Articolo scritto per la Rivista PAN n°8 del 1935 diretta da Ugo Ojetti
Rivista Pan (sottotitolo: «Rassegna di lettere, arte e musica») fu una rivista di lettere, arte e musica, fondata da Ugo Ojetti nel 1933.
Descrizione
La rivista professava un sollecito ossequio a tutte le forme del regime, condivideva gli obiettivi di grandezza nazionale e di ordine nuovo da instaurare nella società italiana e dava il suo pieno consenso ai miti della civiltà latino-mediterranea e del fascismo universale.
Redatta da Giuseppe De Robertis e dal giovane scrittore Guido Piovene per la milanese Rizzoli, Pan, rispetto alla rivista Pegaso che l’aveva preceduta, allarga gli orizzonti a interessi più ampi, spaziando dalla letteratura greca e latina, alla storia, alle arti figurative, secondo un ideale di Humanitas completamente antinovecentesco e filofascista che venne espresso nel numero del gennaio 1934 nell’Avvertenza al lettore.
L’allineamento al regime di Pan passa dai contributi dell’architetto ufficiale del regime Marcello Piacentini e del compositore Ildebrando Pizzetti, alle adulazioni di Ojetti che nel suo articolo Scritti e discorsi di Benito Mussolini, febbraio 1935, ne esalta l’oratoria e altre virtù.
Per quanto riguarda la musica classicistica e antiavanguardista, Mario Labroca esalta la “ricchezza ritmica, chiarezza, logicità di linguaggio” dello stile musicale di Stravinskij.
A parte le specializzazioni differenti, le due riviste di Ojetti sono sostanzialmente simili. Pan terminerà le pubblicazioni nel 1935.
Descrizione del libro di Lu Xun -Celebrato libro come il massimo scrittore cinese del Novecento e fra i creatori della lingua scritta contemporanea, Lu Xun è il più rappresentativo fra gli uomini colti che si riconoscono nella rivoluzione popolare. La presente raccolta costituisce un condensato della sua estesa produzione saggistica (sedici volumi di saggi e discorsi) e comprende testi scritti fra il 1918 e il 1936, anno della sua morte. I testi si situano in un periodo di profonde trasformazioni: la modernizzazione della società, la nuova centralità politica delle masse contadine e l’avanzare della rivoluzione socialista. Legati al tempo e all’occasione quotidiana (il trasformarsi dell’istituzione familiare, una descrizione di Shangai, il teatro moderno, i costumi sessuali, l’avvento della fotografia…), fanno emergere le contraddizioni fra realtà privata e condizione storica, fra l’esigenza immediata di felicità e la lotta sanguinosa «per il futuro», fra tradizione e distruzione, tipicità cinese e dimensione universale. Non solo, dunque, questi scritti sono un viatico prezioso per comprendere l’evoluzione della Cina nel Novecento; nella loro acutezza, essi acquistano altresì un’ampiezza di significato che va oltre i confini di un paese e di un periodo determinato: è nella contraddittorietà della vita, nella miseria, nell’oscurità di un mondo che cambia, che si definisce il rapporto reale tra la modernità e la tradizione cinese, per cui questa può rimanere viva solo a misura che se ne distrugga il dominio, solo nel dare a sé e alle cose nuova forma.
Indice
«Salvae i bambini» di Edoarda Masi
Nota biografica
Nota biobibliografica
Nota sulla pronuncia
Tavola cronologica sulle dinastie cinesi
La mia opinione sulla castità – Come oggi essere padri – Che cosa accade dopo che Nora se ne è andata – Prima che arrivi il genio – Il crollo della pagoda di Leifeng – Fotografie – I nemici della poesia – Il proposito di sacrificarsi – Note scritte sotto la lampada – A proposito di «Di sua madre!» – Del guardar le cose a occhi aperti – Lo «studio dei classici» del quattordicesimo anno – Di come si debba rimandare il fair play – Rose senza fiori – Rose senza fiori II – In memoria della signorina Liu Hezhen – Rose senza fiori III – Cina muta – Breve saggio sulla faccia dei cinesi – La letteratura di un’epoca rivoluzionaria – Qualche chiacchiera sulla lettura – Risposta al signor Youheng – Come scrivere – Noterelle – Sulla classe intellettuale – Sulla torre – Divergenza di letteratura e politica – Letteratura e rivoluzione – Scambio di lettere – Opinioni sulla nuova letteratura di oggi – La non rivoluzionaria fretta di rivoluzione – Opinioni sulla Lega degli scrittori di sinistra – Lo stato attuale del mondo letterario nell’oscura Cina – Compiti e destino della «letteratura nazionalista» – Sul soggetto nella narrativa. Lettera – Evviva i «lavoratori intellettuali» – Ricordo per dimenticare – Dalla satira allo humour – Dal piede delle donne cinesi si induce che i cinesi mancano al giusto mezzo. E da ciò si induce che Confucio aveva una malattia – Come cominciai a scrivere racconti – Ode alla notte – Ragazze di Shanghai – Passeggiata in una sera d’autunno – Su due o tre cose cinesi – Su delle fotografie di bambino – Che strano! – Che strano! II – Chiacchiere di un profano sulla scrittura – Caratteri cinesi e latinizzazione – Confucio nella Cina moderna – Su Dostoevskij – A proposito del nostro movimento letterario oggi – Risposta a Xu Mouyong e sul fronte unito antigiapponese – «Anche questa è vita»… – Morte
Indice storico
Indice dei nomi non cinesi
L’autore Lu Xun
Lu Xun, pseudonimo di Zhou Shuren (Shaoxing, Zhejiang, 1881 – Shanghai, 1936) narratore e poeta, saggista e critico letterario, è considerato il padre della letteratura cinese contemporanea, il primo ad aver scritto un racconto (Il diario di un pazzo) in cinese moderno, attingendo largamente dalla lingua parlata. Tra le sue opere ricordiamo Alle armi (1923), Errare incerto (1926), Storie rivisitate (1935). Oltre alla Falsa libertà, Quodlibet ha pubblicato Erbe selvatiche (2003), una raccolta di brevi testi riconducibili al sanwen, uno dei numerosi sottogeneri della vastissima tradizione letteraria cinese, al confine tra la prosa e la lirica.
Quodlibet srl via Giuseppe e Bartolomeo Mozzi 23 62100 Macerata tel. +39 0733 26 49 65 / fax 0733 26 73 58
Sede di Roma: via di Monte Fiore, 34 00153 Roma tel. +39 06 5803683 / 06 5809672
Premessa di Gennaro Carastiglia: sono tra coloro che ritengono che il Nobel per la letteratura ad Han Kang si assolutamente meritato. Inutile proseguire la lettura se si è già convinti del contrario.
Probabilmente per me questo è il romanzo più bello tra quelli fin qui tradotti in italiano (o inglese). Molto breve ma denso, esplora temi profondi come la perdita, la solitudine, e la ricerca dell’identità. È del 2011 anche se qui da noi è arrivato appena l’anno scorso. Un viaggio introspettivo in cui due persone, apparentemente molto diverse, si incontrano e si comprendono attraverso la condivisione di un dolore nascosto e silenzioso.
Lei, Hanja, dopo aver vissuto un periodo di intensa sofferenza, ha trovato il silenzio come rifugio: non parlare, più che una scelta volontaria, è una reazione istintiva e fisiologica alla sua sofferenza. Le parole per lei si sono trasformate in strumenti di dolore, tanto che la voce stessa le sembra ormai qualcosa di estraneo. Dopo in matrimonio fallito e la perdita di custodia del figlio, persa anche la madre le sembra di aver ormai perso qualsiasi contatto con la propria identità e il mondo che la circonda. Come via di fuga da questo dolore, inizia a seguire lezioni di greco antico, una lingua che per lei diventa una sorta di “nuovo inizio”, poiché le consente di esprimere e riscoprire sé stessa senza le ferite che l’uso della lingua madre le provoca.
È così che la sua vita incrocia il suo insegnante di greco, un uomo non vedente che vive anche lui un’esistenza profondamente segnata dalla perdita. Per lui la cecità ha rappresentato un graduale distacco dal mondo, ma nonostante le difficoltà quotidiane ha imparato a navigare attraverso questo vuoto grazie all’amore per le parole e per la letteratura. Egli usa il greco come strumento per mantenere un legame con il mondo esterno e per dare un senso al proprio passato.
Attraverso questo incontro tra la donna e il suo insegnante, Han Kang esplora l’intimità della comunicazione e del linguaggio come mezzo di guarigione. Entrambi i protagonisti sono segnati da ferite invisibili e trovano nella lingua greca un terreno neutrale in cui potersi esprimere senza il peso delle loro storie personali. Il greco antico diventa simbolo di un viaggio interiore, che permette loro di riconoscere il proprio dolore e, in qualche modo, di riappropriarsi delle proprie vite.
Han Kang utilizza una prosa poetica e riflessiva per approfondire i sentimenti complessi dei protagonisti. La narrazione alterna i punti di vista della donna e dell’insegnante, e attraverso le loro prospettive frammentate il lettore è invitato a riflettere sul significato dell’empatia, della perdita, e della redenzione. I dialoghi sono ridotti al minimo, quasi come se l’autrice volesse rispettare il silenzio che i due protagonisti sembrano cercare.
In sostanza, un romanzo che parla di sopravvivenza emotiva. Attraverso la storia dei protagonisti, Han Kang esplora la possibilità di trovare una via d’uscita dal dolore e dalla perdita senza negare le proprie ferite. La lingua greca diventa metafora del processo di auto-ricostruzione, una lingua che, con le sue radici antiche, permette ai personaggi di esprimere sentimenti che sembravano impossibili da comunicare.
Un delicatissimo racconto di Han Kang, che con la sua scrittura minimalista invita alla riflessione sulla complessità dell’animo umano, sul ruolo del linguaggio, e sulla possibilità di una rinascita anche nei momenti più bui. Leggetelo solo se questi temi vi appassionano. Diversamente state andando incontro a una delusione.
Figlia dello scrittore Han Seung-won[2], è nata a Gwangju il 27 novembre 1970. Dopo gli studi all’Università Yonsei di Seul (letteratura coreana)[3], esordisce pubblicando una serie di cinque poesie nella rivista coreana Letteratura e società[4] nel 1993.[5] L’anno successivo esce il suo primo romanzo[6] al quale ne seguiranno altri cinque. Dal 2013 insegna scrittura creativa al Seoul Institute of the Arts[7].
Il 25 maggio 2019 ha consegnato un suo manoscritto inedito intitolato Dear Son, My Beloved alla Biblioteca del futuro, un progetto artistico culturale ideato da Katie Paterson. Così come le altre opere di questa biblioteca anche il libro di Han verrà pubblicato e reso disponibile solo nel 2114, cento anni dopo l’avvio dell’iniziativa.[10]
Il 10 ottobre 2024 viene insignita del Premio Nobel per la letteratura, con la seguente motivazione: “per la sua intensa prosa poetica che affronta i traumi storici ed espone la fragilità della vita umana”[11][12], divenendo il primo rappresentante del suo Paese a vincere un Nobel in questa categoria[13].
사랑과, 사랑을 둘러싼 것들 (letteralmente L’amore e le cose che circondano l’amore), 2003.
가만가만 부르는 노래 (letteralmente Una canzone cantata sottovoce), Bichae, 2007. ISBN 9788992036276 Il libro include un CD musicale di 10 brani in veste di autrice e cantante di canzoni.[15]
Articolo di Oscar Nicodemo-Se non avete ancora letto “Il Maestro e Margherita”, opera postuma di Michail Bulgakov, è venuto il momento di farlo! Rendetevi disponibili, prego, per una lettura intensa quanto sorprendente e assurda. Diversamente, nel caso lo aveste già letto, spero che le mie parole, qui, in questo confidenziale e prezioso spazio, vi rimandino alla sua rilettura. A me è capitato di riprenderlo tra le mani dopo vent’anni dalla prima volta, chiedendomi cosa, esattamente, avessi letto, giacché non era del tutto svanito il ricordo di essere stato letteralmente rapito dall’esposizione di quelle pagine, così ben lavorate da raccordarsi con il genio dei grandi maestri dello spirito russo. Tradotto e pubblicato da Einaudi, nel 1968, a vent’otto anni dalla morte dell’autore, il libro viene recensito sul “Corriere della Sera” da Eugenio Montale, che definisce il romanzo “un miracolo che ognuno deve salutare con commozione”.
Il poeta italiano scrive: “Un romanzo-poema o, se volete, uno show in cui intervengono numerosissimi personaggi, un libro in cui un realismo quasi crudele si fonde o si mescola col più alto dei possibili temi – quello della Passione – non poteva essere concepito e svolto che da un cervello poeticamente allucinato. È qui che il poco noto Bulgakov si congiunge con la più profonda tradizione letteraria della sua terra: la vena messianica, quella che troviamo in certe figure di Gogol’ e di Dostoesvkij e in quel pazzo di Dio che è il quasi immancabile comprimario di ogni grande melodramma russo.”
Cosa dovremmo sapere, dunque, di un’opera che quasi tutti gli esperti metterebbero nella lista dei migliori libri di sempre? Non possiamo ignorare, per esempio, che Bulgakov iniziò a scriverla nel 1928 e che ne distrusse la prima versione, lavorando in seguito a diverse altre, fino ad arrivare, aiutato dalla moglie Elena, a quella definitiva del 1940, portata al termine poco prima di lasciare questo mondo.
Il tema della distruzione del romanzo viene ripreso anche dalla testimonianza della storia d’amore tra il Maestro e Margherita, un punto di forza irrinunciabile dell’intera vicenda narrata, ma non il solo. Cosa ci fa, infatti, il Diavolo a Mosca, nelle vesti di Woland, accompagnato da personaggi memorabili, tra cui il maggiordomo stravagante, Korov’ev, e il clownesco gatto sovrappeso, Begemont? Certamente, insieme, daranno luogo a un esilarante e sconvolgente mulinello di accadimenti che vi terranno fermi alle pagine mediante un racconto che procede su due piani: in uno si narrano le vicende che si susseguono a Mosca, nell’altro si sviluppa il romanzo scritto dal Maestro, ambientato durante la Pasqua, ai tempi di Ponzio Pilato e Gesù.
E qui il tema tra il bene e il male si complica a tal punto che la stessa distinzione tra buoni e cattivi non è affatto netta. Satana appare quasi benevolo e si prende gioco della mediocrità e della vacuità delle persone. Mentre, Margherita, nella sua grazia e bellezza, mostra il suo lato oscuro e distruttivo. Quanto, a Ponzio Pilato, lavandosi le mani non dissolve la sua fragilità e la solitudine.
Il testo sfoglia con maestria elementi bizzarri e surreali, che si mescolano con la denuncia politica e sociale, con la religione, la giustizia, l’amore, l’illusione e il potere. E come ogni grande classico, il capolavoro di Bulgakov ci lascia alle nostre domande e riflessioni, magari aprendoci la strada a qualche dubbio, ma nella certezza di aver letto un’opera intramontabile e senza tempo, che avrà sempre qualcosa da insegnare a ogni nuova generazione.
I lettori di ogni epoca potranno considerare come difronte a tanta sofferenza e ai diritti negati, i protagonisti di questa grande opera letteraria abbiano ancora voglia di fare cose folli e innamorarsi del rischio. Margherita è desiderosa di vita e avventura e non è al corrente dei particolari del suo viaggio: sa solo che quando arriverà alla meta, potrà finalmente chiedere pace e redenzione per lei e per l’uomo che ama. Pertanto, la donna si lancia nuda, in volo, fluttuando come in un quadro di Chagall, sulla città di Mosca e i suoi dintorni, tra boschi e un paesaggio lacustre.
Ilan Pappé-La prigione più grande del mondo-Storia dei territori occupati
Traduttore Michele Zurlo-Editore Fazi
Descrizione del libro di Ilan Pappé-Dopo la sua acclamata indagine sulla pulizia etnica della Palestina avvenuta negli anni Quaranta, il famoso storico israeliano Ilan Pappé rivolge l’attenzione all’annessione e all’occupazione della Striscia di Gaza e della Cisgiordania, esponendoci la prima critica globale relativa ai Territori Occupati palestinesi. Frutto di anni di ricerche, il nuovo lavoro di Pappé rappresenta probabilmente l’analisi più completa mai scritta sulla genesi dei Territori Occupati e sulla vita quotidiana all’interno di quella che l’autore definisce, appunto, «la prigione più grande del mondo». Pappé analizza la questione da molteplici punti di vista: attraverso l’analisi di materiali d’archivio recentemente declassificati, ricostruisce sotto una luce nuova le motivazioni e le strategie dei generali e dei politici israeliani – e lo stesso processo decisionale – che hanno gettato le basi dell’occupazione della Palestina; rivolgendo poi lo sguardo alle infrastrutture legali e burocratiche e ai meccanismi di sicurezza messi in atto dagli occupanti, rivela il modo in cui Israele è riuscito a imporre il suo controllo a oltre un milione di palestinesi; infine, attraverso i documenti delle ONG che lavorano sul campo e i resoconti di testimoni oculari, Pappé denuncia gli effetti brutalizzanti dell’occupazione, dall’abuso sistematico dei diritti umani e civili ai blocchi stradali, dagli arresti di massa alle perquisizioni domiciliari, dal trasferimento forzato degli abitanti autoctoni per far spazio ai coloni al famigerato muro che sta rapidamente trasformando anche la stessa Cisgiordania in una prigione a cielo aperto. Il libro di Pappé è al contempo un ritratto incisivo e commovente della quotidianità nei Territori Occupati e un accorato appello al mondo perché non chiuda gli occhi di fronte ai crimini contro l’umanità a cui è soggetta da più di settant’anni la popolazione indigena della Palestina.
«Pappé sostiene audacemente e in modo persuasivo di considerare i territori occupati come la “più grande prigione del mondo… Le conclusioni di Pappé non saranno accolte positivamente da tutti, ma questa storia dettagliata è rigorosamente supportata da fonti primarie». «Publishers Weekly»
«Ilan Pappé è lo storico più coraggioso, più rigoroso e più incisivo di Israele».
“In fil di trama”- è la nuova raccolta di poesie di Stefania Rabuffetti
Stefania Rabuffetti, in libreria per Castelvecchi Editore con una prefazione di Massimo Arcangeli-100 parole – una per poesia – concatenate una con l’altra a intessere una trama, come fa un ragno con la sua ragnatela. Non a caso, sono proprio questi i due vocaboli che aprono e chiudono l’antologia. I versi qui raccolti, esito di un’intensa indagine su di sé resa possibile da una lunga pratica poetica, abbracciano molteplici contrasti: vita/morte, nulla/tutto, prigione/libertà, pace/guerra, notte/giorno, sorriso/pianto, per citarne alcuni. Queste dicotomie sono fondanti della vita stessa e necessarie per una visione universale, che abbraccia il mondo, l’infinito e il tempo nella sua interezza, «ciò che non ha dimensione», e – spingendosi ancora più in alto – lo Spirito.
La raccolta è frutto di un richiamo irresistibile della poesia. Come spiega l’italianista Massimo Arcangeli nella prefazione: «Se la poesia ti detta dentro non puoi farci niente. La cerchi, e non sempre la trovi (e, se anche la trovi, non sempre ti ascolta), ma quando è lei a trovarti, stanandoti da infingimenti e paure, non puoi resisterle, sei costretto a riportarne le parole. Stefania Rabuffetti vive l’esperienza poetica in questa misura». L’atto di scrivere diventa quindi atto necessario, l’autrice ha bisogno in modo insaziabile della poesia per dar voce a se stessa e ritrovarsi. Nei suoi versi si incontra una fame sazia di parole, e ancora un’infinita voglia di lasciare traccia della vena creativa.
La ruota gira la mente si muove il pensiero respira germogliano parole la penna scivola sul foglio l’inchiostro scrive la poesia rivive.
La scrittura è, dunque, per la poetessa lo specchio dell’anima: riflette la sua irrequietudine e le sue debolezze, ma è anche testimone di una costante ricerca di senso e della volontà di seguire il filo che si intreccia con al vortice/labirinto della vita, in «un abbraccio mortale che – come scrive Arcangeli – in realtà, è una promessa di rinascita.»
Stefania Rabuffetti è nata a Roma, dove vive. Per dieci anni ha lavorato nella redazione di programmi televisivi della Rai. Le sue poesie hanno dato vita a diverse raccolte, pubblicate da Manni: Il perimetro dell’anima (2009, Premio Minturnae 2010), Libertà vigilata (2011), Vietati gli specchi (2016), Cartoline dall’universo (2017, finalista al 44° Premio internazionale Città di Marineo), Parole affamate di parole (2019).
In fil di trama è la nuova raccolta di poesie di Stefania Rabuffetti, in libreria per Castelvecchi Editore con una prefazione di Massimo Arcangeli (pp. 112 – euro 14,50).
Jack Kerouac,Scrittore e poeta, nato giovedì 12 marzo 1922 a Lowell, Massachusetts (USA – Stati Uniti d’America), morto martedì 21 ottobre 1969 a St. Petersburg, Florida (USA – Stati Uniti d’America)
Jack Kerouac, E’ uno dei padri della beat generation, l’autore di Sulla strada (1957), lo scrittore che seppe intercettare in anticipo lo spirito di un Paese che stava cambiando, l’interprete di un desiderio di libertà e di profondità spirituale che erano nell’aria, prima degli hippy, di una ribellione contro la civiltà occidentale. I grandi spazi dell’America da attraversare coincidevano con quelli della coscienza. Ha ispirato molti, come Bob Dylan, come i movimenti pacifisti, con le sue idee e con il suo stile immediato, la prosa spontanea, rapsodica e jazz; e continua a ricorrere ancora oggi, nella nostra cultura, ad essere evocato, attraverso quel suo concetto geniale di vivere “on the road”. Jack Kerouac è nato cento anni fa, il 12 marzo 1922, a Lowell (Massachusetts), ed è morto giovane, a 47 anni nel 1969, per una emorragia addominale causata dall’alcolismo.
Poesie di Jack Kerouac
DULUOZ
Nome tratto da fonti
di primo mattino
Nella sede di un giornale
Tanti Anni Fa a Lowell Mass
Mentre gli uccelli cacavano
Sul canale
E Sperma galleggiava
Tra i Muri di Mattone
Di un Albeggiar di Fumo
Che usciva da un Camino
di Chtistian Hill
Ah Sire, Duluoz,
Re dei miei Pensieri,
Salve a te!
(Caccia un’altra lattina di birra)
QUALUNQUE MOMENTO
Qualunque momento hai voglia
Di scrivere una cazzuta poesia
Apri ‘sto libro
& Strilla nient’ altro
Che Crema
Strilla
Non ti scomare
Scorri
Scortica
Scrosta i bordi di Scrono
AllitteRa le Rane
Bekkek! Bekkek!
Koax! Koax!
Carra Quax!
Carra qualquus
Kerouacainius!
PERSINO JOYCE
Persino lui, Joyce,
ha avuto l’amore
Persino i poeti ciechi.
IL POETA
Quante volte da quando
Ho visto il poeta
di Greenwich Village
Scorciare al lavoro nell’ alba grigia
Con la gavetta &
il taglio di capelli fuori moda
Occhi allo Hudson
Narici alla strada
All’inverno, al lavoro, alla carità,
Ai pasti, cibo di follia
Tante volte da quando
Ho visto il poeta
Che scriveva ritmi & rime
Incazzato tra Minetta’s
E Minetta Lane
Affrettarsi al Lavoro
Sessosico, sessitico, psico
analizzato?
Al lavoro nell’alba impoetica
Le mattine dopo essermi sbronzato
con Lucien & Allen
& gli Angeli Alleati
Nella Vasta Pesciaia
di Manhattan
O America!
O canti!
Poesie!
o Sax Alti! o Tenori!
Suonate!
(il Poeta è Morto).
TUONO
Il tuono fa un frastuono
di rumore come finestre
Chiuse in silenzio
istericamente
Perciò Papi è caduto dalle scale
del tempo
Malgrado l’acquasanta
E tutti i vs. beveroni
nell’
Eternità.
LA ROSA
«Ah, Rosa»ho gridato,
«Risplendi nella Fosforescente
Notte.»
L’INSETTO
E al piccolo insetto che io sono
ho detto
«Insetto, detto, vetta, tetta del tempo,
Prova, prendi, prendi, spremi, vola,
L’amore traversa i t.i zigomi
Sulla fosforescente trasparente
ala
Del Metamorfosato Insetto
Kafkiano divora formaggio»
L’ORRORE
Quindi ho visto l’orrore,
E ho gridato,
«Toglitimi di do sso».
L’errorrore mi ha messo osso
Per osso in un sacco di terra,
Poi mi ha arrostito in forno
D’infernocielo nell’alluminio
Di Diavolo Dio Gesù ,
Cioè la Vs. Santa Trinità.
I SORRISI
I sorrisi scostano la pelle delle guance
Da perle d’osso
E mostrano a chi guarda
Tremolare la crema
In occhi di pietra.
SULLE LACRIME
Lacrime è la mia fronte che si rompe,
Il lunato agitato
sedersi
In bui cimiteri di treni
Quando per vedere il volto di mia madre
Che richiamava dalla sua visione
Piansi alla comprensione
Della trappola mortalità
E del sangue personale della terra
Che mi aspettavano
Padre padre
Perché mi hai abbandonato?
Mortalità & repulsione
Scorrazzano per questa città
Infelicità è il mio secondo nome
Voglio essere salvato,
Affondato-non può essere
Non vuole essere
Mai fu fatta per essere
Così da vomitare!
DA VECCHIO
Quando comincerò a invecchiare
E forse sentirò .il braccio sinistro
intorpidirsi
E il cervello resistita speranza,
Siederò addormentato
L’energia soffocata esaurita
nel mio occhio
E l’amore fuggito da me
Quando la peggior notizia
Mi fu portata
Ed esultai di essere solo
Di ormai essere morto
Ho avuto la visione del
santo
Misconosciuto & troppo stanco
per spiegare il perché
E di dolci intenzioni
un altro giorno-
Persino Stanley Gould
andrà in cielo.
LO SO
Lo so che non so scrivere
versi
Ma questo è il mio libro
di righine lattine
Di birra e allora compatiscimi
invisibile
Lettore lasciami pasticciare
anche
Quando ho i postumi & sono senza
idee.
DIO
Seduto sui nostri significati
Egomaniaco Dio,
Solitaria macchia d’olio luccico di pioggia
È solito irritarci per di più
Nel Reale.
SPERANZE
La poesia non lo sa:
Il condizionatore
Disusato d’inverno
È come le mie speranze
Un po’ dentro, un po’ fuori,
Verdi su ruota bianca,
Buone solo a gettare
Un’ombra lunga
Nella livida luce della strada.
55° Chorus
Un giorno o l’altro alzeranno monumenti
costruiti in onore dei folli
quelli che oggi stanno in manicomio
Come primi pionieri del concetto
per il quale se perdi la ragione
attingi al sapere più perfetto
Il quale è immune da predicati
quali «lo sono,. io voglio, io ragiono -»
-immune dal dire: «Lo farò»
– Immune
Immune anche da follia in virtù
del non contatto
Ma per intanto questi medici
deterministi credono davvero
che un matto è matto –
E per questo hanno eretto una religione
da un miliardo di dollari, detta Psico-medicina,
e ah –
Be’ apprenderemo la normalità
dell’Ard Bar
Al mattino, alle volte, da soli
Blues
Parte delle stelle mattutine
La luna e la posta
L’insaziabile X, il dolore delirante,
– la luna Sittle La
Pottle, teh, teh, teh, –
I poeti in vecchie stanze gufose
che scrivono curvi parole
sanno che le parole furono inventate
perché il nulla era nulla
Usando le parole, usate le parole,
le X e gli spazi vuoti
E la pagina bianca dell’Imperatore
E l’ultimo dei Tori
Prima che la primavera si metta in moto
Sono una montagna di nulla
di cui volenti o nolenti disponiamo
Così di notte contratteremo
nel mercato delle parole.
Poesia
Il jazz s’è suicidato
Fate che la poesia non faccia la stessa fine
Non temiate
l’aria fredda della notte
Non date retta alle istituzioni
quando trasformate i manoscritti in
arenaria
non inchinatevi né fate a cazzotti
per i pionieri di Edith Wharton
o per la prosa alla nebraska di ursula major
no, statevene nel vostro giardinetto
& ridete, suonate
il trombone di mollica
& se poi qualcuno vi regala perline
ebree, marocchine, o vattelappesca,
addormentatevi con quella collana al collo
È probabile che facciate sogni più belli
La pioggia non c’è
non ci sono più me
te lo dico io, ragazzo,
affidabile come la merda.
Storia e fortuna di una canzone: dalla resistenza italiana all’universalità delle resistenze
Interlinea edizioni
Descrizione-Ormai Bella ciao è tornata a essere una canzone dei giovani e circola anche all’estero, grazie alla serie Netflix La casa di carta e ai cori delle piazze invase dalle “sardine”. Ma le sue origini sono a lungo rimaste sconosciute, con vere e proprie fake news che negano il suo legame con la lotta partigiana. Il maggiore storico della cultura orale, Cesare Bermani, ricostruisce l’avventura di questo canto popolare «così amato da chi vuole la libertà».
Oltre Bella ciao. Storie di resistenza
Cesare Bermani, ricostruisce l’avventura di questo canto popolare «così amato da chi vuole la libertà».
Il 24 aprile su Radio 3-Farenheit è andata in onda l’intervista a cura di Loredana Lipparini allo storico Cesare Bermani, per raccontare il suo nuovo libro “Bella ciao”
Di seguito trascriviamo parte dell’intervista:
Cominciamo da una storia che abbiamo sentito cantare da ultimo in un video pochissimi giorni fa dai vigili del fuoco inglesi dedicandola all’Italia. L’abbiamo ascoltata anche a sorpresa in una serie tv molto popolare La casa di carta e la sentiremo cantare domani comunque, e in qualsiasi forma. Ma la storia di Bella ciao è più lunga e riserva anche delle sorprese, come racconta Cesare Bermani. Cesare Bermani è tra i fondatori dell’Istituto Ernesto de Martino, è stato tra i primi ad utilizzare le fonti orali per la ricostruzione storica e per Interlinea ha pubblicato Bella ciao. Storia e fortuna di una canzone: dalla resistenza italiana all’universalità delle resistenze
Prima domanda. Ma la canzone della resistenza era Fischia il vento, lei scrive, è cosi?
Al Nord sicuramente Fischia il vento era molto popolare e molto cantata. Però in centro Italia veniva cantata anche Bella ciao, forse soprattutto Bella ciao, dalla formazione della Brigata Maiella e dalle formazioni che diedero vita a Montefiorino. Questo però all’inizio non lo sapevamo. Infatti spesso, quando facemmo lo spettacolo Bella ciao a Spoleto..
Quello spettacolo del ‘64 che suscitò un putiferio?
Si quello. Io mi occupavo del fascicolo che veniva poi usato in teatro, e quello che scrissi allora era che non c’erano prove che Bella ciao fosse stata cantata durante al Resistenza. Ma scrivevo questo perché allora non avevamo ancora fatto la ricerca su Bella ciao, nessuno si era preso la briga di andare a vedere se era vero o no che la canzone fosse stata cantata durante la Resistenza. Immediatamente dopo abbiamo fatto ampie ricerche e abbiamo emendato questo nostro errore iniziale dovuto anche al fatto che abbiamo imparato a fare ricerca sul campo e quindi facendo errori. A questo punto si può dire che è una bufala, o meglio un’auto-bufala, che Bella ciao non fosse cantato durante la Resistenza.
Riassumendo per ora, Fischia il vento nasce al nord in formazione partigiana comunista. La seconda ?
Ci sono due versioni, perché sono nate indipendentemente l’una dall’altra. Quella della Brigata Maiella che poi è venuta su al nord con la quinta armata è una canzone che ha delle strofe che parlano della Brigata Maiella, e questa canzone veniva cantata soprattutto quando avvenivano degli spostamenti, perché quando si spara è un po’ difficile cantare, ma quando ci si muove il canto viene naturale nelle formazioni partigiane. Una è la canzone della Maiella che solo molto tardi grazie ad una lettera che un partigiano scrisse a Indro Montanelli sul Corriere della Sera indicando che loro cantavano questa canzone. Questo partigiano, che poi io intervistai, si chiamava Proserpio, mi fece capire con precisione che si trattava di una trasformazione della canzone epico lirica Fior di tomba.
Che però era della prima guerra mondiale?
Anche prima, era una canzone popolare che poi venne adattata nella prima guerra mondiale e che venne nuovamente riadattata nella guerra partigiana e ne abbiamo almeno due versioni. Una è quella della Maiella, l’altra è quella dei partigiani che si trovavano di partecipare alla Repubblica i Montefiorino. Questi due testi sono molto diversi, però per tutti e due si capisce con chiarezza che sono trasformazioni di Fior di tomba. Come lei sa le canzoni popolari si trasformano..
E il canto delle mondariso, delle mondine?
Anche questa è una storia abbastanza divertente. Perché noi sentimmo per la prima volta il canto delle mondine da Givanna Daffini, la quale infondo ci imbrogliò raccontando che l’aveva cantata durante il fascismo. Questo perché Giovanna Daffini aveva capito che noi ricercatori eravamo particolarmente interessati a canzoni di protesta durante il regime fascista: in realtà la canzone che lei ci cantò e che prendemmo per buona, poiché eravamo degli apprendisti alle prime armi, saltò poi fuori non fosse così. Perché ci fu un certo Vasco Scansani, che aveva fatto il partigiano in Emilia, il quale rivendicò di averla fatta durante una riunione di teatro nel ‘51-52. Ci sembrò bellissimo che Bella ciao provenisse da una canzone partigiana e una canzone di lavoro, ma in realtà le cose non stavano così.
Bella ciao: dalla Liberazione alle Sardine e Netflix
La fortuna di Bella ciao dalla Liberazione alle Sardine e Netflix: un libro sulla canzone diventata inno anche dell’emergenza Covid-19
Il maggiore storico italiano della tradizione orale, Cesare Bermani, rilegge l’evoluzione della canzone in un libro di Interlinea: Bella ciao. Storia e fortuna di una canzone: dalla resistenza italiana all’universalità delle resistenza. Cantata sui balconi dell’emergenza sanitaria e dai protagonisti della serie tv La casa di carta, nelle piazze delle “sardine” e sempre più all’estero, Bella ciao è diventata una delle canzoni più celebri nel mondo e in occasione del 25 aprile 2020.
Cesare Bermani, nato a Novara nel 1937 e tra i fondatori dell’Istituto Ernesto de Martino, ricostruisce l’avventura di questo canto popolare «così amato da chi vuole la libertà» e per Interlinea ha curato il romanzo della Marchesa Colombi In risaia con Silvia Benatti e il romanzo inedito di Ernesto Ragazzoni L’ultima dea.
In occasione dell’uscita del suo libro, l’abbiamo intervistato per sfogliare in anteprima le pagine di Bella ciao.
Nonostante la canzone per antonomasia associata alla Resistenza italiana e nel mondo sia Bella ciao, nel suo libro lei ci parla di un’altra canzone più nota in quegli anni.
Nel periodo della Resistenza circolavano tantissime canzoni. Le diverse brigate avevano a volte anche inni che le connotavano, ma non ebbero mai un inno ufficiale. Tuttavia la canzone di gran lunga più popolare, e non solo fra le brigate garibaldine, soprattutto al Nord, fu Fischia il vento. Se si vuole accostare Fischia il vento a Bella ciao occorre però dire che sono state all’origine canzoni profondamente diverse. La prima è un canto nato al Nord in una formazione partigiana comunista ed è un canto prevalentemente antifascista, che spesso non nasconde come la finalità della lotta sia la realizzazione di un’Italia socialista, e comunque sempre profondamente diversa da quella lasciata in eredità dal fascismo.
La seconda è con ogni probabilità nata in Abruzzo, dove la Resistenza ha avuto una connotazione ben diversa che al Nord, in una formazione partigiana non garibaldina ed è un canto contro l’invasore tedesco.
Se Fischia il vento fu la canzone più cantata della Resistenza, tuttavia anche Bella ciao fu cantata dalle formazioni partigiane che dal Centro Italia salirono al Nord affiancate agli Alleati. Ed è a essa, oggi identificata come la canzone della Resistenza italiana, che è toccato poi di diventare l’inno di tutti i ribelli del mondo.
A cosa si deve quindi il successo poi crescente di Bella ciao?
Fischia il vento venne ampiamente e rapidamente sostituita da Bella ciao, in un processo spontaneo di massa che fu certo influenzato dal nuovo quadro politico ma non solo: giocarono infatti anche trasformazioni complessive del gusto musicale e l’accompagnamento con il battito delle mani, non ultima ragione della fortuna di Bella ciao. Così una canzone non connotata dal punto di vista politico e accennante solo all’«invasor», quindi in grado di essere fatta propria da tutti i partigiani, divenne nel giro di pochi anni la canzone per antonomasia della Resistenza. Cantata in ogni manifestazione, Bella ciao partigiana divenne quindi dalla metà degli anni sessanta anche la matrice testuale e musicale di varie canzoni di fabbrica, di partiti e di gruppi politici. Con l’avvento del centrosinistra la Resistenza diventò infatti il fondamento della ideologia della «Repubblica nata dalla Resistenza» e della «guerra di liberazione nazionale», un vero e proprio canone ufficiale di auto interpretazione, e la canzone un’auto legittimazione della Repubblica.
Come mai sono circolate così tante fake news intorno a questa canzone?
Le origini di Bella ciao sono a lungo rimaste sconosciute. Questo è dipeso dal fatto che per un non breve periodo la canzone è stata ignorata dai libri di storia e dai canzonieri della Resistenza, ciò che ha permesso alla bufala che non sia stata cantata nei mesi della lotta partigiana di giungere sino a oggi, accreditata purtroppo anche da giornalisti studiosi quali Bepi De Marzi, Arrigo Petacco, Giorgio Bocca, Giampaolo Pansa, tanto da poter essere ribadita nel 2018 anche dal giornalista Luigi Morrone.
Come viene usata oggi nel mondo questa canzone?
Dopo una momentanea decrescita negli anni Settanta, Bella ciao riprese tutto il suo vigore contestativo nel 2001, nelle manifestazioni contro il G8 di Genova, venendo da allora cantata dovunque ci siano conflitti. Divenuto uno dei canti di resistenza dei giovani del Leftist Jordanian Movement, cantatissimo durante le rivolte arabe del 2011 dai giovani mediorientali di sinistra, cantata dai giovani del Parco di Gezi a Istanbul contro l’abbattimento di centinaia di alberi per costruire un centro commerciale, ha dato inizio a una mobilitazione in difesa dei diritti civili repressa ferocemente da Erdogan. Nel 2012 un’iniziativa del regista e ambientalista belga Nic Balthasar aveva invitato a registrare musica e parole della canzone su un video per inviarlo agli organizzatori delle lotte ambientaliste, coinvolgendo circa 380 000 persone di ogni parte del mondo. Già in precedenza, sull’aria di Bella ciao, va almeno segnalata Sing for the climate (Canta per il clima), che è diventata la colonna sonora della protesta globale contro gli sconvolgimenti climatici. In Francia il 15 maggio 2016 Bella ciao è stata suonata a Parigi durante la rivolta contro la legge sul lavoro di François Hollande. In Spagna la canzone è diventata la colonna sonora della serie tv La casa di carta (2017), lanciata dalla multinazionale Netflix e divenuta forse la trasmissione a puntate più vista al mondo. Infine in Italia tra novembre 2019 e febbraio 2020 le manifestazioni delle “sardine” sono state accompagnate dall’inno di Bella ciao.
Come detto in precedenza Bella ciao è considerata l’inno per eccellenza alla libertà. Ma come mai?
Risponderei con una citazione di Moni Ovadia che ho inserito nel finale del libro, tratta dalla prefazione a “Bella ciao”. La canzone della libertà di Carlo Pestelli:
«Ho sempre pensato che la capacità di un canto di suscitare adesione, emozione e coinvolgimento sia la prova provata dell’universalità della condizione umana al di là di confini, nazioni, sistemi di governo e persino delle differenze culturali e delle lingue che pure rappresentano l’espressione della bellezza e del genio molteplice di una comune appartenenza antropologica e di un solo destino: il destino condiviso per la passione della libertà.»
Non credo si possa esprimere meglio perché questo canto sia oggi così amato da chi vuole la libertà e contemporaneamente avversato da ogni genere di reazionario.
Cesare Bermani (Novara 1937), tra i fondatori dell’Istituto Ernesto de Martino, è stato fra i primi a utilizzare criticamente le fonti orali ai fini della ricostruzione storica.È autore di molti libri tra cui Al lavoro nella Germania di Hitler. Racconti e memorie dell’emigrazione economica italiana. 1937-1945 (Bollati Boringhieri, Torino 1988); Trentacinque anni di vita del Nuovo Canzoniere Italiano/Istituto Ernesto de Martino (Jaca Book, Milano 1997); Pane, rose e libertà. Le canzoni che hanno fatto l’Italia (Rizzoli, Milano 2011). Per Interlinea Cesare Bermani ha curato il romanzo della Marchesa Colombi In risaia (1994, con Silvia Benatti); le poesie in dialetto novarese di Sandro Bermani Un poeta, una città (2001); il romanzo di Ernesto Ragazzoni L’ultima dea (2004); i saggi «Vieni o maggio». Canto sociale, racconti di magia e ricordi di lotta della prima metà del XX secolo (2009) e Bella ciao. Storia e fortuna di una canzone: dalla resistenza italiana all’universalità delle resistenze (2020). Vive a Orta san Giulio dove ha sede il suo archivio di registrazioni sulla tradizione orale.
Danièl Bidussa- l giardiniere del cimitero- Zacinto Edizioni
Descrizione del libro di Danièl Bidussa-Leggo sulla lapide / Sopra quel morto / Che sei tu / “Scusate se esisto” e esito / Manco ti sei accorto / Che non esisti più-Gabriele è il giardiniere del cimitero Maggiore nella periferia ovest di Milano, ogni giorno si prende cura di ciò che è in vita, dei fiori e delle piante che animano questo posto apparentemente così solitario, e con loro dialoga, così come parla con le persone che incontra, o che non ha mai incontrato. Nei loro dialoghi il tema della morte ricorre come strumento d’indagine sulla vita, sui rapporti umani, sulla memoria e diventa terreno fertile, per noi come per Gabriele, per coltivare fiori come pensieri. Il giardiniere del cimitero è un romanzo in versi, un vero e proprio crocevia tra musica e teatro, tra prosa e poesia. Groucho Marx diceva che la differenza fra la vita e un film è che la vita non ha una trama. Qui ogni morte è un film compiuto, fermo ai titoli di coda costituiti dagli epitaffi, con la sua conclusione e la sua morale.
Danièl Bidussa è nato a Milano nel 1994, da qui non se n’è mai andato se non per un anno sabbatico fra il kibbutz Ma’agan Michaèl in Israele e Tel Aviv, per imparare l’ebraico mentre si manteneva lavorando in un bistrot sul lungomare. Cuoco di notte e scrittore di giorno, dal 2014 ha continuato nella ristorazione milanese mentre studiava Scienze per la comunicazione alla Statale di Milano e storytelling all’Università IULM. Da un anno è editor del magazine “Aware. Bellezza resistente”. Un suo racconto (Il bar dei confusi) è presente nell’antologia Giovani Scrittori IULM, A casa prima del buio (Milano, Biblion edizioni, 2021).
Biblion Edizioni nasce nel 2004, tra Venezia e Milano. La marca tipografica scelta per rappresentare la casa editrice – l’immagine della gatta con un topolino in bocca – è quella storica dei Sessa, famiglia di tipografi veneziani attivi tra il XV e il XVI secolo.
Attraverso le sue prime collane dedicate alla divulgazione storica – Storia, politica, società, Civiltà del libro, Fotografia e Circolo Polare – Biblion Edizioni ha iniziato a progettare e creare percorsi di studio e di ricerca. L’attività editoriale si è quindi ampliata nel corso degli anni, grazie anche a comitati editoriali formati da studiosi di prestigio, e comprende oggi numerose collane, dedicate alle tematiche più disparate.
La storia moderna è rappresentata dalla collana Adriatica moderna, suddivisa nelle sezioni “Studi” e “Testi”. La saggistica politica è articolata in due collane: Quaderni di politica e Riflessioni politiche. La critica letteraria e la ricerca bio-bibliografica sono trattate in Scriba, collana rivolta al mondo degli studi. La letteratura classica e moderna, italiana e straniera, è presentata ai lettori nell’agile Universale Biblion, che comprende testi di narrativa, poesia e teatro, oltre che nuove traduzioni di grandi autori, con testo originale a fronte, curate e commentate da autorevoli specialisti.
La saggistica divulgativa e di attualità (con Fronde sparte, Biblion International Monographs, Divulgare la storia, Lingua incerta, nuova…, Città Gentili) affronta temi di storia moderna e contemporanea, di politica, economia, costume, sociologia, arte e filosofia. La riscoperta del patrimonio culturale e artistico “minore” del nostro Paese è affidata a Luoghi d’arte in Italia, con volumi di grande formato e riccamente illustrati a colori. Biblion Edizioni Rare offre edizioni e facsimili di prestigio di libri antichi e manoscritti, per un pubblico di bibliofili e studiosi. La collana Centro Studi Biblion è nata per raccogliere esperienze e metodologie di diverse aree e discipline, dall’urbanistica alla sociologia, dall’economia alle scienze giuridiche, dai nuovi media alle più recenti tendenze culturali. Frutto di un’importante partnership con la Regione Veneto e Marco Polo System sono altre due collane: Patrimonio Veneto nel Mediterraneo, che con i suoi volumi contribuisce alla riscoperta delle tracce del dominio di Venezia negli anni della Repubblica, e Quaderni del Centro di documentazione sulle architetture militari di Forte Marghera, dedicata alla divulgazione storica sulle fortificazioni italiane ed europee.
Le pubblicazioni di Biblion Edizioni sono realizzate anche grazie a rapporti privilegiati con istituzioni culturali di rilievo, in particolare con l’Accademia della Crusca, il Museo Diocesano di Milano, la Biblioteca Nazionale Marciana, l’Università Statale di Milano, l’Università di Chieti-Pescara, l’Università Ca’ Foscari di Venezia, i Musei Civici Veneziani, il Comitato “Dante 2021. Verso il VII centenario della morte di Dante Alighieri”, la Chiesa di San Bernardino alle Monache di Milano, il Museo Nazionale dell’Antartide di Trieste, la Fondazione Querini Stampalia di Venezia.
Biblion Edizioni partecipa alle procedure di valutazione di VQR (Valutazione della Qualità della Ricerca), l’innovativo sistema lanciato da ANVUR – Agenzia Nazionale di Valutazione del sistema Universitario e della Ricerca – che permette agli autori un’efficiente gestione delle proprie pubblicazioni.
Biblion Edizioni
via Ippolito Nievo, 8 – 20145 Milano
Ricerca bibliografica e Fotoreportage di Franco Leggeri
Torre di Acquafredda si trova sulla VIA omonima al civ. 88/a all´interno del parco naturale dell’Acquafredda.Pubblicazione per riassunto e parziale dalla Monografia di Franco Leggeri- Monografia TORRI SEGNALETICHE –TORRI SARACENE- della Campagna Romana – Edizione DEA SABINA-
Il nome di Acquafredda (fundus Aque frigidule) si legge per la prima volta in una bolla del 1176 di Papa Alessandro III che conferisce questa tenuta ai monaci di San Pancrazio. Il nome deriva dal torrente Algidon, ora Acquafredda, che affluisce nel fiume Magliana. La Torre fu costruita nel XIII secolo sui resti di una villa romana. Nel secolo XVI, quando il possedimento era affittato a Giovanni Consolo da Rognano, la torre fu inglobata in un casale.
La Torre ha pianta rettangolare, i muri sono costruiti con pietre di selce miste a spezzoni di marmo. La parte superiore è stata modificata in epoca moderna, come si può desumere dal tetto inclinato. Nella tenuta di Acquafredda, come narra lo storico latino Procopio nel Bellum Gothicum, Totila, il re dei Goti, eresse qui nel 547 d.C. il suo accampamento, prima di sferrare l´attacco contro Roma.
All´interno della tenuta Acquafredda la presenza dell´uomo risale alla Preistoria. Molto probabilmente vi è stata la presenza degli Etruschi: si sta infatti studiando una grotta che, presumibilmente, è una tomba rupestre ipogea. E´ scavata nel tufo ed è costituita da un camerone iniziale, sorretto da un grande pilastro di tufo, da cui parte un lungo corridoio, ai cui lati si aprono a coppia, in forma simmetrica, quattro cappelle laterali. I contadini l´hanno sempre chiamata la “grotta”, ma la struttura è quella di una tomba etrusca del VII secolo a.C.
LA TESTIMONIANZA DI PROCOPIO Secondo una teoria abbastanza diffusa, nel 547 re Totila avrebbe stanziato le truppe gotiche nei pressi della zona oggi conosciuta come Acquafredda (non lontano dal km 10 dell’Aurelia), nel corso delle operazioni per togliere Roma ai bizantini. L’ipotesi è fondata sul brano della Guerra Gotica di Procopio di Cesarea (libro III, 22-23) in cui si narra di quando Totila minacciò di radere al suolo Roma come ritorsione per la sconfitta subita in Lucania. Com’è noto, per evitare questa sventura, il generale bizantino Belisario scrisse a Totila una famosa lettera (che riportiamo per intero nella sezione di Letteratura),che ebbe il felice esito di far demordere Totila dal suo proposito. A quel punto il re goto – o perché irretito dalle parole di Belisario o perché non aveva mai avuto la volontà reale di dare seguito alle minacce ventilate – decise non di attaccare direttamente Roma, bensì di limitarsi a impedire gli approvvigionamenti di viveri provenienti da Portus; per perseguire tale obiettivo, fece dunque accampare il proprio esercito in una località che Procopio chiama Algido (Αλγηδών), ovvero gelido. Giuseppe Tomassetti, sulla scorta di un suggerimento di Carlo Busiri, ritenne dunque che Algidon indicasse proprio (sotto forma di traduzione in greco) la tenuta d’Acquafredda, che trae il nome dal fosso omonimo che sgorga lì nei pressi a una temperatura piuttosto bassa.
LA TESTIMONIANZA DI GREGORIO MAGNO L’intuizione potrebbe in effetti essere giusta, se non fosse che Gregorio Magno (Dialogorum Libri IV, III, 11) scrisse che Totila pose il proprio accampamento ad locum qui ab octavo hujus urbis milliario Merulis dicitur. Noi sappiamo per certo che Campo Merlo (Campo Merule) in realtà non si trova lungo l’Aurelia, bensì sulla Portuense, subito dopo la tenuta della Muratella in direzione di Ponte Galeria, nei pressi del punto in cui il Tevere disegna un sinuoso meandro. Va sottolineato che il brano di Gregorio Magno è ignorato da chi pone l’accampamento nella Tenuta di Acquafredda, mentre è preso in considerazione dal Gregorovius, che però non cita il passo di Procopio (saltiamo a pie’ pari chi poi – anche di recente! – ha incautamente posto l’accampamento gotico sui Colli Albani). Vero è che Gregorio Magno scrive mezzo secolo dopo gli avvenimenti narrati e vero è che il tema trattato (un miracolo avvenuto nel campo gotico) non rassicura affatto sulla veridicità del racconto, però la citazione toponomastica è troppo ben circostanziata per non tenerne conto. Inoltre un aspetto che né il Tommasetti, né gli studiosi che hanno fatto propria la sua ipotesi sembrano aver considerato è che strategicamente non aveva molto senso posizionare le truppe sull’Aurelia per bloccare i rifornimenti da Portus, dato che da qui il modo più rapido e comodo per raggiungere Roma era o la Portuense (soprattutto nella sua diramazione bassa, corrispondente all’attuale via della Magliana) o la navigazione del fiume (magari risalendo la corrente con la tecnica dell’alaggio).
IL FOSSO DI ACQUAFREDDA In realtà non è detto che Gregorio e Procopio siano in contraddizione. È infatti possibile che lo storico palestinese non intendesse indicare con Algido una località specifica, bensì volesse semplicemente dire che le truppe gotiche si stanziarono in un punto – non meglio specificato – lambito dall’Algido inteso sic et simpliciter come corso d’acqua. In verità, quello che noi chiamiamo Fosso di Acquafredda è in realtà parte integrante di un complesso bacino idrico di circa 18 km che ha inizio con il nome di Fosso della Palmarola (dalla zona da cui sgorga, nei pressi della borgata Ottavia); dopo circa due chilometri riceve un affluente da sinistra (il Fosso della Polledrana) e a valle della confluenza assume il nome di Fosso della Maglianella; dopo circa 8 chilometri, riceve infine il Fosso dell’Acquafredda: a valle della confluenza il rivo assume il nome di Fosso della Magliana. Ora, va osservato che il Fosso della Magliana (oggi purtroppo noto per essere il fosso più inquinato del Comune di Roma) è affluente del Tevere e vi confluisce giusto nei pressi del Campo Merlo.
A questo punto non soltanto non è illegittimo identificare l’Algido procopiano con il fosso di Acquafredda e con la sua diretta continuazione (l’attuale Fosso della Magliana), ma anzi possiamo far concordare le testimonianze di Procopio e di Gregorio Magno individuando il luogo dell’accampamento gotico in un’area prossima alle foce del Fosso della Magliana, non lontano da dove oggi sorge il rinascimentale Castello della Magliana; come può facilmente desumersi osservando la Mappa della Campagna Romana di Eufrosino della Volpaia (1547), si tratta di una zona di grande valore dal punto di vista strategico, che ben si accordava all’obiettivo bellico che il re Totila si era prefisso.
Fonte e bibliografia-Franco Leggeri- Monografia TORRI SEGNALETICHE –TORRI SARACENE- della Campagna Romana Edizione DEA SABINA- Giuseppe e Francesco Tomassetti -LA CAMPAGNA ROMANA- sito web WWW.ABCVOX.INFO-Il Suburbio di Roma-GAR-XVIII Circoscrizione – Associazione SestoAcuto-TENUTA DELL’ACQUAFREDDA- MURA LEONINE- INVASIONI BARBARE- Thomas Ashby-Biblioteche private-Biblioteca Nazionale-Fonti e Memorie-dell’Agro Romano- Catasto di Pio VI-
Foto originali di Franco Leggeri per Associazione Cornelia Antiqua-
Questo sito usa i cookie per migliorare la tua esperienza. Chiudendo questo banner o comunque proseguendo la navigazione nel sito acconsenti all'uso dei cookie. Accetto/AcceptCookie Policy
This website uses cookies to improve your experience. We'll assume you're ok with this, but you can opt-out if you wish.Accetto/AcceptCookie Policy
Privacy & Cookies Policy
Privacy Overview
This website uses cookies to improve your experience while you navigate through the website. Out of these, the cookies that are categorized as necessary are stored on your browser as they are essential for the working of basic functionalities of the website. We also use third-party cookies that help us analyze and understand how you use this website. These cookies will be stored in your browser only with your consent. You also have the option to opt-out of these cookies. But opting out of some of these cookies may affect your browsing experience.
Necessary cookies are absolutely essential for the website to function properly. This category only includes cookies that ensures basic functionalities and security features of the website. These cookies do not store any personal information.
Any cookies that may not be particularly necessary for the website to function and is used specifically to collect user personal data via analytics, ads, other embedded contents are termed as non-necessary cookies. It is mandatory to procure user consent prior to running these cookies on your website.