Roma -Alla Galleria Maja Arte Contemporanea personale dell’Artista Luisa Lanarca-
Roma-Maja Arte Contemporanea è lieta di presentare la personale dell’Artista italiana Luisa Lanarca, alla sua prima collaborazione con la galleria. L’esposizione è la terza e ultima di un ciclo di tre mostre — “Quando filo, colore, parola s’intrecciano” — a cura di Giovanna Dalla Chiesa, che mette a confronto il lavoro di tre artiste: Alice Schivardi, Luciana Pretta e Luisa Lanarca.
Opera dell’Artista italiana Luisa Lanarca
In mostra una selezione di arazzi eseguiti dal 1980 a oggi con la tecnica della tessitura a due licci, arricchiti, nel corso del processo tessile, da tecniche miste.
Frutto di un percorso creativo che intreccia l’esperienza diretta della materia con un approfondimento teorico basato sugli studi di Percezione Visiva e di Gestalt, questi lavori rivelano una ricerca stratificata e profonda. In alcune opere, ispirate alle poesie di Emily Dickinson, filo, colore e luce si fondono con la parola poetica, che affiora nella trama tessile trasformandola in un’invocazione con richiami alle insegne e alle affiches di fine Ottocento.
Come osserva Giovanna Dalla Chiesa: “Tessere appartiene alla capacità più articolata del pensiero dell’uomo, al suo destino che non è di separazione, ma di integrazione fra le parti che la natura ha previsto doppie per lui – braccia, gambe, occhi, narici, orecchie e soprattutto i due emisferi cerebrali – per stabilire quella relazione da cui dovrà scaturire una nuova creatura, un’opera che a mano a mano disegnerà anche il suo destino.
Luisa Lanarca non è di quelli che arrivano oggi alla tessitura, ma al contrario, che è partita dalla tessitura subito e con maestri importanti, come Laura Marcucci Cambellotti e il suo Laboratorio Tessile. Ciò che rende piuttosto eccezionale il suo percorso è l’uso speculativo sul piano psicologico che ne ha fatto, grazie agli approfondimenti di Percezione Visiva e di Gestalt, appresi alla Scuola di Luigi Veronesi a Milano.
Diversamente da altri, la tessitura ha permesso a Luisa Lanarca, nel suo specifico percorso, quella conoscenza del sé che coincide con la messa a fuoco della propria identità e, nello stesso tempo, un approdo al linguaggio che trova nella poesia, la sua liberazione, emozione e pienezza. L’intreccio fra ragione e sentimento, fra eros e psiche, non può trovare il proprio esito, secondo l’artista, che in una sintesi di quella laboriosità che assomiglia a una silenziosa preghiera, con una luce che attraversa ogni confine, come la parola poetica, e in particolare, come quella di Emily Dickinson, capace di dar voce al suo silenzio.”
Opera dell’Artista italiana Luisa Lanarca
NOTE BIOGRAFICHE
Luisa Lanarca (Roma, 1957) si è formata tra Roma – dove ha frequentato il III Liceo Artistico e, successivamente, il prestigioso Laboratorio Tessile di Laura Marcucci Cambellotti (1975) – e Milano, dove ha studiato Percezione Visiva e Teoria del Colore con Luigi Veronesi presso la Nuova Accademia di Belle Arti.
Sino al 1986 ha affiancato all’attività artistica un intenso impegno didattico, collaborando con il Comune di Reggio Emilia per l’introduzione delle tecniche tessili nell’insegnamento. Ha inoltre tenuto corsi di tessitura presso il Centro Lorenzo Mori di Trequanda, a Radda in Chianti, all’Impruneta, al Castello di Gargonza (Arezzo), a Firenze e ad Abbadia San Salvatore (Siena).
Da anni ha scelto una vita appartata, lontana dalle convenzioni sociali, guidata dalla ricerca di libertà e da un profondo legame con le leggi naturali e cosmiche. La lettura – con Thoreau ed Emily Dickinson tra i suoi principali riferimenti – e la tessitura costituiscono il fulcro della sua esistenza, insieme ai suoi telai e al suo fedele cane Mosé.
Vive tra Roma e Sorano (Grosseto).
Numerose le mostre personali e collettive, tra cui: “Winter O’ Clock”, Limonaia di Villa Mancini, XVI Festival Musicale Savinese, Monte San Savino (2010); “L’ago non abita qui”, CS 376, Cortona (2009); “Festival in Contemporanea. Sezione Arti Visive”, Cantieri La Ginestra, ex Filanda, Montevarchi (2007); “Crossing”, Torretta Valadier, Ponte Milvio, Roma (2004); “Slow Food”, Galleria-Libreria Odradek, Roma (2001); “Concoidi”, Libreria Nove100, Centro Culturale Mara Meoni, Siena (2000); “Per filo e per segno”, Galleria L’Ariete, Bologna (1986); “Arazzo, filo e tessitura”, Rotonda della Besana, Milano (1982).
Informazioni, orari e prezzi
ORARI MOSTRA
Martedì-Venerdì ore 15.30-19.30. Sabato ore 11-13 e 15-19
Altri orari su appuntamento
Alaíde Foppa (1914-1980)–nació el 3 de diciembre de 1914 en Barcelona, con un destino tan brillante como trágico. Vivió unos años en Argentina, y pasó su adolescencia en Italia, país de origen de su padre. También estuvo un tiempo en Guatemala, donde obtuvo la ciudadanía a través de su marido. Por cuestiones políticas, debió exiliarse a México por un tiempo. Allí trabajó como profesora en la Facultad de Filosofía y Letras, a cargo de la cátedra de Literatura Italiana. Apoyó fervientemente los movimientos feministas; fundó la revista FEM y colaboró por distintos medios contra la represión de la mujer. En la década del 70, reflejó la profunda tristeza por la muerte de sus hijos y su marido en una serie de poemas muy conmovedores. Al regresar de su exilio, en 1980, fue secuestrada y nunca volvieron a verla. Su labor como poetisa lo comenzó quizás en Italia, donde también realizó sus estudios universitarios. Entre sus poemarios más destacados se encuentran “La sin Ventura”, “Aunque es de noche” y “Elogio de mi cuerpo”. De este último podemos apreciar “El corazón” y “Las manos“. También incursionó en la crítica de arte, promoviendo el trabajo de jóvenes artistas, y en la traducción de poesía francesa e italiana.
Adios
Con los ojos de la despedida
os vi aquel día,
cosas de nuestra vida.
Con los ojos de la despedida,
la vida parecía
una cosa perdida.
La casa estaba vacía
en la hora de la despedida,
y sin embargo quedaban
las cosas de nuestra vida.
Dicen que es del tamaño
de mi puño cerrado.
Pequeño, entonces,
pero basta
para poner en marcha
todo ésto.
Es un obrero
que trabaja bien
aunque anhele el descanso,
y es un prisionero
que espera vagamente
escaparse.
Las manos
Mis manos,
débiles, inciertas,
parecen
vanos objetos
para el brillo de los anillos,
sólo las llena
lo perdido,
se tienden al árbol
que no alcanzan,
pero me dan el agua
de la mañana,
y hasta el rosado
retoño de mis uñas
llega el latido.
Oraciòn
Dame, señor
un silencio profundo
y un denso velo
sobre la mirada.
Así seré un mundo
cerrado:
una isla oscura;
cavaré en mí misma dolorosamente
como en tierra dura
Y cuando me haya desangrado
ágil y clara será mi vida
Entonces, como río sonoro y transparente,
fluirá libremente
el canto encarcelado.
Destierro
Mi vida
es un destierro sin retorno.
No tuvo casa
mi errante infancia perdida,
no tiene tierra
mi destierro.
Mi vida navegó
en nave de nostalgia.
Viví a orillas del mar
mirando el horizonte:
hacia mi casa ignorada
pensaba zarpar un día,
y el presentido viaje
me dejó en otro puerto de partida.
¿Es el amor, acaso,
mi última rada?
Oh brazos que me hicieron prisionera,
sin darme abrigo…
También del cruel abrazo
quise escaparme.
Oh huyentes brazos,
que en vano buscaron mis manos…
Incesante fuga
y anhelo incesante
el amor no es puerto seguro.
Ya no hay tierra prometida
para mi esperanza.
Ella se siente.
Ella se siente a veces
como cosa olvidada
en el rincón oscuro de la casa
como fruto devorado adentro
por pájaros rapaces,
como sombra sin rostro y sin peso.
Su presencia es apenas
vibración leve
en el aire inmóvil.
Siente que la traspasan las miradas
y que se vuelve niebla
entre los torpes brazos
que intentan circundarla.
Quisiera ser siquiera
una naranja jugosa
en la mano de un niño
-no corteza vacía-
una imagen que brilla en el espejo
-no sombra que se esfuma-
y una voz clara
-no pesado silencio-
alguna vez escuchada.
Los Pies
Ya que no tengo alas,
me bastan
mis pies que danzan
y que no acaban
de recorrer el mundo.
Por praderas en flor
corrió mi pie ligero,
dejó su huella
en la húmeda arena,
buscó perdidos senderos,
holló las duras aceras
de las ciudades
y sube por escaleras
que no sabe a donde llegan.
Alaíde Foppa (1914-1980)-Poetessa, scrittrice e traduttrice guatemalteca. Esule in Messico ,Alaíde Foppa ,Poetessa guatemalteca vi fondò la rivista femminista “Fem”. Tornata in Guatemala per rinnovare il passaporto dopo l’assassinio del figlio, guerrigliero nella EGP, fu rapita in pieno giorno dai corpi paramilitari e presumibilmente assassinata.
IL TEMPO, IV
La mattina mi fa male.
Vorrei
fosse già notte
e il giorno
un’altra goccia
di passato
un’esigenza in meno
di risposta.
Preferisco la notte
che perdona
la mia stanchezza
e promette sogni.
—————————————————–
Parole di carne e ossa : Alaide Foppa
Costa poco la parola, anzi, non costa nulla. Tanto, la si dice soltanto e dire non è fare. Dire non vale. Non è vincolante. Non è una promessa. Si può sempre tornare indietro, tanto l’ho solo detto. Siamo abituati a poter dire tutto ciò che vogliamo senza temere alcuna conseguenza e infatti diciamo tutto, siamo circondati di parole e produciamo in continuazione fiumi di parole, parliamo senza fine, senza pensare, scriviamo, leggiamo, pensiamo, le parole non ci lasciano mai in pace ( e nemmeno noi a loro concediamo un attimo di tregua), ci girano sempre intorno, le sentiamo, ma non le ascoltiamo e se le ascoltassimo, scopriremmo che il più delle volte non significano nulla. Tutto è possibile, tutte le parole sono permesse e in questo fiume traboccante le parole non si distinguono più.
Nell’arco di un’ora, si afferma tutto e il contrario di tutto, si parla, si mente, si dimentica ciò che si è appena detto ( e ciò che hanno detto gli altri ), tanto, dire non è fare, la parola non costa nulla e come tutto ciò che non ha un costo, vale poco. Mentre lentamente stiamo soffocando in quel mare di parole senza senso, prive di contenuto che produciamo in ogni istante, le nostre amate chiacchiere, in altre parti del mondo – e in altri tempi – per una parola sola, si può finire in carcere o addirittura perdere la propria vita. Lo so che questa non è una novità. Non è un’ affermazione originale, anzi, lo sanno tutti. Sto facendo del moralismo? E’ come quando si osa dire che noi mangiamo fino al vomito mentre altrove ogni trenta secondi si muore per mancanza di cibo? Non si può dire questo, perché tanto si sa? Perché tanto non cambia nulla. Perché tanto…
Ma non parlo della fame nel mondo. Parlo di chi ha perso la vita per aver detto la sua parola. Perché una parola non è solo una parola, ma è già un atto. Dire è fare. Ogni parola crea una nuova realtà. Dipende da noi.
(Questo non è un bel testo, non è scritto bene e non dice nulla di nuovo. Eppure non intendo limarlo. Non ho in questo momento alcuna voglia di scrivere un bel testo molto originale e very sophisticated, perché la mia stessa abilità di manovrare le parole, come di volta in volta conviene, mi spaventa. Mi è sospetta. Io, donna di lettere che ha condotto tutta la sua vita nella o con la parola, talvolta non mi fido più di me stessa.
Alaide Foppa : Tre poesie
Alaide Foppa (*1914) fu rapita il 19.12.1980 in Guatemala. Da allora non si ha più notizie di lei.
Nata in Italia da madre guatemalteca e padre argentino, trascorse la sua infanzia e gioventù in Italia e Belgio. Sposa Alonso Solórzano, un giurista che, negli anni ’50 fu membro di due governi in Guatemala. Nei tempi della dittatura, la famiglia chiede asilo politico in Messico.
Alaide Foppa fu una donna emancipata che, oltre ad occuparsi dei suoi 5 figli, fu poetessa, professoressa universitaria per italianistica, nonché traduttrice dei sonetti di Michelangelo, fondatrice della rivista “ Fem” e fondatrice di una cattedra per sociologia femminile all’università di città del Messico.
Nonostante la sua appartenenza alla borghesia, Foppa, una convinta femminista e al contempo una donna elegante dei gusti raffinati, si schiarò per la sinistra. Tre dei suoi figli appartenevano alla Guerillia guatemalteca. Poco tempo dopo che fu ucciso il suo figlio Juan Pablo, Foppa sparì insieme al suo autista.
Si presume che in Guatemala sono spariti durante gli anni delle vari guerre civili più di 45.000 persone.
Señor, estamos solos,
Señor, estamos solos,
Yo, frente a Ti:
Diálogo imposible.
Grave es tu presencia
Para mi solitario amor.
Escucho tu llamada
Y no sé responderte.
Vive sin eco y sin destino
El amor que sembraste:
Sepultada semilla
Que no encuentra el camino
Hacia la luz del día.
En mi pecho encendiste
Una llama sombría
¿Por qué señor,
no me consumes entera,
si no hay para tu amor
otra respuesta
que mi callada espera?
Signore, siamo soli
Signore, siamo soli
di fronte a Te :
Dialogo impossibile.
Grave è la tua presenza
per il mio amore solitario.
Ascolto la tua chiamata
e non so risponderti.
Vive senza eco e senza destino
l’amore che tu hai seminato:
seme sepolto
che non trova la via
verso la luce del giorno.
Nel mio petto hai acceso
una fosca fiamma.
Perché, Signore
non mi consumi tutta
se al tuo amore non c’è
altra risposta
che la mia silenziosa speranza?
Oraciòn
Dame, señor
un silencio profund
y un denso velo
sobre la mirada.
Así seré un mundo
cerrado:
una isla oscura;
cavaré en mí misma dolorosamente
como en tierra dura
Y cuando me haya desangrado
ágil y clara será mi vida
Entonces, como río sonoro y transparente,
fluirá libremente
el canto encarcelado.
Preghiera
Dammi, oh Signore,
un silenzio profondo
e un denso velo
sugli occhi.
E un mondo si chiuderebbe:
un isola oscura;
scaverò dentro me stessa dolorosamente
come nella terra dura.
E quando sarò dissanguata,
agile e chiara sarà la mia vita.
E come un fiume sonoro e trasparente
scorrerà liberamente
il canto imprigionato.
Ella se siente a veces
como cosa olvidada
en el rincón oscuro de la casa
como fruto devorado adentro
por los pájaros rapaces,
como sombra sin rostro y sin peso.
Su presencia es apenas
vibración leve
en el aire inmóvil.
Siente que la traspasan las miradas
y que se vuelve niebla
entre los torpes brazos
que intentan circundarla.
Quisiera ser siquiera
una naranja jugosa
en la mano de un niño
-no corteza vacía-
una imagen que brilla en el espejo
-no sombra que se esfuma-
y una voz clara
-no pesado silencio-
alguna vez escuchada.
Talvolta si sente
come una cosa dimenticata
nell’ angolo oscuro della casa
come frutto divorato di dentro
da uccelli rapaci,
come ombra senza faccia né peso.
La sua presenza è appena
una lieve vibrazione
nell’aria immobile.
Si sente trapassare dagli sguardi
e diventare nebbia
tra le goffe braccia
che la cingono.
Può darsi che voglia essere qualcosa,
un’arancia succosa
nella mano di un bambino
– non una buccia vuota –
un’immagine che brilla nello specchio
– non un’ ombra che svanisce –
e una voce chiara
– non il pesante silenzio –
qualche volta ascoltata.
( dallo Spagnolo di Susanne Detering)
Fonte- La poesia e lo spirito (Lpels) è un blog collettivo di letteratura e società, democratico, aperto, sensibile alle istanze autentiche di rinnovamento culturale, sociale, economico e politico. Fondato da Fabrizio Centofanti come blog personale nel 2006, diventa collettivo con il contributo di Antonella Pizzo e soprattutto di Franz Krauspenhaar. Universalmente noto per la sua capacità di accoglienza, Lpels ha ospitato e ospita contributi di grande spessore – facilmente raggiungibili attraverso la funzione “ricerca”. Aspira, in tal modo, a essere una presenza efficace nel panorama culturale italiano e possibilmente uno strumento di cambiamento e di trasformazione delle strutture di potere, spesso ingiuste e indegne dei valori umani in cui la persona si riconosce in ogni spazio e in ogni tempo, al di là di credenze e tessere politiche.
Alaíde Foppa ,Poetessa guatemalteca.
Breve biografia di Alaíde Foppa (1914-1980)-Poetessa, scrittrice e traduttrice guatemalteca. Esule in Messico ,Alaíde Foppa ,Poetessa guatemalteca vi fondò la rivista femminista “Fem”. Tornata in Guatemala per rinnovare il passaporto dopo l’assassinio del figlio, guerrigliero nella EGP, fu rapita in pieno giorno dai corpi paramilitari e presumibilmente assassinata.
IL GIUBILEO LETTERARIO del 1825: il solo Anno Santo (regolare) dell’Ottocento-Articolo di Giovanni Fighera-
Roma-Il 24 maggio 1824 fu indetto il Giubileo del 1825, che sarebbe stato l’unico dell’Ottocento. Erano passati quasi dieci anni dal Congresso di Vienna che intendeva riportare l’Europa al periodo precedente la Rivoluzione francese: la cosiddetta Restaurazione. Ma dopo l’abbattimento dell’Ancien Regime nulla sarebbe più stato come prima.
Prof.Giovanni Fighera
In quegli anni si assistette a un rilancio della Chiesa come istituzione a livello europeo e a una diffusa religiosità nel nascente clima culturale romantico che si tradusse anche in numerose conversioni dalla confessione luterana a quella cattolica: il diffuso fenomeno rappresentava il ritorno alla Chiesa madre di Roma dopo lo schiaffo che era stato inferto al papato sul finire del Settecento con la prigionia del papa e la mancata celebrazione dell’Anno Santo del 1800. In un certo senso, la rinnovata religiosità apparteneva a quella manifestazione più ampia di lotta contro Napoleone per l’affermazione della patria e per la libertà religiosa.
Nello stesso mese di maggio 1824 papa Leone XII promulgava la prima enciclica Ubi primum che attaccava l’arbitrio individuale nella lettura della Bibbia e, al contempo, l’indifferentismo religioso.
Il Collegio Romano e la Chiesa di Sant’Ignazio furono restituiti alla Compagnia di Gesù che tornava a ricoprire quel ruolo che aveva avuto da secoli. Il Giubileo era un grande dono – scriveva il papa – per tutti i fedeli del mondo. L’invito era quello di partecipare in gran numero per convertirsi e ottenere il perdono di tutti i peccati.
Accolsero l’invito importanti personalità della nobiltà e dei reali europei: Francesco I re di Napoli, Maria Teresa d’Este, Maria Cristina di Savoia, figlia del re di Sardegna. Vi parteciparono anche magistrati e ufficiali. Massimo d’Azeglio, all’epoca solo ventisettenne, che sarebbe divenuto genero di Alessandro Manzoni, pittore, scrittore, patriota e deputato del Regno d’Italia, era presente.
Non vi partecipò, invece, Alessandro Manzoni, nipote del giurista Cesare Beccaria celebre in tutta Europa, che in quegli anni stava redigendo la prima edizione de I promessi sposi a partire da quel Fermo e Lucia che aveva fatto leggere solo a pochi intimi amici. La sua conversione era avvenuta all’incirca quindici anni prima, non come racconta l’aneddoto della Chiesa di San Rocco, ma in un percorso di cui Manzoni dava notizia addirittura al papa Pio VII in una lettera dell’ottobre 1809: [Alessandro Manzoni] Cattolico del regno Italico, ed [Enrichetta Blondel] di Religione detta riformata della Comunione di Ginevra, riempite le formalità civili, sonosi congiunti in matrimonio innanzi ad un ministro della sud[dett]a Religione riformata. Da tal unione è nata una fanciulla la quale è stata battezzata cattolicamente, secondo il rito della S. Romana Chiesa. L’Oratore Cattolico […] ora è disposto a riparare il suo fallo secondo li principj della S. Religione Cattolica.
Quindi è, che godendo Egli piena libertà dell’esercizio di sua Cattolica Religione, e dell’educazione della prole dell’uno, e dell’altro sesso, secondo la stessa Cattolica Religione, ed essendo rimosso ogni pericolo di sua sovversione, col consenso della sud[dett]a sua compagna, pentito del fallo commesso, implora dall’Autorità Apostolica un opportuno riparo, capace di render tranquilla la di lui Coscienza, e di cancellare ogni sinistra idea ne’ Cattolici, fra’ quali debbono ambedue legittimamente congiunti.
Il percorso di conversione sarebbe proseguito negli anni seguenti fino alla confessione il 28 agosto 1811, il giorno di sant’Agostino, un grande convertito. Al Giubileo Manzoni non partecipò, probabilmente per freddezza non nei confronti della religione cattolica, ma piuttosto dello Stato pontificio. La produzione letteraria manzoniana non conserva memoria di questo importante evento della storia della Chiesa.
Nel 1825 papa Leone XII emanò anche una nuova disposizione in materia di ordinamento degli studi: la Quod divina sapientia organizzava la gioventù in una prospettiva di ritorno alla tradizione e alla pedagogia tenendo conto anche dei cambiamenti avvenuti. Alla fine del 1824 vennero emanati editti che prescrivevano disposizioni atte a garantire atteggiamenti morigerati e rigorosi a Roma durante l’Anno Santo.
Nell’aprile del 1825 Bartolomeo Pacca propose di chiamare a Roma gli apologeti di tutti i popoli affinché l’Anno Santo si tramutasse nell’occasione di raccogliere attorno alla Chiesa tutti i difensori contro l’indifferentismo, contro i carbonari e contri i massoni. Non a caso nello stesso anno venne pubblicata l’enciclica Quo graviora contro i massoni e i carbonari che sottolineava la rottura che i movimenti carbonari e massonici avevano attuato nei confronti della Chiesa e, quindi, l’incompatibilità tra l’appartenenza alla Chiesa e alla massoneria.
Fu tramandata memoria che partecipassero al Giubileo trecento settantacinque mila pellegrini, ma probabilmente la cifra è esagerata. L’Anno Santo non ebbe il successo che il papa si aspettava e la partecipazione fu più su scala nazionale che internazionale.
Fu l’ultimo effettivo Giubileo celebrato nell’Ottocento. Nel 1850, infatti, papa Pio IX, Giovanni Mastai Ferretti, era esule a Gaeta, ospite del re di Napoli Ferdinando II, da dove sarebbe rientrato a Roma solo nell’aprile. Era fuggito dalla città il 24 novembre 1848, l’anno delle grandi rivoluzioni europee. Nel febbraio del 1849 venne proclamata la Repubblica romana che rimase in vigore fino a novembre. Il papa indisse un Giubileo, che fu un invito alla penitenza e alla preghiera. Roma non fu centro delle celebrazioni né tantomeno dei pellegrinaggi.
Venticinque anni più tardi, lo stesso Pio IX, il papa che rimase più a lungo sul soglio pontificio nella storia della Chiesa, annunciò il Giubileo la vigilia di Natale del 1874 con la Bolla «Gravibus ecclesiae sed huius saeculi calamitatis». Non fece però aprire le Porte sante per evitare scontri con gli anticlericali. Dopo la breccia di Porta Pia del 1870 la Chiesa aveva perso il potere temporale e dichiarava che il proprio Stato era occupato.
Il papa concesse l’indulgenza a tutti i fedeli che avessero visitato tre chiese dei loro luoghi di origine in tutto il mondo. L’11 febbraio 1875 avvenne l’inaugurazione: erano presenti il pontefice e il clero di Roma. Non ci furono pellegrinaggi solenni. Il papa si dichiarava prigioniero di re Vittorio Emanuele II. Una comitiva costituita da illustri cattolici di tanti Stati del mondo giunse a Roma a fargli visita il 12 aprile. (pubblicato su La nuova bussola quotidiana del 7-4-2025)
Risvolto-Etty Hillesum-DIARIO-1941-1942 -ADELPHI EDIZIONI-All’inizio di questo Diario, Etty è una giovane donna di Amsterdam, intensa e passionale. Legge Rilke, Dostoevskij, Jung. È ebrea, ma non osservante. I temi religiosi la attirano, e talvolta ne parla. Poi, a poco a poco, la realtà della persecuzione comincia a infiltrarsi fra le righe del diario. Etty registra le voci su amici scomparsi nei campi di concentramento, uccisi o imprigionati. Un giorno, davanti a un gruppo sparuto di alberi, trova il cartello: «Vietato agli ebrei». Un altro giorno, certi negozi vengono proibiti agli ebrei. Un altro giorno, gli ebrei non possono più usare la bicicletta. Etty annota: «La nostra distruzione si avvicina furtivamente da ogni parte, presto il cerchio sarà chiuso intorno a noi e nessuna persona buona che vorrà darci aiuto lo potrà oltrepassare». Ma, quanto più il cerchio si stringe, tanto più Etty sembra acquistare una straordinaria forza dell’anima. Non pensa un solo momento, anche se ne avrebbe l’occasione, a salvarsi. Pensa a come potrà essere d’aiuto ai tanti che stanno per condividere con lei il «destino di massa» della morte amministrata dalle autorità tedesche. Confinata a Westerbork, campo di transito da cui sarà mandata ad Auschwitz, Etty esalta persino in quel «pezzetto di brughiera recintato dal filo spinato» la sua capacità di essere un «cuore pensante». Se la tecnica nazista consisteva innanzitutto nel provocare l’avvilimento fisico e psichico delle vittime, si può dire che su Etty abbia provocato l’effetto contrario. A mano a mano che si avvicina la fine, la sua voce diventa sempre più limpida e sicura, senza incrinature. Anche nel pieno dell’orrore, riesce a respingere ogni atomo di odio, perché renderebbe il mondo ancor più «inospitale». La disposizione che ha Etty ad amare è invincibile. Sul diario aveva annotato: «“Temprato”: distinguerlo da “indurito”». E proprio la sua vita sta a mostrare quella differenza.
In copertina-Etty Hillesum ritratta nella sua stanza (1937).
Etty Hillesum
ADELPHI EDIZIONI S.p.A
Via S. Giovanni sul Muro, 14
20121 – Milano
Tel. +39 02.725731 (r.a.)
Fax +39 02.89010337
AA.VV-Il loro grido è la mia voce. Poesie da Gaza- FAZI EDITORE-
Poesie da Gaza-Fazi Editore–La poesia come atto di resistenza. La forza delle parole come tentativo di salvezza. È questo il senso più profondo delle trentadue poesie di autori palestinesi raccolte in questo volume, in gran parte scritte a Gaza dopo il 7 ottobre 2023, nella tragedia della guerra in Palestina, in condizioni di estrema precarietà: poco prima di essere uccisi dai bombardamenti, come ultima preghiera o testamento poetico (Abu Nada, Alareer), mentre si è costretti ad abbandonare la propria casa per fuggire (al-Ghazali), oppure da una tenda, in un campo profughi dove si muore di freddo e di bombe (Elqedra). Come evidenzia lo storico israeliano Ilan Pappé nella prefazione, «scrivere poesia durante un genocidio dimostra ancora una volta il ruolo cruciale che la poesia svolge nella resistenza e nella resilienza palestinesi. La consapevolezza con cui questi giovani poeti affrontano la possibilità di morire ogni ora eguaglia la loro umanità, che rimane intatta anche se circondati da una carneficina e da una distruzione di inimmaginabile portata». Queste poesie, osserva Pappé, «sono a volte dirette, altre volte metaforiche, estremamente concise o leggermente tortuose, ma è impossibile non cogliere il grido di protesta per la vita e la rassegnazione alla morte, inscritte in una cartografia disastrosa che Israele ha tracciato sul terreno». «Ma questa raccolta non è solo un lamento», nota il traduttore Nabil Bey Salameh. «È un invito a vedere, a sentire, a vivere. Le poesie qui tradotte portano con sé il suono delle strade di Gaza, il fruscio delle foglie che resistono al vento, il pianto dei bambini e il canto degli ulivi. Sono una testimonianza di vita, un atto di amore verso una terra che non smette di sognare la libertà. In un mondo che spesso preferisce voltare lo sguardo, queste poesie si ergono come fari, illuminando ciò che rimane nascosto». Perché la scrittura, come ricordava Edward Said, è «l’ultima resistenza che abbiamo contro le pratiche disumane e le ingiustizie che sfigurano la storia dell’umanità».
AA.VV-Il loro grido è la mia voce. Poesie da Gaza- FAZI EDITORE-
Il libro è anche un’iniziativa concreta di solidarietà verso la popolazione palestinese. Per ogni copia venduta Fazi Editore donerà 5 euro a EMERGENCY per le sue attività di assistenza sanitaria nella Striscia di Gaza.
«Posso scrivere una poesia / con il sangue che sgorga». Yousef Elqedra
«La libertà per cui moriamo / non l’abbiamo mai sentita». Haidar al-Ghazali
«La poesia nella mia prigione / È nutrimento / È acqua e aria». Dareen Tatour
«Se devo morire, / che porti speranza, / che sia una storia».
Refaat Alareer
«Leggete queste poesie non solo con gli occhi, ma con l’anima. Ascoltate la loro musica, il loro ritmo sottile. Che siano per voi un ponte verso la comprensione, un inno alla dignità, e un ricordo che la bellezza, anche nelle situazioni più difficili, può ancora fiorire». dalla nota del traduttore Nabil Bey Salameh
«Forse questa raccolta contribuirà a erodere in qualche misura lo scudo di silenzio e disinteresse che garantisce immunità ai responsabili del genocidio a Gaza». dalla prefazione di Ilan Pappé
«Non credete che nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU anziché i paesi che hanno la bomba atomica sarebbe più giusto mettere quelli che sono riusciti pur massacrati dai bombardamenti a scrivere queste poesie bellissime?». Luciana Castellina
Curata da Antonio Bocchinfuso, Mario Soldaini e Leonardo Tosti, questa raccolta propone una selezione di poesie di dieci autori palestinesi: Hend Joudah, Ni’ma Hassan, Yousef Elqedra, Ali Abukhattab, Dareen Tatour, Marwan Makhoul, Yahya Ashour, Heba Abu Nada (uccisa nell’ottobre 2023), Haidar al-Ghazali e Refaat Alareer (ucciso nel dicembre 2023). Il volume è arricchito da una prefazione dello storico israeliano Ilan Pappé e da due interventi firmati dalla scrittrice Susan Abulhawa, autrice del romanzo bestseller Ogni mattina a Jenin, e dal giornalista premio Pulitzer Chris Hedges, ex corrispondente di «The New York Times» da Gaza.
A cura di Antonio Bocchinfuso, Mario Soldaini, Leonardo Tosti Prefazione di Ilan Pappé Con interventi di Susan Abulhawa e Chris Hedges
Traduzione dall’arabo di Nabil Bey Salameh Traduzione dall’inglese di Ginevra Bompiani ed Enrico Terrinoni
AA.VV-Il loro grido è la mia voce. Poesie da Gaza- FAZI EDITORE-
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Fiumicino-Maccarese (Roma)- Weekend al Museo del Saxofono tra jazz mediterraneo e suoni elettronici –
Jazz, elettronica e visite guidate al Museo del Saxofono il 12 e 13 aprile. Concerto, apericena e possibilità d’ingresso gratuito. Scopri il programma completo.
Un weekend musicale tra sax, jazz e sperimentazione sonora. Dal 12 aprile 2025, il Museo del Saxofono di Maccarese ospita due serate speciali. Biglietti: 18€, orari: 20:00 e 21:00.
Due giorni all’insegna della musica dal vivo, tra jazz mediterraneo e musica elettroacustica contemporanea, animeranno il Museo del Saxofono sabato 12 e domenica 13 aprile 2025. Situato a Maccarese, a pochi chilometri da Roma, il museo conferma la sua vocazione di centro culturale attivo, capace di proporre esperienze sonore immersive e multidisciplinari.
Il Mediterranean Jazz Quartet si esibirà sabato 12 aprile alle ore 21:00, con un concerto dal titolo “Musiche, luoghi e tempi dell’anima”. Il quartetto — Francesco Bignami (pianoforte), Nicola Buffa (chitarra), Bruno Zoia (contrabbasso), Cesare Botta (batteria) — proporrà composizioni originali dal sapore mediterraneo, tratte da progetti discografici come Immagini di Roma e Sangue Latino. Alle ore 20:00, sarà possibile partecipare a un’apericena al costo di 17,00 €, mentre l’ingresso al concerto è di 18,00 € (più 1,00 € di prevendita su Liveticket.it).
Il concerto del Mediterranean Jazz Quartet mescola influenze latine, scale orientali e jazz moderno, per un risultato sonoro unico. Le composizioni, firmate dai membri del gruppo, esplorano le radici culturali del Mediterraneo in chiave jazzistica e improvvisativa. Il progetto prende spunto dal disco Una Favola Mediterranea, arricchito da brani dei precedenti album della band.
Come partecipare:
Concerto: sabato 12 aprile, ore 21:00
Biglietto: 18,00 € + 1,00 € prevendita su Liveticket.it
Apericena facoltativa: ore 20:00, € 17,00
Musica elettroacustica e arte concettuale: il concerto della domenica
Domenica 13 aprile, dalle ore 11:00, è prevista una visita guidata con performance live condotta dal direttore del museo Attilio Berni, sul tema “Il saxofono e le sue metamorfosi”. A seguire, alle ore 18:00, andrà in scena Echoes of the Time: un evento gratuito che propone un viaggio nei linguaggi contemporanei, tra voce, sax, viola ed elettronica.
Con Echoes of the Time, la programmazione cambia registro. Domenica 13 aprile alle ore 18:00, il museo ospita un concerto-performance con opere di Francesco Telli, Christian Banasik, Giorgio Nottoli e Giovanni Costantini. I temi toccano argomenti profondi come femminicidio, migrazione, trauma e interiorità.
Gli interpreti:
Virginia Guidi – voce
Luca Sanzò – viola
Enzo Filippetti – sax
Banasik e Nottoli – sound direction
L’evento è gratuito, previa prenotazione e acquisto del biglietto di ingresso al museo.
Visita guidata interattiva tra i sax più rari al mondo
Domenica mattina, dalle ore 11:00, sarà possibile partecipare a una visita guidata con intermezzi musicali dal vivo, condotta dal direttore Attilio Berni, fondatore del museo. La visita ripercorre la storia e l’evoluzione dello strumento, attraverso esemplari rari e unici, come il saxofono più grande e quello più piccolo mai costruiti.
Dove si trova il Museo del Saxofono e come arrivare
Via dei Molini snc (angolo via Reggiani), Maccarese, Fiumicino (RM)
Come arrivare:
Treno da Roma Termini a Maccarese-Fregene, poi taxi (5 min)
In auto, uscita Maccarese-Fregene dalla SS1 Aurelia
Parcheggio gratuito in zona
Info e prenotazioni: +39 06 61697862 / +39 320 2514087
Il Museo del Saxofono è il più grande centro espositivo al mondo dedicato al sassofono, con oltre 600 strumenti. Inaugurato nel 2019, è oggi un punto di riferimento internazionale per appassionati e musicisti.
-Franco Leggeri Fotoreportage-“Il Castello di Torre in Pietra”
Franco Leggeri Fotoreportage-Il Castello di Torre in Pietra, detto anche Castello Falconieri, è un castello situato a Torrimpietra, frazione del comune di Fiumicino, in provincia di Roma. Inizialmente il borgo era un castra attorniato da torri e da mura di cinta. Nel 1254 il castello era proprietà della famiglia normanna degli Alberteschi, poi passò agli Anguillara che, nel 1457, per mano di Lorenzo e Felice Anguillara, per 3000 ducati d’oro lo vendettero a Massimo di Lello di Cecco dei Massimo, quindi passò ai Peretti. Nel 1639 fu venduta ai principi Falconieri. Ferdinando Fuga realizzò la chiesa e lo scalone del piano nobile del castello, indi Pier Leone Ghezzi ne realizzò gli interni, perlopiù gli affreschi inerenti all’anno giubilare 1725. Il Castello che oggi ammiriamo è sostanzialmente quello che ci hanno lasciato i Falconieri. Gli affreschi sono perfettamente conservati: possiamo rivivere i fasti dell’anno giubilare 1725, quando il Ghezzi viene chiamato da Alessandro Falconieri a decorare il piano nobile con scene celebranti la visita al castello del Papa Benedetto XIII. All’interno della chiesa ottagonale, gli affreschi sugli altari laterali sono ulteriori testimonianze della sua opera. Infine, nella seconda metà dell’ottocento, i Falconieri si estinguono e Torre in Pietra conosce un’epoca di decadenza[2]. Nel 1926 passò al senatore Luigi Albertini che ne bonificò le terre secondo le moderne tecniche e la rese tra le più prestigiose aziende zootecniche italiane. Nel 1941 passò a sua figlia Elena Albertini, sposata con il conte Nicolò Carandini, i cui eredi tuttora risultano proprietari del castello-Fonte Wikipedia-
Foto di Franco Leggeri-Le foto del Castello di Torre in Pietra , sono stati scatti eseguiti per provare vari obiettivi e fotocamere Reflex-:NIKON e CANON-
il CASTELLO DI TORRE IN PIETRA
Castello di Torre in Pietra
Il Borgo di Torre in Pietra che sorge in una vasta zona agricola e boschiva protetta in antico da una “Turris in petra” poco distante e ancora esistente.
Il Borgo si identifica essenzialmente nella struttura denominata più specificamente “Castello” cioè l’insieme delimitato da mura, ma comprende anche alcuni edifici ai margini della cinta muraria, abitativi e commerciali (ristorante, cantina). Il Castello, che si ritiene sorga nel luogo della stazione romana Baebiana, ha origine medioevale e di quell’epoca conserva ancora quasi intatta la struttura rettangolare cinta da mura e definita da torri angolari.
Tra i vari edifici c’è il “Palazzo”, una residenza signorile risultato di interventi di ampliamento e di fusione di più edifici preesistenti ad opera delle famiglie Peretti e Falconieri. A difesa del castrum, al di sopra di un fossato ormai colmato, in direzione Roma, si erge una torre angolare con funzione abitativa e di avvistamento, che si affaccia sul cortile medioevale detto dei cavalli, dalla presenza della scuderia e della selleria. Un edificio seicentesco, a destinazione abitativa, è addossato al lato esterno delle mura, che ne costituiscono la facciata verso il giardino, e ingloba al suo interno una delle torri minori medioevali. Il giardino conserva una fontana seicentesca, tratti di basolato romano, platani e pini secolari.
Il Castello di Torre in Pietra nel 1254 è citato tra i possedimenti della nobile famiglia Normanni Alberteschi, poi diviene proprietà degli Anguillara e dei Massimo. Nel 1590 viene acquistato da Camilla Peretti, sorella di Papa Sisto V. Nei primi anni del 600 il Principe Michele Peretti fa costruire nel borgo fortificato una nuova, grande e sfarzosa residenza signorile dall’architetto Michele Peperelli.
Nel 1639 la tenuta e il Castello sono venduti ai Principi Falconieri, che chiamano a lavorare a Torre in Pietra due grandi ingegni del tempo: l’architetto Ferdinando Fuga, che realizza la chiesa e il nuovo scalone di accesso al piano nobile, e il pittore Pier Leone Ghezzi, che esegue gli affreschi nei saloni del piano nobile e su due altari della Chiesa, ancora oggi perfettamente conservati.
Nella seconda metà dell’800 i Falconieri si estinguono e Torre in Pietra conosce un’epoca di decadenza. Il castello passa nelle mani di diverse famiglie, tra le quali i Florio di Sicilia, fino a quando, nel 1926, diviene proprietà del Senatore Luigi Albertini che, insieme ai figli Leonardo ed Elena e al genero Nicolò Carandini, si impegna in un’imponente opera di bonifica della tenuta agricola e di restauro di castello, chiesa e borgo. I lavori sono condotti dall’architetto Michele Busiri Vici, con il contributo del pittore Eugenio Cisterna.
Dal 1990 i figli e nipoti eredi di Elena e Nicolò Carandini conservano e abitano il Castello, aperto a visite ed eventi, e conducono l’azienda agricola e la cantina.
Foto di Franco Leggeri-Le foto del Castello di Torre in Pietra , sono stati scatti eseguiti per provare vari obiettivi e fotocamere Reflex-:NIKON e CANON-
il CASTELLO DI TORRE IN PIETRA
Il Castello di Torre in Pietra è un meraviglioso complesso architettonico di origine Medioevale, con importanti testimonianze di architettura e pittura sei-Settecentesche. Sono ancora perfettamente conservati il fossato, la torre di guardia e le mura di cinta che abbracciano tutto il complesso, all’interno del quale, nel corso dei secoli, sono stati costruiti e trasformati diversi importanti edifici. Domina su tutto il palazzo Seicentesco, posto al centro del Borgo all’interno del quale, salendo al piano Nobile, si possono ammirare i magnifici affreschi, opera del pittore Pier Leone Ghezzi, che ha decorato le sale con una sequenza di paesaggi, trompe l’oeil, scene religiose, figure di nobili e chierici, figure allegoriche, stemmi, ritratti di Cardinali e di Papa Benedetto XIII. Davanti al palazzo un ampio cortile, in parte lastricato da basolato Romano, conduce a due grandi giardini, ombreggiati da platani e pini secolari, con al centro un’antica fontana. Sul lato destro si affaccia la bella Chiesa ottagonale di S. Antonio Abate, opera Settecentesca del celebre architetto Ferdinando Fuga, decorata anch’essa dal Ghezzi. Sulla sinistra, al piano terra di un altro edificio, si raggiunge la vasta Sala Peretti, con il suo imponente soffitto a volta e il bel camino, recentemente restaurata. Una cintura di boschi circonda e protegge il Castello che mantiene il suo carattere affascinante e segreto nonostante la sua vicinanza alla via Aurelia e a Roma.
La storia del Castello di Torre in Pietra L’attuale complesso di edifici ha origini Medioevali e si è costituito nella forma di un castrum, un villaggio agricolo fortificato attorno a una residenza signorile, secondo un modello di insediamento rurale molto diffuso all’epoca nella campagna Romana; lo si può veder ancora oggi osservando le torri, il bastione, il fossato e le mura di cinta.
Il primo documento nel quale si descrive questo insediamento con l’antico nome di “Castrum Castiglionis” è un testamento che risale al 1254, nel quale viene menzionato tra i beni che un Nobile della famiglia Romana dei Normanni Alberteschi lascia in eredità a uno dei suoi figli. Diventa in seguito proprietà degli Anguillara e dei Massimo.
Il nome di Torre in Pietra, che deriva da una Torre isolata costruita su un roccione di pietra nei pressi del castello, è indicato per la prima volta in una pianta del 1620 dove sono illustrate le tenute dei principi Peretti. Nel 1590, infatti, la tenuta venne acquistata da Camilla Peretti, sorella di Papa Sisto V°, e Michele Peretti, nipote del Papa, commissionò all’architetto Francesco Peperelli la costruzione di una nuova residenza signorile sui resti del castrum Medioevale.
Al piano Nobile alcune sale, secondo l’usanza del tempo, vennero rivestite con pannelli di cuoio decorato, altre affrescate. Il palazzo che noi oggi vediamo conserva ancora quasi intatto il suo impianto seicentesco e lo stemma Peretti campeggia ancora sul portone d’ingresso. Ma l’altissimo tenore di vita intaccò irrimediabilmente il loro patrimonio familiare e così, nel 1639, i Peretti dovettero vendere il castello e la tenuta al principe Orazio Falconieri.
I Falconieri, che ebbero Torre in Pietra tra i loro possedimenti per più di due Secoli, erano dei potenti banchieri che raggiunsero l’apice del potere e della ricchezza quando nel 1724 Alessandro, nipote di Orazio, fu nominato Cardinale dal Papa Benedetto XIII°. Tra il 1712 e il 1725, Alessandro volle mutare in parte l’aspetto seicentesco del Castello, chiamando due ingegni del suo tempo: l’architetto Ferdinando Fuga e il pittore Pier Leone Ghezzi. La chiesa Medioevale venne abbattuta e ricostruita su disegno del Fuga, che progettò anche il nuovo scalone d’ingresso al palazzo. Sia la Chiesa che i saloni del piano Nobile vennero poi affrescati dal Ghezzi.
Dal 1870 il castello e la tenuta passarono nelle mani di numerosi proprietari (i Carpegna, i Florio, la Società Bonifiche Agrarie) e conobbero un lungo periodo di abbandono, fino a quando nel 1926 divennero di proprietà del Senatore Luigi Albertini. Egli, avendo dovuto abbandonare la direzione del Corriere della Sera per la sua opposizione al fascismo, dedicò tutte le sue risorse a una imponente opera di bonifica dei terreni paludosi, di avvio di un’azienda agricola modello, e di restauro del castello, della chiesa e del borgo, coadiuvato dal figlio Leonardo Albertini e dal genero Nicolò Carandini.
Matrimoni al castello di Torre in Pietra Il castello è il luogo ideale per celebrare matrimoni religiosi nella Chiesa dedicata a S. Antonio Abate e, grazie alla convenzione con il Comune di Fiumicino, il rito del matrimonio civile.
Visite al castello e alla cantina Organizziamo anche visite guidate al Castello e alla Chiesa e, in collaborazione con la Cantina, degustazioni di vini e visite guidate della Cantina.
Torrimpietra è stata la quarantaseiesima zona di Roma nell’Agro romano, indicata con Z. XLVI, istituita con delibera del commissario straordinario n. 2453 del 13 settembre 1961 e soppressa con delibera del commissario straordinario n° 1529 dell’8 settembre 1993[2] a seguito dell’istituzione del comune di Fiumicino, avvenuta con legge regionale n. 25 del 6 marzo 1992.
Il toponimo deriva dalla Torre In Pietra, castello del XIII secolo.
Chiesa di Sant’Antonio Abate, su via Francesco Marcolini.
Chiesa di San Pietro
Chiesa della Misericordia
Economia
Fino alla fine degli anni novanta del Novecento l’economia comunale, tra cui l’allevamento di bovini, era legata principalmente all’azienda locale, denominata appunto Torre in Pietra, che produceva latte fresco pastorizzato e yogurt, un tempo appartenuta ai proprietari della Tenuta Torre in Pietra; lo storico marchio ha poi spostato la sua produzione altrove e oggi non è più legato alla realtà locale. È ancora in attività invece la produzione di vino nella storica cantina del castello[3].
il CASTELLO DI TORRE IN PIETRAil CASTELLO DI TORRE IN PIETRAil CASTELLO DI TORRE IN PIETRAil CASTELLO DI TORRE IN PIETRAil CASTELLO DI TORRE IN PIETRAil CASTELLO DI TORRE IN PIETRAil CASTELLO DI TORRE IN PIETRAil CASTELLO DI TORRE IN PIETRAil CASTELLO DI TORRE IN PIETRAil CASTELLO DI TORRE IN PIETRAil CASTELLO DI TORRE IN PIETRAil CASTELLO DI TORRE IN PIETRAil CASTELLO DI TORRE IN PIETRAil CASTELLO DI TORRE IN PIETRAil CASTELLO DI TORRE IN PIETRAil CASTELLO DI TORRE IN PIETRAil CASTELLO DI TORRE IN PIETRAil CASTELLO DI TORRE IN PIETRAil CASTELLO DI TORRE IN PIETRAil CASTELLO DI TORRE IN PIETRAil CASTELLO DI TORRE IN PIETRAil CASTELLO DI TORRE IN PIETRAil CASTELLO DI TORRE IN PIETRAil CASTELLO DI TORRE IN PIETRAil CASTELLO DI TORRE IN PIETRAil CASTELLO DI TORRE IN PIETRAil CASTELLO DI TORRE IN PIETRAil CASTELLO DI TORRE IN PIETRAil CASTELLO DI TORRE IN PIETRAil CASTELLO DI TORRE IN PIETRAil CASTELLO DI TORRE IN PIETRAil CASTELLO DI TORRE IN PIETRAil CASTELLO DI TORRE IN PIETRA
Comune di Mompeo (Rieti)–Rassegna “A Porte Aperte”-Dalla Musica alle stelle:musiche di Mozart e Boccherini-
Comune di Mompeo –Articolo di Giulia Mininni–Nell’ambito della rassegna “A Porte Aperte” del Comune di Mompeo con il supporto della Regione Lazio e la direzione artistica di Renato Giordano il giorno sabato 12 aprile, presso l’Auditorium S. Carlo alle ore 18,00 andrà in scena il concerto VICINI E LONTANI : MUSICHE Di BOCCHERINI E MOZART. Luigi Boccherini e Wolfgang Amadeus Mozart sono due compositori allo stesso tempo tanto vicini per l’epoca in cui hanno vissuto ma anche tanto lontani per lo stile ed il genere. La loro musica testimonia il passaggio dallo stile Barocco a quello Classico. Ma mentre Mozart crea una musica moderna e assolutamente originale, Boccherini continua a rimanere fedele ai canoni della musica galante e Rococò che si avvicina al Romanticismo in arrivo, mentre Mozart lancia il suo sguardo verso il Nuovo Mondo. Piccoli gioielli di musica da camera che non solo celebrano i due compositori che hanno scritto le pagine più belle per questo genere musicale, ma allo stesso tempo mettono in risalto le doti degli esecutori dell’Ensemble Crescendo . L’orchestra Ensemble Crescendo nasce dall’idea di Carla Tutino di valorizzare il repertorio da camera con contrabbasso si avvale di musicisti con esperienza che operano e lavorano insieme da anni in diverse realtà musicali sinfoniche e cameristiche. Gli artisti che suoneranno sono Roberto Baldinelli e Caterina Bono ( violini) Paola Emanuele (viola), Adriano Ancarani (violoncello) ,Carla Tutino (Contrabbasso). Il programma della giornata oltre al concerto prevede l’ apertura e la visita guidata all’osservatorio astronomico del castello Orsini Naro a cura del CNAI alle 15.30, ed alle ore 20.00 dopo il concerto , l’osservazione del cielo primaverile con telescopio nel giardino dell’auditorium S. Carlo.
Comune di Mompeo (Rieti)–Rassegna “A Porte Aperte”-
Sabato 12 aprile Programma: h. 15.30 apertura e visita guidata all’ Osservatorio astronomico Castello Orsini Naro a cura del CNAI (Centro nazionale Astroricercatori indipendenti), h. 18.00 Concerto “Vicini e Lontani” all’Auditorium S. Carlo. h. 20. 00 Osservazione del cielo primaverile con telescopio nel giardino dell’Auditorium . Ingresso Gratuito.
Poesia di Antonia Pozzi: la porta che si chiude -3 dicembre del 1938.
Quando Antonia Pozzi arrivò, la mattina del 2 dicembre 1938, la neve aveva rivestito di bianco la campagna intorno all’ abbazia di Chiaravalle. Lasciò la bicicletta e si sedette a pochi metri da una roggia, come in Lombardia chiamano i piccoli corsi d’ acqua che traversano i campi. Aveva con sé un barattolo di pasticche. Le ingoiò con una sola sorsata d’ acqua e poi si sdraiò sulla neve, dove la trovarono ancora viva. Morì poche ore dopo.Lo sguardo di Antonia Pozzi, che si era allargato quasi all’infinito per cogliere l’essenza del mondo e della vita, si spegne per sempre mentre cala la notte con le sue ombre viola. Adagiata su un prato innevato di Chiaravalle, imbottita di farmaci e tristezza, se ne andava Antonia Pozzi. Lo sguardo perso nello sguardo senza pupilla del cielo. Aveva ventisei anni.
La porta che si chiude
Tu lo vedi, sorella: io sono stanca,
stanca, logora, scossa,
come il pilastro d’un cancello angusto
al limitare d’un immenso cortile;
come un vecchio pilastro
che per tutta la vita
sia stato diga all’irruente fuga
d’una folla rinchiusa.
Oh, le parole prigioniere
che battono battono
furiosamente
alla porta dell’anima
e la porta dell’anima
che a palmo a palmo
spietatamente
si chiude!
Ed ogni giorno il varco si stringe
ed ogni giorno l’assalto è più duro.
E l’ultimo giorno
– io lo so –
l’ultimo giorno
quando un’unica lama di luce
pioverà dall’estremo spiraglio
dentro la tenebra,
allora sarà l’onda mostruosa,
l’urto tremendo,
l’urlo mortale
delle parole non nate
verso l’ultimo sogno di sole.
E poi,
dietro la porta per sempre chiusa,
sarà la notte intera,
la frescura,
il silenzio.
E poi,
con le labbra serrate,
con gli occhi aperti
sull’arcano cielo dell’ombra,
sarà
– tu lo sai –
la pace.
Antonia Pozzi, considerata oggi una delle voci più belle e intense del novecento italiano, riposa a Pasturo (Valsassina) nel paese dove ancora si respira il respiro della sua anima e dove le hanno dedicato dei cartelli con le sue poesie.
Fonte- Sitting on the dock of the bay²
ANTONIA POZZI-Copia del manoscritto PREGHIERA ALLA POESIA
ANTONIA POZZI (Milano 1912-1938)-Quando Antonia Pozzi nasce è martedì 13 febbraio 1912: bionda, minuta, delicatissima, tanto da rischiare di non farcela a durare sulla scena del mondo; ma la vita ha le sue rivincite e … …
È strana, a volte, la vita. Se osserviamo dall’esterno, alcune persone sembrano insolitamente privilegiate e la loro esistenza fluisce serena, senza ostacoli, come un fiume che scorre inarrestabile. Eppure, talvolta, quel moto lento e inesorabile si interrompe bruscamente, magari per una casualità o per un intervento volontario, e noi restiamo attoniti e smarriti ad interrogarci sul perché. Cosa può aver spinto, a soli 26 anni, Antonia Pozzi a compiere il suo tragico gesto in una gelida giornata decembrina di tanti anni fa, quando sull’Europa si addensavano minacciose le nubi di guerra? Forse non sapremo mai se le ragioni del suo suicidio sono da ricercarsi in un oscuro “male di vivere”, oppure in un sentimento di disperazione fatale. Possiamo asserire con certezza però che il panorama letterario italiano ne risultò impoverito perché, come ebbe a commentare Dino Formaggio, un famoso filosofo legato da profonda amicizia con la donna: “la poesia di Antonia Pozzi rimane, più che mai oggi, una delle voci liriche più sofferte e più pure, più luminosamente illimpidite, della poesia lirica italiana di questo secolo“. Una voce isolata e solitaria, quella della Pozzi, a lungo poco nota, fino alla “riscoperta” da parte di Montale, che ne decretò la fama definitiva. Milanese, nata nel 1912 da una facoltosa famiglia alto-borghese (il padre era un noto avvocato, la madre, una nobildonna nipote di Tommaso Grossi, scrittore amico di Carlo Porta e del Manzoni), Antonia Pozzi studia al liceo classico “Manzoni”, nella sua città, e intreccia ben presto una relazione con il suo professore di latino e greco, Antonio Maria Cervi, relazione fortemente avversata dai genitori, terminata nel 1933, con il trasferimento dell’insegnante a Roma. L’ambiente altolocato di appartenenza offre alla giovane molteplici stimoli culturali: la frequentazione di un circolo sociale esclusivo, un palco riservato alla Scala e – chance non comune all’epoca – la possibilità di viaggiare. Antonia suona il pianoforte, dipinge, si dedica alla fotografia, pratica il nuoto, il tennis, lo sci, l’equitazione. E’ una bionda bellezza esile e raffinata, con i bei capelli ondulati tagliati corti, stile Anni Trenta. Il mondo sembra spalancarsi dinanzi a lei, caleidoscopio rutilante di opportunità ed emozioni. Quando si iscrive alla facoltà di filologia dell’Università statale di Milano, nel 1930, sembra aprirsi per lei un nuovo capitolo, il più felice, della sua breve esistenza. Frequenta molti dei nomi più importanti del firmamento intellettuale milanese di quegli anni, da Vittorio Sereni ad Enzo Paci, da Luciano Anceschi a Remo Cantoni, ma nessuno avrà maggiore influenza su di lei del docente di estetica Antonio Banfi, con cui si laureerà nel 1935. Viaggia in Italia, Austria, Germania e Inghilterra, ma visita anche le periferie della sua città, un mondo per il quale prova compassione, sentendosi quasi in colpa per i suoi natali privilegiati. Non a caso preferisce all’elegante mondanità milanese la solitudine della vita immersa nella natura incontaminata di Pasturo, presso Lecco, dove si erge la settecentesca villa di famiglia. Antonia fa lunghe escursioni a piedi o in bicicletta, ama la selvaggia bellezza di quei paesaggi ricchi di picchi innevati, di torrenti e di crepacci. Trae fonte di ispirazione dalla natura, è il silenzio delle alture che la induce alla meditazione sulla finitezza umana. Scatta fotografie ai luoghi ed agli abitanti, colti nelle loro umili mansioni quotidiane. Solo in alcuni e brevi momenti la giovane riesce a sentirsi in pace con se stessa. Poi la Storia, con la sua urgenza, irrompe anche nel ritiro dorato di Antonia: è il 1938 e le leggi razziali fasciste colpiscono alcuni dei suoi amici più cari. La giovane scrive, amara, al Sereni: <<l’età delle parole è finita per sempre>>. Il male di vivere, di cui soffre da tempo, si acuisce. “Morte” è una parola dolorosamente ricorrente nei suoi versi. Pericolosamente ricorrente. E la morte, infine, si materializza e se la porta via il 3 dicembre 1938, quando Antonia decide di avvelenarsi con dei barbiturici nei prati antistanti l’abbazia cistercense di Chiaravalle. Il suo biglietto di addio ai genitori parla di un’invincibile “disperazione mortale”, ma la sua famiglia nega a lungo la circostanza del suicidio, per evitare lo scandalo. Le sue prime opere vengono pubblicate postume, dalla Mondadori, un anno dopo la sua morte, dopo essere state revisionate dal padre, che modifica soprattutto quelle dai contenuti amorosi. Ma, a dispetto delle manipolazioni subite, la produzione lirica della Pozzi affascina tuttora generazioni di lettori per la modernità e per la scarna essenzialità dei suoi versi soffusi di tristezza, debitori del crepuscolarismo e dell’espressionismo tedesco.
Dopo un lungo periodo di oblio, persino il cinema si è interessato ad Antonia e la sua vita è stata ricostruita nel cine-documentario della regista Marina Spada in “Poesia che mi guardi”, presentato fuori concorso alla 66ª Mostra del Cinema di Venezia, nel 2009. In occasione del centenario della sua nascita, i registi Sabrina Bonaiti e Marco Ongania hanno, poi, realizzato un film-documentario dal titolo “Il cielo in me. Vita irrimediabile di una poetessa” e nel 2016 è stato proiettato, al Cinema Mexico di Milano , un film sulla sua vita intitolato “Antonia” di Ferdinando Cito Filomarino. Oggi ella riposa nel cimitero di Pasturo, e la sua tomba è vegliata dal monumento funebre dello scultore Giannino Castiglioni, un “Cristo Giovane” che ha lo sguardo rivolto alla Grigna, alle amate montagne testimoni silenti e imperturbabili della “breve sosta” di Antonia nella nostra dimensione terrena.
Articolo di Giovanna Potenza , è una dottoressa di ricerca specializzata in Bioetica. Ha due lauree con lode, è autrice della monografia “Bioetica di inizio vita in Gran Bretagna” (Edizioni Accademiche Italiane, 2018) e ha vinto numerosi premi di narrativa. È uno spirito curioso del mondo che ama viaggiare e scrivere e che legge avidamente libri che riguardino il Rinascimento, l’Età Vittoriana, l’Arte e l’Antiquariato. Ha una casa ricca di oggetti antichi e di collezioni insolite, tra cui quella di fums up e di bambole d’epoca “Armand Marseille”.
Antonio Gramsci- Antologia a cura di Antonio A Santucci-
-Editori Riuniti- Roma
Antonio Gramsci. Antologia –La questione delle antologie gramsciane non è né recente, né di facile soluzione. È sempre stato ritenuto necessario «antologizzare Gramsci», ma è anche vero che «antologizzare Gramsci» è sempre stato un problema.
Si tratta infatti di un lascito letterario vasto, alla morte dell’autore rimasto inedito o non pubblicato in volume: articoli di giornale o di rivista, relazioni o documenti politici, gli appunti carcerari raccolti nei celebri «quaderni», lettere scritte in libertà o in prigionia, nulla di tutto ciò è stato approntato da Gramsci per la pubblicazione in volume.
Iniziare a leggere Gramsci dunque non è facile. Come scegliere fra le centinaia di scritti, dal 1913 al 1937, saggi, annotazioni, squarci di costume, documenti politici, cronache teatrali, elzeviri di terza pagina, lettere, tutti raccolti in parecchi volumi, molti dei quali non più reperibili in libreria? Per questo oggi, mentre permane la necessità – per chi voglia davvero studiare e approfondire Gramsci – di non assumerlo «in pillole», di rifarsi cioè all’intero corpus dei suoi scritti, contestualizzandoli con l’aiuto di libri di critica gramsciana e di libri di storia del movimento comunista e del marxismo, permane anche il problema di mettere a punto strumenti antologici che, cercando di non tradire la complessità di pensiero del comunista sardo, aiutino la sua «divulgazione», cioè vengano incontro al lettore meno esperto e lo incoraggino a muovere i primi passi nell’universo di questo grande autore, letto e studiato in tutto il mondo.
Antonio Gramsci- Antologia
Le antologie gramsciane sono state fin qui soprattutto di due specie: tematiche (sulla questione cattolica o meridionale, sul fascismo, sul Risorgimento, su Croce, e così via); e complessive, a volte anche con un taglio interpretativo determinato, oppure circoscritte al vasto territorio dei Quaderni, ma comunque tese a presentare il pensiero gramsciano complessivamente inteso. Le prime sono le più obsolete, perché isolano un aspetto, un tema appunto, di un pensiero in cui davvero «tutto si tiene», organizzato cioè intorno a un nucleo di domande fortemente legate le une alle altre: queste raccolterischiano così di restituire l’immagine del Gramsci «specialista» di tanti specialismi (storico, critico letterario, fi losofo, ecc.), che fu uno dei grandi limiti della prima edizione tematica dei Quaderni del carcere curata tra il 1948 e il 1951 da Felice Platone e Palmiro Togliatti.
L’antologia curata da Antonio A. Santucci per gli Editori Riuniti nel 1997 con il titolo Le opere, che oggi opportunamente torna disponibile per i tipi della Editori Riuniti University Press, di fatto è stata per molti anni l’unica antologia «generalista» effettivamente in libreria, costituendo dunque un supporto particolarmente utile per la didattica universitaria e per chiunque volesse avere un primo approccio non minimalista (cioè mediante antologie di pochissime pagine) al pensiero di Gramsci.
(dalla prefazione di Guido Liguori)
INDICE
Prefazione p. 9
Avvertenze 13
LE OPERE
I
Neutralità attiva e operante 17
La luce che si è spenta 22
Pietà per la scienza del Prof. Loria 25
Socialismo e cultura 27
Tre principii, tre ordini 31
Indifferenti 38
Margini 41
La morale e il costume 46
Liolà di Pirandello 50
Note sulla Rivoluzione Russa 53
I massimalisti russi 57
L’orologiaio 60
La rivoluzione contro il «capitale» 63
Il nostro Marx 67
Utopia 71
II
La taglia della storia 79
Democrazia operaia 84
La conquista dello stato 88
Ai commissari di reparto delle officine Fiat centro e brevetti 94
Socialisti e anarchici 98
Per un rinnovamento del partito socialista 102
La forza della rivoluzione 110
Il Consiglio di fabbrica 113
Sindacati e consigli 118
Il programma dell’ordine nuovo 123
Il partito comunista 132
Franche parole ad un borghese 143
III
Bergsoniano! 147
Il Congresso di Livorno 149
I comunisti e le elezioni 153
Socialisti e fascisti 156
Sovversivismo reazionario 158
I due fascismi 161
Una lettera a Trockij sul futurismo italiano 164
Capo 167
Contro il pessimismo 172
Problemi di oggi e di domani 177
Necessità di una preparazione ideologica di massa 185
Lettera al comitato centrale del partito comunista sovietico 192
Lettera a Palmiro Togliatti 203
IV
Alcuni temi della quistione meridionale 209
V
Quaderni del carcere 235
Primo quaderno 235
Terzo quaderno 245
Quarto quaderno 261
Quinto quaderno 263
Sesto quaderno 265
Settimo quaderno 282
Ottavo quaderno 289
Nono quaderno 297
Decimo quaderno 304
Undicesimo quaderno 337
Dodicesimo quaderno 377
Tredicesimo quaderno 389
Quattordicesimo quaderno 423
Quindicesimo quaderno 429
Sedicesimo quaderno 437
Diciassettesimo quaderno 441
Diciannovesimo quaderno 442
Ventunesimo quaderno 445
Ventiduesimo quaderno 451
Ventisettesimo quaderno 469
Ventottesimo quaderno 472
Indice dei nomi 481
Antonio Gramsci. Antologia
Autore: Antonio Gramsci
ISBN13: 9788864730738
€23.75€25.00
Editori Riuniti, Via di Fioranello n.56, 00134, Roma (RM)-
Contatti
Email: info@editoririuniti.it
Tel. casa editrice: 06 79340534
Tel. disponibilità titoli e stato ordini: 011 0341897
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