Roma al Teatro Tordinona Renato Giordano ha presenta il suo ultimo libro :« Il Polemoscopio, ovvero, la Calunnia Smascherata (dalla presenza di spirito) »-Editore BeaT-
Renato Giordano-Giulia Mininni-Roma-10 aprile 2025 al Teatro Tordinona
Roma-Il 10 aprile al Teatro Tordinona di Roma nell’ambito delle celebrazioni per i 300 anni dalla nascita del famoso libertino e scrittore Giacomo Casanova, Giulia Mininni ha presentato il nuovo libro di Renato Giordano su Casanova ed il Teatro. Casanova scrive nel giugno del 1791 una tragicommedia in tre atti dal titolo « IlPolemoscopio, ovvero, la Calunnia Smascherata (dalla presenza di spirito) », che resterà dell’unico testo teatrale a noi arrivato scritto per intero dal famoso libertino il quale vanta nella sua bibliografia oltre ad alcune collaborazioni (la più curiosa è quella a correzione di alcune scene del “Don Giovanni” di Mozart, collaborazione a lungo sconosciuta al libretto di Da Ponte che ha ispirato Giordano per scrivere la sua opera dal titolo “Doppio Gioco” anche essa presento nel libro),
“La Calunnia” composta in francese negli ultimi anni della vita a Dux, , fu sicuramente recitata nell’estate del 1791 dai principi di Clarì e Lignè durante una festa data nel castello di Toepliz in Cechia.
Luigi Diberti-Attore
La commedia narra di una disputa d’amore che vede impegnati due ufficiali francesi nella difficile conquista del cuore di una avvenente contessa. Si tratta di una storia realmente accaduta,come ricorda Casanova nell’avvertenza al lettore, ed infatti ne troviamo il racconto nel XX capitolo delle sue Memorie. Invece la commedia “Doppio Gioco” di Giordano racconta un episodio realmente avvenuto. Giacomo Casanova e Lorenzo da Ponte s’incontrarono per l’ultima volta nell’agosto del 1792 in un paesino vicino a Dux dove Casanova stava passando i suoi ultimi anni. Da Ponte ha con se Nancy , la giovane moglie, appena sposata. Ed anche se ha lasciato l’incarico a corte è ancora nella fase ascendente della vita. Casanova invece si trova nella fase calante. Potrebbe essere l’incontro tra un vincente ed un perdente. Ma il gioco è molto più sottile, doppio, come doppio è il filo che lega i due uomini. Il libretto del “Don Giovanni”, il capolavoro di Mozart, è opera in realtà in buona parte di Casanova ( e le carte inedite presenti nell’archivio casanoviano in Cechia, nonché la presenza del solo Casanova a Praga per la prima assoluta dell’opera lo dimostrano.) Perché dunque da Ponte va trovare Casanova? Per riscuotere un vecchio credito o per avere la certezza che Casanova non riveli a tutti quella scomoda verità.? Nella serata Casanoviana al Teatro Tordinona di Roma con inizio alle ore 18,00 oltre all’autore hanno partecipato con interventi Attori importanti come : Giuseppe Pambieri, Gigi Diberti, Carlo Valli, Micol Pambieri, Edoardo Siravo che hanno ricevuto applausi e consensi unanimi da parte del pubblico presente in sala
Articolo di Giulia Mininni
Foto gallery Artisti presenti Evento 10 aprile 2025 al Teatro Tordinonadi Roma
Fara in Sabina-Ambrogio Sparagna in concerto al Teatro Potlach-
Fara in Sabina-Ambrogio Sparagna in concerto al Teatro Potlach
Fara in Sabina-Ambrogio Sparagna in concerto al Teatro Potlach, e la domenica una fiaba per tutta la famiglia-Sabato 12 Aprile alle ore 21.00 al Teatro Potlach di Fara Sabina
“PER GRAZIA RICEVUTA. I canti popolari di Nino Manfredi” Un progetto originale di Ambrogio Sparagna.
CON:
Ambrogio Sparagna: voce, organetto
Anna Rita Colaianni: voce
Alessia Salvucci: tamburelli
Erasmo Treglia: ghironda, ciaramella, torototela
Uno spettacolo ispirato alle note del film epico “Per Grazia Ricevuta”, per omaggiare il suo straordinario autore e interprete Nino Manfredi. Dopo 50 anni dall’uscita del film, questo progetto di musica e danza popolare ritorna idealmente in quella terra ciociara per far rivivere le emozioni suscitate dalla pellicola che mostrava luoghi, paesi, personaggi, stili di vita ancora vivi nella memoria dei borghi ciociari.
Con la Direzione del Maestro Ambrogio Sparagna, lo spettacolo propone alcuni brani utilizzati nella colonna sonora del film e altri che l’hanno ispirata tratti dalle collezioni Colacicchi/Nataletti sui Canti popolari di Ciociaria (1949).
Un’occasione per cantare insieme “Me pizzica, me mozzica” o “Tanto pe cantà” e per ballare sul ritmo di un saltarello ciociario o di “Viva Viva Sant’Eusebio”.
Biglietto: 10 €
Info e prenotazioni scrivendo SMS o WhatsApp al numero del Teatro Potlach: 351.7954176
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E la domenica… appuntamento in teatro per tutta la famiglia!
Domenica 13 Aprile alle ore 17.00 al Teatro Potlach di Fara Sabina
“Il Gigante Egoista” – Teatro Potlach
Di e con: Zsofia Gulyas e Irene Rossi
Fara in Sabina-Ambrogio Sparagna in concerto al Teatro Potlach
A partire dalla celebre fiaba di Oscar Wilde, lo spettacolo narra di un gigante egoista che vuole tenere il suo grande e bel giardino tutto per sé, e di una coraggiosa bambina di nome Camilla che lo affronterà e, oltre a sciogliere le perenni nevi nel suo giardino, arriverà a sciogliergli il cuore.
Due attrici raccontano una fiaba sul valore dell’amicizia, della generosità e del coraggio, cimentandosi in uno spettacolo in cui si alternano diverse tecniche attoriali: dai trampoli, all’utilizzo di oggetti come i nastri circensi, dalle maschere, alla danza.
|Adatto a partire dai 3 anni.
Biglietto: 5 €
Info e prenotazioni scrivendo SMS o WhatsApp al numero del Teatro Potlach: 351.7954176
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TEATRO POTLACH via Santa Maria in Castello n. 28, Fara in Sabina (RI)
Il Teatro Potlach è stato fondato nel 1976 da Pino Di Buduo e Daniela Regnoli. Nel 1979 l’attrice svizzera Nathalie Mentha si unisce al gruppo è da allora i tre costituiscono il gruppo fisso del Teatro Potlach.
Il suo nome deriva dagli studi antropologici dei fondatori, e significa, nel linguaggio degli indigeni dell’America nordoccidentale, il rito del dono gratuito, che conferisce prestigio a chi lo elargisce e a chi lo riceve, superando le leggi del mercato e del profitto. La storia del Potlach nasce da una scelta di rifiuto e di ricerca dell’altrove, che ha spinto i suoi fondatori a designare come sede del teatro Fara Sabina, piccolo centro della provincia di Rieti.
Lavorare sull’essenza tecnica del teatro, sulla ricerca dell’attore totale e della composizione drammatica basata sull’azione fisica, ha significato dedicarsi a una continua autoformazione, oltre i confini dell’idea istituzionale del teatro, nello scambio con il circo, la danza e la performance musicale, attraverso l’esperienza costante del viaggio e del contatto sul campo con le culture performative europee, asiatiche e latinoamericane.
L’identità artistica del Potlach si è espressa contemporaneamente nella produzione di spettacoli di sala e di spettacoli di strada, e nell’attivazione di iniziative pedagogiche che hanno coinvolto l’insieme delle tecniche espressive e performative, in un continuo scambio di intenti e di strumenti con gruppi nazionali e internazionali, alla ricerca di un profilo professionale capace di offrire spettacolo ad ogni tipo di pubblico.
Lo sviluppo delle ricerche sulla pedagogia, la composizione e lo spazio dell’azione ha prodotto dal 1991 ad oggi numerose attuazioni del progetto “Città Invisibili“, in cui l’intervento del Teatro Potlach ha mobilitato artisti e comunità di centri urbani in Europa, in America e in Asia. Il progetto continua a proiettare e a rigenerare i fondamenti del lavoro teatrale fuori dai teatri, e consiste nella trasformazione degli spazi quotidiani attraverso la scoperta dell’identità culturale del luogo e l’elaborazione dell’energia creativa dei suoi abitanti.
Spettacoli prodotti in 44 anni di attività:
1977
“PARATA”: Spettacolo di strada itinerante con trampoli, musiche, maschere e danze colorate.
1978
“LE DANZE DELL’ALBERO SECCO”: Spettacolo di sala a spazio centrale. Racconti e danze con maschere di differenti provenienze etniche.
1979
“PESCATORI DI PERLE”: Danze drammatiche ispirate ad un racconto di Karen Blixen.
1981
“PRIMA CHE LA FESTA FINISCA”: Spettacolo tratto da “La vocazione teatrale di Wilhelm Meister” di W. Goethe.
1983
“SOGNI DI MARINAI”: Viaggio musicale nella Germania degli anni ’30, basato su ballate e canzoni de “L’opera da quattro soldi” di B. Brecht e K. Weill. (Prima versione, seconda versione 1993)
1986
“GIOVANNA DEGLI SPIRITI”: Spettacolo ispirato ad alcune leggende nate intorno alla figura di Giovanna d’Arco.
1987
“MEMORIE”: Spettacolo didattico sulle tecniche dell’attore con Daniela Regnoli, Antonio Mercadante, Nathalie Mentha.
1989
“EMIGRANTI OPERA TANGO”: Un’ “Opera da tre soldi” sul tema dell’emigrazione in Argentina.
1991
“DIRETTORI D’ORCHESTRA“: Spettacolo di clown, poetico ed umoristico adatto ad un pubblico di adulti e bambini con Nathalie Mentha e Marcela Grassi.
“HOLLYWOOD HOLLYWOOD”: Piccolo musical che rivisita i miti del cinema americano: Minnie (Daniela Regnoli).
“PARATA IMMAGINI”: Versione notturna di spettacolo di strada con fuochi d’artificio ed effetti speciali.
1992
“LA STRADA AL CASTELLO”: Spettacolo ispirato alle fiabe raccolte e trascritte da Italo Calvino. Spettacolo adatto ad un pubblico di adulti e bambini.
1993
“SOGNI DI MARINAI”: Seconda versione dello spettacolo del 1983.
“RACCONTI DI SABBIA”: Spettacolo- dimostrazione di Nathalie Mentha.
1995
“J&B”: Le avventure di Johnny e Belinda (Gustavo Riondet e Daniela Regnoli). Spettacolo adatto ad un pubblico di adulti e bambini.
1997
“TURANDOT”: Spettacolo di Commedia dell’Arte ispirato alla celebre fiaba teatrale di Carlo Gozzi. Lo spettacolo, ambientato nella corte della principessa cinese Turandot, si presenta come un viaggio teatrale interculturale tra Oriente e Occidente.
“SHAKESPEARE”: Progetto- evento spettacolare con di più di 40 artisti che danno vita al mondo shakespeariano.
1998
“MITI DEL MEDITERRANEO”: Evento spettacolare basato sugli antichi miti greci che tocca le rive del Mar Mediterraneo.
“PARATA IMMAGINI – Ambasciatori immaginari”: Spettacolo di strada itinerante. Gli ambasciatori offrono in dono azioni, immagini poetiche o delle visioni alla città che li accoglie. Raccontano le meraviglie dei paesi dai quali provengono.
1999
“ASPETTANDO CALAF”: Spettacolo ispirato alla fiaba della cinese Mansciù, con Daniela Regnoli.
2000
“FAMMI PARLARE”: Spettacolo con Nathalie Mentha ispirato a due artisti del XX secolo: Frida Kahlo e Ingeborg Bachmann. (Prima versione).
“FELLINIANA” In un clima da set cinematografico, alcuni dei più bei personaggi dei film di Fellini appaiono in situazioni scenografiche straordinarie.
2002
“I RACCONTI DI FERNANDO”: Spettacolo sulla tematica del cantastorie con marionette napoletane; adatto ad adulti e bambini.
“URAGANI”: Concerto d’attore basato sulle canzoni di B. Brecht sulle musiche di K. Weill; con Daniela Regnoli.
2005
“VIVA LA VITA”: Spettacolo con Nathalie Mentha ispirato a due artisti del XX secolo: Frida Kahlo e Ingeborg Bachmann. (Seconda versione dello spettacolo “Fammi parlare”).
“IN VIAGGIO CON ORFEO”: Site Specific Work realizzato specificatamente per l’antica Cisterna Romana della città di Formia.
“PER EDITH PIAF”: Concerto d’attore, viaggio musicale attraverso un’epoca e le canzoni di Edith Piaf.
2006
“IL CONTE DI GERACI”: Site Specific Work realizzato per il sito archeologico di Geraci Siculo (Sicilia): il Conte di Geraci.
2007
“HOTEL EUROPA”: L’Hotel Europa ospita gli ultimi tre clienti di passaggio, una francese, un italiano e una tedesca, carichi di nostalgia per le città dove hanno vissuto e sperato di rifarsi una vita. Cosa attendono? Dove sono i loro sogni?
“I RACCONTI DI SANTA CHIARA”: Site Specific Work. Lettura itinerante sulla vita di Santa Chiara.
2008
“IL RACCONTO DI SAN BENEDETTO”: Site specific Work. Spettacolo itinerante sulla vita di San Benedetto.
“TRA MARTA E MARIA”: Site specific Work. Spettacolo itinerante ispirato alla storia e alle leggende dei due monasteri di Fara Sabina
“ALLA LUNA, NOTE D’AMORE”: Lettura spettacolo di una selezione tra le più belle poesie d’amore.
2010
“VENTIMILA LEGHE SOTTO I MARI”: Lo spettacolo è il racconto delle incredibili avventure del sottomarino Nautilius, del Capitano Nemo e dei suoi “ospiti”.
“LA VITA ANGELICA. STORIA DI SAN TOMMASO”: Site Specific all’interno della manifestazione Quaestio “Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato”.
2012
“AMAR AMANDO”: Canzoni d’amore,di lotta e speranza dei poeti del Bacino del Mediterraneo e d’oltreoceano.
2013
“FELLINI’S DREAM”: Gli attori del Teatro Potlach in relazione con un impianto scenografico fatto di luci e videoproiezioni fanno riapparire alcuni dei più famosi personaggi dei film di Federico Fellini, come un immaginario set cinematografico che si materializza davanti agli occhi dello spettatore.
2014
“PERCHÈ CANTIAMO?”: Sulle parole dei poeti sud americani, turchi e europei, arie conosciute e meno conosciute. Fantasmi del passato e speranza nel futuro.
2015
“I PRIMI 100 ANNI DI EDITH PIAF”: Seconda versione dello spettacolo “Per Edith Piaf”, in occasione del centenario della nascita della cantante francese.
“LA COMMEDIA DI ARLECCHINO E PULCINELLA A VENEZIA”: Ispirandosi ai canovacci della Commedia dell’Arte, Claudio De Maglio scrive una storia antica e attuale. Sei personaggi della Commedia Dell’Arte rappresentati da due attori.
2016
“BALLANDO BALLANDO”: 40 anni di teatro. Stralci di spettacoli ed episodi di vita, il tempo dei sogni, dei desideri, il tempo dell’apprendistato e quello della pratica quotidiana.
“NEVE”(work in progress): con l’attrice giapponese di danza tradizionale Kamigata-mai, Keiin Yoshimura, e l’attrice del Teatro Potlach Nathalie Mentha
“SHAKESPEARE’S ISLAND”: Viaggio immaginario nel mondo Shakespeariano, risultato delle arte magiche di Prospero e del sue fedele servitore Ariel.
“NAPOLI-NEW YORK”: spettacolo sul tema dell’immigrazione italiana in America, agli inizi del secolo scorso.
“IL FILO SOSPESO”: versione finale dello spettacolo con Nathalie Mentha e l’attrice di Kamigata-mai Keiin Yoshimura.
2018
“IL CIRCO MAGICO“: spettacolo di attrazioni con danze sui trampoli, nastri cinesi volanti e musica suonata dal vivo.
“SHAKESPEARE OUVERTURE”: tutto inizia con un naufragio, e sull’isola di Prospero rivivono le tragedie più famose di Shakespeare.
2019
“I RACCONTI DI SHAKESPEARE”: Uno spettacolo in collaborazione con il Fanatika Theatre (India) ispirato a “Molto rumore per nulla” di Shakespeare.
“ALLEGRO SHAKESPEARE”: co-produzione con il Teatro Castello di Gyula (Ungheria) ispirato al mondo delle commedie shakesperiane.
“ODYSSEY”: co-produzione internazionale con lo Zid Theatre (Olanda) e l’Omma Studio (Grecia) sul’Odissea antica e contemporanea.
“3D. I CONFINI PERDUTI DI OTELLO”: co-produzione con Iuvenis Danza, spettacolo di teatro danza sul tema di Otello.
“PROCESSO A BRANCUSI”: teatro e arte contemporanea
“ALLA RICERCA DEL TEMPO PERDUTO”: co-produzione con La Casa dei Racconti
2020
“VENTO, CORRENTI E CLIMA: LA TERRA IN MOVIMENTO”: spettacolo di scienza-teatro con con Giggi Liberti docente di fisica dell’atmosfera e dell’oceano all’Università di Tor Vergata.
“PIAF IN LOVE”: co-produzione internazionale con il Touchstone Theatre (USA), sugli amori e le canzoni di Edith Piaf
“CONCERTO D’ARIE E DUETTI D’OPERA”: l’opera lirica raccontata attraverso i suoi autori e le arie e i duetti più belli.
“LE MURA DI CONTIGLIANO”: Site specific work dedicato al racconto delle imponenti mura del paese reatino di Contigliano, con arti visive e digitali e trampoliere.
“VIOLE VIOLETTA”: co-produzione con la ventriloqua svizzera Ava Loiacono, sulle eccellenze dei prodotti italiani.
“SUL CAMMINO DI FRANCESCO”: spettacolo teatrale e multimediale che racconta gli ultimi giorni di vita di S. Francesco, nella quiete di Fonte Colombo dove è stato operato.
“LA DOLCE VITA”: Affresco felliniano tra il sogno e la realtà, in cui vivono e rivivono situazioni e personaggi del grande cineasta. Realizzato con il contributo del Ministero degli Affari Esteri a valere del Bando “Vivere all’italiana sul palcoscenico”.
Sabina a Teatro, Rassegna di teatro contemporaneo e Rassegna di teatro ragazzi al Teatro Potlach (dal 2007).
Corsi amatoriali di teatro e arti circensi per adulti e ragazzi, rivolti al territorio.
Campi estivi teatrali (teatro, arti circensi, nuove tecnologie) per bambini.
Seminari e workshops di teatro, scenografie digitali, arti circensi.
Spettacoli teatrali presentati nelle scuole.
Progetto “Marco Polo”, seminari di teatro rivolti a: rifugiati politici, migranti, anziani, disabili.
Riconoscimenti nazionali ed internazionali:
Il Teatro Potlach viene riconosciuto dal Ministero del Turismo e dello Spettacolo per l’alta qualità teatrale come uno dei 25 teatri italiani iscritti nell’elenco speciale per la Ricerca e la Sperimentazione.
Il 22 novembre 2003 il Teatro Potlach diventa membro associato del Laboratorio di Etnoscenologia, alla Casa delle Scienze dell’Uomo Parigi.
5 giugno 2004 viene istaurata una convenzione tra il Dipartimento di Teatro dell’Università di Roma «La Sapienza», il Teatro Potlach, il Comune di Toffia per l’utilizzo di uno spazio inaugurato come Centro Universitario S. Alessandro.
Nel 2005 il Teatro Potlach diventa Laboratorio satellite del Centro Ateneo – Università La Sapienza per ospitare Corsi di Formazione presso la sua sede di Fara Sabina (RI).
Il 9 giugno 2006, dopo 30 anni di attività, il Teatro Potlach firma una convenzione con il Comune di Fara Sabina per l’affidamento ufficiale dei locali dove risiede.
Il 15 ottobre 2006 il Teatro Potlach festeggia 30 anni di attività a Fara Sabina e nel Territorio.
Giugno 2008 il Teatro Potlach vince il Premio del Concorso Invention architecturale et patrimonie con il progetto Entre Marte et Marie.
Aprile 2010 vincitore del bando CREARR 2010 (Casa dei Racconti – Equipe Allestimenti e Residenze Teatrali – Provincia di Rieti).
L’ 11 febbraio 2012 il Teatro Potlach vince il Premio Best Actress Prize a Nathalie Mentha con lo spettacolo Ventimila Leghe sotto i mari al 30° Fadjr International Theater Festival di Tehran (Iran).
Ottobre 2012 Salvador Bahia – Brasile- Lo spettacolo “Ventimila Leghe sotto i mari” è riconosciuto il migliore spettacolo del 2012 nello Stato di Bahia.
Nel Marzo 2013, il Teatro Potlach in collaborazione con altre sei associazioni culturali italiane vince il bando del Comune di Roma per la gestione del Teatro Tor Bella Monaca di Roma.
Ottobre 2015, il Teatro Potlach viene insignito del XV Premio “Oliva d’oro” indetto dell’Associazione “Arte 2000”. Il Teatro è stato premiato per “il suo impegno culturale e di avanguardia, per l’attività di ricerca e sperimentazione teatrale nel territorio reatino e di allestimento di spettacoli in Italia e all’estero.
Il 15 ottobre 2016 il Teatro Potlach festeggia 40 anni di attività a Fara Sabina e nel Territorio.
A ottobre 2018 il Direttore Pino Di Buduo è invitato a Lai Wu (Cina) in quanto Consulente Artistico del Primo “International Factory Theatre Festival”.
Ad agosto 2019 il Direttore Pino Di Buduo vince un riconoscimento in quanto “maestro ed artista” da parte del Fara Film Festival.
Se avessi saputo quanto è vera la morte avrei silenziato l’assalto alle tempie usato altre armi avrei in me spogliato fino all’ultima maglia il nemico. Se avessi capito che la morte non rende ciò che porta via in battaglia sarebbe stato il colpo non questo suono bianco incessante distorto di corno nelle retrovie.
*
Non trovo la misura del tempo che fu nostro. Mi pare cambi peso nel pensiero.
So solo che in te tutto era vivo e che ci tenevamo come venuti entrambi da burrasche.
Se il tempo esiste là dove s’infrange (e non altrove) noi pure siamo stati il suo innesco: sbalzati nell’impatto feriti felici rinati ogni volta e più per desiderio che per scelta.
*
Nessuno ha detto tutto in vita. Chi muore soffia attraverso la fessura un vapore di nubi per chi resta per chi alzando la testa di volta in volta nel bianco ritrova un profilo e nel silenzio il farsi di un discorso più lento, a prova di tempo ma ormai privo di punti cardinali
un bianchissimo buio in cui tutto è leggibile tranne l’essenziale forma della gioia.
*
Quello che adesso cresce non esce dalla pietra. Non più l’ansia feconda filo di ragno o salto del seme che si affida. Ogni affiorare è squama di sasso nella pigna. Ha smesso di andare verso forme in cui spiegarsi si aggiunge a ciò che è muto.
Sei in me come la vita che nessuno vede la sete il fuoco che non condivido.
Biografia di Raffaela Fazio
Raffaela Fazio (Arezzo, 1971) lavora come traduttrice a Roma. I suoi titoli accademici sono: lingue e politiche europee (Grenoble), traduzione e interpretariato (Ginevra), scienze religiose e arte cristiana (Roma). Le ultime raccolte di poesia pubblicate comprendono: “L’arte di cadere” (Biblioteca dei Leoni, 2015); “Ti slegherai le trecce” (Coazinzola Press, 2017); “L’ultimo quarto del giorno” (La Vita Felice, 2018); “Midbar” (Raffaelli Editore, 2019); “Tropaion” (Puntoacapo Editrice, 2020); “A grandezza naturale 2008-2018” (Arcipelago Itaca, 2020); “Meccanica dei solidi/ Solid Mechanics” (Puntoacapo Editrice, 2021); “Un’ossatura per il volo” (Raffaelli Editore, 2021). Nel 2021 è uscito il suo primo libro di racconti, “Next Stop. Racconti tra due fermate” (Fara Editore, 2021). Si è inoltre occupata della traduzione di Rainer Maria Rilke, in “Silenzio e Tempesta. Poesie d’amore” (Marco Saya Edizioni, 2020), e di Edgar Allan Poe, in “Nevermore. Poesie di un Altrove” (Marco Saya Edizioni, 2021).
-‘La paga del sabato’, forse il libro più moderno di Beppe Fenoglio-
Beppe Fenoglio–
Recensione di Giacomo VERRI–Con cent’anni e un mezzo scaffale di capolavori postumi, oggi si scrive Beppe Fenoglio tra i nomi grossi della letteratura italiana. In vita però ancora non era il gigante sulle cui spalle ambiamo salire, il punto di riferimento per chi voglia cimentarsi con le cose di Resistenza; quand’era attorno ai trent’anni e spediva dattiloscritti all’Einaudi, era un uomo alle prese con rifiuti e tirate d’orecchi.
Vittorini fu per lui un giudice severo e lapidario. Calvino, l’amico diplomatico – nel senso migliore –, temperava le sentenze del burbero siciliano e suggeriva al ragazzo di Alba le mosse per non farsi travolgere nella partita a scacchi col mondo dell’editoria. Se con Vittorini era questione di età e di esperienze – quattordici anni li separavano e una risma di libri – con Calvino non c’entravano l’anno di nascita o l’educazione sentimentale e politica; Beppe e Italo uscivano dalla stessa esperienza di giovanissimi combattenti per la libertà ed erano quasi coetanei – anzi, Calvino era più giovane di tre anni. Solo che il ligure s’era inserito prima e meglio nel mondo della carta stampata mentre Beppe faceva l’outsider per orgoglio e per amore della sua terra. Nessuno lo avrebbe strappato alle Langhe perché nessuna grande città gli era necessaria per diventare un grande scrittore. Di questo era persuaso.
Ed era bravo a incassare batoste. Tralasciamo il cicchetto messo nero su bianco da Vittorini sul risvolto della Malora, nel 1954; lì, nell’accettare e pubblicare il secondo libro di Fenoglio (e nel dire quanto casa Einaudi puntasse sull’autore), sbandierava al pubblico quelli che a suo avviso erano i limiti del testo (e, pericolosamente, i timori sulla piega presa dal ragazzo): proprio i “più dotati tra questi giovani scrittori dal piglio moderno e dalla lingua facile” – scriveva Vittorini – vanno avvertiti che, se lontani dalle “cose sperimentate personalmente”, corrono il rischio “di ritrovarsi al punto in cui erano, verso la fine dell’Ottocento, i provinciali del naturalismo, i Faldella, i Remigio Zena”; entrambi peraltro esponenti della periferia letteraria, come Fenoglio (l’uno di quella scapigliatura piemontese teorizzata da Gianfranco Contini, l’altro nato a Torino ma attivo in area ligure).
Insomma, l’autore del Partigiano Johnny è forse morto con l’idea di non disporre dei numeri per fare un romanzo come si deve – “Le posso dire sin d’ora che il mio secondo libro sarà ancora di racconti (molto probabilmente non posseggo ancora, se mai lo possiederò, il fondo del romanziere)”, scriveva nel giugno del 1953 –, anche perché la sua prima prova di romanzo, La paga del sabato, fu messa in pausa da Calvino e bocciata poi da Vittorini.
Beppe Fenoglio
Ecco allora Calvino a Fenoglio nel novembre del 1950:
Ti dico subito quel che ne penso: mi sembra che tu abbia delle qualità fortissime; certo anche molti difetti, sei spesso trascurato nel linguaggio, tante piccole cose andrebbero corrette, molte cose urtano il gusto – specie nelle scene amorose – e non tutti i capitoli sono egualmente riusciti.
Però sai centrare situazioni psicologiche particolarissime con una sicurezza che sembra davvero rara, I rapporti di Ettore con la madre e con il padre, quei litigi, quei desinare in famiglia, e anche i rapporti con Vanda, e tutto il personaggio di Ettore; e certe cose della rivalità Ettore-Palmo: lì non sbagli mai la botta, hai coraggio, hai idee chiare su quello che fa e che pensa la gente, e lo dici. Idee fin troppo chiare: evidentemente tu hai l’orgoglio di riuscire a dire tutto e non la modestia di chi si limita a dare occhiate spaurite nelle sempre misteriose vite altrui. È questo spesso a forzarti la mano e a farti scrivere pagine che mi sembrano un po’ irritanti, specialmente – come ti dicevo – nella storia di Vanda. Intendiamoci: tutto vero, anche lì non sbagli un colpo, e non ci sono mai, o quasi mai, parole false né compiacimento (perciò ti salvi dalla pornografia), mai sei troppo, mi sembra, giovanilmente ambizioso delle cose che racconti. […] Ma molte cose sono buone nel tuo racconto e sono molto contento d’averlo letto. Non ultimo merito è quello di documento della storia di una generazione; l’aver parlato per la prima volta con rigorosa chiarezza del problema morale di tanti giovani ex-partigiani.
Dunque il lavoro giunto in casa Einaudi a Calvino piace con qualche riserva. Vorrebbe vederlo pubblicato. I punti forti e quelli deboli li ripete a Vittorini nel passargli il dattiloscritto (è “di un certo Beppe Fenoglio, di Alba”) dopo aver incassato il parere favorevole di Natalia Ginzburg: il narratore è robusto, “fuori da ogni compiacimento letterario, con un sacco di cose da dire”, il libro è molto bello, la storia pure, così il tema degli ex partigiani che mal si adattano alla vita in tempo di pace; ma “ha molti difetti di lingua e di gusto”, scrive, “in certi punti rasenta la pornografia”, aggiunge; inoltre, “quando non è alle prese con una situazione psicologia, fa del cinema, ma del buon cinema, credo di quello che tu definisci ‘secco’”. E va detto che quest’ultima annotazione è davvero generosa e cerca di intercettare la benevolenza di Vittorini, edulcorando ciò che invece più brutalmente aveva scritto a Fenoglio: “Le storie dei banditi non sono la cosa migliore del racconto: c’è dietro molto di già scritto, molto cinematografo; il personaggio di Palmo ha tutto un albero genealogico di gangster cretini che gli ha insegnato come deve parlare e come deve muoversi”.
Beppe Fenoglio
Eppure il libro piace anche all’editore Giulio Einaudi e questi lo ribadisce a Vittorini.
Ma i “difetti di gusto”, la trascuratezza del linguaggio e soprattutto il sapore di cinematografo pesano tanto da precludere alla Paga del sabato la via verso la pubblicazione (Vittorini, a fine lettura, scrive a Calvino: «L’ultima parte del Fenoglio mi persuade meno. Diventa film sempre di più, e non sa essere altro che film»). O meglio, Fenoglio ci riprova, rimaneggia il testo e lo consegna nel febbraio dell’anno successivo ma niente, Vittorini lo affossa di più ancora. Così Fenoglio – sebbene da casa Einaudi lo consiglino a dirottare il romanzo verso altri editori – decide di lasciar perdere, contentandosi di trarne un paio di racconti, Ettore va al lavoro – un condensato dei primi capitoli – e Nove lune, che confluiranno nei Ventitre giorni della città di Alba, il primo suo libro.
Un giudizio quindi severo che, sottotraccia, deve pesare ancora oggi, e non si sa il perché; è un fatto tuttavia che La paga del sabato abbia mancato appuntamenti importanti, come la presenza nel volume dell’opera omnia curato da Dante Isella per Einaudi-Gallimard (Biblioteca della Pléiade) nel 1992; per fortuna viene però riproposto quest’anno, per il centenario, in una nuova veste editoriale, con la bellissima copertina disegnata da Andrea Serio, come avviene per tutti gli altri titoli fenogliani.
Dunque vediamo più da vicino questi difetti. Il primo che Calvino gli ascrive è la trascuratezza del linguaggio; certo quello della Paga del sabato non è il leggendario “fenglese” del Partigiano Johnny, la miscela d’italiano neologizzante e di inglese impuro che troveremo nel Fenoglio rizomatico e labirintico dei lavori più tardi; è un italiano, questo primo, sintatticamente sporco di osteria e di terra eppure potente e scattante nella presa sul reale. A leggerlo sembra fresco, pare di essere lì dove stanno i personaggi ma, alla prova dei fatti, risulta difficilissimo da riprodurre, a volte inimitabile. Modernissimo e arcaico allo stesso tempo.
Qualche esempio: la battuta di un dialogo; parla la madre del protagonista, Ettore, e dice che lei sola può dare dello stupido all’uomo che ha sposato:
Io posso dire di tuo padre cosa voglio, tutto quel che mi sento, sono l’unica che può. Tuo padre è uno stupido, è cieco e tu lo incanti come vuoi e per questo tu non ce l’hai mai con lui. Ma ce l’hai sempre con me perché io non sono stupida, io tu non m’incanti [il corsivo è mio], perché io so quel che vuoi dire prima che tu parli, perché a me non la fai e per questo ce l’hai sempre con me!
Beppe Fenoglio
Poi una splendida descrizione nelle ultime pagine del libro, prima del tragico epilogo:
Tornava a casa, senza trovarci nessun senso in quel rincasare, andava curvo come se avesse commesso una vigliaccheria nota a tutti e per la quale non avrebbe mai più potuto sentirsi lui, la luna era un mostro di giallore, di grossezza e di vicinanza, ai suoi raggi le maniglie d’ottone delle porte brillavano velenosamente.
La sintassi non sempre è corretta ma nello scarto dalla norma schiude una singolare unicità e un’esemplare aderenza alle cose. Fenoglio, fin d’ora, manifesta il proprio specialissimo idioletto, portato poi alle estreme conseguenze nel Partigiano Johnny, ma qui colto all’alba; e – mi azzardo a dire – in questa versione aurorale è addirittura attualissimo, un archetipo di lingua che partecipa del minimalismo d’oltreoceano trapiantato in Langa e di un residuo di lirismo spigoloso e avaro come una saponetta crepata dal sole.
Ci sono poi le questioni che Calvino dice urtano il gusto, le scene di amore, di sesso, di sguardi fruganti in quel guazzabuglio di impeti che affondano tra i sensi e il pudore. Che dire? Anche queste, a un orecchio del XXI secolo, suonano attualissime e ormai più che sdoganate.
Ettore ha una morosa diciottenne di nome Vanda. I loro sono convegni perlopiù fugaci in cui il rapporto carnale, gioioso ma sferzante, va di pari passo con un dialogo in bilico tra passione e scontrosità imperiosa. Prendiamo a titolo d’esempio la prima apparizione della ragazza, che è pure il primo incontro tra i due a cui il lettore assiste, e il primo andare su per la collina, in quel “casotto rustico” a mezza costa dove sono soliti avvenire i loro rendez-vous d’amore. È sera e i due hanno fretta perché lei deve farsi trovare fuori del cinema alle undici. Camminano, quasi corrono; lei sta davanti e promana sensualità perché sa “che lui ora non staccava gli occhi dal movimento svelto delle sue gambe sotto la gonna scodinzolante”. L’eccitazione però s’accavalla all’inquietudine di Ettore, al suo precorrere il futuro, il disagio per l’indomani in cui avrebbe iniziato il lavoro alla “fabbrica della cioccolata”. Lui la raggiunge, la stringe fortissimo, le fa paura; e poi riprendono la marcia e lei sfreccia incalzata dal desiderio di accoppiarsi sebbene lui creda che la premura stia sciupando tutto quanto. “Non correre così – le dice –, arrivi affannata e così non è più bello, dovremo perdere tempo perché tu ti calmi”. Finché poi, neppure mezza pagina oltre, si consuma l’amplesso, felice e brutale (con deviazioni espressionistiche: “le gambe di lei si agitarono per aria come le braccia di uno che annega”), durante il quale Vanda grida tanto, nel silenzio della collina, da spaventare Ettore.
I loro incontri appaiono tutti di questa risma; veloci, frenetici, quasi violenti; in lei sono esplosioni di godimento anche un po’ servile, mentre precipitano lui in una dimensione di felice rabbiosità e di irrazionale e morbosa attrazione verso la morte, probabile residuo della brutalità depositatagli dalla guerra (durante un precedente incontro, rievocato in flashback, era accaduto che Ettore avesse condotta Vanda in riva al fiume, che si fossero coricati quasi a sfioro dell’acqua e che Ettore avesse detto: “facciamo l’amore che ci vedano tutti gli spiriti degli annegati”; e che poi, di fronte alla ritrosia della ragazza, lui l’avesse picchiata).
Beppe Fenoglio
Ci sono dunque in quest’uomo ruvidità, un’inquietudine distorta e addirittura sadica; sempre lungo il fiume, in un nuovo convegno, lei dice di non poter fare nulla con lui perché ha le mestruazioni ed Ettore, non è chiaro se per volontà di controllo oppure per cinico o perverso godimento, resta “abbasso ad aspettare che lei si sedesse e così poté vederle la macchia rossa al centro delle mutandine bianche”; fatto sta che la passione autoritaria, venata di scontento, che Ettore mostra nel rapporto erotico apre la via ad altre chiose sulla natura morale del protagonista e, legate ad esse, ad ulteriori considerazioni sui difetti che vennero accollati alla Paga del sabato.
S’è detto dell’eccessiva presenza del cinema; in una nota anonima custodita negli archivi Einaudi e che Luca Bufano ha con tutta sicurezza attribuito a Vittorini si legge: “I difetti del romanzo mi sembra che risultino confermati nella seconda versione. Il cartonaccio del cinematografo non lo leva più nessuno di là dentro”. Ciò risulta evidente nelle parti dedicate all’incontro tra Ettore e Bianco, come lui ex-partigiano, e negli episodi che vedono Ettore affiliarsi a quest’ultimo in una serie di attività illecite, come l’estorsione di denaro ai danni di ex-fascisti (tentativo di ribaltare i precedenti rapporti di potere), e il contrabbando di cocaina.
Ma che tipo di cinematografo è quello che l’orecchio di Vittorini e di Calvino sentivano suonare tra le righe? Una prima emblematica risposta la ricaviamo dalla pellicola che Ettore stesso va a vedere poche ore prima di inaugurare la sua vita da fuorilegge. È pomeriggio e vuole far venire le sei perché l’appuntamento con Bianco è per dopo cena. Al cinema danno Sfida infernale (titolo originale My Darling Clementine), western di culto del 1946, ma uscito in Italia nel 1948, interpretato da Henry Fonda e diretto da John Ford. È proprio il tipo di film che a Ettore piace, così sta lì a guardarselo per due volte di seguito; parla di uomini in banda che rubano mandrie, di pistoleri spacconi dalla pellaccia dura, di cowboys ubriacati da un senso dell’onore assoluto, di furfanti e assassini; è inoltre la prima pellicola cinematografica che epicizza la sfida all’O.K. Corral, la sparatoria più celebre dell’epopea western poi resa immortale dall’omonimo film del 1957, diretto da John Sturges, e interpretato da due giganti come Kirk Douglas e Burt Lancaster. Ciò che ha dunque in testa Ettore è il cinema americano, quello delle sfide tra uomini con la pistola facile, la polvere appiccicata al sudore, il whiskey nel bicchiere e un branco di donne asservite ai loro desideri. E questo, se vogliamo, fa oggi un po’ sorridere. Ma credo vadano fatte almeno due ulteriori considerazioni; la prima, la cui paternità va attribuita a Philip Cooke, che ha studiato la presenza filmica nella Paga del sabato, ci dice che così come Johnny interpreta la realtà attraverso il filtro della letteratura, così Ettore lo fa per mezzo del cinema, che è strumento di comprensione e orizzonte ideale entro cui sistemare la propria esistenza:
la matrice, il contorno dentro cui le decisioni di Ettore sono prese, così come la sua percezione del mondo esterno, contengono elementi cinematografici. Il cinema struttura la natura della sua comprensione del mondo. Questo tipo di idea appare anche ne Il partigiano Johnny, quando Johnny reagisce agli estremi della guerra partigiana evocando inconsciamente testi letterari, soprattutto lavori epici, in modo da capire un po’ del caos e del disordine che lo circondano. Davvero ad un certo punto egli si sente il protagonista di una serie di racconti brevi, dal momento che preferirebbe vivere la vita come se fosse in un romanzo. L’eroe de Il partigiano Johnny è ossessionato dalla letteratura, il protagonista della Paga del sabato dal cinema.
Epperò l’ossessione che Ettore dimostra per il cinema, specialmente americano, oltre ad invaderne i sogni e la realtà quotidiana (americane non sono solo le pellicole di cui si nutre, ma americani sono i cocktail che beve al bar, le canzoni che ascolta, la gestualità a tratti caricaturale che contraddistingue lui e gli uomini suoi compari, e americani sono i princìpi a cui informano le loro gesta, molto recitate, da fuorilegge), risulta il sintomo più evidente del malessere che lo divora. Il secondo rilievo si lega infatti alla disposizione psicologica di coloro che, ex-partigiani, faticano a rimettere gli abiti civili. Il reducismo può essere un dramma, e per Ettore lo è di sicuro. Il centro del romanzo ruota attorno al rabbioso malcontento di un ragazzo fatto uomo che non vuole accettare di andare sotto padrone ed essere destinato a un’esistenza mediocre, socialmente ed economicamente, quando qualche anno prima, in piena guerra partigiana, era lui a comandare venti persone. Nella scena che apre il terzo capitolo Ettore s’avvia al grande portone metallico della fabbrica della cioccolata dove inizierebbe il mestiere di impiegato compilatore di lettere di vettura. Ma lui proprio non ci sta, così si nasconde in un orinatoio e da quella ironica e misera specola osserva la strana umanità con cui aborrisce di mischiarsi:
Io non sarò mai dei vostri, qualunque altra cosa debba fare, mai dei vostri. Siamo troppo diversi, le donne che amano me non possono amare voi e viceversa. Io avrò un destino diverso dal vostro, non dico più bello o più brutto, ma diverso. […] Ecco là i tipi che mai niente vedevano e tutto dovevano farsi raccontare, che dovevano chiedere permesso anche per andare a casa a veder morire loro padre o partorire loro moglie.
In tale prospettiva il cinema non è più solo modello di vita ma vocabolario dello scontento e disegno di evasione. Di fronte a una realtà deludente e opaca la risposta è il miraggio di qualcosa che è tanto lontano e tanto diverso da risultare non solo irraggiungibile ma addirittura marcatamente e dozzinalmente grottesco. Avevano ragione, in questo senso, Vittorini e Calvino quando lamentavano nelle scene cinematografiche una certa mancanza di gusto e di originalità, perché il cinema che insegue Ettore è una chimera disperata e rancorosa, una stizzita evasione, un cliché adottato in mancanza d’altro, non un ideale di perfezione come quello epico sospirato dal partigiano Johnny.
La vita è deludente e pure le pellicole in cui Ettore si nasconde e che mima nella vita reale lo sono, sebbene abbiano le parvenze di un mondo migliore. Ma non c’è mondo migliore. Tanto che i suoi sogni e le sue aspirazioni, anche quando deciderà di lasciare la vita da gangster per aprirsi una pompa di benzina in proprio (un’altra favola americana?) sono tutte deluse e grottescamente sommerse dal prosaico ma fatale epilogo. E ancora una volta la Paga del sabato è davvero il più moderno tra i romanzi fenogliani; il cinema che lo pervade assomiglia agli schermi dietro e dentro i quali ci tuffiamo oggi, alla ricerca di un anestetico che eluda e allevi un’esperienza del reale sempre più monotona e insignificante. Ma non è quella la soluzione.
E neppure ne offre una Fenoglio per il suo antieroe, fragile, seppure tutto d’un pezzo, così travagliato, di certo meno integro moralmente e psicologicamente del suo successore Johnny. La solitudine di Ettore non è incrollabile, muscolosa né nobilitante come quella del più celebre tra i partigiani di Fenoglio, quello che “partì verso le somme colline, la terra ancestrale che l’avrebbe aiutato nel suo immoto possibile, nel vortice del vento nero, sentendo com’è grande un uomo quando è nella sua normale dimensione umana”; la dimensione umana di Ettore non è grande né immobile nella conquista di una perfezione; è una dimensione guasta, in frantumi ma tenuta insieme dal fantasma del cinema.
Perché il reducismo che Fenoglio racconta tanto bene è un essere rimasti a mezza via, reduci non solo dalla guerra ma da un’esistenza piena, prigionieri di una terra di nessuno – tra la guerra e la pace, tra la vita e la morte –, sporcati dallo splendido mistero dell’urlo di libertà che era stata la guerra di Liberazione, ma che infine deposita in Ettore i segni duraturi di una febbre inesauribile, di un disadattamento sociale e psichico, di un’irriducibilità alle convenzioni e di un dispetto incurabile, che fa di lui un eroe (o un antieroe) attualissimo.
Articolo di Giacomo Verri
Giacomo Verri
Giacomo Verri è nato nel 1978 a Borgosesia (VC), dove vive e insegna lettere nella scuola media. Ha esordito con il romanzo Partigiano Inverno (Nutrimenti, 2012), con cui era stato finalista al Premio Calvino, e ha pubblicato la raccolta Racconti partigiani (Edizioni Biblioteca dell’Immagine, 2015). Nel 2019 ha pubblicato per Nutrimenti Un altro candore.
Fonte-Giacomo Verri Libri –il blog di chi ama i libri e la buona musica-
Cercami nella tempesta Quando smarrisci il senso disperato.
Essere casa.
Nella notte dove le acque Permeano l’esistenza ascolta il mio grido. Di lacerante sconfitta.
Non ti presentare solo.
Siamo in tanti ma ben nascosti E aspettiamo che germogli una nuova aurora. Dipinta.
Inanella le tue paure Cospargi di cenere il capo abbia pietà della mia ironia
Sono vecchia E fragile.
Non ti chiedo che un passaggio Il grido storce in me La tua immagine.
Rimpianto.
Numero infinito
Ci sono anime e terra.
Come numero infinito Ti affacci al mare di questo sogno. Distesa piatta di acque mai ferme. E l’odore ti porta lontano, navigando Fino all’orizzonte. Origine Di ogni respiro e lacrima.
Io non sono il mare ma nemmeno la terra.
Così abbandonato il pensiero Si fa serio. Distratto dal blu oltremare. Trino il richiamo di Cristo. Sacerdote E punto fisso di una vita.
Serena Rossi-Breve biografia
Serena Rossi è nata a Milano nel 1972.Nel 1999 si laurea in Farmacia. Segue svariati corsi di arti visive, dal 2002 espone sue opere in mostre italiane ed internazionali e alcune di esse fanno parte di collezioni private e pubbliche come il museo a cielo aperto di Camo e la collezione della BPL. Nel 2012 pubblica la silloge “Nel divenire calmo dell’infinito” ed. Caosfera, e viene inserita in diverse antologie e collane di poesia, nel 2016 pubblica “5 poesie” ed. Ilrobotadorabile in serie limitata e l’e-book “Ho chiesto al mare di piangere”. Nel 2017 esce “Non ci sono solo eroi” ed. NullaDie e l’edizione limitata “Lamine” ed. ilrobotadorabile. Nel 2018 esce “Noi non siamo” ed. NullaDie, nel 2019 “5 poesie” ed. limitata ilrobotadorabile e nel 2020 pubblica la silloge “Disegno papaveri rossi” ed. NullaDie, “Confinamento” ed. limitata ilrobotadorabile e “Dodici confinamenti” ed. abrigliasciolta. Nel 2021 pubblica come curatore ed uno dei sette autori “Voci dal confinamento” ed. NullaDie, “Non serve la paura” ed. NullaDie ed è presente nell’Ebook in lingua inglese “And Magazine” del Dottor Kousik Sastri e nella rivista indiana “Taj Mahal review” del Dottor Santosh Kumar. In questi anni riceve premi di merito e di posizione a concorsi letterari nazionali ed internazionali e le sue liriche sono pubblicate in antologie di pregio. Collabora con diverse testate letterarie in rete e dal 2022 fa parte della redazione milanese della rivista culturale online Il pensiero mediterraneo. Ha partecipato e vinto diversi premi e concorsi letterari.
L’Altrove è un Blog di poesia contemporanea italiana e straniera
La poesia non cerca seguaci, cerca amanti”. (Federico García Lorca)
Con questo presupposto, L’Altrove intende ripercorrere insieme a voi la storia della poesia fino ai giorni nostri.
Si propone, inoltre, di restituire alla poesia quel ruolo di supremazia che ultimamente ha perso e, allo stesso tempo, di farla conoscere ad un pubblico sempre più vasto.
Troverete, infatti, qui tutto quello che riguarda la poesia: eventi, poesie scelte, appuntamenti di reading, interviste ai poeti, concorsi di poesia, uno spazio dedicato ai giovani autori e tanto altro.
Noi de L’Altrove crediamo che la poesia possa ancora portare chi legge a sperimentare nuove emozioni. Per questo ci auguriamo che possiate riscoprirvi amanti e non semplici seguaci di una così grande arte.
Roma-BEAT GENERATION di Giorgio Latini in scena domenica 13 aprile all’Altrove Teatro Studio-
Roma-Appuntamento con la musica all’Altrove Teatro Studio domenica 13 aprile con BEAT GENERATION, spettacolo scritto e diretto da Giorgio Latini.
Nel 1940 l’incontro tra Jack Kerouack e Allen Ginsberg genera un movimento che quattro anni più tardi prenderà il nome di Beat Generation e culminerà nel 1951 con la scrittura del libro cult “On the road”. Gli ideali della Beat Generation sono il rifiuto della violenza e delle regole della vita convenzionale, la liberazione sessuale e delle droghe. Da qui nascerà il beat, ovvero il movimento musicale che si origina proprio nei primi anni ‘60. Attraverso le voci di Ottavia Bianchi, Ludovica Bove e Giorgio Latini, accompagnate alla chitarra da Giacomo Ronconi, torneremo al periodo tra la fine degli anni ‘50 e il 1969. Riascolteremo i brani noti e meno noti della “Brit Invasion”: i Beatles e i Rolling Stones ma anche il folk americano fino alla musica psichedelica che saranno lo sfondo per il successivo grande movimento sociale degli hippie. A grandissima richiesta torna il racconto di questo favoloso periodo della storia dell’uomo in cui politica, società, musica sembravano ancora poter convergere tutte verso lo stesso, meraviglioso sogno di libertà.
BEAT GENERATION di Giorgio Latini
“La scelta della “scaletta” in Beat Generation è stata forse la fase più difficile”. _ annota Giorgio Latini. “In questo senso l’apporto di Giacomo Ronconi è stato fondamentale: insieme a lui si è trovato il necessario equilibrio tra le canzoni per così dire “obbligate” e alcune chicche meno note. L’inusuale arrangiamento per una sola chitarra e ben tre voci cantanti ha dato vita ad una serie di soluzioni che hanno rappresentato una sfida per gli interpreti che nascono, in primis, come attori e che si lanciano in questa nuova sperimentazione artistica.”
Biglietti: Intero 15€
Altrove Teatro Studio – Via Giorgio Scalia 53, Roma
Per informazioni e prenotazioni: telefono 3518700413, email ipensieridellaltrove@gmail.com
BEAT GENERATION
Di Giorgio Latini
Con Ottavia Bianchi, Ludovica Bove, Giorgio Latini
Alla chitarra Giacomo Ronconi
Domenica 13 aprile ore 17:00
Altrove Teatro Studio – Via Giorgio Scalia, 53 Roma
Ascoli Piceno- Palazzo dei Capitani del Popolo la Mostra: Luce nel silenzio Andrea Benetti e Dario Binetti-
Fino al 27 aprile 2025, lo storico Palazzo dei Capitani del Popolo di Ascoli Piceno ospiterà la mostra “Luce nel silenzio”, un’esperienza artistica e sensoriale unica, firmata da Andrea Benetti e Dario Binetti, con la curatela del prof. Stefano Papetti.
L’esposizione si articola in un dialogo tra la luce e l’oscurità, tra il visibile e l’invisibile, attraverso 21 opere che fondono bassorilievo e fotografia, immergendo lo spettatore in un’atmosfera evocativa e mistica. La mostra si ispira alle profondità delle Grotte di Castellana, luogo iconico di silenzi millenari, e porta in superficie suggestioni ancestrali e archetipi visivi che parlano direttamente all’anima.
Andrea Benetti, artista e ideatore del Manifesto dell’Arte Neorupestre, e il fotografo Dario Binetti hanno creato un percorso espositivo in cui le ombre e i bagliori si fondono, restituendo immagini che sembrano emergere da un tempo remoto, in un richiamo alla spiritualità primitiva e alla ricerca di significati nascosti.
Ascoli Piceno- Palazzo dei Capitani del Popolo la Mostra: Luce nel silenzio Andrea Benetti e Dario Binetti
La mostra è promossa da Italian Art Promotion e Alchemical Shadows, con il patrocinio del Comune di Ascoli Piceno e la collaborazione delle Grotte di Castellana, il cui fascino ha ispirato il progetto artistico.
Un ringraziamento speciale al Comune di Ascoli Piceno ed al Comune di Castellana e alla Dirigenza delle Grotte di Castellana per il supporto al progetto.
Descrizione del libro di Sandor Marai–Dopo quarantun anni, due uomini, che da giovani sono stati inseparabili, tornano a incontrarsi in un castello ai piedi dei Carpazi. Uno ha passato quei decenni in Estremo Oriente, l’altro non si è mosso dalla sua proprietà. Ma entrambi hanno vissuto in attesa di quel momento. Null’altro contava per loro. Perché? Perché condividono un segreto che possiede una forza singolare: “una forza che brucia il tessuto della vita come una radiazione maligna, ma al tempo stesso dà calore alla vita e la mantiene in tensione”. Tutto converge verso un “duello senza spade” ma ben più crudele. Tra loro, nell’ombra il fantasma di una donna.
Sandor Marai
Breve biografia di Sándor Márai, il patriota malinconico .
Articolo di Gian Paolo GRATTAROLA
Nel tracciare il profilo biografico di quello è stato indubbiamente uno dei più grandi scrittori del Novecento, ci si trova purtroppo a chiedersi chi era mai Sándor Márai. Perché è vero che, meritoriamente, l’editore Adelphi ha pubblicato in Italia tutte le sue principali opere; ma è altrettanto vero che egli rappresenta l’incarnazione di una concezione della letteratura troppo faticosa e impegnativa per essere digerita senza difficoltà dal lettore di oggi.
Nato nel 1900 a Kassa (oggi Košice), un estremo lembo dell’Impero Austroungarico ormai avviato al tramonto, da una famiglia ricca di passato e priva di avvenire, aveva nel sangue le radici di un’Europa che stava morendo per troppa nobiltà e troppo sapere, come racconterà tra il 1934 e il 1935 nel suo primo romanzo memoriale Le confessioni di un borghese. E ungherese lo resterà per sempre, sia quando si recherà in Germania allo scopo di frequentare la scuola universitaria di giornalismo, sia quando insieme con la moglie Lola sposata nel 1928 si trasferirà a Parigi e Londra in Italia e in Medio oriente come inviato del “Frankfurter Zeitung”. La percezione dolorosa che i cardini morali, che avevano sostenuto la civiltà aristocratica durante la stagione mitteleuropea, stanno per essere spazzati via dall’ansia di affermazione di una società borghese cinica e materialista innervano già le prime opere scritte in patria quali L’isola (1934), Divorzio a Buda (1936), La recita di Bolzano e Sindbad torna a casa (entrambi 1940), La donna giusta (1941) e La sorella (1946).
Quando, dopo essere sopravvissuto agli orrori della guerra e dell’occupazione nazista di cui fu fiero oppositore, assiste alle prime avvisaglie della non meno feroce dittatura sovietica, decide nel 1948 di lasciare l’Ungheria e inizia a girovagare tra Svizzera, Stati Uniti e Italia. Esule di un mondo in cui non riesce tuttavia a riconoscersi, la nuova forma di inquietudine di cui è prigioniero diviene il tratto essenziale e inconfondibile della psicologia dei protagonisti dei suoi più romanzi più importanti. Prima a San Diego, dove prende residenza, e più tardi a Salerno, dove si trasferisce quando il figlio János entra in rotta di collisione con i genitori assumendo la decisione di americanizzare il proprio nome rifiutando la sua discendenza ungherese, Màrai continua a scrivere nella lingua madre. In questo lungo periodo di esilio vedono la luce, tra le molte altre opere i capolavori che usciranno postume e faranno di lui uno dei maggiori romanzieri del secolo scorso: da Liberazione a Le braci, dal secondo romanzo memoriale Terra, Terra!… a L’eredità di Eszter, da Il sangue di San Gennaro a L’ultimo dono.
Romanzi che egli scrive non per comprendere la realtà, ma per fuggire da un presente che detesta e che non ci chiedono di comprendere l’autore, ma di seguirlo attraverso i suoi verbosi e interminabili monologhi, lungo le sue sfavillanti digressioni in cui si sofferma ad analizzare con grande finezza psicologica i personaggi in tutte le loro sfumature, a scrutare ogni increspatura dell’animo umano, a registrare ogni loro parola e ogni loro sospiro. Leggerlo e addirittura non cercar neanche di capirlo. Perché il chiedere risposte è la motivazione meno opportuna per andare a bussare alla porta della sua arte: si correrebbe inutilmente il rischio di non farsi aprire. E allora meglio ricorrere alle cinque dita dei sensi, affidandosi all’odore che si respira nelle abitazioni e per le strade delle sue storie, degustando i sapori delle sue trame, lasciandosi inebriare dalla musica e dall’eleganza di una scrittura sontuosa. Quando al duro fardello sopportato a causa delle sorti avverse della propria patria lontana si aggiunge il dolore della perdita della moglie e del figlio, Sándor Márai decide nel febbraio del 1989 di togliersi la vita. Mancano solo pochi mesi all’agognato crollo dell’impero sovietico e al definitivo affrancamento del popolo ungherese. Ma egli purtroppo non vi potrà assistere.
Premessa di Gennaro Carastiglia: sono tra coloro che ritengono che il Nobel per la letteratura ad Han Kang si assolutamente meritato. Inutile proseguire la lettura se si è già convinti del contrario.
Han Kang- L’ora di greco
Probabilmente per me questo è il romanzo più bello tra quelli fin qui tradotti in italiano (o inglese). Molto breve ma denso, esplora temi profondi come la perdita, la solitudine, e la ricerca dell’identità. È del 2011 anche se qui da noi è arrivato appena l’anno scorso. Un viaggio introspettivo in cui due persone, apparentemente molto diverse, si incontrano e si comprendono attraverso la condivisione di un dolore nascosto e silenzioso.
Lei, Hanja, dopo aver vissuto un periodo di intensa sofferenza, ha trovato il silenzio come rifugio: non parlare, più che una scelta volontaria, è una reazione istintiva e fisiologica alla sua sofferenza. Le parole per lei si sono trasformate in strumenti di dolore, tanto che la voce stessa le sembra ormai qualcosa di estraneo. Dopo in matrimonio fallito e la perdita di custodia del figlio, persa anche la madre le sembra di aver ormai perso qualsiasi contatto con la propria identità e il mondo che la circonda. Come via di fuga da questo dolore, inizia a seguire lezioni di greco antico, una lingua che per lei diventa una sorta di “nuovo inizio”, poiché le consente di esprimere e riscoprire sé stessa senza le ferite che l’uso della lingua madre le provoca.
È così che la sua vita incrocia il suo insegnante di greco, un uomo non vedente che vive anche lui un’esistenza profondamente segnata dalla perdita. Per lui la cecità ha rappresentato un graduale distacco dal mondo, ma nonostante le difficoltà quotidiane ha imparato a navigare attraverso questo vuoto grazie all’amore per le parole e per la letteratura. Egli usa il greco come strumento per mantenere un legame con il mondo esterno e per dare un senso al proprio passato.
Attraverso questo incontro tra la donna e il suo insegnante, Han Kang esplora l’intimità della comunicazione e del linguaggio come mezzo di guarigione. Entrambi i protagonisti sono segnati da ferite invisibili e trovano nella lingua greca un terreno neutrale in cui potersi esprimere senza il peso delle loro storie personali. Il greco antico diventa simbolo di un viaggio interiore, che permette loro di riconoscere il proprio dolore e, in qualche modo, di riappropriarsi delle proprie vite.
Han Kang utilizza una prosa poetica e riflessiva per approfondire i sentimenti complessi dei protagonisti. La narrazione alterna i punti di vista della donna e dell’insegnante, e attraverso le loro prospettive frammentate il lettore è invitato a riflettere sul significato dell’empatia, della perdita, e della redenzione. I dialoghi sono ridotti al minimo, quasi come se l’autrice volesse rispettare il silenzio che i due protagonisti sembrano cercare.
In sostanza, un romanzo che parla di sopravvivenza emotiva. Attraverso la storia dei protagonisti, Han Kang esplora la possibilità di trovare una via d’uscita dal dolore e dalla perdita senza negare le proprie ferite. La lingua greca diventa metafora del processo di auto-ricostruzione, una lingua che, con le sue radici antiche, permette ai personaggi di esprimere sentimenti che sembravano impossibili da comunicare.
Un delicatissimo racconto di Han Kang, che con la sua scrittura minimalista invita alla riflessione sulla complessità dell’animo umano, sul ruolo del linguaggio, e sulla possibilità di una rinascita anche nei momenti più bui. Leggetelo solo se questi temi vi appassionano. Diversamente state andando incontro a una delusione.
Figlia dello scrittore Han Seung-won[2], è nata a Gwangju il 27 novembre 1970. Dopo gli studi all’Università Yonsei di Seul (letteratura coreana)[3], esordisce pubblicando una serie di cinque poesie nella rivista coreana Letteratura e società[4] nel 1993.[5] L’anno successivo esce il suo primo romanzo[6] al quale ne seguiranno altri cinque. Dal 2013 insegna scrittura creativa al Seoul Institute of the Arts[7].
Il 25 maggio 2019 ha consegnato un suo manoscritto inedito intitolato Dear Son, My Beloved alla Biblioteca del futuro, un progetto artistico culturale ideato da Katie Paterson. Così come le altre opere di questa biblioteca anche il libro di Han verrà pubblicato e reso disponibile solo nel 2114, cento anni dopo l’avvio dell’iniziativa.[10]
Il 10 ottobre 2024 viene insignita del Premio Nobel per la letteratura, con la seguente motivazione: “per la sua intensa prosa poetica che affronta i traumi storici ed espone la fragilità della vita umana”[11][12], divenendo il primo rappresentante del suo Paese a vincere un Nobel in questa categoria[13].
사랑과, 사랑을 둘러싼 것들 (letteralmente L’amore e le cose che circondano l’amore), 2003.
가만가만 부르는 노래 (letteralmente Una canzone cantata sottovoce), Bichae, 2007. ISBN 9788992036276 Il libro include un CD musicale di 10 brani in veste di autrice e cantante di canzoni.[15]
con testo introduttivo del Prof. Carlo Spartaco Capogreco,
Mimesis editore
Quell’Italietta fascista, razzista e ipocrita
Articolo di Anna Longo, giornalista Rai
Un diario letterario da dentro un “campo del duce”, la fotografia dell’Italietta fascista, la rimozione e la riscoperta del libro e della figura della sua autrice. Il testo di Maria Eisenstein,che pubblica Mimesis comprende tutto questo, cioè non solo lo scritto di Maria Eisenstein, ma anche un saggio introduttivo che descrive l’appassionante ricerca condotta da Carlo Spartaco Capogreco sulle tracce della giovane ebrea e delle persone che lei incontra e presenta. Nell’insieme una lettura che cattura, sorprende, emoziona, e spesso indigna.
L’internata n. 6”, di Maria Eisnstein
Maria nasce a Vienna da una famiglia di origine polacca il 22 settembre 1914. Giunge in Italia nel ’36 per studiare le “belle lettere” a Firenze, e qui si laurea nel ’39 con una tesi in letteratura tedesca. È colta, intelligente, bella. Nel 1940, dopo l’entrata in guerra dell’Italia, viene catturata e condotta nel campo di concentramento femminile di Lanciano, in Abruzzo. Sui cinque mesi di internamento scrive appunti incisivi, precisi, spietati anche verso se stessa. Vi troviamo tutta l’insensatezza del meccanismo della segregazione che nel caso di Lanciano produsse una sconfortante “accozzaglia” (la definizione è di Maria) di 75 donne estranee l’una all’altra, che parlavano lingue diverse, senza nulla in comune se non il disagio di una convivenza forzata e troppo intima. La tragica fissazione del fascismo di perseguitare prostitute, omosessuali, slavi, ebrei, zingari, oppositori politici reali o sospetti, di scovare spie e di punirle, portò tra il 1940 e il ’43 all’istituzione di una cinquantina di campi di internamento, a volte costruiti ex novo, spesso insediati in edifici esistenti approssimativamente riadattati. A Lanciano si scelse la “Villa Sorge”, una casa malandata presa in affitto, per una cifra sostanziosa, dal regime.
L’internata n. 6”, di Maria Eisnstein ed. 1944
Maria riflette sull’incomunicabilità, sull’impossibilità della solidarietà, sulla paura. “Più mi agito e più mi pare di essere in un mondo fittizio, non vero. O meglio: meno mi pare di essere io, in quel mondo” Non è lei, è il “6” colei che vive nel campo. Maria è nascosta, viene fuori solo di sera, e la sera trova “il coraggio di avere paura”. Maria, a differenza della maggior parte delle altre recluse, è consapevole dell’odio assoluto e assurdo di Hitler per tutti gli ebrei, percepisce il pericolo dello sterminio, del genocidio. La sua anima sensibile è continuamente offesa non solo dalla dimensione alienante dell’internamento, che abbrutisce e violenta la personalità di tutte, anche di quelle più forti, ma anche dalla miseria dei comportamenti di chi lo gestisce, le ruberie, la corruzione, i ricatti, l’ipocrisia. Lo stesso fuori dal campo, dove troviamo opportunismo, maschilismo, mediocrità. Si approfitta della presenza delle donne di Villa Sorge per alzare i prezzi dei prodotti in vendita. Come ha detto Elisa Guida in una delle presentazioni del libro (a Roma, alla Casa della Memoria, il 28 gennaio 2016) nel diario di Maria Eisenstein “la grande storia passa per le piccole storie, non c’è confine tra pubblico e privato, e l’Italietta fascista ne esce demolita”.
Non deve stupire dunque più di tanto il fatto che “L’internata n.6”, il libro/diario pubblicato nell’ottobre del ’44 nella Roma appena liberata, sia poi di fatto scomparso. Un’opera del genere cozzava con il mito del “bravo italiano”. Si deve a Carlo Spartaco Capogreco e a Gianni Giovannelli il merito di averlo recuperato. Un libro bellissimo e importante, per conoscere il nostro passato e per riflettere su come certe attitudini amorali rischiano sempre di produrre un certo fascismo di ritorno.
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