Flaminia Leggeri Fotoreportage-“Lourdes in attimo infinito”
La giovanissima fotografa Flaminia Leggeri, ha realizzato un Fotoreportage ”il Santuario di Lourdes” in un set difficilissimo e super fotografato :”il Santuario di Lourdes” . Cosa si poteva scoprire di non ancora fotografato ? Flaminia ha cercato nel Santuario di Lourdes i particolari , ha portando la fotocamera nel silenzio dei luoghi “ovvi” ,ma nella “controra”, e ha puntato l’obiettivo e fotografato e cercato di interpretare , quasi dialogare , con i 39 Ritratti e i 52 “gemmaux” cosi belli e fortemente sottovalutati nella immensa e sotterranea Basilica San Pio X. –
I “gemmaux” e i ritratti sono stati ,per la giovane Flaminia ,un laboratorio di interpretazione, analisi e dialogo con i colori che attraggono fortemente. Le figure dei “gemmaux” meritano attenzione emanano spiritualità. Credo che Flaminia Leggeri abbia cercato “la carne” dello spirito nei colori e nelle figure cosi mimetizzate , sfuggevoli, ma presenti, silenziose, ma “parole” concrete per il pellegrino .Credo che la giovane fotografa abbia saputo , con capacità istintiva, raccontare e rappresentare questa bellezza che si può ammirare nella Basilica progettata dall’’architetto Pierre Vago e l’ingegnere Eugène Freyssinet, inventore del cemento precompresso
Notizie sulla Basilica sotterranea di San PioX. di Lourdes
Consacrata nel 1958, la basilica sotterranea di San Pio Le sue dimensioni molto grandi (una forma ovale di 201 m di lunghezza per 81 di larghezza) permettono di ospitare fino a 25.000 persone su una superficie di 12.000 m². Questo, preservando i corridoi di traffico.
Ha la forma dello scafo di una nave rovesciata, il fatto che sia sotterraneo non pregiudica il paesaggio del santuario. L’architetto Pierre Vago e l’ingegnere Eugène Freyssinet, inventore del cemento precompresso, hanno infatti utilizzato il cemento integrando cavi metallici tesi nelle zone di trazione per sostenere i carichi ed evitare pilastri che avrebbero compromesso la visibilità. Il progetto è stato completato in tempi record.
Dal punto di vista ornamentale, la basilica conta 39 dipinti raffiguranti santi e una cinquantina di gemmaux. Lourdes ha una collezione di gemme molto importante. Gemmail è stato inventato dal pittore Jean Crotti negli anni ’30 in collaborazione con Roger Malherbe-Navarre. Nel 1939, Jean Crotti creò la parola gemmail unendo i termini gemma e smalto. René Margotton ne ha realizzato uno sul tema delle apparizioni nella basilica di Saint-Pie-X di Lourdes, dove sono stati eseguiti 20 brani tra il 1989 e il 1993.
La basilica di S. Pio X a Lourdes. Struttura e architettura
La Basilica sotterranea San Pio X ha una superficie di circa 12000 m² . La sua pianta forma un ovale di 201 metri per 81 metri. Questa basilica, che ha una capienza massima di 25000 persone, è stata consacrata il 25 marzo 1958 per il centenario delle Apparizioni dal futuro Papa Giovanni XXIII. E’ ornata da 39 ritratti che rappresentano diversi santi e beati, nonché da 52 gemmaux (quadri in cristalli speciali e illuminati).La basilica di San Pio X (in francese: basilique Saint-Pie X), anche conosciuta anche con il nome di basilica sotterranea, è una chiesa di Lourdes, in Francia situata all’interno del santuario di Nostra Signora di Lourdes. Consacrata nel 1958, appartiene alla diocesi di Tarbes e Lourdes; ha la dignità di basilica minore.
Walter De Cesaris, per anni delegato di base alla Manifattura Tabacchi Romana, ha voluto colmare un vuoto nella storia sociale del nostro paese scrivendo questo importante e utile libro sulla storia delle operaie del tabacco in Italia. Ed è ancor più importante oggi, nella profonda crisi di rappresentanza delle organizzazioni del movimento operaio, poiché il libro si proietta oggettivamente oltre la particolare categoria e ci obbliga a scavare dentro le nostre stesse origini per la necessaria rifondazione. E’ quello che lo storico Hippolyte Taine, nel 1875, chiama il ritorno al momento genetico. Noi abitiamo le stanze di una casa che abbiamo ereditato, curando solo l’ordinaria manutenzione, dimenticando il sapere sulle fondamenta, sui muri maestri. Ma quando l’edificio minaccia di crollare, occorre ritornare a riflettere sui progetti, i disegni e i modelli dei primi costruttori, riscoprire i materiali utilizzati dai fondatori. Una storia secolare di lotte, quindi, condotte da una forza operaia anomala, costituita nella grande maggioranza di donne protagoniste di un doppio processo di liberazione: “da una condizione di sfruttamento come operaia dentro la fabbrica, nei campi di raccolta, nei magazzini di prima lavorazione e da una condizione di subordinazione a casa, nel lavoro e nella società, a causa della cultura dominante del patriarcato.”
Un tentativo, afferma Walter De Cesaris, (ben riuscito sosteniamo noi) di costruire “attraverso tante storie, una storia, e attraverso di essa far emergere alcuni caratteri di fondo costituenti un profilo politico, sindacale e culturale di una vicenda complessa”. A partire dai due termini “tabacchina” e “sigaraia”, spesso sovrapposti per indicare indifferentemente lavoratrici impiegate nella raccolta e lavorazione del tabacco. Nella realtà l’autore ci illustra due mondi del lavoro assai differenti con paghe, orari e condizioni diversificate: “quello delle tabacchine, legato alle campagne e connesso al lavoro contadino della coltivazione(…..) e quello delle sigaraie, legato alla fabbrica e alla progressiva meccanizzazione del lavoro manuale.” Attraverso una ricerca rigorosa di documenti, interviste, articoli di giornale, canti proletari, testimonianze dirette e indirette viene ricostruita in modo appassionante una vicenda che coinvolge l’intero paese e almeno cinque generazioni di lavoratrici, le vere protagoniste del libro perché partecipano direttamente a tutte le principali fasi della storia del paese: dai primi scioperi a fine ottocento, alla rivolta milanese cannoneggiata da Bava Beccaris, allo sciopero per il pane a Torino nel 1917, alla lotta di liberazione dal nazifascismo, fino alla strage di Battipaglia nel 1969 e alle lotte contro la privatizzazione che vedrà la fine dell’industria del tabacco nel 1991 con la privatizzazione e la svendita alla multinazionale americana. Capaci di condurre scioperi a oltranza che duravano mesi scontrandosi contro padroni, governo, esercito e anche, se necessario, con la moderazione dei dirigenti della Cgil e dei parlamentari socialisti come durante lo sciopero del 1914. Ribelli, fiere, dignitose anche spavalde come ce la raccontano la letteratura, il cinema e persino l’opera, le tabacchine costituiscono un’avanguardia nelle lotte contadine, come le sigaraie in quelle di fabbrica. Leggendo le loro rivendicazioni, in particolare quelle in difesa della salute si percepisce la maturità politica raggiunta anche sotto la spinta del protagonismo delle più giovani. Ogni nuova generazione rinvigorisce la coscienza politica e di classe: da quelle lotte nascono i diritti sanciti nella nostra Costituzione. Cosa di cui sono consapevoli. Scrive Norma, vecchia operaia della Manifattura tabacchi di Firenze a conclusione del libro: “Eravamo donne molto battagliere ed emancipate per l’epoca. La parola non mancava.. La parola sempre pronta per combattere e far valere le nostre ragioni. Non ci si vergognava. Siamo state delle ribelli. Abbiamo fatto del bene per quelli che ci stanno ora.”
Questo libro, quindi, ci aiuta a ritrovare le radici della nostra forza, a ritrovare le parole; paradossalmente la sua attualità è nell’indagare le origini di una comunità di lavoratrici che alza la testa, si organizza, produce i suoi dirigenti e intellettuali organici, in sostanza diventa una classe. E nel contesto di oggi, sulle ceneri del progressismo evoluzionista ed ottimista, Walter De Cesaris ci restituisce la consapevolezza che nessuna conquista è mai definitiva e nella lotta di classe, nelle sconfitte si può tornare allo status quo ante, e purtroppo anche dolorosamente.
Fonte Ass. La Città Futura| Via dei Lucani 11, Roma. -Direttore responsabile Fabio Sebastiani
Rosa Balistreri, dalla Sicilia la prima cantautrice e cantastorie italiana-
Rosa Balistreri è una cantautrice siciliana, la prima cantastorie italiana. È stata una donna dalla vita tragica, una figura unica nel panorama culturale del nostro paese, che ha saputo cantare come pochi altri la sua terra, la Sicilia.
La vita di Rosa Balistreri, un film senza autore
Il poeta siciliano Ignazio Buttita ha definito la vita di lei: “Un dramma, un romanzo, un film senza autore” . Rosa Balistreri nasce a Licata, in provincia di Agrigento, il 21 marzo del 1927. Viene da una famiglia poverissima. Trascorre tutta l’infanzia in stato di fortissima indigenza. Suo padre è un falegname, un uomo molto irrequieto e violento. Lavora sin da piccolissima come spigolatrice e come operaia nell’industria della conservazione del pesce. Non frequenta la scuola, cammina scalza perché un paio di scarpe non può permettersele. Le prime scarpe le comprerà solo a 15 anni per andare a cantare in chiesa. A 16 anni è costretta a un matrimonio combinato con quello che lei definisce un “latru, jucaturi e ‘mbriacuni”, ovvero un “ladro, giocatore e ubriacone”. Questo perde praticamente tutto al gioco e Rosa lo aggredisce con un coltello, per andarsi poi a costituire dai carabinieri e affrontare sei mesi di detenzione. Una volta libera vive vendendo in strada capperi, lumache e fichi d’India per le strade di Licata. Si trasferirà poi a Palermo per andare al servizio di una famiglia nobile, ma subirà abusi e incolpata di rubare in casa dei padroni, finirà nuovamente in prigione. Vivrà poi a Firenze, dove assisterà al femminicidio della sorella. A 32 anni impara a leggere e a scrivere.
Incontra il pittore Manfredi Lombardo, con il quale vive per dodici anni. Grazie a lui entra in contatto con ambienti culturali e artistici incredibilmente stimolanti. Conosce Guttuso, Sciascia, Camilleri e intellettuali italiani come Dario Fo. Mario de Micheli, accademico e critico d’arte, le dà la possibilità di incidere il suo primo disco. Nel 1973 si presenta al Festival di Sanremo con la canzone “Terra che senti”. Viene esclusa perché il testo del brano non era inedito. Per protesta organizza un controfestival e va in giro con la sua chitarra, cantando per piazze e per mercati. Nel 1974 partecipa a Canzonissima. Nel 1987 intraprende un tour mondiale da cantautrice, esibendosi in Svezia, Germania e America.
La prima cantastorie italiana
Rosa Balistreri rivoluziona l’immagine della donna nella musica popolare italiana. In Sicilia era molto diffusa la figura del cantastorie, ovvero di colui che suonando la chitarra cantavano veri e propri pezzi di cronaca, fatti di sangue e di politica. Cantavano di rabbia e di ingiustizia sociale. All’epoca era praticamente impossibile immaginare una donna nel ruolo di cantastorie. Le donne non cantavano sulla pubblica piazza. In Italia ovviamente c’erano molte cantanti di sesso femminile, ma queste erano quasi unicamente cantanti di lirica, oppure soubrette del varietà. Una figura come quella Rosa Balistreri non si era mai vista.
La sua fisicità si imponeva sul palco, la sua voce aveva una forza e una profondità unica. Era ruvida, era straziata e straziante. Era simile a un pianto, ma non era remissiva. Era indomita. Chi ascoltava la sua voce non la dimenticava. Il suo carisma era magnetico, nessuno poteva restare indifferente di fronte a lei e al suo dolore. In fondo a tanta disperazione, c’era comunque l’energia della speranza, la forza di chi si auspica un cambiamento. C’era l’amore per una terra, la Sicilia, difficile, ma meravigliosa.
Cantava in siciliano contro la mafia, denunciava le ingiustizie del mondo del lavoro, la durezza del lavoro dei contadini dei minatori e dei lavoratori a giornata. Le sue canzoni parlavano di miniere di zolfo e di campi, di carcere, di violenza sulle donne e di nostalgia per la terra lontana abbandonata. Ogni frase delle sue canzoni è un pensiero compiuto, che arriva diretto all’ascoltatore.
La cantautrice siciliana Carmen Consoli, parlando di Rosa Balistreri, racconta che sin dall’infanzia suo padre le cantava le sue canzoni. La paragona a Janis Joplin e ad Aretha Franklin: “Era blues, quello che cantava Rosa”. Qualcuno la associata a una grandissima artista della musica folk portoghese, Amalia Rodriguez, la cantante del fado.
Negli ultimi anni le sono stati dedicati vari tributi, concerti e non solo. Nel 2017 Rai Storia ha trasmesso il documentario “Rosa Balistreri – un film senza autore” di Marta La Licata, con la regia di Fedora Sasso, per omaggiare la storia di questo personaggio siciliano unico nel suo genere. Franco Battiato l’ha definita “una interprete di radici talmente profonde da arrivare dall’altra parte del globo“.
Si può fare politica e protestare in mille modi, io canto. Ma non sono una cantante… sono diversa, diciamo che sono un’attivista che fa comizi con la chitarra.
Rosa nasce in una famiglia poverissima; la madre lavora in casa mentre le uniche entrate di denaro provengono dai piccoli lavori di falegnameria del padre. A sedici anni viene data in sposa a Gioacchino Torregrossa, un uomo che, molti anni dopo, in un concerto, Rosa avrebbe definito “latru, jucaturi e ‘mbriacuni”.
Il matrimonio, da cui nasce l’unica figlia oggi vivente, Angela Torregrossa, finisce in tragedia il giorno in cui Rosa, avendo scoperto che il marito aveva perso al gioco il corredo della figlia, lo aggredisce con una lima e, credendo di averlo ucciso, va a costituirsi dai carabinieri: sconterà sei mesi di galera.
Per mantenere la figlia e aiutare la sua famiglia di origine Rosa fa molti lavori: dapprima in una vetreria, poi come raccoglitrice e venditrice di lumache, capperi, fichi d’india, sarde e infine a servizio in una famiglia nobile di Palermo, dove mette la figlia in collegio. In questo periodo impara a leggere e scrivere.
Si innamora del figlio del padrone e rimane incinta; Rosa si vede costretta a fuggire e poi a scontare altri sei mesi di carcere, perché accusata di furto. Uscita dal carcere trova lavoro come sagrestana e custode della chiesa degli Agonizzanti a Palermo; vive in un sottoscala insieme a suo fratello Vincenzo, invalido, che impara a fare il calzolaio. Non avendo ceduto alle molestie del prete viene mandata via e lei, rubati i soldi delle cassette dell’elemosina, parte col fratello Vincenzo per Firenze: lui lavorerà in una bottega di calzolaio e lei a servizio in case signorili.
Richiamata a Firenze anche la madre e una delle due sorelle, Rosa apre con loro un banchetto di frutta e verdura al mercato di San Lorenzo. La sorella Maria li avrebbe raggiunti in seguito, scappando coi figli alle prepotenze del marito. Ma, poco dopo la fuga, l’ex marito la uccide. In seguito alla tragedia il padre di Rosa si toglie la vita impiccandosi.
Nei primi anni Sessanta Rosa incontra il pittore fiorentino Manfredi Lombardi, e con lui vivrà per dodici anni. Durante questo periodo allarga la cerchia delle sue amicizie e viene a contatto con il mondo degli intellettuali del suo tempo. Nel 1966 partecipa allo spettacolo di canzoni popolari portato sulle scene da Dario Fo, dal titolo Ci ragiono e canto. Ha quarant’anni, il volto segnato da una vita tanto intensa e faticosa, gli occhi limpidi e sicuri di chi porta fino in fondo le proprie battaglie; la sua voce ha un timbro arcaico e diretto: la sua presenza drammatica rimane ben impressa negli spettatori, come le canzoni popolari siciliane che interpreta, nelle quali si racconta non solo la miseria ma anche l’orgoglio e lo sdegno del popolo.
Ho imparato a leggere a trentadue anni. Dall’età di sedici anni vivo da sola. Ho fatto molti mestieri faticosi per dare da mangiare a mia figlia. Conosco il mondo e le sue ingiustizie meglio di qualunque laureato. E sono certa che prima o poi anche i poveri, gli indifesi, gli onesti avranno un po’ di pace terrena.
Così si presenta Rosa a un giornalista che l’intervista nel 1973 in seguito alla mancata partecipazione al Festival di Sanremo, dove la sua canzone dal titolo Terra che non senti era stata esclusa all’ultimo minuto. Questo episodio suscita molto fragore, al punto che Rosa viene considerata da molti la vera vincitrice del Festival di quell’anno:
Li ho messi tutti nel sacco. Le mie storie di miseria provocheranno guai a molti pezzi grossi il giorno in cui l’opinione pubblica sarà più sensibile ad argomenti come la fame, la disoccupazione, le donne madri, l’emigrazione, il razzismo dei ceti borghesi… Finora ho cantato nelle piazze, nei teatri, nelle università, ma sempre per poche migliaia di persone. Adesso ho deciso di gridare le mie proteste, le mie accuse, il dolore della mia terra, dei poveri che la abitano, di quelli che l’abbandonano, dei compagni operai, dei braccianti, dei disoccupati, delle donne siciliane che vivono come bestie. Era questo il mio scopo quando ho accettato di cantare a Sanremo. Anche se nessuno mi ha visto in televisione, tutti gli italiani che leggono i giornali sanno chi sono, cosa sono stata, tutti conoscono le mie idee, alcuni compreranno i miei dischi, altri verranno ai miei concerti e sono sicura che rifletteranno su ciò che canto. 1
Dopo la partecipazione a Ci ragiono e canto, inizia a incidere dischi. Nel 1971 si trasferisce a Palermo, dove frequenta persone come il pittore Guttuso e il poeta Ignazio Buttitta, che scrive per lei numerose liriche andatesi ad aggiungere al suo già vastissimo repertorio, e che diceva di lei:
Ogni volta che cercheremo le parole, i suoni sepolti nel profondo della nostra memoria, quando vorremo rileggere una pagina vera della nostra memoria, sarà la voce di Rosa che ritornerà a imporsi con la sua ferma disperazione, la sua tragica dolcezza.
Dopo la sua morte, avvenuta a Palermo nel 1990, la memoria di Rosa Balistreri si è appannata, ma negli ultimi anni i suoi eredi (in particolare il nipote Luca Torregrossa) lavorano per recuperarne il valore e la fama. Inoltre l’editore Francesco Giunta sta raccogliendo in CD la sua vastissima produzione, sparsa in molte registrazioni di concerti e in dischi delle più svariate case discografiche. Grazie al suo interessamento, nel 2008 Palermo e Firenze hanno dedicato a Rosa Balistreri un concerto con quattro importanti cantanti della canzone popolare italiana (Lucilla Galeazzi, Clara Murtas, Fausta Vetere e Anita Vitale), accompagnate dall’ensemble I pirati a Palermo.
In un’intervista a «Noi Donne» la cantante Lucilla Galeazzi ha detto a proposito del modo di cantare di Rosa:
Fare politica attraverso la canzone popolare non è solo qualcosa di esplicito e legato ai fatti del momento, ed è nel “come” non solo nel “cosa”. Lei portava avanti la voce del popolo, cantava le canzoni che appartengono a tutti, che sono “comuni” fin dalla loro radice e alle quali non è possibile apporre alcun tipo di copyright. […] A me Rosa piace come canta e cosa canta, cose che non vanno mai distinte, anche la ninna nanna è contestataria: la ninna nanna non la canta certo la donna borghese che può permettersi la balia, ma la mamma proletaria che l’indomani deve svegliarsi alle quattro di mattina per andare a lavorare, e si sente disperata perché il bambino non vuole dormire. Ecco allora che Rosa aveva la capacità di trasmettere la disperazione, di renderti compartecipe del lamento di questa donna: e anche questo è fare politica.
Per ascoltarla (particolarmente toccante è Buttana di to’ mà)
Discografia
La voce della Sicilia, Tauro Record 1967
Un matrimonio infelice, Tauro Record 1967
La cantatrice del Sud, RCA ried. de La voce della Sicilia 1973
Amore tu lo sai la vita è amara, Cetra Folk 1971
Terra che non senti, Cetra Folk 1973
Noi siamo nell’inferno carcerati, Cetra Folk 1974
Amuri senza amuri, Cetra Folk 1974
Vinni a cantari all’ariu scuvertu, Cetra Folk 1978
Concerto di Natale, PDR 1985
Rosa Balistreri, Teatro del Sole 1996 – ried. in CD de La voce della Sicilia
Un matrimonio infelice, Teatro del Sole 1997 – ried. in CD
Rari e Inediti, Teatro del Sole 1997
Amore tu lo sai la vita è amara, 2000, Teatro del Sole – ried. in CD
Terra che non senti, 2000, Teatro del Sole – ried. in CD
Noi siamo nell’inferno carcerati, 2000, Teatro del Sole – ried. in CD
Vinni a cantari all’ariu scuvertu, Teatro del Sole 2000, ried. in CD
Collection .. la raggia, lu duluru, la passione, Lucky Planets 2004
Rosa canta e cunta – Rari e
Inediti, Teatro del Sole 2007
Amuri senza amuri, Lucy Planet dove (con l’inedito E vui durmiti ancora), 2011
Altre segnalazioni
Omaggio a Rosa Balistrieri, Etnafest 2008, Catania, in collaborazione con Carmen Consoli: Ornella Vanoni, Paola Turci, Giorgia, Marina Rei, Tosca, Nada, Patrizia Laquidara, Rita Botto, Etta Scollo hanno cantato in siciliano le canzoni di Rosa Balistrieri
Mostra di effetti personali e foto su Rosa presso il monastero dei benedettini, Catania, 2010
Referenze iconografiche:
Tutte le immagini sono pubblicate per gentile concessione di Luca Torregrossa.
Seconda e terza immagine: Rosa Balistreri in concerto
Quarta immagine: La biografia ufficiale di Rosa Balistreri “L’amuri ca v’haju”, scritta da Luca Torregrossa.
Giovanna Providenti
È autrice di Goliarda Sapienza, NovaDelphi Edizioni, 2016 (http://www.novadelphi.it/passatopr_providenti_sapienza.html) e La porta è aperta. Vita di Goliarda Sapienza (premio Calvino 2009, Villaggio Maori Edizioni, 2010). Si è laureata in lettere e filosofia a Milano e dottorata in Dottrine politiche e questione femminile all’Università Roma Tre. Ha collaborato per anni al mensile «Noidonne» e al master in gender studies di Roma. Oggi continua a scrivere e insegna lettere nelle scuole superiori. Ha pubblicato racconti e numerosi saggi in riviste e libri e curato due volumi: La nonviolenza delle donne (Lef, 2006) e Spostando mattoni a mani nude. Per pensare le differenze (Franco Angeli, 2003).
-Arch. Carlo Cusin: “Ponte del diavolo-che non c’è-“.
Arch. Carlo Cusin:”Oggi cacciagrossa al “Ponte del diavolo-chenonc’è-” in Sabina ! Così ho incontrato il mio vecchio amico, il Console Manivs Cvrivs Dentatvs a “Septem Balnea”Settebagni per cercare di trovare,sul tracciato arcaico della Salaria vicino a Mefila (oggi Scandriglia),quell’originale struttura di 2300 anni fa,che doveva costituire un imponente sbarramento/briglia idraulica del Fosso delle Vurie e,nello stesso tempo, una solida sostruzione del piano stradale antico… Una grande costruzione con 14 assise/filari di blocchi di calcare locale,montati a secco,non isodomi,in parte montati per diatoni-ortostati,lunga 20 mt,alta circa 13 mt e spessore,in sommità,di circa 5 mt !”.
Questo e’ il semplice schema costruttivo dello sbarramento – briglia idraulica, tutto realizzato su filari abbastanza regolari ma con blocchi non isodomi, parzialmente montati con DIATONI ed ORTOSTATI,cioè di “testa” e “taglio”… al centro si nota il condotto di passaggio/scarico dell’acqua del torrente, così imbrigliato ed i pilastri sporgenti ad intervalli quasi regolari, con funzione di contrafforti, che infatti da 2300 anni è ancora tutto al suo posto…. non come certe costruzioni moderne che sappiamo !
Comune di Pisa-Cultura,inaugurata agli Arsenali Repubblicani la mostra fotografica “Elliot Erwitt – Icons”
Comune di Pisa-È stata inaugurata stamani, 23 dicembre, la mostra “Elliott Erwitt – Icons” agli Arsenali Repubblicani, una retrospettiva che celebra i grandi scatti del celebre fotografo a un anno dalla sua scomparsa. Organizzata da ARTIKA in collaborazione con il Comune di Pisa e Orion57 e curata da Biba Giacchetti, “Icons” sarà aperta al pubblico dal 26 dicembre fino al prossimo 4 maggio.
«Gli Arsenali Repubblicani – spiega l’assessore alla cultura, Filippo Bedini – non sono solo un edificio storico, ma un simbolo del dialogo tra passato e presente, unendo memoria storica e vitalità contemporanea. Un tempo sede della forza navale della Repubblica Marinara, oggi ospitano un’altra forma di forza creativa: la fotografia, linguaggio universale che racconta bellezze, contraddizioni e complessità del mondo. Dopo il successo della mostra di Steve McCurry, gli Arsenali accolgono il talento di Erwitt, fotografo che, con il suo sguardo acuto e originale, riflette su temi del nostro tempo. Oltre a essere stato fotografo, Erwitt è stato scrittore, sceneggiatore e documentarista, capace di osservare la realtà con attenzione e raccontarla con un linguaggio artistico preciso, spesso ricco di sano umorismo. Ogni suo scatto comunica emozioni e storie con straordinaria efficacia. Queste mostre dimostrano la centralità della fotografia nella cultura contemporanea e il ruolo strategico degli Arsenali come luogo di incontro tra arte e pubblico, offrendo riflessioni e nuove prospettive. Ringrazio Artika, i curatori e tutti coloro che hanno reso possibile questa mostra. Invito tutti a visitarla e vivere questa esperienza unica».
«Elliott Erwitt non è solo l’autore delle immagini – dichiara la curatrice Biba Giacchetti -, ma anche il curatore della collezione esposta. Insieme, abbiamo selezionato ogni pezzo per creare un percorso che rappresenta la sua genialità, il suo sguardo sul mondo e la capacità di raccontare l’umanità con leggerezza e profondità».
La mostra
Il genio fotografico di Elliott Erwitt attraverso 80 scatti iconici che catturano la storia, il costume e l’ironia del Novecento. Le immagini in esposizione offrono uno spaccato unico della sua lunga carriera, rivelando lo sguardo surreale, romantico e spesso giocoso che ha reso inconfondibile il suo stile. La rassegna propone alcuni dei momenti più celebri immortalati da Erwitt, come l’incontro tra Nixon e Kruscev, l’immagine commovente di Jackie Kennedy al funerale del marito e il celebre incontro di pugilato tra Muhammad Alì e Joe Frazier. Accanto a queste fotografie storiche, il pubblico potrà ammirare i famosi ritratti di Marilyn Monroe, Che Guevara e Marlene Dietrich. Non mancano immagini intime e familiari, come quella della primogenita di Erwitt ritratta sul letto con la madre, e le foto intrise di ironia, come quelle dedicate ai suoi amati cani o scattate durante il matrimonio a Bratsk. La vena giocosa e autoironica di Erwitt emerge nella sezione dedicata ai suoi autoritratti, che raccontano non solo il fotografo, ma anche l’uomo capace di osservare e ridere di sé stesso e del mondo.
Elliott Erwitt – la biografia
Elliott Erwitt nacque a Parigi da una famiglia di emigrati russi, nel 1928. Passò i suoi primi anni in Italia, a Milano. A 10 anni, si trasferì in Francia con la sua famiglia e da qui negli Stati Uniti, nel 1939, prima a New York e, due anni dopo, a Los Angeles. Durante i suoi studi alla Hollywood High School, Erwitt lavorò in un laboratorio di fotografia che sviluppava stampe “firmate” per i fan delle star di Hollywood. La grande opportunità gli venne offerta dall’incontro, durante le sue incursioni newyorchesi a caccia di lavoro, con personalità come Edward Steichen, Robert Capa e Roy Stryker, che amavano le sue fotografie al punto da diventare i suoi mentori. Nel 1949 tornò in Europa, viaggiando e immortalando realtà e volti in Italia e Francia. Questi anni segnarono l’inizio della sua carriera di fotografo professionista. Chiamato dall’esercito americano nel 1951, continuò a lavorare per varie pubblicazioni e, contemporaneamente, anche per l’esercito stesso, mentre soggiornava in New Jersey, Germania e Francia. Nel 1953, congedato dall’esercito, Elliott Erwitt venne invitato da Robert Capa, socio fondatore, a unirsi all’agenzia Magnum Photos in qualità di membro fino a diventarne presidente nel 1968 per tre mandati. Oggi Erwitt è riconosciuto come uno dei più grandi fotografi di tutti i tempi. I suoi libri di Erwitt, i saggi giornalistici, le illustrazioni e le sue campagne pubblicitarie sono apparse su pubblicazioni di tutto il mondo per oltre quarant’anni. Il fotografo si è spento nella sua casa di New York a 95 anni, il 29 novembre 2023.
Per informazioni e prenotazioni è possibile visitare il sito www.artika.it, chiamare al numero 351 8099706 o scrivere una email a mostre@artika.it.
Roma-l’Elegance Cafè jazz club propone Suddenly it’s Christmas Time -Silvia Manco Xmas Special Trio-
Roma-Per scaldare la sera della vigilia del Natale, l’Elegance Cafè jazz club propone l’irresistibile e suggestivo repertorio internazionale legato al Natale, declinato in chiave jazz dal trio in edizione “Xmas Special” guidato della pianista e vocalist Silvia Manco.
La scelta dei brani è il risultato di un’accurata e ampia ricerca all’interno di diverse tradizioni musicali.
Non solo quella degli standard song americani ma anche quella più esotica del nord-est del Brasile, quella britannica dei Christmas Carols, quella Irish di origine folk e quella soulful del soul jazz afro-americano.
Sul palco la sera del 24 dicembre a Roma, la rilettura in chiave jazz conferirà unità di intento e coerenza sonora all’intero progetto restituendo un’atmosfera evocativa ma anche pervasa di ritmo ed energia.
Il disco uscito nel 2011 “Suddenly it’s Christmas time“, è disponibile su tutte le piattaforme digitali, da non perdere l’occasione per ascoltarlo dal vivo
Silvia Manco, piano e voce Francesco Puglisi contrabassso batteria e Valerio Vantaggio alla batteria.
SILVIA MANCO
La calda voce di Silvia Manco , pianista e cantante accompagnerà la cena della vigilia di Natale.
Il disco dedicato al Natale “Suddenly it’s Christmas time “è su tutte le piattaforme digitali , e poterlo ascolatare dal vivo la sera della Vigilia a Roma, sarà un’esperienza indimenticabile.
BIO
Pianista e cantante, oltre che compositrice e arrangiatrice, la passione e lo studio del pianoforte è stata di primaria importanza sin da quando era piccola
Le sue primissime esibizioni pubbliche sono avvenute in realtà accanto al padre che le fornirà davvero un repertorio straordinario e una scorta sempre così ricca di standard jazz, bossa nova e evergreen internazionali.
Spinta dal suo fascino per il jazz, a soli 19 anni si trasferisce a Roma, non solo luogo dove approfondirà dapprima lo studio del pianoforte jazz, dell’armonia e dell’arrangiamento.
Ma anche luogo dove incontra e conosce alcuni grandi artisti che non esiteranno ad incoraggiarla a dar vita ad un trio che porta il suo stesso nome, affiancando al ruolo di capogruppo quello di pianista in un gran numero di gruppi jazz della capitale.
Si è esibita in molte sedi internazionali in festival e jazz club in Europa, USA, Russia, Sud Africa, Montecarlo, Dubai.
Il trio, la cui figura rappresenta la ricerca di un suono ben radicato nella pura tradizione jazzistica, con uno sguardo penetrante a band capitanate da pianisti e vocalist come Nat King Cole, Shirley Horn e Blossom Dearie, si distingue per il repertorio di la canzone standard dal respiro ampio e melodioso
In tutti gli arrangiamenti, montati e confezionati dalla stessa pianista di questa band, è proprio il canto a tessere la trama su cui si svolge il dialogo tra le voci, il pianoforte e gli altri strumenti della sezione ritmica.
Le composizioni originali, i cui testi sono scritti in inglese, francese e italiano da Silvia Manco, virano armoniosamente verso lo stile moderno e sono intrise di musica contemporanea e influenza dell’autore, insieme all’abituale visita del jazz strumentale europeo e americano.
La costanza nelle fasi di scrittura, composizione ed elaborazione, allineate all’attività concertistica, contribuiscono alla pubblicazione del suo primo album, nel 2007, intitolato “Big City is for me”.
Seguito dal secondo album “Afternoon Songs” nel 2010 prodotto da Roberto Gatto, famoso batterista jazz italiano, nel 2011 “Suddenly it’s Christmas time”, nel 2012 “Casa Azul”.
L’ultimo cd uscito a febbraio 2019 si intitola “Hip! The Blossom Dearie Songbook”: in questo lavoro Silvia Manco con il suo trio americano basato a NY (Dezron Douglas al contrabbasso e Jerome Jennings alla batteria), e con il contributo di due straordinari special guest (Enrico Rava e Max Ionata), raccoglie l’eredità di Blossom Dearie, il più continentale dei pianisti/cantanti americani.
Silvia abbraccia questo repertorio senza tempo con un tocco di contemporaneità dimostrando un’attitudine da vera band leader.”
Informazioni, orari e prezzi
Siamo in Via Francesco Carletti, 5
ZONA OSTIENSE/PIRAMIDE
Ingresso € 40 con consumazione compresa nel prezzo.
PER L’ACQUISTO DRINK DELLA VIGILIA 24 DIC. ACQUISTANDO L’INGRESSO DAL BOTTON DI ACQUISTO DAL NOSTRO WEB.
Ingresso con prenotazione al tavolo per la cena, con 2 portate alla carta il concerto è incluso.
PER PRENOTARE LA CENA E CONCERTO (2 portate a scelta dal menu alla carta tra antipasti primi e secondo) E’ POSSIBILE FARLO VERSANDO UNA caparra di € 30 A PERSONA tramite il pulsante dal nostro sito web.
Traduzione di S. Quasimodo. Illustrazioni di Guttuso –
Torino, Einaudi editore, 1952 (20 Febbraio).
PABLO NERUDA – Poesie. Importante traduzione italiana delle poesie di Pablo Neruda curata da Salvatore Quasimodo. Prima edizione seguita da molte ristampe identiche per forma e contenuto. Cfr. Iccu; Galati (1980): cita erroneamente il 1965 come data per la prima edizione italiana.
Biografia di Pablo Neruda-Pseudonimo del poeta cileno Ricardo Neftalí Reyes Basoalto (Parral 1904 – Santiago 1973). Premio Nobel per la letteratura nel 1971, N. è considerato una delle voci più autorevoli della letteratura contemporanea latino americana, per la sua sensibilità acuta ma non preziosa, ricchissima d’immagini ma non complicata. È stato testimone di molti degli eventi cruciali che hanno segnato il XX secolo: dalla guerra civile spagnola alla guerra fredda, dai movimenti di liberazione in America Latina alla morte di S. Allende. La sua opera poetica comprende un’impressionante antologia di testi fra i più alti della poesia moderna di lingua spagnola, sostenuti da un prodigioso dono di «canto» che si articola nelle strutture musicali più disparate, con una costante sperimentazione linguistica e metrica, sui temi congeniali dell’amore, del paesaggio natale e delle speranze collettive.
Vita
Di origini modeste, frequentò il liceo di Temuco e l’univ. di Santiago, dove nel 1921 si mise in mostra vincendo una gara poetica con La canción de la fiesta. Nominato console in India nel 1926, iniziò una brillante carriera diplomatica che gli dette modo di maturare le sue esperienze con continui viaggi e incontri. Stabilitosi in Spagna nel 1934, sempre al seguito dell’ambasciata cilena, si legò subito con il gruppo repubblicano di R. Alberti, F. García Lorca, M. Hernández e dette vita, sulle colonne della rivista da lui stesso fondata, El caballo verde para la poesía, a una vivace polemica con J. R. Jiménez. La guerra civile, il suo temperamento drammatico e, non ultima, la morte di Lorca e di Hernández, lo spinsero sempre più a precisi impegni politici che tanta parte hanno avuto poi nella sua vita e in tutta la produzione posteriore. Dopo ancora qualche anno di servizio diplomatico, nel 1944 N. tornò in Cile, e fu eletto senatore; ma un’accusa di tradimento lo costrinse ben presto a esulare in Messico, da dove compì lunghi viaggi in Europa (Parigi, Polonia, Ungheria). Nel 1949 presiedette a Città di Messico il congresso mondiale dei Partigiani della pace. Nel 1951 visitò l’Italia e la Cina. Nel 1952 fu ancora in Italia, da dove venne espulso come straniero indesiderabile. Tuttavia, a seguito di un movimento d’opinione pubblica, il decreto fu revocato, e N. poté trascorrere un lungo periodo a Capri. Nel 1953 tornò in patria, nel suo rifugio di Isla Negra presso Valparaíso. Con l’avvento alla presidenza della Repubblica di S. Allende (1970), fu nominato ambasciatore a Parigi. Nel 1972, gravemente malato, tornò in Cile, mentre il governo Allende era in crisi. Nel 1973, quando ormai la minaccia del colpo di stato militare era incombente, N. seguì Allende sul cammino della morte, mentre la dittatura di Pinochet s’instaurò in tutto il paese.
Opere
Trovatosi a scrivere negli anni in cui l’opera di R. Darío dettava legge in tutta l’Ispano-America, N. non aveva potuto fare a meno di allinearsi con le tendenze moderniste, benché la sua ispirazione fosse già orientata verso altre strade. Uscito finalmente dal pericoloso equivoco tra il 1924 e il 1935, e avendo raggiunto una notevole maturità espressiva, poté dare sfogo alla sua originalità, divenendo, in breve tempo, il maggior rappresentante degli anti-modernisti. Il sentimento riacquista allora l’importanza che l’esasperato formalismo gli aveva negato e la personalità intensa e drammatica del poeta si fa luce con versi che sembrano scritti, come disse Lorca, «più che con l’inchiostro, con il sangue». La società borghese, giudicata corrotta e ipocrita, è presa continuamente di mira con attacchi violenti alle convenzioni, ai sentimenti codificati, all’ordine costituito, mentre, con immagini grottesche, se ne sviliscono i suoi sacerdoti. Dal 1940 N., ormai marxista convinto, si dedica quasi esclusivamente alla poesia sociale e alla lotta politica: il dolore, l’umiliazione, la speranza sono i temi ricorrenti di questa nuova produzione, accompagnati da una vena di profondo calore umano che riesce a smorzare i toni marcatamente propagandistici e a dare spesso pagine d’intensa poesia. Tra le sue opere principali si ricordano: Crepusculario (1923), Veinte poemas de amor y una canción desesperada (1924), Tentativa del hombre infinito (1926), Residencia en la tierra (1933; 2a ed., con l’aggiunta di un 2º vol. contenente le liriche composte dopo il 1931, 1935), España en el corazón (1937), Tercera residencia (raccolta delle poesie composte dopo il 1935, 1945), Canto general (1950), la sua opera maggiore, amplissimo poema sulla storia del Cile e della stessa America latina come insieme di tradizioni e incrocio di civiltà; Odas elementales (1954), Nuevas odas elementales (1956), Tercer libro de las odas (1957), Estravagario (1958), Navigaciones y regresos (1959), Memorial de Isla Negra (1964), Arte de pájaros (1966), Fulgor y muerte de Joaquín Murieta (1967, dramma scritto in Italia), La barcarola (1968), Las manos del dia (1968), Aun (1969), l’apocalittico Fin del mundo (1969), Las piedras del cielo (1970), La spada encendida (1970), Geografía infructuosa (1972). Da segnalare infine le prose autobiografiche di Confieso que he vivido (1973; trad. it. 1975) e la traduzione italiana integrale della sua opera poetica (1960-73).
DESCRIZIONE-Il mondo interiore di Marcel Proust – la sua sensibilità, le sue passioni e le sue idiosincrasie – è ben noto; meno note sono invece le tematiche che fanno della Recherche anche un’opera di sociologia, di geografia e di storia. Spesso descritto a torto come il nostalgico cantore di un mondo ormai tramontato, nelle pagine di questo libro, a firma di uno dei massimi studiosi dello scrittore francese, Proust si rivela un uomo immerso nella sua epoca. Osservatore attento dell’attualità, interviene senza esitazione nei principali dibattiti – il genocidio armeno, l’affaire Dreyfus, la separazione tra Stato e Chiesa – e dimostra grande interesse per i progressi tecnici. D’altro canto, la vita di Proust ha coinciso con il periodo d’oro della Terza Repubblica – la cosiddetta Belle Époque – e con le scaturigini del mondo contemporaneo, consentendogli di assistere al passaggio da una società di corte a una dominata dalle élite, mentre sullo sfondo rimaneva perlopiù immutato un popolo, quello francese, carico di una storia millenaria. Proprio come sulla facciata gotica della chiesa immaginaria di Saint-André-des-Champs sono raffigurate tutte le classi sociali del Medioevo, nella Recherche ci viene offerto uno spaccato della società francese a cavallo tra Otto e Novecento, osservata con le lenti del sociologo e trasfigurata con gli occhi del poeta.
L’Autore Jean-Yves Tadié-Professore emerito di Letteratura francese alla Sorbona, ha diretto la nuova edizione critica della Recherche per la “Bibliothèque de la Pléiade” (Gallimard, 1987-89). A Proust ha dedicato un’importante biografia (Gallimard, 1996; trad. it. Mondadori, 2° ed. 2022) e numerosi saggi.
Articolo di Giusy Antonacci–Altamente poetico e toccante è l’epilogo dell’ultimo racconto di “Gente di Dublino”, dal titolo “I morti”, in cui James Joyce :”ritrae l’Irlanda sotto la neve, metafora della condizione umana:La neve cadeva su ogni punto dell’oscura pianura centrale, sulle colline senza alberi, cadeva lenta sulla palude di Allen e, più a ovest, sulle onde scure e tumultuose dello Shannon. Cadeva anche sopra ogni punto del solitario cimitero sulla collina, dove era sepolto Michael Furey. Si accumulava fitta sulle croci contorte e sulle lapidi, sulle punte del cancelletto, sui roveti spogli.
La sua anima si dissolse lentamente nel sonno, mentre ascoltava la neve cadere lieve su tutto l’universo, come la discesa della loro ultima fine, su tutti i vivi e su tutti i morti”.
A guardare la neve è Gabriel, marito di Gretta, mentre si trova davanti alla finestra dell’albergo in cui era rientrato con lei dopo una festa di Natale, piena di balli, cibi buoni, musica e luoghi comuni sull’ospitalità irlandese.
La moglie, a fine festa, aveva cambiato all’improvviso atteggiamento, rivelando al marito che le note di una canzone le avevano rievocato la memoria del suo amore giovanile per Michael Furey, ammalatosi e morto per lei.
Dopo aver pianto, Gretta si addormenta mentre Gabriel vede Dublino innevata.
L’uomo si sente più isolato che mai poiché percepisce la presenza di un fantasma del passato, la distanza di sua moglie, ma soprattutto la frattura fra di loro, in realtà sempre esistita sotto la superficie dorata di famiglia felice.
La neve, che avvolge la città in un manto di silenzio, è per lui un’epifania, la rivelazione di un’esistenza insignificante in cui l’essenza delle cose è rimasta nascosta al suo vivere cieco.
Ora, Gabriel guarda per la prima volta la sua desolata esistenza in una Dublino provinciale paralizzata.
La neve cade sulla sua solitudine incomunicabile, sul suo senso di alienazione e isolamento, e si sente soffocato da un’esistenza senza slanci. Avverte le anime dei vivi sfiorare quelle dei morti e scomparire i confini tra mondo terreno e aldilà sotto il candore della neve.
Egli riflette sulla sua vita mediocre e sbiadita, sulla moglie, sul suo rapporto con gli altri e, nonostante il suo rivale sia morto, si rende conto di non aver vissuto mai una vita piena, di non aver sperimentato mai un amore così profondo come quello di Gretta e Michael.
Quella neve rappresenta le sue ma anche tutte le debolezze umane e l’impossibilità di rifugiarsi nelle certezze che ciascun uomo ha.
Proprio questo epilogo è stato scelto da Almodovar per il finale del film “La stanza accanto”, Leone d’oro al Festival di Venezia 2024, in cui il regista tratta un tema delicato e si interroga sul fine della vita.
Ingrid, amica della protagonista che non c’è più, mentre guarda cadere la neve, recita le parole di Joyce, accettando sia la vita sia la morte poiché, come tutto scompare sotto la neve così scompare la vita e sopraggiunge la morte, che è intrinseca alla vita stessa.
Bibliografia:James Joyce, Gente di Dublino, versione integrale, Giunti Editore
Marina Cvetaeva-Mosca 1892 – Elabuga (Tataria) 1941«Nei miei sentimenti, come in quelli dei bambini, non esistono gradi».In Crimea, sulle rive del Mar Nero, a Koktebel’ Marina s’innamora di Sergej Efron. Lei ha 19 anni, lui 18. Sergej trova sulla spiaggia una corniola che Marina tanto desiderava. Marina vede il segno del destino. Si sposano.
Come spostando pietre:
geme ogni giuntura! Riconosco
l’amore dal dolore
lungo tutto il corpo.
Come un immenso campo aperto
alle bufere. Riconosco
l’amore dal lontano
di chi mi è accanto.
Come se mi avessero scavato
dentro fino al midollo. Riconosco
l’amore dal pianto delle vene
lungo tutto il corpo.
Vandalo in un’aureola
di vento! Riconosco
l’amore dallo strappo
delle più fedeli corde
vocali: ruggine, crudo sale
nella strettoia della gola.
Riconosco l’amore dal boato
– dal trillo beato –
lungo tutto il corpo!
La mia strada non passa accanto alla casa – la tua.
La mia strada non passa accanto alla casa – di nessuno.
E tuttavia smarrisco il cammino,
(soprattutto – in primavera!)
e tuttavia mi struggo in mezzo alla gente
come un cane sotto la luna.
.
Ospite ovunque gradita!
Non faccio dormire nessuno!
Gioco col nonno ai dadi
e col nipote – canto.
.
Le mogli non sono gelose di me:
io – voce e sguardo.
E per me nessun innamorato
ha costruito un palazzo.
.
Mi fanno ridere le vostre
grazie non richieste, mercanti!
Innalzo da sola in una notte
ponti e regge.
.
(Ma quello che dico – non lo ascoltare!
Tutte chiacchiere – di donne!)
Io stessa al mattino distruggerò
la mia creazione.
Insinuarsi
E, forse, la vittoria vera
su tempo e gravità: passare
senza lasciare tracce, senza
proiettare ombra
sui muri…
Forse – con la rinuncia
prendere? Cancellarsi da ogni specchio?
Come Lermontov al Caucaso, insinuarsi
senza turbare le montagne.
E, forse, unico diletto: con le dita
di Bach sfiorare l’organo
senza turbare l’eco.
Disfarsi senza lasciare cenere
per l’urna.
Forse – con il raggiro
prendere? Da tutti gli orizzonti
uscire? Nel tempo come nell’oceano
insinuarsi – senza allarmare le onde…
(da Dopo la Russia, 1928, traduz. di Serena Vitale)
E guardò come le prime volte
Non si guarda.
Neri occhi sorseggiarono lo sguardo.
Ho alzato le ciglia e sto ferma.
— Che c’è, — fa giorno? —
E’ che sono bevuta fino in fondo.
Tutto, fino all’ultima goccia, trangugiò la pupilla.
Io sto ferma.
E scorre in me la tua anima.
7 agosto 1916
Da dove tutta questa tenerezza?
Non è la prima volta che accarezzo
Riccioli come questi, e ho conosciuto
Labbra più tenebrose delle tue.
Le stelle sono sorte e tramontate,
— Da dove, tutta questa tenerezza?
Due occhi sono sorti e tramontati
Proprio vicino ai miei.
Io non avevo mai udito ancora
Inni del genere, nella notte oscura,
Incoronata — o tenerezza! —
Sul petto stesso del cantore.
Da dove, tutta questa tenerezza,
E cosa devo farne, adolescente
Malizioso, cantore forestiero,
Dalle ciglia — c’è nulla di più lungo?
Marina Cvetaeva – a O.E. Mandel’shtam
Indizi terrestri
Così, nella vita, tra fatiche quotidiane
e amori di una notte, scorderai l’amica
coraggiosa, il suono
dei suoi fraterni versi.
L’amaro dono della sua durezza,
la timidezza, maschera del fuoco,
e quello spasmo, scossa senza fili,
che ha il nome di: lontano!
Tutto l’antico tranne – «dammi!», «mio!»,
tutte le gelosie – non la terrena,
tutte le fedeltà – ma anche all’estremo
scontro – sempre incredula Tommaso…
Sii prudente, mio tenero, ti imploro:
non dare asilo alla fuggiasca –
l’anima! Viva la virile intesa
delle amazzoni, limpida congiura!
Ma forse, tra cinguettii e conteggi,
sfinito dal fatale eterno
femminino, ti tornerà alla mente
la mano mia senza diritti.
Le labbra – senza preventivi.
Le braccia – senza pretese.
Gli occhi – senza palpebre,
protesi – nel vivo!
15 giugno 1922 – traduzione di Serena Vitale
Tentativo di gelosia
Come state con quell’altra –
più semplice, vero? – Un colpo di remo!
Lungo la linea della costa
se n’è andato presto il ricordo
di me, isola flottante?
(nel cielo – non sulle acque!)
Anime, anime! – sorelle dovete essere,
non amanti – voi!
Come state con una donna
‘semplice’! ‘Senza’ divinità?
Deposta dal trono la sovrana
(e da esso disceso),
come state – vi date da fare –
vi raggrinzite? Vi alzate – come?
Con il dazio dell’immortale mediocrità
come ve la cavate, poveretto?
Spasimi e intermittenze,
basta! Mi prenderò una casa. »
Come state con una qualsiasi-
voi, eletto mio?
V’è più connaturato e commestibile
il cibo? – Non nascondere il successo!
Come state con un simulacro –
Voi che avete calpestato il Sinai?
Come state con un estranea,
una «terrestre»? Per la costola (1) – v’é cara?
La vergogna con le briglie di Zeus
non vi frusta la fronte?
Come state – come vi sentite –
cosa potete? Cantate – come?
Con la piaga dell’immortale coscienza
come ve la cavate, poveretto?
Come state con un articolo
da mercato? La servitù è dura?
Dopo i marmi di Carrara
come state con la polvere
di gesso?. (Dio scolpito,
in una gleba – e frantumato!)
Come state con una centomillesima –
voi, che avete conosciuto Lilith?!
Dell’ultima novità di mercato
siete sazio? Stanco delle maghe,
come state con una donna
terrestre, ‘senza’ i sesti sensi?
Via, per la testa : siete felice?
No? Nella frana senza profondità –
come state, mio caro? È più pesante?
È forse così – come per me con un altro?
19 novembre 1924 – Traduzione di Pietro A. Zveteremich
Preghiera
……..
Io voglio tutto, con anima di zingaro
tra i canti andarmene brigante
per tutti soffrire al suono di un organo,
amazzone, lanciarmi alle battaglie;
in nere torri divinare le stelle,
nell’ombra spingere un bambino…
Perchè il giorno di ieri sia leggenda,
perchè ogni giorno sia – follia!
Il poeta
Il poeta – da lontano conduce il discorso.
Il poeta – lontano conduce il discorso.
Per pianeti, per segni…per borri
di indirette parabole…Fra il sì e il no
lui – persino volando giù dal campanile –
rimedia un appiglio…Poiché il cammino delle comete
è il cammino dei poeti. I dispersi anelli
della casualità, ecco il suo legame! Con la fronte in alto
disperatevi! Le eclissi dei poeti
non sono previste dal calendario.
Lui è quello che imbroglia le carte,
che inganna sul peso e sul conto;
lui è quello che domanda dal banco
chi demolisce Kant,
chi c’è nella bara di pietra della Pastiglia –
com’è l’albero nella sua bellezza…
quello le cui tracce si dileguano sempre,
quel treno a cui tutti
arrivano tardi…
Poiché il cammino delle comete
è il cammino dei poeti: bruciando e non scaldando,
strappando e non coltivando – esplosione e scasso –
il tuo sentiero crinieruto, storto,
non è previsto dal calendario!
Trad. di P. A. Zveteremich
Da … a te fra cento anni
Alla mia povera fragilità
guardi senza sprecar parole.
Tu sei di pietra, ma io canto.
Tu sei un monumento, ma io volo.
Io so che il più tenero maggio
all’occhio dell’Eternità è nulla.
Ma io sono un uccello e non incolparmi
se una facile legge m’è imposta.
Ciao! Né freccia né pietra:
io! – La più viva delle donne:
vita. Tutte le mie carezze –
al sonno incompiuto.
Vieni qui! (vale a dire:
Tienimi! – è questione di senso)
Afferrami tutta così felice
e semplice come mi vedi!
Stringimi! – che oggi lontano navighiamo,
stringimi! – che sciamo! – con un filo di seta!
Oggi porto una pelle nuova:
quella dorata, la settima!
– Mio! – altro che ricompense
in cielo, se tra le braccia, sulla bocca
c’è la Vita: la felicità sfacciata
di dirti ciao ogni mattina!
Da Scusate l’Amore. Poesie, 1915-1925
a cura di Marilena Rea (Passigli, 2013)
Ho sempre voluto
e addirittura preteso
che mi si ami come sono
– per ciò che sono –
perché sono.
Non per ciò che,
secondo voi,
potrei, dovrei,
avrei dovuto essere.
Marina Cvetaeva
fot. da Max Voloshin nel 1911
Versi a Blok
Il tuo nome è una rondine nella mano,
il tuo nome è un ghiacciolo sulla lingua.
Un solo unico movimento delle labbra.
Il tuo nome sono cinque lettere.
Una pallina afferrata al volo,
un sonaglio d’argento nella bocca.
Un sasso gettato in un quieto stagno
singhiozza come il tuo nome suona.
Nel leggero schiocco degli zoccoli notturni
il tuo nome rumoroso rimbomba.
E ce lo nomina lo scatto sonoro
del grilletto contro la tempia.
Il tuo nome – ah, non si può! –
il tuo nome è un bacio sugli occhi,
sul tenero freddo delle palpebre immobili.
Il tuo nome è un bacio dato alla neve.
Un sorso di fonte, gelato, turchino.
Con il tuo nome il sonno è profondo.
La mia strada non passa vicino alla tua casa.
La mia strada non passa vicino alla casa di nessuno.
E tuttavia io smarrisco il cammino
(specialmente di primavera!)
e tuttavia mi struggo per la gente
come il cane fa sotto la luna.
Ospite dappertutto gradita,
non lascio dormire nessuno!
E con il nonno gioco agli ossi,
e con il nipote – canto.
Di me non s’ingelosiscono le mogli:
io sono una voce e uno sguardo.
E a me nessun innamorato
ha mai costruito un palazzo.
Le vostre generosità non richieste
mi fanno ridere, mercanti!
Da me stessa mi erigo per la notte
e ponti e palazzi.
(Ma ciò che dico – non ascoltarlo!
È tutto un inganno di donna!)
Da sola al mattino demolisco
la mia creazione.
Le magioni – come covoni di paglia – niente!
La mia strada non passa vicino alla tua casa.
27 aprile 1920
da “Poesie” – Ed. Feltrinelli 2009 (traduzione a cura di Pietro Zveteremich)
Breve biografia di Era già stato pubblicato il primo libro di poesie di Marina, Album serale. Marina Ivanovna Cvetaeva nasce a Mosca il 26 settembre 1892. Il padre, Ivan Vladimirovič Cvetaev, figlio di un povero pope di campagna, non ebbe un paio di scarpe proprie fino ai tredici anni; ma sarebbe diventato filologo e professore di storia dell’arte all’università di Mosca, e fondatore del Museo Puškin. La madre, Marija Alexandrovna Mejn, fu obbligata dalla propria famiglia a rinunciare all’amore per un uomo già sposato e alla carriera di pianista, pur essendo stata allieva di Rubinstein. Fu la seconda moglie del professor Cvetaev.
La prima moglie Varvara Dmitrievna Ilovaiskij, aveva dato alla luce Valerija e Andrej; morì prematuramente ed era un’amica di Marija.
Marija avrebbe voluto figli maschi: ne aveva già scelto i nomi. Dopo Marina, nacque Anastasija. Sperò almeno che diventassero musiciste. L’ambiente familiare è ricco di sollecitazioni coltissime. Marina studia musica; scrive le prime poesie in russo a sei anni; si fa incantare dalle passioni letterarie della madre, Puškin e i grandi classici tedeschi e francesi. Cresce a Mosca, al n. 8 del Trёchprudnyj Pereulok, il vicolo dei Tre Stagni. La casa moscovita, assieme alla residenza estiva in campagna a Tarusa, resteranno decisivi, per la Marina adulta e in esilio, in ricordo dell’infanzia e di tutto ciò che viene perduto in modo irrimediabile. La madre si ammala di tubercolosi. in cerca di un clima più mite, la famiglia viaggia – soggiornando anche in Italia, a Nervi. Marina e Anastasija frequenteranno collegi in Svizzera e in Germania, perfezionando il francese e il tedesco.
Marija muore nel 1906 rimpiangendo la musica, il sole, e di non poter vedere adulte le figlie, che saranno viste crescere da «cretini qualsiasi». La sua fame di vita e la sua rivolta diventeranno, in Marina, vocazione: «Dopo una madre così non mi restava che divenire poeta». A 16 anni, da sola, segue i corsi di letteratura francese antica alla Sorbona di Parigi. Iscritta al ginnasio a Mosca non riuscirà a concludere studi regolari a causa del suo carattere indocile. L’anticonformismo si unisce al devoto amore per il marito, che seguirà sempre «come un cagnolino», e che non le impedirà di avere altre relazioni, fra cui Osip Mandel’stam, la poetessa Sofija Parnok e l’attrice Sonja Halliday. Sergej comprende e soffre il dinamismo della passione creatrice della moglie: Marina “inventa” le persone, le investe con l’uragano della propria passione, per poi scoprirne l’umana mediocrità; ne consegue la disillusione, derisa in modo crudele, incarnata in una formula razionale che genera, ogni volta, un libro, un progetto di scrittura. Questo meccanismo ha un bisogno di alimentarsi per vivere e per creare, «come una grandissima stufa che per funzionare ha bisogno di legna, legna, legna»; ma mai pensa di lasciare Sergej. Il destino di Marina è nella fedeltà ai propri sentimenti e soprattutto alla poesia.
Per l’Armata Bianca, alla quale si era unito Sergej dopo la Rivoluzione, Marina osa leggere in pubblico, alcune poesie scritte da lei, senza la parola amore né il pronome tu. Non viene denunciata per il tema scelto: doveva ancora arrivare il grande terrore staliniano. Resta bloccata a Mosca in condizioni disumane, descritte nella prosa Indizi Terrestri, senza notizie di Sergej, sola con le due figlie: Ariadna (Alja) e Irina,ma non riesce a mantenere entrambe e Irina viene affidata ad un orfanotrofio dove muore per fame.
Il sentimento per Marina richiede forza. La sua poesia arriva al grido, raggiunge l’oratoria poetica. Nelle prime raccolte di poesia prevalevano il quotidiano, la famiglia e la maternità, o l’odore della nursery – come scrissero i più critici; nel tempo la poesia si fortifica in una potente energia espressiva in cui tutte le possibilità del linguaggio sono utilizzate: ritmo, assonanze, rime, il particolare utilizzo della negazione, giochi fonetici in poesie che andrebbero lette ad alta voce.
Ogni genere e argomento entra nella sua produzione: poesia e nel dramma storico (Sten’ka Razin), favola (Il Pifferaio di Hamelin ovvero l’Accalappiatopi), e leggende popolari (Lo Zar-fanciulla), storie bibliche, classiche (Ariadna e Fedra). E prosa critica, L’Arte alla luce della coscienza e Il Poeta e il Tempo.
Scrisse che si potevano ricavare da lei sette poeti, senza tralasciare i prosatori…La poesia di Marina non è romantica – nonostante circolino di lei oggi sillogi più facili e canzoni – , è analogica, razionale e intellettuale. È impegnativa: la sua lettura è un atto di con-creazione, un’esperienza conoscitiva. Bisogna arrivare all’essenza della cosa o della persona, non descrivere visivamente, piuttosto dare dall’interno: se si trattasse di un albero, restituirne il midollo.
«Io mi sono sempre fatta in pezzi, e tutti i miei versi sono, letteralmente, frammenti argentei di cuore.» In questa smisuratezza, tanti critici hanno prediletto un approccio istintivo e passionale piuttosto che analitico e conoscitivo.
Alja e Marina raggiungono Sergej, che sanno finalmente vivo, all’estero, nel 1922.
Nasce a Praga Georgj, detto Mur: capriccioso, maleducato, insopportabile, viziato dalla madre. Alja si legherà sempre di più al padre. A Berlino, Praga e Parigi vi sono case editrici russe. L’ambiente dell’emigrazione è vivace. Marina pubblica interi cicli di poesia, anche se per motivi economici prevale la prosa. Scrive molto di più di quanto riesca a pubblicare e legge anche in serate letterarie. A Parigi frequenta il famoso salotto di Natalie Clifford Barney. Conosce la pittrice Natal’ja Gončarova, nasce una collaborazione, ma l’amicizia non regge nel tempo: «non ho lasciato in lei un segno abbastanza profondo, non le sono diventata necessaria. Sentiero subito invaso dall’erba».
Marina non frequenta solo i salotti. Spazza, cucina, si procura soldi, cibo, legna e carbone: «e poi un uomo non può fare lavori femminili, è bruttissimo da vedere (per le donne)». Marina vive pesantemente il byt, il quotidiano, fino in fondo, senza delegare alcuno, ma nella sua poesia emerge possente il Byt’e, l’Esistenza, la forza che non sottostà ad alcuna legge. Sergej, quasi sempre a carico della moglie, ne è consapevole: Marina è poeta che pur passando la maggior parte del tempo in cucina, non ha perso né il talento né la capacità di lavorare. Ostinata, fedele alla poesia, scrive appena può. Si reca al mare per un breve soggiorno: non il mare, ma nel poter scrivere è la sua vacanza. Nel 1928 esce l’ultimo libro di poesie che vedrà pubblicato, Dopo la Russia. Molte case editrici dell’emigrazione russa chiudono per mancanza di fondi. Le condizioni economiche peggiorano. Marina viene poco a poco emarginata, per la sua intransigenza e anche perchè non si dichiara antisovietica; senza soldi non può muoversi da casa; vive una grande solitudine. Da questo isolamento nasce la corrispondenza straordinaria con Boris Pasternak e con Rainer Maria Rilke: i loro rapporti si muovono in un ambito parallelo, spostato. I tre poeti non s’incontreranno mai, per un eterno mancarsi. L’assenza diventa un vantaggio perché l’altro, amato, interiorizzato, diventa più intero nell’anima.
Marina è un’eterna straniera, non solo perché vive fuori dalla Russia per molti anni, senza riconoscere alcun paese come patria: è un’estranea al proprio tempo, condannata a guardarlo dall’esterno. Quando rientra in Russia è conosciuta solo per le sue prime raccolte poetiche e sarà riscoperta a partire dal 1956; all’estero non verrà più letta da una emigrazione russa sempre più ostile.
Nel 1937 Alja decide di rimpatriare, così poco dopo anche Sergej, ora filosovietico e implicato in un assassinio politico. Marina è convinta della sua innocenza. L’ostracismo della colonia russa raggiunge l’apice. Rimpatriare? In una lettera chiede ironicamente a un’amica di procurarle un consulto da un’indovina, tanto soffre l’indecisione.
Nessuno la informa di quello che stava accadendo in Russia, nessuno la ferma. Come se presentisse la sciagura: la partenza le appare sotto una nube nera. Nel giugno 1939 parte per l’Unione Sovietica con Mur. Trova tutte le porte chiuse, ed è stupita e furiosa. Come si permette la città di Mosca a darsi così tante arie? La sua famiglia l’aveva colmata di doni, su tutti il Museo Puškin. La famiglia resta riunita per pochi mesi. Nell’agosto del 1939 Alja è arrestata e condannata, prima alla prigione, poi al confino. In ottobre tocca anche a Sergej: sarà fucilato due anni dopo. Nel 1941 Marina incontra Anna Achmatova. Le due donne, pur stimandosi, sono troppo diverse, solo unite dal dolore per la sorte dei propri cari.
In agosto Marina e suo figlio sono evacuati a Elabuga, in Tataria. Nella più profonda indigenza. Marina chiede di lavorare come lavapiatti nella mensa dell’Associazione degli Scrittori. Non ottiene il posto. La scrittrice Lidija Čukovskaja: «Se si mette la Cvetaeva a lavare i piatti, perché non far lavare i pavimenti ad Anna Achmatova e assumere come fuochista Blok, se fosse ancora vivo? Allora sì che sarebbe una vera mensa per scrittori».
Marina si impicca il 31 agosto 1941. Avrebbe desiderato giacere a Tarusa, sotto un cespuglio di sambuco, «dove crescono le fragole più rosse e più grosse», ma viene sepolta in una fossa comune.
Fonti, risorse bibliografiche, siti
Marina Cvetaeva, Poesie (a cura di Pietro Zveteremich), Feltrinelli 1979
Marina Cvetaeva, Indizi terrestri (a cura di Serena Vitale), trad. Luciana Montagnani, Milano, Guanda 1980
Marina Cvetaeva, Dopo la Russia e altri versi (a cura di Serena Vitale), Milano Mondadori, 1988
Marina Cvetaeva, Il paese dell’anima: lettere 1909-1925 (a cura di Serena Vitale), Milano Mondadori,1988
Marina Cvetaeva, Deserti luoghi: lettere 1925-1941 (a cura di Serena Vitale), Adelphi 1989
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