affresco a tinte forti che ci sloggia dalle nostre plastificate certezze e catafratte abitudini e ci trascina in strada”. Se n’era accorto, fra gli altri, Giancarlo Majorino, che aveva incluso alcune liriche di Piovano nell’antologia “Poesie e realtà”, dedicata alla poesia civile italiana del Novecento.
«Ma il mio paese, il paese del mio cuore,
è là nelle piane lombarde, in Lomellina,
il paese delle nebbie e delle placide acque
che per diecimila canali si ritrovano in Po.
Al tempo dei risi, quando le mondine
calano a reggimenti dalle loro tradotte
e scaricano i sacchi e le casse
sui marciapiedi delle stazioni
allora è da vedere la Lomellina
come si canta per le strade a braccetto
piemontesi bresciane e bergamasche
e più brave di tutte, coi baschi rossi, le emiliane!»
(da: Giorgio Piovano, Il fuoco e la cenere, Editrice Edinform, Pavia 1984)
di Luca Ariano
È scomparso nella notte del 1 agosto 2008 all’età di 88 anni. Nato a Torino nel 1920 partecipò alla lotta partigiana prima a Pisa e poi a Lovere; così in un’intervista rilasciata sul web (http://solleviamoci.wordpress.com): “Sono stato avanguardista, come tutti. Odiavo le divise, ma non per politica. È che mi facevano fare brutta figura con le ragazze. A Pisa trovai qualcuno che mi aprì gli occhi: in pochi anni mi trovai antifascista. Nel ’43 entrai nel Partito d’Azione: alla prima manifestazione eravamo in tre. Il giorno dopo facemmo un comizio: a quella data risale la prima di molte denunce. Il discorso patriottico che tenni venne usato contro di me anni dopo, in tribunale, come prova che ero un sovversivo”. Il trasferimento poi a Pavia e la sua attività politica (Senatore del PCI per tre legislature e Presidente della Provincia di Pavia) nel dopoguerra: “Ero professore, cercavo una sede universitaria. Problemi di salute mi tennero lontano dalla guerra: da Pisa, dove ho studiato, mi spostai a Lovere. Poi mi venne offerto di insegnare all’Istituto Bordoni, e a Pavia sono rimasto fino ad oggi: le mie piccole radici sono qui”. Ricordo l’intervista filmata che gli feci con l’amico e poeta Tito Truglia, ricordo la sua schiettezza, la lucidità e la sua forza e voglia di combattere per un mondo migliore, per i giovani (uno dei pochi di quella generazione a capire la piaga del lavoro precario) perché alle sue idee credeva ancora fermamente e non si vergognava certo di essere stato comunista, di aver fatto la Resistenza. Ho scoperto prima il Piovano poeta leggendo estratti delle sue poesie nell’antologia Poesie e realtà 1945-2000Poema di noi (Premio Viareggio opera prima 1950) che amo molto: (Tropea, 2000) curata da Giancarlo Majorino; solo in seguito, dopo averlo conosciuto, ebbi la fortuna di avere in dono la sua opera omnia poetica. Così descriveva il suo rapporto con la poesia: “Era la mia ambizione, che sto rivivendo ora in tarda età.
Era il tempo di grandi arrabbiature poetiche, della lotta all’ermetismo e agli strascichi dannunziani. Per parafrasare un celebre verso di Montale, questo noi volevamo dire: chi siamo, cosa vogliamo”. Se n’è andato uno degli ultimi comunisti, di quelli che hanno lottato a viso aperto mettendoci la faccia, coraggio, passione ed impegno. Non voglio dilungarmi oltre per non scadere nella retorica o in patinate celebrazioni che so avrebbe odiato, ma voglio ricordarlo qui con una sua poesia tratta da
ULTIMO
Avrei voluto avere il verso lungo e profondo
come il rullo dell’Internazionale
sui tamburi delle divisioni
che sfilano in parata
sotto la porta del Brandemburgo;
avrei voluto potermi fare ascoltare
per amore o per forza come gli altoparlanti
installati tra i reticolati a Madrid
che giorno e notte spiegavano
ai mercenari franchisti
da che parte fosse la Patria vera.
Altro ebbi: come quando le cornamuse
calano dai monti alle città di provincia
accompagnando la fisarmonica
dalla voce sbiadita che tenta
maldestra su povere note
i ballabili più comuni.
Pure molti si fermano ad ascoltare,
il lattaio che gira in bicicletta
col suo bidone, la sposa
appena uscita per la spesa, l’oste
che apre allora… Dalla loggia
del vecchio casamento gentilizio
la fantesca in piedi sul davanzale
a pulire la vetrata, si sporge
col cencio in mano a salutare
i suonatori compaesani.
Poi quando l’allegra nenia è dileguata
oltre i mercati, ancora dura il canto
corale delle lavandaie
lungo la roggia e l’a solo
nei passaggi difficili, della voce
più giovane.
Io non sono che uno
della mia generazione,
uno dei tanti che si credevano i soli
ad avere una storia.
Ma ora so
che un po’ tutti possiamo parlare
della casa della nostra infanzia
dei terrori davanti alla porta socchiusa
del corridoio deserto,
del gioco dei pellirosse nei prati
vicino al gasometro, dopo scuola,
delle principesse rapite dai corsari,
di nostro padre che rantolava
nel letto su una montagna di cuscini,
e del vento notturno alle finestre della nostra stanza,
il vento nato sugli altipiani
tremila miglia lontano…
Fummo in molti che lungo le mura
solitarie delle antiche città
erravamo viandanti inquieti
tormentandoci per la gloria.
Fummo in molti che accanto a una donna
ci affacciammo alle balaustrate
dove splende la curva
del pianeta e s’inseguono
per stellari praterie
eternamente giovani
le comete scintillanti.
E fummo in molti a conoscere
la sapienza dei libri
i cieli d’ardesia sulle città
e il sapore acre del cloroformio,
gli andirivieni dei parenti
davanti alle sale d’operazione
e al guerra, il sangue rappreso nei fossi,
il rombo dei quadrimotori
i lampi dell’artiglieria nella notte
e il vecchio abbattuto sotto i ciliegi
che incarogniva nero
nella gramigna tra milioni di mosche
e dalla veranda del sanatorio
il respiro della risacca e la curva lunghissima
sotto la luna della linea delle spume
a perdita d’occhio nel golfo…
(«Rivedrete le sere che s’incendiano
i cieli, e i monti non hanno più peso
e nel fiume scorrono rivoli d’oro.
Salutatele per me
sperduto nelle valli profonde
donde muovono le ombre
che guidano il carro della Notte»).
La mia storia è la storia di tutti
e la vostra è la mia.
Ascoltate come nel mondo
più incalzanti che nel filo
del telegrafo le linee e i punti
brusiscono i pensieri
di miliardi d’uomini.
Ascoltate l’allarme
delle volontà scatenate
come spari mirati al cuore.
Quando ancora dovrà salire
l’amaro nella gola degli uomini
che contemplano nel riquadro
dell’inferriata le stelle
della loro ultima notte?
Da continente a continente
le radio impazzite
invocano S.O.S.
Io non ho che la mia vita
e la pazienza dei libri.
Io non sono che un cieco
sulla riva del mare
investito dall’uragano
che gli mulina intorno lontane e vicine
le voci dei naufraghi che chiedono aiuto.
Ma milioni come me
fanno il Partito
i vagoni di libri spediti
nei villaggi chirghisi
l’Eurasia fasciata
da una rete di canali
il grano al circolo polare
il razionale Discorso
messo insieme lettera per lettera
pazientemente coscienziosamente
come negli stampi il piombo fuso
sotto il tasto del linotipista:
le parole dei miei fratelli
e con loro le mie
che si danno la mano ed abbracciano
il pianeta col giro dei paralleli!
Milioni come me
e le generazioni martellano
nei bronzi della posterità
l’epopea della Classe Operaia
che mugghiava apocalittica
e si ergeva e colpiva
a mazzate di mille tonnellate
nelle grandi ondate dei popoli
che deragliavano la storia!
I nostri pensieri gridati
con gli altoparlanti nei refettori da cinquemila posti
pesati dagli uomini a veglia
nella stalla attorno al lume a petrolio
con lo stoppino abbassato perché durasse di più
le donne macilente e forsennate
a valanga contro i cordoni
le serpi nelle occhiaie
delle case bruciate per rappresaglia
l’offerta del disoccupato alla sottoscrizione
Montanari che sputava sangue nel fazzoletto
e contava i comizi che gli restavano
fino alla fine della campagna elettorale
Daccò che ha smesso di bere
per non essere espulso
la cooperativa di San Salvatore
costruita di notte e di domenica
Brasi fotografo che adesso
scopa la sua bottega
e indosso ha la giacca a vento
di quando comandava una divisione
le croci di legno sotto i larici a Monte Giglio
con la stella rossa e la scritta
NON PIANGETE
e il compagno senza nome che alla festa
rimase a guardia delle biciclette
al posteggio, e neanche si ricordarono
di mandargli un bicchiere di vino
e la musica della moto tra le mia gambe
sugli stradali nei tramonti estivi
nel pieno dello sciopero, e nel vento
della corsa, i colpi di spillo
dei moscerini sul viso
ed anche la faccia paonazza del Vicequestore
quando si accorse che né bonomia né cipiglio
non attaccavano, anche il pretoccolo
velenoso messo nel sacco
in pubblico contradditorio
e anche il pedatone che ruzzolò
dalle scale l’avvocatuccio
che tirava a diventare onorevole
e le bandiere rosse sulle locomotive
e le metropoli dove prima c’erano le paludi
e i congressi coi delegati di sei continenti
i nostri pensieri sul mondo
a stormo
perdio imparate posteri
in questo mondo si può essere giovani
imparate perdio in questo mondo
si può anche morire
a pieno cuore
come al termine di un’ardita giornata
di maggio, combattuta instancabile
a rincorse volanti e agguati
e subitanei parapiglia
lungo i sentieri dei pioppi
nel giallo del ravizzone
quando torniamo alla cascina
cantando – tutti stanati
i crumiri sotto il naso
dei campari con la doppietta imbracciata!
Pedaliamo a festa
nel fortore dei fieni
sotto le prime stelle,
e da lontano ci saluta
agitando il suo fanale
il compagno che batte la risaia
a caccia di rane
nell’acqua fino a mezza gamba.
(tratta da: Il fuoco e la cenere, Prefazione di Davide Lajolo, Pavia: Editrice Edinform, 1984.)
Biografia di Giorgio Piovano (Torino 1920 – Pavia 2008). Nato da famiglia operaia, frequenta, negli anni ’40, la Scuola Normale di Pisa, della quale diventerà in seguito, per un anno, docente di letteratura dantesca. Partecipa alla lotta antifascista a Pisa e a Lovere, militando nel Partito d’Azione. Con l’avvento della Repubblica, lega il suo destino al Partito comunista, del quale è stato componente della Federazione pavese. Nel 1950 vinse il premio “Viareggio” con l’opera “ Poema di noi”, un componimento che parla «degli uomini senza storia, che alle cerimonie fanno sempre la parte del pubblico». Professore e preside. Uomo schietto, lucido, vicino ai giovani, uno dei pochi della vecchia generazione a capire la piaga del lavoro precario.
Biografia-
Giorgio Piovano (Torino, 27 marzo 1920 – Pavia, 31 luglio 2008) è stato un politico, scrittore e partigiano italiano.
Nasce in una famiglia operaia torinese e negli anni quaranta si trasferisce a Pisa dove frequenta la Scuola Normale Superiore. Iscrittosi al Partito d’Azione partecipa alla lotta partigiana nella zona della provincia di Pisa.[1]
Terminato il conflitto si iscrive al Partito Comunista, venendo nominato Presidente della provincia di Pavia, dove si era trasferito in quegli anni, ed eletto sindaco della città di Casteggio.[1]
Nel 1950 vince il Premio Viareggio per la migliore opera prima con Poema di noi.
Senatore della Repubblica Italiana
Legislature
IV, V, VI
Gruppo
parlamentare
comunista
Incarichi parlamentari
IV legislatura
Commissione per la biblioteca: Membro dal 3 marzo 1964 al 4 giugno 1968
6ª Commissione permanente (Istruzione pubblica e belle arti): Membro dal 3 luglio 1963 al 4 luglio 1963, Segretario dal 5 luglio 1963 al 4 giugno 1968
V legislatura
Commissione per la biblioteca: Membro dal 5 giugno 1968 all’11 novembre 1968
6ª Commissione permanente (Istruzione pubblica e belle arti): Membro dal 5 luglio 1968 al 17 luglio 1968, Vicepresidente dal 18 luglio 1968 al 24 maggio 1972
VI legislatura
7ª Commissione permanente (Istruzione pubblica): Membro dal 4 luglio 1972 al 4 luglio 1976
Commissione parlamentare per il parere al Governo sulle norme delegate in materia di stato giuridico del personale della scuola: Membro dal 13 dicembre 1973 al 19 giugno 1976
Descrizione dl libro di Luciana Nissim-Donne contro il mostro”Verso il maggio del 1944 cominciò la deportazione degli ebrei ungheresi. Cominciarono allora ad arrivare ogni giorno e ogni notte lunghissimi trasporti contenenti migliaia di persone… vagoni giungevano, e ancora vagoni, e ancora vagoni.
Noi avevamo l’ordine di restare nei Block quando i trasporti arrivavano, ma riuscivamo a guardare lo stesso – vedevamo tante comiche piccole teste affacciarsi inquiete alle feritoie e scrutare quello che li aspettava lì.
Erano sempre i bambini che guardavano fuori – i bambini.
Si sentivano talora i loro pianti nella notte quando scendevano dai trasporti e faceva freddo, era buio, anche se tutt’intorno riflettori sinistri illuminavano il campo. Si sentiva gridare nella notte “mamma”, “mammina” in tutte le lingue”.
Luciana Nissim Momigliano spiegò così la sua scelta di diventare pediatra dopo il suo ritorno da Auschwitz nel 1945 e successivamente diventare psicanalista per cercare di capire almeno in parte alcune delle sofferenze a cui aveva assistito.
“Avevo visto morire tanti bambini, desideravo fare qualcosa che li facesse vivere”.
Liliana sopravvisse alla deportazione ad Auschwitz Birkenau che condivise i suoi compagni torinesi tra cui Primo Levi.
“Primo parlava per tutti noi” soleva dire per giustificare il suo silenzio. Deputava a lui il compito di raccontare l’indicibole.
Sarà solo dopo il 1987, quando Primo Levi muore, che Luciana Nissim Momigliano capisce di non potersi più tirare indietro e di dover prendere la staffetta.
Tornerà per la prima volta ad Auschwitz solo nel 1996.
Muore il 1 dicembre 1998.
Desideriamo ricordarla per la sua capacità di ascolto e per quel senso di rispetto assoluto della sofferenza degli altri dovuto senz’altro a ciò a cui aveva assistito senza poter fare niente.
Da: Donne contro il mostro
Foto | Shoah Foundation
Associazione Figli della Shoah.
LUCIANA NISSIM
Luciana Nissim nasce il 20 ottobre 1919 a Torino in una famiglia colta e agiata. Di origine ebrea riscopre i suoi legami con l’ebraismo a seguito delle leggi razziali del 1938 e prende a frequentare la biblioteca della scuola ebraica dove incontra tra gli altri quelli che saranno gli amici della vita: i fratelli Artom, Franco Momigliano (che diventerà suo marito), Vanda Maestro, Eugenio Gentili Tedeschi, Primo Levi, Giorgio Segre, Giorgio Diena, Alberto Salmoni e Bianca Guidetti Serra. Dopo l’8 settembre 1943, con la famiglia e l’amica Vanda si rifugia in Val d’Aosta, dove, dopo qualche tempo, le due ragazze entrano in contatto con la banda partigiana in formazione di cui fa parte anche Primo Levi e che tra il 12 e 13 dicembre subisce un rastrellamento fascista che porterà i tre amici prima nelle carceri di Aosta e quindi a Fossoli.
A Fossoli a loro tre si unisce Franco Sacerdoti e i quattro diventano inseparabili. Insieme salgono sul convoglio che il 22 febbraio parte per Auschwitz. All’immatricolazione nel Lager di Birkenau Luciana dichiara di essere medico e questo contribuisce alla sua salvezza: viene destinata al Revier, l’infermeria del campo, dove si rende conto dell’inutilità del suo lavoro, ma è risparmiata dal ritmo mortale della vita del campo. Alla fine di agosto si offre volontaria come medico per Hessisch Lichtenau, campo di lavoro dipendente da Buchenwald, e da qui, grazie a un elettricista italiano, riesce a far pervenire una cartolina a Franco Momigliano. Resta nel campo fino a quando l’avanzata degli alleati costringe le SS all’evacuazione dei campi.
LA FUGA DURANTE UN TRASFERIMENTO
Durante un trasferimento decide di scappare e con una ragazza slovacca trova rifugio presso una fattoria fino alla guerra: “io dico che era il 25 aprile […]”.
Presta il suo lavoro di medico in un campo di raccolta di deportati a Grimma fino all’estate. Ritrova la libertà scrivendo ancora a Franco, legando l’esperienza appena patita, che già sta diventando memoria, allo slancio verso una vita libera: “ Sono stata deportata nel campo di concentramento più terribile del mondo, Auschwitz, in Alta Slesia, Polonia – è stato tutto molto duro e pericoloso, ma lo vedi, sono una dei non molti che ne sono usciti. Ed è così bello essere vivi e liberi. Ed è così strano poterti scrivere che non riesco a dirti niente, […] Ciao Franco – è troppo bello pensare che ti rivedrò.”
La relazione con l’altro è colta con immediatezza quale elemento di costruzione della propria identità su cui si misura nel campo la perdita di sé e al ritorno il rinascere della voglia di vivere.
Il 20 luglio 1945 arriva a Biella. Porta immediatamente la sua testimonianza componendo insieme a Pelagia Lewinska il libro a due voci Donne contro il mostro che esce per l’editore Ramella nel 1946: Luciana sceglie per il suo pezzo il significativo titolo Ricordi della casa dei morti. Poi non parlerà più, riconoscendo all’amico Levi il ruolo di testimone per tutti. Nel novembre 1946 si sposa con Franco, con cui condividerà il dolore per una bambina nata morta (Vanda) e poi la gioia di un figlio (Alberto). Dopo aver diretto a Ivrea l’asilo nido della Olivetti, si trasferisce con il marito a Milano, dove studia con Franco Fornari e Cesare Musatti diventando figura importante della psicoanalisi in Italia. Nel suo lavoro trasferisce l’esperienza accumulata e l’ascolto diventa perno di un’attività segnata da un bisogno di parola che è scambio. Muore a Milano nel 1998. I suoi documenti sono ora depositati all’Istituto piemontese della Resistenza, dopo che Alessandra Chiappano li ha raccolti e studiati con la sensibilità della storica impegnata, tra i pochi, allo studio della deportazione femmiile e che qui ricordiamo con affetto e riconoscenza.
Farfa abbazia imperiale- a cura di Rolando Dondarini-
Gabrielli Editori- Verona
Descrizione
Descrizione del Farfa Abbazia Imperiale- Il Volume collettivo che raccoglie i contributi dei più noti studiosi di storia medievale. La loro convergenza offre un ampio quadro sull’influenza della grande Abbazia Imperiale di Santa Maria di Farfa nell’ambito delle vicende e dei rapporti intercorsi tra movimenti monastici, autorità civili e religiose e società della tarda antichità al pieno medioevo e sulla specifica presenza dell’Abbazia e delle sue dipendenze nel territorio dell’Italia centrale.
Con l’appuntamento scientifico che ha generato questi atti (Atti del convegno internazionale Farfa – Santa Vittoria in Matenano, 25 – 29 agosto 2003) si è inteso trattare delle vicende dellAbbazia di Santa Maria di Farfa nel più ricco ed ampio spettro tematico possibile per porre rimedio alla frammentarietà di apporti e indagini relative. Sulla base di questa carenza storiografica per ripercorrere il lungo dispiegarsi delle premesse, della genesi e degli sviluppi di tale esperienza occorreva prenderne in esame la varietà delle questioni, la complessità delle relazioni, la successione dei mutamenti secondo una pluralità di prospettive e di aspetti che compensasse la circoscritta area di estrazione delle precedenti conoscenze, quasi esclusivamente tratte dalle testimonianze di esponenti del grande cenobio sabino. E per queste lacune che gli ideatori del convegno hanno voluto programmare un arco di contributi e relazioni che partendo dalle lontane origini approdasse alle residue impronte della presenza farfense tra Reatino e Piceno. Il Convegno è giunto a coronamento di oltre un decennio di appuntamenti annuali sui diversi aspetti della vita monastica tenutisi a S. Vittoria in Materano presso quella che fu la seconda grande sede del monastero di Farfa. Promossi ed organizzati dal Centro Studi Farfense, quei convegni si richiamavano implicitamente alla matrice della grande Abbazia Imperiale sorta tra tardo antico e alto medioevo ai confini tra la Sabina e il Reatino. E stata quindi naturale laspirazione a ricongiungere le due sedi e la loro storia in un grande convegno che ripercorresse le loro vicende dalle origini al declino, un convegno che non trascurasse alcun lato della ricerca. Volume collettivo a cui hanno partecipato i migliori studiosi di storia medievale presenti in Italia, l’opera fornisce senz’altro una base importante per altri studi e approfondimenti.
IL CURATORE Rolando Dondarini è professore di Storia Medievale e di Didattica della Storia del Dipartimento di Discipline Storiche dellUniversità di Bolognae insegna le stesse discipline presso la relativa Facoltà di Scienze della formazione e presso la Scuola di Specializzazione per lIstruzione Superiore. E fondatore e coordinatore del Comitato Italiano per gli Studi e le Edizioni delle Fonti Normative, socio-fondatore dellassociazione internazionale History & Computing, consigliere direttivo della Deputazione di storia patria per le province di Romagna e socio effettivo della Deputazione provinciale ferrarese di storia patria e coordinatore del LAD (Laboratorio Didattico del Dipartimento di Discipline Storiche dellUniversità di Bologna). E Presidente del Centro di Studi Farfense (emanazione della Scuola di Memoria Storica del Piceno), del Laboratorio Multidisciplinare di Ricerca Storica e dellassociazione Mediae Aetatis Sodalicium. Autore di numerose opere, ha coordinato la pubblicazione della Bibliografia Statutaria Italiana in collaborazione con la Biblioteca del Senato e ha promosso lattivazione del sito internet “De Statutis” www.statuti.unibo.it .
Gabrielli editori – Via Cengia 67 – 37029 San Pietro in Cariano (Verona – Italia)
tel. 045 7725543
Orari ufficio e libreria dal lunedì al venerdì, 9 – 12.30; 14 – 17.30
sabato mattina previo contatto
Roma-Dal 20 settembre 2024 al 9 febbraio 2025 il Museo Casa di Goethe di Roma presenta la mostra “Max Liebermann. Un impressionista di Berlino” a cura di Alice Cazzola, la prima retrospettiva in Italia del pittore ebreo tedesco Max Liebermann (1847-1935).
“Per celebrare 150 anni dalla nascita dell’Impressionismo la Casa di Goethe porta a Roma il più importante pittore tedesco di questa corrente artistica“, afferma Gregor H. Lersch, direttore della Casa di Goethe, che prosegue: “la nostra mostra è un’occasione unica per vedere in Italia l’opera di Max Liebermann in tutte le sue sfaccettature.”
L’esposizione è realizzata in cooperazione con la Liebermann-Villa am Wannsee di Berlino, dove è in corso fino al 7 ottobre 2024 una mostra sui rapporti dell’artista con l’Italia, e con il gentile sostegno del Museo Nazionale Romano. Si avvale del patrocinio dell’Ambasciata della Repubblica Federale di Germania in Italia e dell’Ambasciata d’Italia nella Repubblica Federale di Germania.
Al Museo Casa di Goethe la mostra intende presentare nella sua totalità la produzione dell’artista grazie a 32 opere che ne ricostruiscono le fasi più importanti.
Nato a Berlino nel 1847, MaxLiebermann è considerato uno dei massimi innovatori della pittura tedesca di fine Ottocento: la sua arte e le sue attività politico-artistiche, tra cui quella di presidente della Secessione di Berlino e dell’Accademia Prussiana delle Arti, hanno dato un notevole impulso alla modernizzazione della scena artistica berlinese.
Inizialmente dedito al Realismo e al Naturalismo, Liebermann pone al centro dei suoi dipinti temi antiaccademici quali il duro lavoro nelle campagne e successivamente, intorno alla fine del secolo, si concentra sugli svaghi equestri dei borghesi in riva al mare e dei giovani bagnanti sulla costa olandese. La tavolozza dell’artista si illumina e le macchie scintillanti di luce diventano il suo marchio inconfondibile. Gli ultimi lavori di Liebermann vertono invece sul suo idilliaco giardino in riva al Wannsee, da lui immortalato con colori pregnanti, nello spirito di una visione impressionistica della natura.
Liebermann intrattenne stretti contatti con la Francia e soprattutto con i Paesi Bassi, ma anche l’Italia svolse un ruolo decisivo nella sua carriera di pittore: tra il 1878 e il 1913 egli valicò le Alpi almeno sei volte. Sappiamo che visitò Venezia, Firenze e Roma e che si spinse fino a Napoli.
A partire dal 1895 fu uno dei protagonisti delle prime Esposizioni Internazionali d’Arte della città di Venezia, l’odierna Biennale di Venezia, e le sue opere furono esposte in numerose collettive a inizio Novecento in Italia, entrando così in contatto con alcuni rappresentanti della scena artistica, tanto che la direzione delle Gallerie degli Uffizi gli commissionò un autoritratto per la propria collezione.
Diverse sue opere sono quindi entrate a far parte di celebri musei italiani, alcune delle quali sono riunite presso il Museo Casa di Goethe, come: Autoritratto del 1908 in prestito dalle Gallerie degli Uffizi (Firenze), Ragazzi al bagno del 1899 dalla GAM – Galleria d’Arte Moderna (Milano), Ritratto del pittore Umberto Veruda del 1899 dal Civico Museo Revoltella – Galleria d’arte moderna (Trieste) e Lavoratrici di merletto del 1894 dalla Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro della Fondazione Musei Civici di Venezia.
In Italia trovò inoltre ispirazione per alcuni dei suoi lavori e, per rendere merito al legame che Liebermann intrattenne con la capitale italiana, viene esposto il dipinto Passeggiata sul Monte Pincio del 1911.
La mostra offre una panoramica della carriera artistica di Liebermann, lunga quasi sessant’anni; la maggior parte delle opere esposte (dipinti, disegni e stampe) provengono dalla collezione della Max-Liebermann-Gesellschaft Berlin e.V., da altre collezioni private in Germania oltre che dallo stesso Museo Casa di Goethe.
I dipinti della metropoli berlinese, come i Pattinatori nel Tiergarten del 1923, affiancano una serie di autoritratti e ritratti di famiglia – tra i quali il disegno La moglie dell’artista intenta a leggere del 1885 circa e il quadro ad olio Nonna e nipotina del 1922.
Segue un primo approfondimento sui Paesi Bassi, meta di viaggio e di studio più amata da Liebermann, come testimoniato da dipinti come la Giovane cucitrice con gatto – Interno olandese del 1884 e L’uomo che accudisce i pappagalli del 1900-1901.
Un secondo approfondimento è dedicato ai ritratti dei contemporanei di Liebermann realizzati ad olio e a stampa di Theodor Fontane, Gerhart Hauptmann, Wilhelm Bode e Umberto Veruda.
Non manca una sezione relativa alla grande ammirazione che Liebermann provava per Johann Wolfgang von Goethe. Lo dimostrano le sue illustrazioni di opere del celebre poeta, ad esempio L’uomo di cinquant’anni pubblicata presso l’editore berlinese Bruno Cassirer nel 1922.
Il percorso espositivo si conclude con una serie di sgargianti raffigurazioni del giardino in riva al Wannsee: La terrazza fiorita nel giardino sul Wannsee verso nord-ovest del 1915, la Vista dall’orto verso est sull’ingresso della casa di campagna del 1919 e i Fiori perenni presso la casetta del giardiniere in direzione nord-ovest del 1926.
L’archeologia e l’arte antica esercitarono un forte fascino su Liebermann grazie al soggiorno romano del 1911, tanto che nella loggia della sua villa in riva al Wannsee egli eseguì una pittura parietale ispirata all’antico affresco del giardino sempreverde e fiorito che adornava la Villa di Livia presso Prima Porta a Roma, opera attualmente conservata nel Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo.
A testimoniare l’ammirazione dell’artista per l’antichità classica, in mostra è presente l’unica fotografia conosciuta che lo ritrae davanti alla sua loggia, il cui dipinto parietale è stato riscoperto e riportato alla luce nel 2003-2004 e in seguito restaurato. La fotografia è messa a confronto diretto con alcune riproduzioni dell’affresco di Villa di Livia concesse grazie alla collaborazione con il Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo, con il quale sarà organizzata una conferenza di approfondimento.
Accompagna la mostra il catalogo “Max Liebermann in Italia” pubblicato in italiano e tedesco, a cura di Alice Cazzola (curatrice della mostra), Lucy Wasensteiner (già direttrice della Liebermann-Villa am Wannsee) e Gregor H. Lersch (direttore del Museo Casa di Goethe). Il volume raccoglie saggi di Alice Cazzola, Sarah Kinzel (ricercatrice presso il Lindenau-Museum Altenburg) e Enrico Lucchese (ricercatore all’Università degli Studi della Campania) e Lucy Wasensteiner.
SCHEDA INFORMATIVA Mostra: Max Liebermann. Un impressionista di Berlino Curatrice: Alice Cazzola Anteprima stampa: giovedì 19 settembre 2024, ore 11.00 Inaugurazione: giovedì 19 settembre 2024, ore 19.00 Apertura al pubblico: 20 settembre 2024 – 9 febbraio 2025 Sede: Museo Casa di Goethe | via del Corso 18 | 00186 Roma, Italia Orari: martedì – domenica, ore 10.00 – 18.00, ultimo ingresso ore 17.30; lunedì chiuso Biglietto: intero 6 euro | ridotto 5 euro (disabilità, studenti, giornalisti, militari, over 65, soci ACI, ARCI, BIBLIOCARD, FAI, LAZIO YOUTH CARD, ÖSTERREICH INSTITUT ROMA, ROMAPASS, TOURING CLUB ITALIANO e accompagnatore, sconto di 1€ per le persone che hanno visitato la Keats-Shelley House nei tre giorni precedenti) | Carta famiglia (2 adulti con massimo 3 figli): 17 euro | Gratuito: bambini fino a 10 anni, soci ICOM | Tutte le domeniche alle ore 11.00 e alle ore 16.00 il biglietto d’ingresso comprende la visita guidata in lingua italiana.
Vladimír Holan-Poeta ceco (Praga 1905 – ivi 1980). Cultore, in un primo tempo, della poesia astratta, spesso indecifrabile (Blouznivý vějíř “Il ventaglio delirante”, 1926), seppe farsi appassionato testimone degli anni tragici della Boemia (Září 1938 “Settembre 1938”) e limpido cantore della nuova Cecoslovacchia (Dík Sovětskému Svazu “Gratitudine all’Unione Sovietica”, 1945; Tobě “A te”, 1947). Dal 1948 si chiuse in un isolamento totale, immerso nella visionaria e dolorosa meditazione da cui nascono le altre sue opere: Mozartiana (1963); Bez názvu (“Senza titolo”, 1963); Na postupu (“In progresso”, 1964); Noc s Hamletem (“Una notte con Amleto”, 1964); Trialog (“Trialogo”, 1964); Bolest (“Il dolore”, 1965); Smrt a sen a slovo (“La morte e il sogno e la parola”, 1965); Ale je hudba (“Ma c’è la musica”, 1968); Asklépiovi kohouta (“Un gallo a Esculapio”, 1970); Na celé ticho (“Ovunque è silenzio”, 1977).
La poesia di Vladimir Holan è una delle migliori espressioni della lirica del Novecento.
«Derubando i ricordi»
Nell’umidità
È una pioggia autunnale, testarda fino alla noia,
che racimola la schiuma della rabbia,
celata da tutti gli uomini
già da molto chiusi in una stanza.
Pallidi, stanno alla finestra e mirano
con un piacere mordace e pretenzioso
come accanto ai frutteti un bimbo fradicio
sta offrendo a nessuno fiori di carta,
proteggendoli con il cavo del suo palmo.
Li protegge invano… Invano li offre…
E invano li proteggerà e offrirà
finché non ci proverà nel linguaggio degli animali
o finché non si decide a passarlo
il parco nell’indugio sdegnato, parco
in cui non c’è nulla più che una panchina
né piallata né verniciata,
una panchina su cui s’è risparmiato,
una panchina per i morti…
Alla fine del mondo
Qui in verità è come con un fiume
nell’istante in cui abbandona un lago estinto:
un paio di sanguinolenti abissi, che non sanno dove sono,
un paio di colonne, pitturate con il seme marmoreo delle idee,
e un pugno di vecchie stracciate mappe
che non è da meno
d’un mazzo di banconote di oscura origine
che una macilenta ironia incontrerebbe alla soglia del suo uscio…
Per istanti, quasi a testimonianza, si fa sentire
un certo vertiginoso mormorio…
E come se la mestizia passasse tra le premonizioni
in bianche vesti di nessuno…
Voce e controvoce
I
Allora
È notte. Al banco del bar ti versano sempre quell’ultimo bicchiere
col biasimo della compassione… Ma dietro di te
il corpo di un tale, un poveraccio follemente solo,
caduto per la sbronza dalla farfalla al bruco,
caduto tra sé e sé per una disperazione
cui non si sfugge,
ti ricorda irraggiungibilmente e perfidamente
due certi pendìi, lacerati dalle rocce,
dagli alberi novelli, dalla lussuria che sprizza nella coda delle donnole
e dall’azzurrognola coscienza degli sparvieri.
Tra i pendìi farneticava un fiumicello
come un pugno di tranelli scagliati in faccia all’udito.
Eri giovane a quel tempo… Non facevi caso
a come crudelmente consumata fosse la maniglia del cimitero…
“Vi prego, un altro ancora!”… Sì, e il sole
era un chiccomagno come il sangue del pavone
e tu attraverso quel corso d’acqua
da riva a riva posasti masso dopo masso…
Quando si fece buio, ci passò lei.
II
E oggi
È notte. Al banco del bar ti versano sempre quell’ultimo bicchiere
con stanchezza truce… Ma non parliamo di questo,
non ci conosciamo, e tutto accade così,
come quando ci si incontra sulle scale:
uno va su e l’altro va giù…
Giù in basso ci sei tu ora,
per fortuna il rum non si chiede che cosa mai v’è successo,
poiché non è ancora né polvere né saliva
e non gli piove nella tomba.
È un rum davvero buono: bevi il primo dopo quello
come l’autunno beve, dopo le lacrime false, vino dai comignoli
durante le inalazioni del dio del momento…
Del momento? No, durevolmente e come scorticandoti
sai a rovescio dove vive colei che ti amava,
ah ardentemente lo sai e miracolosamente lo sai,
ma sei qui in una così lasciva supplica e così senza un passaggio
che anche la contrada dovrebbe avere un ponte crollato…
Creparsi dei ghiacci
È da tempo finito il banchetto e l’invitata giunge solo ora.
Non sapendo che fare con il tuo spavento
che, fuori, dietro le finestre
a malapena porta aiuto al fragore del ghiaccio che si crepa,
volentieri si immedesimerebbe in una più certa sembianza.
Ma mentre fa concessioni agli spiriti,
ti viene inesorabilmente incontro –
e tu di colpo e quasi confidenzialmente cominci a capire
che non puoi amare per essere amato,
che non puoi amare ed essere amato,
che non puoi amare perché ami,
a che devi amare chi non ti ama…
Dovunque II
La sera è così bella che ti vergogni anche solo di bramare
dalle profondità di un malinconico vuoto…
I morti è come se si camminassero addosso in bruchi del cimitero,
l’animale è come se qualcuno lo spaventasse con il grembiule del macellaio,
le cose è come se non sapessero dove sono…
Sì, è scritto che nessuno scorgerà Dio da vivo.
Egli dunque ci risparmia, quando dimora nell’obnubilamento,
nel fuoco, nella nebbia, nella nuvola, nel vento
e quando cammina tra i sipari e nel futuro…
Anche i santi intravidero solo la sua schiena.
***
Dalla raccolta Penultima (versi degli anni 1968-1971)
Firma
No, quella volta non c’ero, vi sbagliate
e anche il mio sosia nega
che si trattava di una voce e di un’altra voce ancora,
e che due voci non c’erano, allora…
Non c’erano… Giacché tradizione orale
e insegna sono la stessa cosa…
Sono quello che è pubblico… Ed è anche
per questa ragione che Dio
chiederà un giorno a se stesso
una firma nel proprio libro…
Qualcosa
Quando su quei vostri splendidi capelli
metteste una parrucca,
volevo ordinare che tutto
si fondesse nel bronzo, poiché il gesso
pensa solo a se stesso… Ma qualcosa
mi paralizzò allora,
anche se poi se ne disputò a lungo
con schiuma di birra sulla barba degli uomini…
Sì, dopo un morso velenoso possiamo litigare
per sapere se era un serpente… Ma non è necessario…
***
Dalla raccolta Addio ? (versi degli anni 1972-1977)
Perché vivere
Sì, proprio quella notte, e come se più a buon mercato
e sotto un soffitto basso, – sì, proprio quella notte,
che sa tutto da lontano
ma che intercede per il presente
e non perdona alla sua durata
che vuole raggiare se stessa e andare dove vuole –
sì, proprio quella notte,
e come se egli volesse dimostrare
che anche il destino se ne vergogna:
iniziò, derubando i ricordi,
a domandarsi perché vivere…
I passi
Si immagina come tutto ciò sarebbe
se avesse avuto mai una qualche idea
e con quali parole e con quale voce la pronunzierebbe…
Una tale inaccessibilità lo sgomenta,
non può capire neanche il suo tossicchiare,
e tantomeno la domanda, se avesse avuto mai
qualche rimpianto… Ma come un’altra volta
cammina da un angolo all’altro della sua stanza
e il cubismo dei suoi passi disturba il vicino…
Breve biografia di Vladimír Holan- Poeta ceco (Praga 1905 – ivi 1980). Cultore, in un primo tempo, della poesia astratta, spesso indecifrabile (Blouznivý vějíř “Il ventaglio delirante”, 1926), seppe farsi appassionato testimone degli anni tragici della Boemia (Září 1938 “Settembre 1938”) e limpido cantore della nuova Cecoslovacchia (Dík Sovětskému Svazu “Gratitudine all’Unione Sovietica”, 1945; Tobě “A te”, 1947). Dal 1948 si chiuse in un isolamento totale, immerso nella visionaria e dolorosa meditazione da cui nascono le altre sue opere: Mozartiana (1963); Bez názvu (“Senza titolo”, 1963); Na postupu (“In progresso”, 1964); Noc s Hamletem (“Una notte con Amleto”, 1964); Trialog (“Trialogo”, 1964); Bolest (“Il dolore”, 1965); Smrt a sen a slovo (“La morte e il sogno e la parola”, 1965); Ale je hudba (“Ma c’è la musica”, 1968); Asklépiovi kohouta (“Un gallo a Esculapio”, 1970); Na celé ticho (“Ovunque è silenzio”, 1977).
a cura di Maria Borio – nata nel 1985 a Perugia.È dottore di ricerca in letteratura italiana contemporanea. Ha pubblicato le raccolte Vite unite (“XII Quaderno italiano di poesia contemporanea”, Marcos y Marcos, 2015), L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, Pordenone-Faloppio, 2017) e Trasparenza (Interlinea, 2019). Ha scritto le monografie Satura. Da Montale alla lirica contemporanea (Serra, 2013) e Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio, 2018).
La poesia di Vladimir Holan, dai Quaderni di Traduzioni, XV, Aprile 2013 (Rebstein), cura e traduzione di Sergio Corduas.
Je jaro … V noci, v hodinu lichou
slyšel, jak pláče réva,
ačkoli veliký hluk dělala voda,
ztrácející se z rybníka dírou,
kterou do hráze navrtal úhoř …
Co mu zbývalo, než aby,
zamilován až po uši hudby do mizení,
propadal hrdlem vzlyků útrpnému právu němoty?
A přece, ejhle, krása pojednou
a milost, s kterou nám ji sdílel!
E’ primavera… Di notte, nell’ora vana
udì gemere la vite,
nonostante il forte rumore dell’acqua
che si perdeva dallo stagno attraverso un foro
scavato nella diga dall’anguilla…
Che altro restava a lui, se non patire,
innamorato fino al collo della musica che svanisce,
il pianto e la tortura della mutezza?
***
Spatřil ji jenom jednou.
Ale od té chvíle žasl
a začal předzpěvovat, aniž měl komu,
a začal spoluzpívat, aniž kdo s ním šel…
Po celý rok osmělil se ji takto zbožňovat,
přítomný do budoucna, jak už doufal,
zatímco netuše se těžce vracel
od Panny Marie k Evě …
Potom jí napsal.
Byl to muž a měl tedy strach.
Přečtla si jeho dopis při světle krbu,
do kterého jej potom vhodila.
A on si přečetl její odpověď při světle od sněhu,
který nikdy neroztává …
La vide soltanto una volta.
Ma da quell’istante stupì
e intonò un canto ma non sapeva a chi,
e intonò un coro ma nessuno lo seguì…
Osò adorarla così per un anno intero,
presente per il futuro, come ormai sapeva,
laddove ignaro pesantemente ritornava
da Maria Vergine a Eva….
Poi le scrisse.
Era un uomo e quindi aveva paura.
Lesse la sua lettera alla luce di un camino
nel quale poi la gettò.
Ed egli lesse la sua risposta alla luce di una neve
che mai si scioglie…
***
Zimničné paprsky lůny
a třesoucí se ty, ubohý Mozarte!
Prstomluva hluchoněmých není tak šílená,
protože při ní jsou aspoň dva živí …
Cítíš budoucně skonalý čas …
Kdyby tak najednou přišel aspoň jeden z těch,
co budou na tvém pohřbu,
a tedy nikdo!
Febbrili raggi della luna
e tu tremi, misero Mozart!
Il diteggiare dei sordomuti non è così folle,
perché in esso i vivi sono almeno due…
Senti prossimo il tempo finito…
Se almeno uno d’improvviso venisse di coloro
che saranno al tuo funerale,
e dunque nessuno!
Vladimir Holan, dai Quaderni di Traduzioni, XV, Aprile 2013 (Rebstein), cura e traduzione di Sergio Corduas.La poesia di Vladimir Holan è una delle migliori espressioni della lirica del Novecento.Dopo la prima raccolta di versi Il ventaglio delirante (1926) pubblica Trionfo della morte (1930), L’arco (1934), Primo testamento (1940), Terezka Planetova (1944), Viaggio d’una nuvola (1945), Ringraziamento all’Unione Sovietica (1945), Requiem (1945), Soldati rossi (1956), Una notte con Amleto (1964). Negli ultimi anni ha scritto: Ma c’è la musica (1968), Un gallo a Esculapio (1970), I documenti (1976), Ovunque è silenzio (1977).
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