Da una vita all’altra -Camille de Toledo-Editore: Neri Pozza
Descrizione del libro di Camille de Toledo -Da una vita all’altra -Editore Neri Pozza-Vi sono giorni in cui è dato diventare dei sopravvissuti, e portare sulla schiena l’enigma e il peso della morte. Il primo marzo duemilacinque è uno di questi giorni per Thésée. Al secondo piano di un appartamento parigino, in cui accorre chiamato dal padre, l’irreparabile si schiude davanti ai suoi occhi: suo padre seduto e, disteso sulle mattonelle rosse, suo fratello Jérôme, morto suicida. Che quella scena ubbidisca a una legge crudele destinate a infrangere ogni legame, Thésée lo apprende negli anni immediatamente successivi. La madre e il padre muoiono e tutto il mondo in cui lui ha imparato ad amare sprofonda nel nulla. Che cosa fare quando tutto cade e la vita è maledetta? Quando, nel luogo in cui si è vissuto, non vi sono piú giorni e luce? Che cosa fare se non cercare giorni e luce altrove e lasciarsi alle spalle le tragedie, i lutti, il labirinto del passato?
Thésée giura a sé stesso di non lasciare che il passato infesti l’avvenire. Abbandona la città dell’Ovest e parte con l’ultimo treno verso l’Est, alla volta di un paese in cui respirare aria nuova, in cui nessuno conosce il suo nome. La ferita del passato, però, non scompare affatto quando luoghi e nomi cambiano. La ferita è incisa nel corpo, in quell’involucro in cui le immagini, il verbo e la materia si confondono. Il corpo di Thésée collassa, percosso dalle forze del suo recente passato, e da altre più antiche che gli rivelano una verità inaspettata: che ognuno di noi non è altro che un continuum di disastri e di crolli racchiuso in quella cristallizzazione di legami che chiamiamo Corpo. A nulla vale perciò cercare una vita nuova che volti le spalle al passato. Thésée è costretto a rituffarsi nelle acque del tempo, a intraprendere un viaggio al cuore della notte, nelle pieghe del corpo, nel labirinto del passato, per ritrovare il filo della sua vita e non soccombere.
Romanzo finalista al Prix Goncourt, salutato al suo apparire dai giudizi entusiastici della critica francese, Da una vita all’altra mostra che cosa è davvero la letteratura: un «racconto arcaico» in cui solo è possibile passare da una vita all’altra, riconvocare ciò che è stato e, in qualche modo, riconciliarsi con l’irrimediabile fragilità dell’esistenza. Che cosa resta, infatti, quando tutti i significati della vita e della Storia sembrano perduti se non la potenza della lingua, la sua forza poetica?
Autore -Camille de Toledo è nato a Lione nel 1976. Nel 2004, ottiene una borsa di studio a Villa Medici. Nel 2008, fonda la Société européenne des auteurs. Dal 2012 e dalla sua partenza per Berlino, lavora a forme estese e differenti di scrittura. Da ricordare, in modo particolare, l’opera-video La Chute de Fukuyama, nel 2013, con l’orchestre Philharmonique de Radio France e nel 2015 a Leipzig, presso il Zentrum für zeitgenössische Kunst, il ciclo L’Exposition potentielle, History Reloaded e Europa-Eutopia. Ha scritto cinque romanzi e quattro saggi.
Letizia Battaglia- A cura di Walter Guadagnini-Dario Cimorelli Editore-
lI volume su Letizia Battaglia , a cura di Walter Guadagnini ,nasce in occasione della grande retrospettiva dedicata dal Jeu de Paume alla fotografa e attivista italiana .Letizia Battaglia(1935-2022) e presentata allo Château de Tours.
Letizia Battaglia-
Famosa per il suo lavoro su Cosa Nostra, la mafia siciliana che regnò negli Anni di Piombo, il suo lavoro colossale – ha prodotto più di 500.000 fotografie – è tuttavia molto vario. Questo volume rivela il viaggio incandescente della fotografa dai suoi esordi a Milano negli anni ‘70 fino alla sua morte nel 2022 nella sua città natale. Mette in risalto, attraverso una selezione di circa 200 stampe originali e moderne, la straordinaria capacità di Letizia Battaglia di mostrare al mondo con passione ardente, in modo diretto, senza nascondere alcun aspetto, da quello più spaventoso a quello più poetico.
Allegati
Alcune immagini del libro
Indice
Letizia Battaglia. Diventare il mondo / Letizia Battaglia. Become the world Walter Guadagnini “Non c’era niente di erotico”. Letizia Battaglia giornalista / “There was nothing erotic there.” Letizia Battaglia, journalist Monica Poggi Sorelle di lotta: Letizia Battaglia e Donna Ferrato, Mary Ellen Mark e Susan Meiselas / Sisters-in-arms: Letizia Battaglia and Donna Ferrato, Mary Ellen Mark and Susan Meiselas Melissa Harris Essere una fotoreporter non bastava: l’impegno di Letizia Battaglia nell’editoria (1986-2006) / Being a photo reporter was not enough: Letizia Battaglia’s (1986-2006) Marta Sollima Opere / Works
Gli inizi / The beginnings
Palermo e Sicilia, gli anni Settanta / Palermo and Sicily, the 1970s
Mafia, gli anni Settanta / The mafia, the 1970s
Palermo e Sicilia, gli anni Ottanta / Palermo and Sicily, the 1980s
Mafia, gli anni Ottanta / The mafia, the 1980s
Palermo e Sicilia, le feste religiose / Palermo and Sicily, religious festivals
Real casa dei matti: l’istituto psichiatrico di Palermo / Real casa dei matti, Palermo psychiatric hospital Nuovi orizzonti: gli anni Ottanta / New horizons, the 1980s
A cavallo tra i secoli, la Sicilia, la mafia, il mondo / From one century to the next, Sicily, the mafia and the world
Biografia di Letizia Battaglia / biography of Letizia Battaglia
Biografie degli autori / Biography of the authors
Walter Guadagnini
Walter Guadagnini
Walter Guadagnini è nato a Cavalese (Trento) nel 1961. Si è laureato in Lettere Moderne alla facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Bologna nel 1985, con una tesi in Storia dell’Arte Contemporanea. Vive e lavora a Bologna, dove dal 1992 è titolare di una cattedra di Storia dell’Arte Contemporanea all’Accademia di Belle Arti. Dal 2011 tiene la cattedra di Storia della Fotografia ed è coordinatore del Biennio Specialistico in Fotografia della stessa Accademia.
Ha diretto dal 1995 al 2005 la Galleria Civica di Modena. Dal 1995 al 2003 ha diretto la manifestazione internazionale Modena per la fotografia. Presidente dal 2004 della Commissione Scientifica del progetto UniCredit e l’Arte, nel 2007 cura la mostra Pop Art! 1956-1968 alle Scuderie del Quirinale, Roma. Nel 2007 è Commissaire Unique per la sezione italiana all’interno di Paris Photo. Nel 2008 cura insieme a Francesco Zanot Faces -Ritratti nella fotografia del XX secolo alla Fondazione Ragghianti di Lucca. Nel 2009 cura la mostra Past Present Future – Highlights from the UniCredit Group Collection al Kunstforum di Vienna. Nel 2011 cura le mostre Things are queer al MARTa Museum di Herford e People and the City al Winzavod Centre for Contemporary Art di Mosca. Nel 2013 cura la mostra Andy Warhol – Una storia americana a Palazzo Blu di Pisa (con C.Ceppi Zevi) e le mostre collettive Territori instabili – Confini e identità nell’arte contemporanea al CCC Strozzina di Firenze (con F.Nori) e La Grande Magia al MAMbo di Bologna (con G.Maraniello). Nel 2014 cura la mostra Facts and Fictions al MAMM di Mosca.
Nel 2000 ha pubblicato il volume Fotografia per l’editore Zanichelli, Bologna. Nel 2007 pubblica il volume 100 – La fotografia in cento immagini per Motta Editore, Milano. Nel 2010 pubblica Una storia della fotografia del XX e del XXI secolo per Zanichelli, Bologna.
È curatore del progetto editoriale La Fotografia, in 4 volumi pubblicati dal 2011 al 2014 dalla casa editrice Skira, edizione italiana e inglese.
Dal 1995 al 2003 ha collaborato come critico d’arte con il quotidiano «La Repubblica». Dal 2006 è responsabile della sezione fotografia de «Il Giornale dell’Arte». Dal 2008 al 2009 è stato co-direttore della rivista «FMR – Bianca».
Poesie di Gabriella Musetti, da “Un buon uso della vita”
Gabriella Musetti nata a Genova. Organizza “Residenze Estive” Incontri residenziali di poesia e letteratura. Dirige “Almanacco del Ramo d’Oro, Nuova serie”, semestrale di poesia e cultura. E’ socia della Società Italiana delle Letterate. Ha fondato, insieme ad altre, la casa editrice Vita Activa: www.vitaactivaeditoria.it.
Ha curato numerose pubblicazioni saggistiche tra cui: “Sconfinamenti. Confini passaggi soglie nella scrittura delle donne” (2008);“Dice Alice” (2015), “Oltre le parole. Scrittrici triestine del primo Novecento” (2016).
In poesia ha pubblicato: “Mie care” (2002), “Obliquo resta il tempo” (2005); “A chi di dovere” (2007), Premio Senigallia; “Beli Andjeo” (2009), “Le sorelle” (2013), “La manutenzione dei sentimenti” (2015).
Le storie sono all’inizio
tutte uguali
nasci da un ventre aperto
dal buio vedi la luce
ma subito la storia cambia
secondo il luogo lo status
il modo e l’accoglienza
non c’è una regola prescritta
uguale a tutti
ognuno trova a caso la sua stanza
chi bene – felice lui o lei – chi
con dolore
***
è morta questa mattina è morta
ma non si è accorta di morire
rideva come una bambina
su un prato in primavera
rideva anche di sera (e pure di mattina)
– s’è messa in salvo – qualcuno dice
volata via sopra una rondine
un po’ di soppiatto un po’ per avveduta
consolazione – la scelta unica rimasta
quasi sicura
***
era morta con la luna storta
era morta sopra un cuscino estraneo
di un vicino fuori della sua casa
come faceva a spiegare
a chi gliel’avesse chiesto
che era uscita in giardino
solo a fumare una sigaretta
scavalcata la finestra s’era trovata
nella casa buia decisa
a seguire il suo destino?
***
lei (invece) era morta di notte
tra le botte della sera e quelle del mattino
s’era sottratta all’impeto
alla colpa perfino alla desolazione
e la solitudine che la penetrava
non dava godimento alcuno
***
era morta mentre sedeva in classe
prima della lezione d’italiano
s’era spenta come una lampada
accasciata sullo sterno senza un sospiro
senza avvedersene
e anche i giovani entranti
la guardavano appena
come dormiente
***
era morta al supermercato tra la folla
da sola aveva attraversato il varco
senza avvertire famiglia o amici
senza permesso senza preparazione
come un balzo della mente
come improvvisa decisione
da attuare in fretta
e non tornare indietro
***
era morta davanti allo specchio
mentre si truccava per uscire
un occhio spalancato uno chiuso
a tirare la linea sulla palpebra
la traccia l’attesa la sorpresa
ciò che vide nell’orbita spenta
era denso e molle come placenta
***
lei era morta andando a riprendere
la figlia a danza
per errore aveva aperto
quella stanza e s’era trovata
ingarbugliata nella sua vita
senza trovare neppure una via
d’uscita
Karthika Naïr poetessa franco-indiana, è autrice di numerosi libri. L’ultimo è Until the Lions: Echoes from the Mahabharata (Archipelago Books, 2019). E’ anche coreografa.
La scelta e la traduzione dei testi inediti di Kathika Naïr è di Francesco Guazzo
Abitudini: Resti
Ascolta, parliamo ora chiaramente: non sei tu a mancarmi,
non tu, davvero, tu non c’entri niente.
Pioggia tiepida — sono il suo odore ed il vapore della sua armonia a mancarmi,
non tu, davvero, tu non c’entri niente.
E neppure tutto quel jazz mi manca – la luna, le stelle, il vino, quella fiamma –
eri tu a chiamarli in causa
prima che fossero i nostri versi ad invecchiare. Era una promessa quella,
non tu, davvero, tu non c’entri niente.
Un cielo, una terra, quest’aria, la tenda per il sole, la tua bocca,
la mia lingua, la traccia
pelle contro pelle — sono queste le cose che trattengo come un domicilio dell’amore,
non tu, davvero, tu non c’entri niente.
La scorsa settimana, alla lavanderia a gettoni, sono inciampata; una trapunta a quadri
mi ha afferrato il cuore
era una voce nuova a togliermi davvero il piede dall’abisso,
non tu, davvero, tu non c’entri niente.
Sì, ho imparato ad apprezzare i semi di pino ed anche il caramello con il sale,
ad adorare Steve Reich.
Ma di sicuro questo è quello che qualcuno chiama osmosi,
non tu, davvero, tu non c’entri niente.
Ti giuro: è con le pulizie di primavera che poi ti avrei voluto fuori dalla mente. Se trovo
qualche scheggia di risata, insomma,
o un bacio color cannella, faccio finta, è solo quello,
non tu, davvero, tu non c’entri niente.
Il passato invade il nostro adesso, ancora così imperfetto:
ininterrotto;
è ormai un mutante che canta da ogni intercapedine,
non-tu-davvero-tu-non-c’entri-niente.
Dalle Pleiadi, da questa luna d’argento vivo, io rinuncio
alle finte
del cuore, berrò da questo frutto del raccolto—
—e, in fondo, sei soltanto tu, dopotutto.
Karthika Naïr- Poetessa franco-indiana
Abitudini: un ritorno
Doloroso da perdere, e lontano
eppure troppo facile da riportare indietro. Si guarda intorno,
ed anche questa volta, aspetta,
ad occhi fissi. Inevitabile, immanente,
quella cosa con cui vorresti andartene, ma è lì rimasta ferma
ed è per sempre, o quasi.
Quasi.
Quasi un pelo, meno di un labbro leporino?
Ci sono abitudini e abitudini.
Respirare è un’abitudine, son qui a cercare di farla mia.
Quello che cerco di perdere sei tu.
Abitudini: liberazione
È solo adesso che posso piangere davvero
il nostro noi come farebbe qualcuno,
qualcuno conosciuto, e amato un’era fa,
è solo ora che posso realizzare
sì, che è per davvero: se n’è andato.
È la stagione a farci piangere. Come
possiamo amare qualcuno oltre
il pensiero, la parola, la ragione; andare
avanti, poi, e tornare indietro mai;
ancora piangi? È solo in questo istante
che posso amare qualcuno, ed è forse
uno che farà presto ad invecchiare,
lo so, ma saprà darmi amore.
Karthika Naïr- Poetessa franco-indiana
Habits: Remnants
Listen, let’s get this straight: it isn’t you I miss, not you at all.
Warm rain—its scent and smoky song are what I miss, not you at all.
Nor all that jazz – the moon, the stars, the wine, the flame – that you conjured
before our verses grew old. That was a promise, not you at all.
A sky, an earth, this air, the awning, your mouth, my tongue, the impress
of skin on skin—these I hold as love’s edifice, not you at all.
Last week at the laundrette I tripped; a block-printed quilt snagged the heart.
A new voice pulled away my feet from the abyss, not you at all.
Yes, I’ve grown to like pine seeds and salted caramel, to worship
Steve Reich. But, surely, that’s what they call osmosis, not you at all.
I swear I’d spring-cleaned you from the mind. So I feign, when I find
slivers of laughter, a cinnamon-coloured kiss, not you at all.
The past invades our present, still imperfect yet continuous;
becomes a mutant who sings from each interstice, not-you-at-all.
By the Pleiades, by the quicksilver moon, I renounce the heart’s
feints, I will drink from this harvest chalice—it’s all you, after all.
Habits: Return
Painful to lose, far
too easy to recover. Turn around,
and there once again, unblinking,
it waits. Inevitable, immanent,
that thing you would flee but seem stuck with forever, almost.
Almost.
Almost a lisp, less than a hare lip?
There are habits and there are habits. Breathing is a habit I try to acquire.
You are the one I try to shed.
Habits: Release
I can mourn us now like someone,
someone I knew, loved an age back,
and learn has gone. It’s the season
to mourn. How can we like someone
beyond thought and word and reason;
then, move on; and never backtrack,
yet mourn? I can now like someone,
one who’ll age, I know, but love back.
Karthika Naïr- Poetessa franco-indiana
Karthika Naïr poetessa franco-indiana, è autrice di numerosi libri. L’ultimo è Until the Lions: Echoes from the Mahabharata (Archipelago Books, 2019). E’ anche coreografa.
La scelta e la traduzione dei testi inediti di Kathika Naïr è di Francesco Guazzo
Elvira Notari, la pioniera del Cinema italiano e la sua visione autentica
Elvira Notari, la pioniera del Cinema italiano e la sua visione autentica. “Il cinema è la più grande arte del nostro secolo, ma come tutte le cose umane è soggetta ai capricci della fortuna e della creatività.”Federico Fellini
Elvira Notari, la pioniera del Cinema italiano
Elvira Notari è una delle figure più straordinarie e poco celebrate nella storia del cinema italiano. Direttrice, produttrice, sceneggiatrice e attrice, è stata la prima donna a realizzare film in un’Italia ancora dominata da una visione patriarcale e tradizionalista. Nata a Napoli nel 1886, Elvira Notari è diventata un’icona di una cinematografia che cercava di raccontare la realtà del popolo, la sua vita quotidiana, e le sue tradizioni, in un periodo in cui il cinema era visto principalmente come un prodotto di intrattenimento e non come uno strumento di narrazione profonda e culturale. Ha vissuto in un’epoca in cui il cinema italiano stava facendo i suoi primi passi. Il suo percorso nel mondo del cinema inizia negli anni ’10 del Novecento, quando nel 1913 decise di aprire la sua casa di produzione, la Cines Napoli. In un momento in cui la gran parte delle donne si limitava a ruoli passivi nell’industria cinematografica, Elvira si distinse per il suo spirito imprenditoriale e per la sua volontà di essere una protagonista assoluta.
Una pioniera che non solo recitava nei suoi film, ma li scriveva, li produceva e li dirigeva. Era una donna che non si accontentava di essere solo un volto davanti alla macchina da presa, ma desiderava costruire una sua visione cinematografica, affermandosi come figura creativa. I suoi film sono stati ispirati dalla sua città natale, Napoli, e dalla cultura popolare napoletana. Elvira Notari ha raccontato storie di vita quotidiana, di amore, di sacrificio, di passione, ma anche di lotta sociale e di critica ai costumi. La sua Napoli, rappresentata nei film, era una città vibrante e pulsante, dove i protagonisti erano spesso lavoratori, pescatori, contadini e figure della tradizione. Attraverso il suo cinema è riuscita a immortalare una Napoli che non si vedeva nelle pellicole più conosciute dell’epoca.
Il Cinema popolare e la nascita di un Linguaggio
Elvira Notari è soprattutto nota per aver contribuito alla nascita del cinema popolare. Nei suoi film, infatti, emerge un’attenzione particolare per le classi più umili, per le donne, per le dinamiche familiari e per le tradizioni del Sud Italia. La sua visione non era solo una rappresentazione dei costumi locali, ma anche una critica e una riflessione sulle difficoltà e le speranze di chi viveva ai margini della società. Il suo lavoro è stato un precursore del cosiddetto cinema neorealista che avrà il suo apice negli anni Quaranta, ma il suo stile era decisamente più intimo e focalizzato sulla semplicità e sull’autenticità della vita quotidiana. Nonostante i limiti tecnologici e le difficoltà economiche, Elvira Notari riuscì a girare film che catturavano le emozioni più autentiche, utilizzando spesso attori non professionisti, scelti tra la gente comune. I suoi film, infatti, rappresentano una fusione tra il documentario e la fiction, in cui l’aspetto visivo e realistico della vita napoletana era al centro della narrazione. La sua capacità di raccontare storie vere, autentiche, senza filtri, rendeva i suoi film assolutamente innovativi per l’epoca. La sua attenzione al linguaggio popolare e alla vita di strada risuonava con la gente comune, creando una connessione emotiva profonda con il pubblico.
I film di Elvira Notari: un ritorno alle radici del Cinema italiano
Tra i film più significativi di Elvira Notari spiccano “Cavalleria”(1915), un dramma intenso e passionale, che rappresenta una delle prime incursioni nella vita delle classi popolari e nel mondo rurale, e “Assunta Spina”(1915), una delle sue pellicole più celebri. “Assunta Spina” è tratto da una novella di Salvatore Di Giacomo, un autore napoletano di grande rilievo, e racconta la storia di una donna forte e coraggiosa che affronta le difficoltà della vita con dignità. Questo film segna un importante passo nella rappresentazione di figure femminili forti nel cinema italiano, un tema che Elvira Notari esplorerà spesso nel suo lavoro. Il film, pur nelle sue limitazioni tecniche, presenta una grande intensità emotiva e una riflessione sociale che si distingue per la sua forza.
Un altro film che merita attenzione è “L’ultima corsa” (1919),che presenta un mondo di miseria e di lotte quotidiane, ma allo stesso tempo una grande passione e speranza. Questo film, sebbene non tanto conosciuto, è significativo per il suo approccio realistico e la sua capacità di raccontare la vita del popolo con un’umanità straordinaria. Elvira Notari non si limitò a raccontare storie di passione e sacrificio, ma affrontò anche tematiche più complesse e sociali. In “Il ventre di Napoli” (1923), ad esempio, la regista esplora la vita dei quartieri più poveri della città, offrendo una rappresentazione crudele ma realistica delle disuguaglianze sociali. Anche in questo film emerge un forte legame con la tradizione napoletana e con la sua cultura popolare, ma c’è anche una critica sociale che denuncia le ingiustizie della società del tempo.
Il Cinema di Elvira Notari: una Rivoluzione femminile
Ciò che rende ancora più straordinaria la figura di Elvira Notari è il fatto che, oltre a essere una pioniera nel campo del cinema, ha avuto anche il coraggio di sfidare le convenzioni di genere. In un mondo cinematografico dominato dagli uomini, Elvira ha avuto la forza di affermarsi come regista, produttrice e sceneggiatrice, ruoli che, all’epoca, erano pressoché impossibili per una donna. La sua figura rappresenta un esempio di emancipazione femminile in un contesto dove il cinema era una prerogativa maschile. Non solo, ma Elvira Notari è stata anche una delle prime registe a dare spazio e voce alle donne nei suoi film, non più solo come semplici comparse o figure romantiche, ma come protagoniste reali con una propria individualità. La sua capacità di raccontare storie di donne forti, indipendenti, ma anche fragili e vulnerabili, le ha dato una visione unica e profonda del mondo femminile.
Il declino e l’oblio
Nonostante il grande successo iniziale e la popolarità che i suoi film riscossero, il cinema di Elvira Notari subì una crisi con l’arrivo del sonoro e la nascita di nuove tendenze artistiche. Nel 1930, la sua casa di produzione fallì e, di lì a poco, l’opera di Elvira Notari cadde nel dimenticatoio. Il suo nome fu lentamente oscurato dalla grande storia del cinema italiano che vedeva la nascita di registi come Fellini, De Sica e Rossellini. Tuttavia, i suoi film continuano a essere apprezzati oggi per il loro spirito autentico e per la loro capacità di raccontare una Napoli che è ormai leggenda.
Conclusioni
Elvira Notari è stata una donna straordinaria che ha segnato indelebilmente la storia del cinema italiano. Il suo contributo alla nascita di un cinema popolare e alla valorizzazione della cultura napoletana è inestimabile. Con il suo spirito innovativo e la sua determinazione, Elvira Notari ha dimostrato che il cinema può essere uno strumento potente di narrazione, capace di raccontare le storie delle persone comuni e di farle diventare universali. La sua figura merita oggi una riscoperta e una valorizzazione, affinché il suo nome non resti nell’ombra ma brilli di quella luce che, fin dalla sua nascita, ha saputo emanare.
Fonte-La Notizia.net è un quotidiano di informazione libera, imparziale ed indipendente che la nostra Redazione realizza senza condizionamenti di alcun tipo perché editore della testata è l’Associazione culturale “La Nuova Italia”, che opera senza fini di lucro con l’unico obiettivo della promozione della nostra Nazione, sostenuta dall’attenzione con cui ci seguono i nostri affezionati lettori, che ringraziamo di cuore per la loro vicinanza. La Notizia.net è il giornale online con notizie di attualità, cronaca, politica, bellezza, salute, cultura e sport. Il direttore responsabile della testata giornalistica è Lucia Mosca, con direttore editoriale Franco Leggeri.
Margaret Bourke-White. L’opera 1930-1960- A cura di Walter Guadagnini, Monica Poggi- Dario Cimorelli Editore-
Margaret Bourke-White (1904-1971), è una tra le fotografe più autorevoli della storia del fotogiornalismo. Fu tra le prime donne fotografe ad affrontare un ambiente ed un settore fino ad allora prettamente maschile, la prima fotografa straniera ad avere il permesso di scattare foto in URSS e la prima donna fotografa a realizzare una copertina di Life.
Margaret Bourke-White. L’opera 1930-1960-
Il volume monografico presenta l’opera di questa pioniera dell’informazione e dell’immagine, Margaret Bourke-White ha esplorato ogni aspetto della fotografia: dalle prime immagini dedicate al mondo dell’industria e ai progetti corporate, fino ai grandi reportage per le testate internazionali più importanti; dalle cronache sul secondo conflitto mondiale, ai celebri ritratti di Stalin prima e poi di Gandhi; dal Sud Africa dell’apartheid, all’America dei conflitti razziali fino al brivido delle visioni aeree del continente americano.
Allegati-Alcune immagini del libro
Indice
Margaret Bourke-White Una vita sul tetto del mondo Monica Poggi Il talento di Miss Bourke-White Margaret e la scrittura Alessandra Mauro I primi servizi di “Life”
L’incanto delle fabbriche e dei grattacieli
Ritrarre l’utopia in Russia
Cielo e fango: le fotografie della guerra
Il mondo senza confini: i reportage in India, Pakistan e Corea
Oro, diamanti e Coca-Cola
Biografia
Bibliografia
Nacque nel Bronx il 14 giugno 1904, figlia di Joseph White, inventore e naturalista e Minnie Bourke; avviata agli studi di biologia frequentò, ancora studentessa del college, alcuni corsi di fotografia[1].
La carriera professionale inizia nel 1927. All’età di vent’anni iniziò a scattare fotografie industriali.
Nel 1929 si compì la svolta professionale: conobbe Henry Luce, caporedattore di Time, che la invitò a trasferirsi a New York per collaborare alla fondazione di una nuova rivista illustrata: Fortune[2].
Erano gli anni della Depressione e dell’importante campagna fotografica della Farm Security Administration e anche la Bourke-White con il futuro marito, lo scrittore Erskine Caldwell, intraprese un viaggio di ricerca e documentazione sociale nel sud, che sfociò nella pubblicazione del libro You Have Seen Their Faces. La fotografia della Bourke-White fu emblematica sia per i contenuti che per lo stile. Fin dagli inizi, la sua carriera abbracciò la visione moderna tipica di quegli anni, di un mondo dominato dalla fede nel potere della macchina e della tecnologia.
Nonostante i suoi viaggi e il rapporto con Fortune, fino al 1936 mantenne un proprio studio, per i lavori industriali e di corporate senza per questo trascurare le diverse possibilità per libri, mostre e lavori indipendenti.
Margaret Bourke-White. L’opera 1930-1960-
Il primo numero della rivista Life, del 23 novembre 1936, utilizzò una sua foto per la copertina. Era uno scatto dei lavori finiti (grazie al New Deal) della diga di Fort Peck, nel Montana: un’immagine che fece il giro del mondo e che segnò un punto di svolta della professione del fotografo nell’universo femminile.
Da quel momento Margaret Bourke-White iniziò un’assidua collaborazione con la prestigiosa rivista e copre reportages dalla Seconda Guerra mondiale, all’assedio di Mosca, dalla guerra in Corea, alle rivolte sudafricane. Al fotogiornalismo la Bourke-White dedicherà la maggior parte della sua carriera[3].
La Bourke-White si considerò sempre una fotografa seria e impegnata in un’altrettanto seria missione. Dopo aver scattato le fotografie della Cecoslovacchia invasa dai tedeschi nel 1938, credette che la macchina fotografica potesse salvare la democrazia del mondo: “sono fermamente convinta che il fascismo non avrebbe preso il potere in Europa se ci fosse stata una stampa veramente libera che potesse informare la gente invece di ingannarla con false promesse”.
Margaret Bourke-White. L’opera 1930-1960-
Fu con il marito in Unione Sovietica nel 1941, quando venne invasa dai nazisti (la Bourke-White fu non solo l’unica fotografa americana testimone dell’evento, ma anche la sola fotografa straniera a Mosca).
Grazie all’intervento di Roosevelt scattò il primo ritratto non ufficiale di Stalin, anche l’unico per molti anni, con circolazione autorizzata al di fuori dell’URSS. Nel 1943 fu la prima donna ad accompagnare i caccia statunitensi che bombardavano e fotografò quello che fu uno dei più violenti attacchi all’esercito tedesco.
A seguito del reggimento statunitense, fotografa gli assedi della linea gotica (zone di Loiano e Livergnano nell’Appennino Emiliano)[4]. Entrò a Buchenwald il giorno dopo la liberazione dei prigionieri e fece parte del gruppo che scoprì, prima ancora dell’esercito, il campo di Erla. Nel 1952 capì per prima i tragici risvolti della guerra di Corea.
Perseguendo la sua missione lei stessa divenne leggenda: nel 1937 durante un servizio nell’Artico il suo aereo fece un atterraggio di fortuna e si interruppe per giorni e giorni ogni contatto; nel 1942 in navigazione verso il Nord Africa la nave fu silurata nel Mediterraneo e passò una notte e un giorno su una scialuppa di salvataggio.
Margaret Bourke-White. L’opera 1930-1960-
Nel 1953, all’età di 49 anni, le venne diagnosticata la malattia di Parkinson. Quando nel 1959 non fu più in grado di lavorare, si sottopose ad un intervento chirurgico al cervello che fu documentato sui giornali. Da quel momento ridusse drasticamente l’attività di fotografa e si dedicò alla scrittura. L’autobiografia Il mio ritratto, venne pubblicata nel 1963 e fu un bestseller.
Dopo una caduta nella sua casa di Darien, nel Connecticut, morì il 27 agosto 1971, all’età di 67 anni[2].
Margaret Bourke-White. L’opera 1930-1960-
Stile
Nel 1928 affermò su un giornale che “l’industria è il vero luogo dell’arte” e due anni più tardi che “i ponti, le navi, le officine hanno una bellezza inconscia e riflettono lo spirito del momento”.
Nella composizione delle sue prime immagini, si può notare una stretta relazione con la pittura cubista, la sovrapposizione dei piani, le geometrie astratte, la riduzione da tridimensionale a bidimensionale; e fu senza dubbio altrettanto importante l’influenza del cinema espressionista russo e tedesco, da cui derivano la drammaticità degli effetti di luce e la suggestione per l’astratto. Accanto all’aspetto teatrale, e a volte retorico, della sua fotografia industriale, ha sicuramente contribuito alla sua fortuna anche un certo aspetto romantico: la nazione aveva bisogno di credere e sognare della tecnologia, una delle poche speranze per controbattere l’insorgere della Depressione.
Negli anni Trenta la Bourke-White muove la sua ricerca sulla scia di altri fotografi, da László Moholy-Nagy a Edward Steichen, verso il dinamismo dell’astratto: le fotografie della Elgin Watch Company o della Singer rivelano un’immagine senza alto né basso, senza punto focale, così che l’occhio è costretto a vagare sull’intera superficie. L’immagine è una successione di oggetti senza fine ed un’inquadratura puramente arbitraria di un mondo che si estende ben oltre di essa. Uno straordinario esempio di questa pratica è il foto-murales per il palazzo della NBC al Rockfeller Center datato 1933, conservato sul luogo fino agli anni ’50 e successivamente rimosso e mai più mostrato in pubblico.
Solo verso la fine della sua lunga e brillante professione, nei primi anni ’50, ritorna la passione per l’astratto con alcuni interessantissimi esperimenti di fotografia aerea che precorrono molta pittura della fine degli anni cinquanta e sessanta.
Margaret Bourke-White. L’opera 1930-1960-
Della sua professione di donna fotografa disse più volte: “la fotografia non dovrebbe essere un campo di contesa fra uomini e donne” e più tardi rivelò ad un editore: “in quanto donna è forse più difficile ottenere la confidenza della gente e forse talvolta gioca un ruolo negativo una certa forma di gelosia; ma quando raggiungi un certo livello di professionalità non è più una questione di essere uomo o donna”.
Primo Levi -Poesie-Ritroviamo nel volume le poesie scritte a caldo dopo Auschwitz, riarse da quell’esperienza, e poi, più avanti nel tempo, i testi ispirati a una vena didascalico-morale rara nel Novecento italiano. Qui di seguito diamo la premessa scritta da Levi per il suo libro.
SHEMÀ
(anche epigrafe che apre Se questo è un uomo)
Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case,
Voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici
Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d’inverno.
Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi;
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca
I vostri nati torcano il viso da voi.
AGLI AMICI
Cari amici, qui dico amici
Nel senso vasto della parola:
Moglie, sorella, sodali, parenti,
Compagne e compagni di scuola,
Persone viste una volta sola
O praticate per tutta la vita:
Purché fra noi, per almeno un momento,
Sia stato teso un segmento,
Una corda ben definita.
Dico per voi, compagni d’un cammino
Folto, non privo di fatica,
E per voi pure, che avete perduto
L’anima, l’animo, la voglia di vita:
O nessuno, o qualcuno, o forse un solo, o tu
Che mi leggi: ricorda il tempo,
Prima che s’indurisse la cera,
Quando ognuno era come un sigillo.
Di noi ciascuno reca l’impronta
Dell’amico incontrato per via;
In ognuno la traccia di ognuno.
Per il bene od il male
In saggezza o in follia
Ognuno stampato da ognuno.
Ora che il tempo urge da presso,
Che le imprese sono finite,
A voi tutti l’augurio sommesso
Che l’autunno sia lungo e mite.
16 dicembre 1986
LE PRATICHE INEVASE
(una poesia che parla in qualche modo magari un po’ nascosto del suo suicidio)
Signore, a fare data dal mese prossimo
Voglia accettare le mie dimissioni.
E provvedere, se crede, a sostituirmi.
Lascio molto lavoro non compiuto,
Sia per ignavia, sia per difficoltà obiettive.
Dovevo dire qualcosa a qualcuno,
Ma non so più che cosa e a chi: l’ho scordato.
Dovevo anche dare qualcosa,
Una parola saggia, un dono, un bacio;
Ho rimandato da un giorno all’altro. Mi scusi,
Provvederò nel poco tempo che resta.
Ho trascurato, temo, clienti di riguardo.
Dovevo visitare
Città lontane, isole, terre deserte;
Le dovrà depennare dal programma
O affidarle alle cure del successore.
Dovevo piantare alberi e non l’ho fatto;
Costruirmi una casa,
Forse non bella, ma conforme a un disegno.
Principalmente, avevo in animo un libro
Meraviglioso, caro signore,
Che avrebbe rivelato molti segreti,
Alleviato dolori e paure,
Sciolto dubbi, donato a molta gente
Il beneficio del pianto e del riso.
Nel troverà traccia nel mio cassetto,
In fondo, tra le pratiche inevase;
Non ho avuto tempo per svolgerla. E’ peccato,
Sarebbe stata un’opera fondamentale.
19 aprile 1981
ALZARSI
(anche epigrafe de La Tregua)
Sognavamo notti feroci
Sogni densi e violenti
Sognati con anima e corpo:
Tornare; mangiare; raccontare.
Finché suonava breve sommesso
Il comando dell’alba:
“Wstawac”:
E si spezzava in petto il cuore.
Ora abbiamo ritrovato la casa,
Il nostro ventre è sazio,
abbiamo finito di raccontare.
È tempo. Presto udremo ancora
Il comando straniero:
“Wstawac”.
11 gennaio 1946
APPRODO
Felice l’uomo che ha raggiunto il porto,
Che lascia dietro sé mari e tempeste,
I cui sogni sono morti o mai nati;
E siede e beve all’osteria di Brema,
Presso al camino, ed ha buona pace.
Felice l’uomo come una fiamma spenta,
Felice l’uomo come sabbia d’estuario,
Che ha deposto il carico e si è tersa la fronte
E riposa al margine del cammino.
Non teme né spera né aspetta,
Ma guarda fisso il sole che tramonta.
10 settembre 1964
LA BAMBINA DI POMPEI
Poiché l’angoscia di ciascuno è la nostra
Ancora riviviamo la tua, fanciulla scarna
Che ti sei stretta convulsamente a tua madre
Quasi volessi ripenetrare in lei
Quando al meriggio il cielo si è fatto nero.
Invano, perché l’aria volta in veleno
È filtrata a cercarti per le finestre serrate
Della tua casa tranquilla dalle robuste pareti
Lieta già del tuo canto e del tuo timido riso.
Sono passati i secoli, la cenere si è pietrificata
A incarcerare per sempre codeste membra gentili.
Così tu rimani tra noi, contorto calco di gesso,
Agonia senza fine, terribile testimonianza
Di quanto importi agli dei l’orgoglioso nostro seme.
Ma nulla rimane fra noi della tua lontana sorella,
Della fanciulla d’Olanda murata fra quattro mura
Che pure scrisse la sua giovinezza senza domani:
La sua cenere muta è stata dispersa dal vento,
La sua breve vita rinchiusa in un quaderno sgualcito.
Nulla rimane della scolara di Hiroshima,
Ombra confitta nel muro dalla luce di mille soli,
Vittima sacrificata sull’altare della paura.
Potenti della terra padroni di nuovi veleni,
Tristi custodi segreti del tuono definitivo,
Ci bastano d’assai le afflizioni donate dal cielo.
Prima di premere il dito, fermatevi e considerate.
20 novembre 1978
PARTIGIÀ
Dove siete, partigia di tutte le valli,
Tarzan, Riccio, Sparviero, Saetta, Ulisse?
Molti dormono in tombe decorose,
Quelli che restano hanno i capelli bianchi
E raccontano ai figli dei figli
Come, al tempo remoto delle certezze,
Hanno rotto l’assedio dei tedeschi
Là dove adesso sale la seggiovia.
Alcuni comprano e vendono terreni,
Altri rosicchiano la pensione dell’Inps
O si raggrinzano negli enti locali.
In piedi, vecchi: per noi non c’è congedo.
Ritroviamoci. Ritorniamo in montagna,
Lenti, ansanti, con le ginocchia legate,
Con molti inverni nel filo della schiena.
Il pendio del sentiero ci sarà duro,
ci sarà duro il giaciglio, duro il pane.
Ci guarderemo senza riconoscerci,
Diffidenti l’uno dell’altro, queruli, ombrosi.
Come allora, staremo di sentinella
Perché nell’alba non ci sorprenda il nemico.
Quale nemico? Ognuno è nemico di ognuno,
Spaccato ognuno dalla sua propria frontiera,
La mano destra nemica della sinistra.
In piedi, vecchi, nemici di voi stessi:
La nostra guerra non è mai finita.
23 luglio 1981
IL SUPERSTITE
a B. V.
Since then, at an uncertain hour,
Dopo di allora, ad ora incerta,
Quella pena ritorna,
E se non trova chi lo ascolti
Gli brucia in petto il cuore.
Rivede i visi dei suoi compagni
Lividi nella prima luce,
Grigi di polvere di cemento,
Indistinti per nebbia,
Tinti di morte nei sonni inquieti:
A notte menano le mascelle
Sotto la mora greve dei sogni
Masticando una rapa che non c’è.
“Indietro, via di qui, gente sommersa,
Andate. Non ho soppiantato nessuno,
Non ho usurpato il pane di nessuno,
Nessuno è morto in vece mia. Nessuno.
Ritornate alla vostra nebbia.
Non è colpa mia se vivo e respiro
E mangio e bevo e dormo e vesto panni”.
4 febbraio 1984
CANTO DEI MORTI INVANO
Sedete e contrattate
A vostra voglia, vecchie volpi argentate.
Vi mureremo in un palazzo splendido
Con cibo, vino, buoni letti e buon fuoco
Purché trattiate e contrattiate
Le vite dei vostri figli e le vostre.
Che tutta la sapienza del creato
Converga a benedire le vostre menti
E vi guidi nel labirinto.
Ma fuori al freddo vi aspetteremo noi,
L’esercito dei morti invano,
Noi della Marna e di Montecassino
Di Treblinka, di Dresda e di Hiroshima:
E saranno con noi
I lebbrosi e i tracomatosi,
Gli scomparsi di Buenos Aires,
I morti di Cambogia e i morituri d’Etiopia,
I patteggiati di Praga,
Gli esangui di Calcutta,
Gl’innocenti straziati a Bologna,
Guai a voi se uscirete discordi:
Sarete stretti dal nostro abbraccio.
Siamo invincibili perché siamo i vinti.
Invulnerabili perché già spenti:
Noi ridiamo dei vostri missili.
Sedete e contrattate
Finché la lingua vi si secchi:
Se dureranno il danno e la vergogna
Vi annegheremo nella nostra putredine.
14 gennaio 1985
(purtroppo il danno e la vergogna durano, mio povero Primo…)
Ad ora incerta raccoglie sessantatré poesie e dieci traduzioni. Le poesie coprono un arco di quarant’anni, dal 1943 (Crescenzago) al 1984, quando Levi usava pubblicarle sulle pagine culturali del quotidiano torinese «La Stampa».
Primo Levi -Poesie
Ritroviamo nel volume le poesie scritte a caldo dopo Auschwitz, riarse da quell’esperienza, e poi, più avanti nel tempo, i testi ispirati a una vena didascalico-morale rara nel Novecento italiano. Qui di seguito diamo la premessa scritta da Levi per il suo libro.
«In tutte le civiltà, anche in quelle ancora senza scrittura, molti, illustri e oscuri, provano il bisogno di esprimersi in versi, e vi soggiacciono: secernono quindi materia poetica, indirizzata a se stessi, al loro prossimo o all’universo, robusta o esangue, eterna o effimera. La poesia è nata certamente prima della prosa. Chi non ha mai scritto versi?
Uomo sono. Anch’io, ad intervalli irregolari, «ad ora incerta», ho ceduto alla spinta: a quanto pare, è inscritta nel nostro patrimonio genetico. In alcuni momenti, la poesia mi è sembrata più idonea della prosa per trasmettere un’idea o un’immagine. Non so dire perché, e non me ne sono mai preoccupato: conosco male le teorie della poetica, leggo poca poesia altrui, non credo alla sacertà dell’arte, e neppure credo che questi miei versi siano eccellenti. Posso solo assicurare l’eventuale lettore che in rari istanti (in media, non più di una volta all’anno) singoli stimoli hanno assunto naturaliter una certa forma, che la mia metà razionale continua a considerare innaturale.
Primo Levi»
Introduzione di Primo Levi alla prima edizione Garzanti 1984, collana «Poesie».
La poesia di Levi ragiona, descrive (animali, soprattutto), gioca con le parole, si lancia verso geografie lontane e verso storie sprofondate nel mito. Gli esercizi di traduzione riguardano un anonimo scozzese del Seicento, Rudyard Kipling e soprattutto – otto testi su dieci – Heinrich Heine: versioni, come dice lo stesso autore, «più musicali che filologiche, e piuttosto divertimenti che opere professionali». A seguire un brano critico del poeta Giovanni Raboni.
«[…] a me sembra che la scrittura poetica di Levi abbia, sin dall’inizio […], lo stesso solenne acume morale, la stessa forza di memoria, ammonimento e pietà, che rendono così sostanziosa, così giusta, così naturalmente memorabile la sua prosa. […] In Levi lo scatto, l’impulso iniziale di ogni singola poesia […] nasce dalla ragione, dalla lettura morale della realtà, da quella capacità di capire la propria sofferenza e di vivere la propria indignazione come patrimonio comune a tutti gli uomini, che formano la peculiarità e oserei dire l’insostituibilità della sua prosa».
Giovanni Raboni, Primo Levi un poeta vero ad ora incerta, «La Stampa», 17 novembre 1984, poi nell’antologia critica che chiude l’edizione economica di Ad ora incerta, Garzanti, Milano 1990.
Ad ora incerta vinse nel 1985 il Premio Abetone della Provincia di Pistoia e il Premio nazionale Giosué Carducci di Pietrasanta. Per sottile ironia, il penultimo testo della raccolta, Pio, consiste in un rovesciamento parodico della celebre Il bove di Carducci
Primo Levi –
Primo Lèvi, scrittore ebreo italiano (Torino 1919-1987), giunse alla letteratura attraverso la tragica esperienza vissuta nei lager che lo segnò fino al punto di diventare per lui un’ossessione che lo portò dopo tanti anni al suicidio. Il racconto delle traversie subite ad Auschwitz è consegnato a Se questo è un uomo (1947), denuncia della tragica e subumana vita nel lager. Dopo la raffinata e complessa raccolta di racconti Lilit e altri racconti (1981), ebbe un grande successo con Se non ora, quando? (1982, premio Viareggio e premio Campiello) in cui narra, in chiave epica e picaresca, l’epopea di un gruppo di partigiani dalla Russia a Milano.
Nato il 31 luglio del 1919 a Torino, da genitori di religione ebraica, Primo Levi si diploma nel 1937 al liceo classico Massimo D’Azeglio e si iscrive al corso di laurea in chimica presso la facoltà di Scienze dell’Università di Torino. Nel ’38, con le leggi razziali, si istituzionalizza la discriminazione contro gli ebrei, cui è vietato l’accesso alla scuola pubblica. Levi, in regola con gli esami, ha notevoli difficoltà nella ricerca di un relatore per la sua tesi: si laurea nel 1941, a pieni voti e con lode, ma con una tesi in Fisica. Sul diploma di laurea figura la precisazione: «di razza ebraica». Comincia così la sua carriera di chimico, che lo porta a vivere a Milano, fino all’occupazione tedesca: il 13 dicembre del ’43 viene catturato a Brusson e successivamente trasferito al campo di raccolta di Fossoli, dove comincia la sua odissea. Nel giro di poco tempo, infatti, il campo viene preso in gestione dai tedeschi, che convogliano tutti i prigionieri ad Auschwitz.
È il 22 febbraio del ’44: data che nella vita di Levi segna il confine tra un “prima” e un “dopo”.
«Avevamo appreso con sollievo la nostra destinazione. Auschwitz: un nome privo di significato, allora e per noi» (P. Levi, Se questo è un uomo, Einaudi 1998, p. 15).
In fretta e sommariamente viene effettuata una vera e propria selezione: «In meno di dieci minuti tutti noi uomini validi fummo radunati in gruppo. Quello che accadde degli altri, delle donne, dei bambini, dei vecchi, noi non potemmo stabilire allora né dopo: la notte li inghiottì, puramente e semplicemente» (Op. cit., p. 17).
L’autore è deportato a Monowitz, vicino Auschwitz, in un campo di lavoro i cui prigionieri sono al servizio di una fabbrica di gomma. Al lager, persi nei loro pensieri, presi da mille domande, da ipotesi continue che per quanto catastrofiche, non si avvicinano neanche lontanamente alla verità, si ritrovano ,in pochissimo tempo, rasati, tosati, disinfettati e vestiti con pantaloni e giacche a righe. Su ogni casacca c’è un numero cucito sul petto. I prigionieri vengono marchiati come bestie. Il loro compito: lavorare, mangiare, dormire, OBBEDIRE. Il loro intento: sopravvivere. Dietro quel numero non c’è più un uomo, ma solo un oggetto: häftling, cioè “pezzo”. Se funziona, va avanti. Se si rompe, è gettato via.
“Se questo è un uomo” di PRIMO LEVI
Levi è l’häftling 174517. Funzionante.
Primo Levi è tra i pochissimi a far ritorno dai campi di concentramento. Ci riesce fortunosamente, grazie a una serie di circostanze e solo dopo un lungo girovagare nei Paesi dell’est.
Quale testimone di tante assurdità, sente il dovere di raccontare, descrivere l’indescrivibile, affinchè tutti sappiano, tutti si domandino un perché, tutti interroghino la propria coscienza: comincia a scrivere, elaborando così il suo dolore, il suo annientamento, il suo avventuroso ritorno a casa. Nel ’47, rifiutato dalla Einaudi, il manoscritto Se questo è un uomo è pubblicato dalla De Silva editrice.
Il libro ottiene un discreto successo di critica ma non di vendita. Solo nel ’56 la Einaudi comincia a pubblicare tutti i suoi lavori: Se questo è un uomo è tradotto in diverse lingue, La Tregua vince la prima edizione del Premio Campiello. Nel ’67 raccoglie i suoi racconti in un volume intitolato Storie naturali adottando lo pseudonimo di Damiano Malabaila. Nel ’71 esce Vizio di forma, nuova serie di racconti e nel ’78 La chiave a stella che vince il Premio Strega. Nel ’81 viene edita un’antologia personale dal titolo La ricerca delle radici nella quale sono raccolti tutti gli autori che hanno contato nella formazione culturale dell’autore. Nel novembre dello stesso anno esce Lilìt e altri racconti e l’anno successivo Se non ora quando? che vince il Premio Viareggio e il Premio Campiello.
“Se questo è un uomo” di PRIMO LEVI
Nel frattempo Levi lavora anche come traduttore. Nell’ottobre del ’84 pubblica Ad ora incerta e a dicembre Dialogo in cui riporta una conversazione avuta con il fisico Tullio Regge. Nel novembre dello stesso anno esce l’edizione americana del Sistema periodico e nel gennaio del ’85 una cinquantina di scritti pubblicati precedentemente su diverse testate, raccolti in un volume unico intitolato L’altrui mestiere. Nel 1986 pubblica I sommersi e i salvati.
L’ 11 Aprile 1987, in un periodo di depressione, ancora tormentato dai ricordi di Auschwitz, Primo Levi muore suicida nella sua casa di Torino. Dirà di lui Claudio Toscani: «L’ultimo appello di Primo Levi non dice non dimenticatemi, bensì non dimenticate».
Roma-alla galleria Edarcom Europa la “Collettiva di Primavera 2025”-
Roma- Torna l’appuntamento con la mostra mercato dedicata agli artisti presenti nel catalogo della galleria Edarcom Europa.- Dopo il record di visite dell’edizione 2024, in occasione del cinquantesimo anno di attività, torna l’atteso appuntamento con la Collettiva di Primavera, la storica mostra mercato dedicata alle opere di tutti gli artisti presenti nel catalogo della galleria d’arte Edarcom Europa, storica realtà romana fondata nel 1974 da Gianfranco Ciaffi e dal 2021 diretta dal figlio Francesco.
galleria Edarcom Europa la “Collettiva di Primavera 2025”
Quest’anno l’inaugurazione si terrà nei giorni di venerdì 28, sabato 29 e domenica 30 marzo: come da tradizione, un lungo weekend con la straordinaria apertura domenicale per poter accogliere tutti gli appassionati e i curiosi che vorranno immergersi tra le oltre 400 opere in mostra negli spazi espositivi di via Macedonia 12 e 16 a Roma.
In tutti gli ambienti della galleria sarà possibile visionare dipinti, sculture, litografie, serigrafie e incisioni degli oltre 40 artisti in catalogo. I nomi storici di importanti autori del ‘900 verranno affiancati da selezionati interpreti contemporanei già ampiamente apprezzati in Italia e all’estero.
galleria Edarcom Europa la “Collettiva di Primavera 2025”
galleria Edarcom Europa la “Collettiva di Primavera 2025”
galleria Edarcom Europa la “Collettiva di Primavera 2025”
Inoltre, a rendere ancora più interessante la visita durante il weekend inaugurale saranno le condizioni estremamente vantaggiose che verranno proposte a chi vorrà valutare l’acquisto di una o più opere. Su tutto il catalogo infatti, verranno applicati i seguenti sconti straordinari:
20% in caso di pagamento in unica soluzione
10% in caso di pagamento rateale fino a 24 mesi
Per avere un’ampia, seppur parziale, anteprima delle opere in mostra si può visitare il sito www.edarcom.it, un grande shop online facilmente consultabile per scoprire tecniche, misure e prezzi indicati in modo trasparente e accessibile. Ovviamente le straordinarie condizioni di sconto sono valide anche per gli acquisti online con il codice sconto PRIMAVERA25.
OPERE DI: Ugo Attardi, Giuseppe Barilaro, Enrico Benaglia, Franz Borghese, Ennio Calabria, Angelo Camerino, Claudio Caporaso, Michele Cascella, Tommaso Cascella, Giuseppe Cesetti, Angelo Colagrossi, Roberta Correnti, Marta Czok, Luca Dall’Olio, Mario Ferrante, Salvatore Fiume, Franco Fortunato, Felicita Frai, Franco Gentilini, Gianpistone, Emilio Greco, Renato Guttuso, Franco Marzilli, Piero Mascetti, Maurizio Massi, Renzo Meschis, Francesco Messina, Mauro Molle, Norberto, Sigfrido Oliva, Ernesto Piccolo, Giorgio Prati, Domenico Purificato, Aldo Riso, Carlo Roselli, Sebastiano Sanguigni, Aligi Sassu, Cynthia Segato, Mariarosaria Stigliano, Orfeo Tamburi, Lino Tardia, Renzo Vespignani.
galleria Edarcom Europa la “Collettiva di Primavera 2025”
galleria Edarcom Europa la “Collettiva di Primavera 2025”
galleria Edarcom Europa la “Collettiva di Primavera 2025”
INFORMAZIONI
MOSTRA: Collettiva di Primavera 2025
PERIODO: 28 marzo – 19 aprile 2025
INDIRIZZO: Via Macedonia 12, Roma (San Giovanni – Appio Latino)
INAUGURAZIONE MOSTRA: Venerdì 28, Sabato 29 e Domenica 30 Marzo ore 10:30/13:00 e 15:30/19:30
ORARIO MOSTRA: da lunedì a sabato ore 10:30/13:00 e 15:30/19:30
INGRESSO MOSTRA: Libero
INFO: 06.7802620 – www.edarcom.it
Roma-Galleria Nazionale d’Arte Modernae Contemporanea -Lo spazio dell’immagine. Pino Pascali-
Roma-La Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma promuove, in collaborazione con la Fondazione Pino Pascali e con la cura e l’organizzazione di Electa e Fondazione Fondamenta, un programma di quattro incontri dal titolo “Lo spazio dell’immagine. Pino Pascali”.Gli incontri, ad ingresso libero fino a esaurimento posti, si svolgono nella Sala delle Colonne alle ore 11 delle domeniche 30 marzo, 13 e 27 aprile, 11 maggio 2025.L’occasione è data dalla mostra “Pino Pascali, Toti Scialoja. Confluenze” in corso a Bari, al Teatro Kursaal Santa Lucia fino al 4 maggio 2025 a cura di Federica Boragina ed Eloisa Morra con Antonio Frugis.Pascali e Scialoja si conoscono nelle aule dell’Accademia di Belle Arti di Roma in via Ripetta, dove l’artista pugliese si iscrive nel 1955 e dove Scialoja è il titolare del corso di scenotecnica, tra i docenti meno accademici e più apprezzati. A questa altezza cronologica Scialoja è un artista già noto e affermato, in contatto con il panorama artistico internazionale e invita i suoi giovani allievi a sperimentare senza riserve nonché a confrontarsi con i linguaggi contemporanei. Pascali, poco più che ventenne, è fra gli allievi più ricettivi e dalla frequentazione delle lezioni di Scialoja derivano visioni inaspettate e cariche di vitalità, specchio di quell’irrequieta fascinazione per la materia ereditata dal suo maestro.L’esposizione di Bari segna il primo appuntamento di una sinergia integrata tra Fondazione Pascali, Regione Puglia ed Electa, nell’intento di promuovere un palinsesto di iniziative per la valorizzazione della figura di Pino Pascali, in relazione agli artisti che lo hanno ispirato o con cui ha collaborato, ed è realizzata con la partecipazione della Fondazione Toti Scialoja di Roma. La Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma si innesta in questo quadro di manifestazioni, poiché conta un importante nucleo di opere di Pino Pascali, oltre ad annoverare opere degli artisti di cui il programma “Lo spazio all’immagine” – nome che omaggia una delle grandi esposizioni di arte contemporanea del Novecento italiano, nella quale furono radunate opere originali di Lucio Fontana, Pino Pascali, Mario Ceroli, Michelangelo Pistoletto e molti altri, accompagnate da voci critiche d’autore quali quelle di Gillo Dorfles, Lara-Vinca Masini, Palma Bucarelli, Germano Celant – sostiene le tangenze con Pascali, protagonista di questi appuntamenti.
Roma-Galleria Nazionale d’Arte Moderna
PROGRAMMA
☞ Domenica 30 marzo ore 11 Toti Scialoja e Pino Pascali: confluenze e contrappunti Incontro con Federica Boragina,
Antonio Frugis, Arnaldo Colasanti
A partire dalla mostra in corso a Bari “Pino Pascali, Toti Scialoja. Confluenze” l’incontro con la curatrice della mostra Federica Boragina e con Antonio Frugis, coordinatore e curatore della Fondazione Pascali, e Arnaldo Colasanti, presidente della Fondazione Scialoja, restituisce il dialogo personale e artistico fra due assoluti protagonisti delle vicende artistiche italiane degli anni cinquanta e sessanta, Pino Pascali (1935-1968) e Toti Scialoja (1914-1998), rintracciando le sperimentazioni nate da ispirazioni condivise e rendendo tangibile una sorprendente serie di corrispondenze tra temi, processi e immaginari.
☞ Domenica 13 aprile ore 11 Altranatura, oltre natura. Paradigmi nell’arte di Leoncillo Leonardi e Pino Pascali
Incontro con Martina Rossi e Antonio Frugis
Martina Rossi, ricercatrice presso la Sapienza Università di Roma, dialoga con Antonio Frugis, coordinatore e curatore della Fondazione Pascali. Leoncillo (1915 – 1968) e Pascali (1935-1968), sebbene diversi per generazione e stile espressivo, presentano delle forti analogie che in questo contesto vengono messe in luce. In particolare, sono riusciti a liberare la scultura dalle collocazioni ordinarie delle tre dimensioni, quelle usuali e inevitabili. Hanno segnato entrambi i confini estremi di uno stesso territorio, le due frontiere più lontane di un identico impero, quello della scultura.
☞ Domenica 27 aprile ore 11 «Vedova blu». Pino Pascali in dialogo con Carlo Levi ed Ernesto de Martino
Incontro con Michele Dantini
Michele Dantini, professore ordinario di Storia dell’arte contemporanea all’Università per Stranieri di Perugia, muove dalla scultura-installazione Vedova blu, conservata al mumok – Museo di Arte Moderna di Vienna, come esempio del particolare “meridionalismo” di Pascali: essa contiene molteplici rinvii al “mondo magico” di Carlo Levi ed Ernesto de Martino.
☞ Domenica 11 maggio Pino Pascali. Pensare (e disegnare) la scultura di Pascali
Incontro con Marco Tonelli
Seppure Pascali non intendeva il disegno come pratica autonoma dalla scultura, ha però lasciato, in un taccuino di annotazioni e in fogli sparsi, numerosi schizzi di idee per sculture, con progetti di opere effettivamente realizzate o da realizzarsi, se non fosse tragicamente morto di lì a poco. Marco Tonelli, docente di Storia dell’Arte Contemporanea presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia e anche membro della Fondazione Museo Pino Pascali di Polignano a Mare, parla di questi disegni che costituiscono una esemplare radiografia del suo modo di pensare l’opera e di immaginarla “già fatta”, esaltando le sue doti costruttive e la sua proverbiale velocità di esecuzione, sintomo di vitalità, ansia creativa e desiderio di “non essere mai identico a sé stesso”.
***
Pino Pascali (1935-1968) è protagonista di una carriera breve e folgorante. Diplomato all’Accademia di Belle Arti di Roma nel 1959, lavora con successo come scenografo, realizzando bozzetti, disegni e “corti” per “Carosello” e altre trasmissioni tv. Nel 1965 ha la sua prima personale a Roma presso la galleria “La Tartaruga” e, in soli tre anni è riconosciuto dai maggior critici d’arte e da galleristi d’avanguardia. Nel 1968 partecipa con una sala personale alla XXXIV Biennale di Venezia, ma nell’ottobre dello stesso anno, muore prematuramente in un tragico incidente. Scultore, scenografo, performer, Pascali ha saputo coniugare in modo geniale e creativo forme primarie e mitiche della cultura e della natura mediterranee con le forme infantili e ironiche del gioco, precorrendo l’Arte Povera, la Body Art, l’arte concettuale degli anni settanta.
Info pubblico Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea Roma, Viale delle Belle Arti, 131
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Roma- Canova 22 inaugura la mostra “La linea che appare” di Alfonso Maria Isonzo-
Roma- Canova 22 inaugura la mostra “La linea che appare” di Alfonso Maria Isonzo. “La contemporaneità è un luogo di solitudine e alienazione; l’umanità, resa miope dalla voracità del capitalismo, ha trasformato “l’uomo in una macchina impersonale di godimento” (P.P. Pasolini); i falsi miti del progresso hanno spinto alla deriva intere generazioni che sembrano aver smarrito il proprio orizzonte, incapaci di visione e aspettative per il futuro. L’orizzonte, dal greco horizōn (cerchio che delimita), è la linea apparente che separa la terra dal cielo, è il limite metaforico della prospettiva che si presenta all’agire umano, raffigura la dimensione più estrema a cui può spingersi lo sguardo. Scrutare l’orizzonte, ambire a superare i propri confini, è una pulsione naturale dell’uomo che l’arte può stimolare e riproporre con il suo sguardo di verità soffuso di poesia per dare voce alle inquietudini e ai desideri. Nell’opera di Alfonso Maria Isonzo lo sguardo verso quella linea evanescente che separa la Terra visibile da quella invisibile, si traduce nell’ostinata ricerca di un approdo all’ignoto, a quel precario bagliore che è l’essenza del desiderio di infinito che muove gli esseri umani. Le sue opere sembrano linee di confine sospese tra reale e immaginario, paesaggi arcani realizzati in ferro e cemento in cui si addensano objets trouvés, frammenti di memorie che rivelano indizi essenziali per ricostruire le trame narrative della loro genesi. Assemblage di forme differenti (tavole quadrate, sculture lineari, gocce) in cui oggetti dispersi, scarti e cascami da lavorazioni artigianali e industriali, sono testimonianze del tempo che scorre per catturare lo sguardo di chi può restituirgli senso e speranza. Il frammento, il rudere e la rovina richiedono la partecipazione e il coinvolgimento dello spettatore che ne possa immaginare una definizione, una compiutezza. È la poetica del frammento che utilizza l’impressione invece del racconto, la folgorazione del vuoto invece del pieno, il rigore dei silenzi contro i rumori, l’immaginazione e non la cruda realtà. Ogni opera traccia spazi indefiniti sciogliendosi in una forma di astrazione che rivendica la piena libertà dell’artista, del suo gesto creativo che elabora racconti per immagini, storie in cui memorie e prospettive si perdono nelle linee del tempo compiendo suggestive metamorfosi. L’artista cita Kounellis “Ricerco nei frammenti la storia dispersa” poiché rimandano alla condizione umana infranta e traumatizzata, allo smarrimento del senso del sacro. L’opera centrale della mostra, l’installazione dal titolo “Calvario contemporaneo”, ricorda l’esperienza umanissima del Cristo, figlio dell’Uomo,nel momento della sua crocefissione, nello smarrimento difronte al suo destino mortale. La linea di orizzonte che l’opera proietta sulla volta della Fornace disegna il profilo del Golgota (o anche Collina di Adamo) evoca la sua dissoluzione, la sua assenza fisica. La potenza dell’installazione è amplificata da una sonorizzazione realizzata espressamente dal musicista Francesco Ziello per rendere la visione ancora più coinvolgente e suggestiva. Il pubblico è stimolato a guardare oltre la linea apparente, per superare i propri confini ed aprirsi alla conoscenza che si espande nella bellezza all’infinito. (L.Fusco)
Roma- Canova 22 la mostra “La linea che appare” di Alfonso Maria Isonzo
Biografia ALFONSO MARIA ISONZO (AMI)è nato nel’63 a Torre Annunziata. Diplomatosi in fotografia a Roma, dove attualmente vive e lavora, nei primi anni collabora con il padre anch’egli fotografo nel corpo diplomatico di varie ambasciate sia presso il Quirinale che la Santa Sede. Dal 1986 gestisce un proprio studio fotografico dove, per alcuni anni, intraprende una intensa ricerca nell’ambito del fotomontaggio, che lo porterà per lungo tempo ad occuparsi di collage nelle sue varie forme, partecipando a molteplici mostre personali e collettive anche all’estero. A partire dal ’93 si interessa al Design. Nello stesso anno realizza una mostra personale all’Officina Romana del Disegno, con presentazione dell’arch. Paolo Portoghesi. Nel 1998 avvia un laboratorio artigianale di complementi d’arredo disegnati da lui, in collaborazione con architetti e arredatori famosi, partecipando ad alcune edizioni di Casaidea presso la Fiera di Roma nell’ambito della sezione “Officina delle Arti”. Partecipa anche a diverse edizioni del Gift di Firenze, Macef, Salone del Mobile di Milano, Abitare il Tempo di Verona. Avvia la produzione di oggetti artistici da arredo come lampade, sospensioni, quadri luminosi per diversi showrooms, tra i quali Roche Bobois di Roma, Napoli, Salerno, Firenze, Loto Design di Francesco Paternò, Area G 100% Design, le Proposte, Aveses, la Sinopia e tanti altri. Nel 2005 la svolta che lo farà approdare definitivamente alla ricerca artistica con la realizzazione di opere pittorico scultoree incentrate sulle relazioni tra materia, luce e movimento. Partecipa a numerose mostre collettive e personali in spazi privati ed istituzionali tra cui ricordiamo Palazzo delle Esposizioni, Fondazione Volume!, Casa dell’Architettura, Porti Imperiali di Claudio e Traiano, MACRO. Sue opere sono presenti in collezioni private nonché al MAAM Museo dell’Altro e dell’Altrove di Roma e al DIF Museo Diffuso di Formello. Via Antonio Canova, 22 00186, Roma www.canova22.it – canova22press@gmail.com
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