Franco Leggeri Fotoreportage -Borgo Testa di Lepre-” IL PALIO DEI FONTANILI ” 2018
Articolo e fotoreportage di Franco Leggeri–Il Borgo TESTA di LEPRE a settembre avrà il “suo” Palio. E’ in fase avanzata la realizzazione della prima edizione del “Palio dei Fontanili del Borgo di Testa di Lepre” da parte della Proloco.
Testa di Lepre- 11 luglio 2018-Quella che sta nascendo a Testa di Lepre è una manifestazione ,sempre più concreta, con il fine di far rivivere e far conoscere , con giochi e manifestazioni varie, una battaglia che avvenne nell’846 d.C. nella Valle dell’Arrone, zona Fontanile di Mezza Luna, quando la Milizia Contadina, condotta e guidata ad una vittoria storica dal Duca Guido da Spoleto, sconfisse i saraceni che stavano per invadere Roma.
Il Consiglio Direttivo della Proloco ha suddiviso in quattro il territorio del Borgo e saranno , appunto, quattro gli stemmi che rappresenteranno, al Palio, le Contrade di Testa di Lepre. Tutti gli abitanti del Borgo, con spirito cavalleresco, saranno uniti nelle competizioni che si svolgeranno a settembre durante il Palio.
Ci dice Luca Calderoni il Presidente della Proloco:” Questa prima edizione del Palio sarà puramente ludico-sportivo, ma con lo scopo di esaltare i valori della nostra Campagna Romana. Quello di Testa di Lepre sarà un Palio per le famiglie, persone, ragazzi di ogni età che vorranno riprendere una storia ormai quasi dimenticata per ricominciare a “scriverla” di proprio pugno.” Prosegue Luca Calderoni “Da un’idea, una semplice idea e intuizione passare alla fase realizzativa è ,e sarà, una bella sfida che , speriamo, dal bilancio partecipativo di scoprire una realtà che riempirà di colori e calore umano il Borgo di Testa di Lepre, nel suo intero, con: musica, balli,cucina campagnola, stendardi, foulard, sorrisi e vera amicizia. Questo è il mio augurio e la mia speranza che ripongo in questa iniziativa” Conclude infine così il suo colloquio con me Luca Calderoni” voglio ringraziare tutto il Comitato Direttivo e i Soci della Proloco per il FATTIVO e concreto sostegno OPERATIVO che stanno mettendo al fine di vedere il trionfo della manifestazione del Palio dei Fontanili. “
Aggiungo che tutto il Palio sarà un’opera Corale a più voci , auguro agli organizzatori che dal Borgo si possa udire un “INNO ALLA GIOIA” da tutta Campagna Romana.
Seguiranno, da parte di noi di Campagna Romana, altri report sulla fase organizzativa del Palio dei Fontanili con interviste e foto a tutti i membri del Comitato Direttivo della Proloco, ai partecipanti e ai Capitani delle Contrade. Cercheremo di scrivere, raccontare, con approfondimenti storici , i fatti relativi alla battaglia dell’846 d.C. e la storica vittoria della Milizia di Campagna sui saraceni. Andremo a fotografare i Fontanili e l’area della famosa Battaglia. Racconteremo la vita di questi eroi della Campagna Romana che formarono l’esercito , MILIZIA CONTADINA, del famoso Condottiero il Duca Guido da Spoleto.
Articolo di Franco Leggeri
N.B.Foto di Franco Leggeri- Le foto sono a disposizione di TUTTI e libere .
Altre foto sono su Facebook-CAMPAGNA ROMANA BENE COMUNE
Orfeo ed Euridice è un’opera lirica composta da Christoph Willibald –
Orfeo ed Euridice (versione francese: Orphée et Euridice[1]) è un’opera lirica composta da Christoph Willibald Gluck intorno al mito di Orfeo, su libretto di Ranieri de’ Calzabigi. Appartiene al genere dell’azione teatrale, in quanto opera su soggetto mitologico, con cori e danze incorporati[4]. Fu rappresentata per la prima volta a Vienna il 5 ottobre 1762, su impulso del direttore generale degli spettacoli teatrali (Generalspektakeldirektor), conte Giacomo Durazzo, ed aprì la stagione della cosiddetta riforma gluckiana –proseguita con Alceste e Paride ed Elena–, con la quale il compositore tedesco ed il librettista livornese (e, insieme a loro, il genovese direttore dei teatri) si proponevano di semplificare al massimo l’azione drammatica, superando sia le astruse trame dell’opera seria italiana, sia i suoi eccessi vocali, e ripristinando quindi un rapporto più equilibrato tra parola e musica[5]. Le danze furono curate dal coreografo italiano Gasparo Angiolini, che si faceva portatore di analoghe aspirazioni di riforma nel campo del balletto, in un’epoca che vide la nascita della nuova forma coreutica del “ballet d’action“.[6]
Dodici anni dopo la prima del 1762, Gluck rimaneggiò profondamente la sua opera per adeguarla agli usi musicali della capitale francese, dove, il 2 agosto 1774, nella prima sala del Palais-Royal, vide la luce Orphée et Euridice[1], con libretto tradotto in francese, ed ampliato, da Pierre Louis Moline, con nuova orchestrazione commisurata ai più ampi organici dell’Opéra, con parecchia musica completamente nuova, con imprestiti da opere precedenti e con un più largo spazio dato alle danze.
L’opera è passata alla storia come la più famosa tra quelle composte da Gluck, e, nell’una edizione o nell’altra, o, più spesso ancora, in versioni ulteriori, ampiamente e variamente rimodellate, è stata una delle poche opere settecentesche, se non addirittura l’unica non mozartiana, a rimanere sempre, fino ad oggi, in repertorio nei principali teatri lirici del mondo[7].
L’Orfeo fu il primo lavoro di Gluck a mettere in pratica le sue ambizioni di riforma dell’opera seria. Si è molto discusso del ruolo reciproco di musicista e librettista nella genesi della riforma stessa e Ranieri de’ Calzabigi medesimo ebbe già modo di rilevare, a proposito della sua collaborazione con il compositore tedesco, che, se Gluck era il creatore della musica, non l’aveva creata però dal nulla, ma sulla base della materia prima che lui stesso gli aveva fornito, e che quindi li si doveva considerare compartecipi dell’onore della creazione dell’opera nel suo complesso[8]. Lo stesso Gluck, in una lettera al Mercure de France del 1775 non ebbe difficoltà a riconoscere una qualche posizione di primato del Calzabigi nella gestazione della riforma: “Mi dovrei ancor più rimproverare se acconsentissi nel lasciarmi attribuire [l’iniziativa] del nuovo genere d’opera italiana, il cui successo giustifica l’averla tentata; è al Sig. Calzabigi che va il merito principale …”[9]. In effetti, secondo il racconto più tardi fatto, sempre sul Mercure de France del 1784, dal poeta livornese, il libretto dell’Orfeo era già pronto ed era già stato recitato al Conte Durazzo verso il 1761, prima che questi coinvolgesse Gluck nell’impresa della composizione della nuova opera[10]. D’altro canto, secondo Hutchings, era principalmente “la vecchia forma del libretto” metastasiano l’ostacolo intrinseco per i tentativi di dare continuità e maggior realismo all’azione drammatica, ed era quindi una nuova forma di scrittura il primo requisito per cercare nuove strade[11].
Nell’Orfeo, le grandi arievirtuosistiche con il da capo (e comunque le arie chiuse, in un certo senso, autosufficienti), destinate a rappresentare sentimenti e momenti topici, da un lato, e, dall’altro, gli interminabili recitativi secchi, utilizzati per illustrare l’effettivo svolgersi degli avvenimenti drammatici, lasciano strada a pezzi di più breve durata strettamente legati l’un l’altro a formare strutture musicali più ampie: i recitativi, sempre accompagnati, si allargano naturalmente nelle arie, per le quali Calzabigi introduce sia la forma strofica (come in “Chiamo il mio ben così”, dell’atto primo, dove ognuna delle tre sestine di versi non ripetuti che compongono l’aria, è alternato con brani di recitativo, il quale è pure chiamato a concludere il pezzo nel suo insieme) sia il rondò (come in “Che farò senza Euridice?”, il brano più famoso dell’opera, nel terzo atto, in cui la strofa principale viene ripetuta tre volte[12]). In conclusione, vengono infrante e superate le vecchie convenzioni dell’opera seria italiana, con lo scopo di dare impeto drammatico all’azione, la quale viene anche semplificata, dal punto di vista della trama, con l’eliminazione della consueta pletora di personaggi minori e dei relativi intrecci secondari. Quanto alle connessioni con la tragédie lyrique francese, ed in particolare con le opere di Rameau, sullo stesso loro schema, anche l’Orfeo contiene un gran numero di danzeespressive[13], un ampio utilizzo del coro e l’uso del recitativo accompagnato[5]. Il coup de théâtre di aprire il dramma con un coro intento a piangere uno dei personaggi principali, già deceduto, è molto simile a quello realizzato all’inizio del Castor et Pollux di Rameau nel 1737[14]. Ci sono anche elementi che non paiono rispettare alla lettera gli stilemi della riforma gluckiana: per esempio, la frizzante e gioiosa ouverture non anticipa minimamente la successiva azione del dramma[5]. La parte di Orfeo richiede un esecutore particolarmente dotato, che eviti ad esempio di far diventare monotona l’aria strofica “Chiamo il mio ben così” e che sia in grado di informare di significato tragico sia essa sia la successiva “Che farò senza Euridice?”, entrambe le quali si basano su armonie che non sono naturalmente lacrimevoli[15]. In effetti, nella prefazione all’ultima delle sue opere riformate italiane, Paride ed Elena (1770), Gluck avrebbe ammonito: basta poco «perché la mia aria nell’Orfeo, “Che farò senza Euridice”, mutando solo qualche cosa nella maniera dell’espressione diventi un saltarello di burattini. Una nota più o meno tenuta, un rinforzo trascurato di tempo o di voce, un’appoggiatura fuor di luogo, un trillo, un passaggio, una volata può rovinare tutta una scena in un’opera simile …»[16].
La riforma gluckiana, iniziata con l’Orfeo ed Euridice, ha avuto una significativa influenza lungo tutto il corso successivo della storia dell’opera, da Mozart a Wagner, attraverso Weber[17], con l’idea wagneriana del Gesamtkunstwerk (opera d’arte totale) particolarmente debitrice nei confronti di Gluck[18]. L’opera seria vecchio stile ed il dominio dei cantanti orientati alla coloratura venne ad essere sempre meno popolare dopo il successo delle opere di Gluck nel loro insieme e dell’Orfeo in particolare[5]. In essa, l’orchestra presenta un carattere preponderante nei confronti del canto, assai più di quanto non fosse mai avvenuto nelle opere precedenti: si pensi soprattutto all’arioso del protagonista, “Che puro ciel”, dove la voce è relegata al ruolo comparativamente minore della declamazione in stile recitativo, mentre è l’oboe a portare avanti la melodia principale, sostenuto dagli assolo del flauto, del violoncello, del fagotto e del corno, e con l’accompagnamento anche degli archi (che eseguono terzine) e del continuo, nel quadro della più complessa orchestrazione che Gluck avesse mai scritto[5].
L’opera fu data la prima volta a Vienna, nel Burgtheater, il 5 ottobre 1762, in occasione dell’onomastico dell’imperatoreFrancesco I, sotto la supervisione del direttore del teatro, il riformista conte Giacomo Durazzo. La coreografia fu curata da Gasparo Angiolini, e la scenografia da Giovanni Maria Quaglio, entrambi esponenti di punta dei rispettivi ambiti artistici. Primo Orfeo fu il famoso contraltocastratoGaetano Guadagni, rinomato soprattutto per la sua abilità di attore, maturata a Londra alla scuola shakespaeriana di David Garrick[15], e per le sue capacità nel canto di espressione, alieno dalle esteriorità e dagli stereotipi che caratterizzarono l’arte del canto nella seconda metà del ‘700[19]. L’opera fu ripresa a Vienna l’anno successivo, ma poi non fu più eseguita fino al 1769[20], quando ebbe luogo la prima italiana a Parma, con la parte del protagonista trasposta per il soprano castrato Giuseppe Millico, un altro dei cantanti favoriti di Gluck. Per le rappresentazioni che si tennero a Londra nel 1770, fu invece Guadagni ad eseguire ancora la parte di Orfeo, ma ben poco della partitura originaria di Gluck sopravvisse in questa edizione, avendo Johann Christian Bach[5] e Pietro Alessandro Guglielmi[21] provveduto a gran parte della musica nuova. Il compito di far ascoltare ai londinesi un’edizione più ortodossa dell’Orfeo gluckiano, toccò quindi, di nuovo, a Millico, il quale eseguì, nel 1773, al King’s Theatre, con scarso successo, la sua versione di Parma per soprano.[22]
Il successo dell’edizione parigina del 1774, integralmente rimaneggiata ed ampliata da Gluck in conformità con gli usi dell’Opéra ed i gusti del pubblico francese, e con la parte del protagonista conseguentemente trasposta per haute-contre ed interpretata dal primo tenore dell’Académie Royale de Musique, Joseph Legros, fu clamoroso e «molti influenti personaggi dell’epoca, tra cui Jean-Jacques Rousseau, ebbero commenti lusinghieri da fare nei suoi confronti. La sua prima uscita in cartellone durò per 45 rappresentazioni … Fu quindi ripresa per una ventina di stagioni con quasi trecento[23] spettacoli, tra il 1774 e il 1833, [anche se, poi] poté annoverare l’effettivo trecentesimo allestimento da parte della compagnia [dell’Opéra di Parigi] solo il 31 luglio del 1939 presso il teatro antico di Orange»[24]. Durante la prima parte del XIX secolo, si misero particolarmente in luce per le loro interpretazioni di Orphée, i due Nourrit, padre (Louis[25]) e figlio (Adolphe[5]), che si succedettero nell’incarico di primo tenore dell’Académie Royale, dal 1812 al 1837.
Se l’edizione parigina godé dunque di una particolare fortuna in patria, quella di Vienna incontrò più difficoltà nel resto d’Europa, anche per la concorrenza esercitata dall’omonima opera di Ferdinando Bertoni, andata in scena a Venezia, nel 1776, sempre con Guadagni come protagonista, e scritta sullo stesso libretto di Ranieri de’ Calzabigi. L’opera di Gluck fu comunque eseguita un po’ in tutto il continente[26], senza interruzioni, nel corso dell’ultimo trentennio del ‘700, con anche una rappresentazione curata da Haydn ad Eszterháza nel 1776[27]. Con il nuovo secolo le riprese si fecero però più sporadiche, anche se non si interruppero mai completamente: nel 1813, alla Scala, si ebbe probabilmente il primo caso di sostituzione del castrato con una cantante di sesso femminile, citata dalle cronache come “Demoiselle Fabre“[28]. Tale sostituzione sarebbe divenuta, di lì a pochissimi anni, la regola, in seguito all’estinzione dei castrati sui palcoscenici lirici. Nel 1854 Franz Liszt diresse l’opera a Weimar, componendo un suo proprio poema sinfonico in sostituzione dell’ouverture gluckiana originale[5].Stagione lirica 1961-1962, Teatro alla Scala, Milano. Giulietta Simionato, a destra, ed Elena Mazzoni in Orfeo ed Euridice.
Nel 1859 fu invece Hector Berlioz a cercare di attualizzare, per il Théâtre Lyrique di Parigi, la versione francese dell’opera, facendola in parte riorchestrare, introducendo alcune modifiche e soprattutto trasponendo per mezzo-soprano la scrittura per haute-contre del ruolo di Orfeo, divenuta ormai troppo difficoltosa per il nuovo stile realistico di canto dei tenori romantici. L’operazione fu concepita e realizzata grazie alla disponibilità sulle scene parigine della grande cantante Pauline Viardot, ultimo rampollo in attività della gloriosa dinastia canora dei García.
Di norma, a partire dagli anni ’20 dell’800 e per gran parte del ‘900, il ruolo di Orfeo fu quindi interpretato da cantanti donne, contralti tipici, come Guerrina Fabbri[29], Marie Delna[29], Fanny Anitúa[29], Gabriella Besanzoni[29] o le britanniche Clara Butt e Kathleen Ferrier, o mezzo-soprani, come Giulietta Simionato, Shirley Verrett, Marilyn Horne e Janet Baker[30]. La pratica, del tutto inusitata nei secoli precedenti, dell’impiego di controtenori nelle parti originariamente scritte per castrati, e quindi anche in quella di Orfeo, data solo a partire dalla metà del XX secolo[5]. All’occasione (soprattutto in area tedesca), il ruolo di Orfeo è stato anche trasposto per baritono, di solito abbassando di un’ottava la versione di Vienna o quella pubblicata da Dörffel (cfr. infra): Dietrich Fischer-Dieskau e Hermann Prey sono due baritoni di vaglia che hanno eseguito la parte in Germania (Fischer-Dieskau ne ha anche lasciato ben tre registrazione discografiche complete, Prey solo una parziale)[5]. Tra i direttori, Arturo Toscanini si distinse per le sue riproposizioni dell’opera nella prima metà del XX secolo[5]: la trasmissione radiofonica del secondo atto è stata alla fine anche riversata due volte in disco, sia in vinile che in CD.
Carattere sostanzialmente del tutto occasionale ha avuto infine, almeno inizialmente, l’accostamento alla versione parigina dell’opera, da parte della leva di tenori acutissimi che, a partire dall’ultimo ventennio del ‘900, ha invece consentito la rifioritura di tanta parte del repertorio rossiniano per tenore contraltino. Si ricorda solo qualche sporadica esecuzione: a puro titolo di esempio, William Matteuzzi a Lucca, nel 1984 (spettacolo in forma di concerto nel suggestivo cortile della Villa Guinigi), Rockwell Blake a Bordeaux, nel 1997, Maxim Mironov a Tolone nel 2007, o, infine, Juan Diego Flórez, al Teatro Real di Madrid nel 2008 (edizione questa che è stata anche riversata in un’incisione discografica completa). Una certa inversione di tendenza si è però verificata verso la fine del secondo decennio del nuovo secolo con due importanti produzioni, l’una europea, l’altra per due terzi americana, accomunate dall’ambizione di dare il giusto rilievo alle parti danzate. La prima è stata realizzata dalla Royal Opera House di Londra nella stagione d’autunno 2015-2016, per l’interpretazione dello stesso Florez, la direzione di John Eliot Gardiner e con coreografia e danze affidate all’artista israeliano Hofesh Shechter e alla sua compagnia.[31] Lo stesso spettacolo, su suggerimento di Florez, è stato poi portato con successo anche sul palcoscenico della Scala alla fine di febbraio 2018, per la direzione di Michele Mariotti,[32] ed anche riversato su DVD/Blu-ray. La seconda produzione è nata dalla collaborazione tra la Lyric Opera of Chicago, la Los Angeles Opera e l’Opera di Amburgo ed è stata ideata dal coreografo John Neumeier, responsabile anche della regia e del design, usufruendo della compagnia del Joffrey Ballet per quanto riguarda gli interventi di danza. La produzione ha visto materialmente la luce a Chicago nel 2017 con il tenore russo Dmitrij Korčak (Dmitry Korchack nella traslitterazione anglosassone) nei panni del protagonista,[33] ed è poi passata a Los Angeles nel marzo del 2018 con il già citato Maxim Mironov.[34] Nel febbraio del 2019 la produzione ha varcato l’oceano approdando alla Staatsoper di Amburgo (e poi nel settembre alla Festspielhaus di Baden Baden), di nuovo con Korčak e Mironov nei panni protagonistici maschili.[35] L’allestimento di Chicago è stato anch’esso riversato su DVD/Blu-day.
Ana Emilia Lahitte (La Plata, Argentina, 19 de diciembre de 1921 – Íd., 10 de julio de 2013). Poeta, novelista, dramaturga y periodista. Lic. en Psicología. Fue directora del Centro de Documentación e Información Pedagógica del Ministerio de Educación de la Provincia de Buenos Aires; Asesora literaria de Radio Universidad Nacional de La Plata; Secretaria técnica del Departamento de Teatro de la Escuela Superior de Bellas Artes; jurado de premios provinciales, nacionales y extranjeros.
DESERTI
Gli uomini blu
costeggiano le alte dune.
Non parlano di sete
con chi non la conosce.
Come cibo
condividono silenzi di sabbia.
Sembra che ci separino eterni
orizzonti.
Non sanno
che in loro vive un’altra sete.
Esangue
senza oasi.
Quella dei nostri deserti.
(da La notte e altre poesie, 1960)
.
.
DOLCEZZA
Com’è ardua… com’è serena
questa tristezza
di essere finalmente sola
con l’ombra.
O già senza di essa.
(da Legno e trasparenza, 1962)
Di Ana Emilia Lahitte sul Canto delle Sirene:
EL SUETER DE FEDORIO
En los bordes raídos del suéter
de Fedorio
se arremansa la vida y sus historias.
Jamás
me atrevería a proponerle restañar
esos hilos desgastados
reavivar los colores
las zonas percudidas como un abecedario
para ciegos.
Quitárselo
sería desollarlo.
El suéter de Fedorio
es una hogaza
un libro de bitácora un sol un campanario
alguna melodía que se canta
sin que nadie la escuche.
Su intemperie
anuda cuanto ha sido algo más
que un adiós
menos que un llanto
algo que sólo cabe en el hueco secreto
de la mano.
Si otra piel respira
debajo de mandala de su suéter gastado
será sólo un sudario
que busca convertirse en el revés cereal
de esa coraza
hilada por los pájaros.
ATRAPADOS
Sólo tengo de vos
una fotografía con pómulos rasantes
tu pelo de llanura sobre los hombros tensos
y sin brazos
-no he podido inventarlos todavía-
y tu extraña manera
de acompañarme a solas
de este lado del mar.
Vivías en París
(lo especifica el dorso de la fotografía)
ignoro si habrás muerto.
Importa
el desamparo de tu mirada inmensa
que me atraviesa
y sigue camino a mis espaldas
sin dejarme jamás.
Mirás hacia el vacío.
Un abrazo
sin tiempo que se abraza a sí mismo.
Mirás
como buscando la huella de un albatros.
Algo que implora
un límite para poder llegar.
///
Ni siquiera conozco tu sombra.
Sin embargo
regreso sin descanso
y me tiendo a tu lado en tu voz
en tu sed
en el tacto insaciable
con que rastreo a ciegas tus rasgos
con mis dedos.
Y te llevo a mi piel.
Y siento que tus muslos
aprietan con el celo de lo deshabitado.
Gozamos
el secreto pacto
de lejanías
que anuda nuestros cuerpos
en una memorable batalla despojada
de heridas y arrogancias.
Una trama ilesa
bellamente perversa insiste en atraparnos.
Y estamos atrapados
aquí
en el Sur más sur.
En esta factoría de la imaginación oculta
en el reverso
de los acantilados.
LOS CHICOS DE LA CALLE
Oh, niños asesinos, oh salvajes antorchas. Julio Cortázar
Ragazzi di vita
los llamó Pasolini
con su piedad adversa
desollada.
Y nos los deja así
sin otra identidad que la mugre
y la llaga.
Debajo
del abrigo de su costra de escaras
-cristos breves-
los chicos de la calle
no saben todavía que su sombra atrapada
crece
para la historia de la infamia.*
El dolor
nunca es niño.
Y en ellos ni siquiera es dolor.
Es una humillación
de la esperanza.
* Borges
T I G R E S
Dicen
que el territorio de las hembras
es menor.
Pero el olor a hembra atraviesa el verano
y el celo
es territorio prometido
para tigres
y albatros.
DESIERTOS
Los hombres azules
frontera de las altas dunas.
No hablan de la sed
con quien la desconoce.
Como alimento
intercambian silencios de arena.
Parecen separarnos horizontes
eternos.
Ignoran
que con ellos convive otra sed.
Exhausta
Sin oasis.
La de nuestros desiertos.
LIBERACIÓN
Las manos.
Sometida extremadura
de la avidez y de la servidumbre.
Si pudiera
las dejaría partir
desarraigadas
sabiamente inexpertas
como el tacto feliz de los amantes
buscándose en la oscuridad.
SELLOS DE POSESIÓN
CUERPO DE MUJER
Conspiración del universo
para que el horizonte
se desnude.
QUASAR
Aquel falo de estrellas
que siempre pareció comenzar
en tu boca.
PECADOS
Hay pecados rebeldes
que no desaparecen hasta violar
alguna garza azul.
Ana Emilia Lahitte, poetessa argentina, nasceva il 19 dicembre di cento anni fa. Esordì a vent’anni con i poeti della “Generazione degli Anni ’40” differenziandosi subito per il tema della morte nel suo significato universale: “Il polso arduo della bellezza ferita, la sua denuncia testimoniale, la sua universalità a terra. Il passaggio fu arduo, ma il clamore del suo significato era chiarissimo” disse in un’intervista. Il suo stile con gli anni va condensandosi, si fa più nudo, con il minimo di parole si contrappone all’abuso del discorso perpetuato dai mezzi di comunicazione nel tentativo di “sintetizzare la chiarezza esistenziale del complesso che l’uomo di oggi comporta, senza spogliarsi della radice ancestrale che lo sostiene”.
Ana Emilia Lahitte (La Plata, 19 dicembre 1921 – 10 luglio 2013), poetessa e scrittrice argentina. Ha pubblicato 27 libri suddivisi tra poesia, narrativa, teatro e saggi. Ha collaborato con diversi ministeri alla diffusione della poesia argentina nel mondo.
Ana Emilia Lahitte (La Plata, Argentina, 19 de diciembre de 1921 – Íd., 10 de julio de 2013). Poeta, novelista, dramaturga y periodista. Lic. en Psicología. Fue directora del Centro de Documentación e Información Pedagógica del Ministerio de Educación de la Provincia de Buenos Aires; Asesora literaria de Radio Universidad Nacional de La Plata; Secretaria técnica del Departamento de Teatro de la Escuela Superior de Bellas Artes; jurado de premios provinciales, nacionales y extranjeros.
Lahitte publicó 24 libros (poesía, narrativa, ensayo ,teatro y periodismo).
Algunas de sus obras publicadas son : Sueño sin eco(1947), El muro de cristal(1952), La noche y otros poemas(1959), Madero y transparencia (1962), Al sur de marzo (1969), Los abismos(1979), Los dioses oscuros (1980),El tiempo, ese desierto demasiado extendido(1993),Insurrecciones (2000),Summa de poemas, 1947-1997 (antología, 2001), Memorias del Adiós (2004),Los abismos,El cuerpo, Cielos y otros tiempos,Sueños sin ecos, Los dioses oscuros, El padre muere (2006), Gironsiglos (2006).
Es importante destacar entre sus ensayos y compilaciones poéticas: Veinte poetas platenses contemporáneos (1962), María de Villarino (1966), Roberto Themis Speroni (1975), Cinco poetas capitales (Ballina, Castillo, Mux, Oteriño y Preler, 1995).
Obtuvo, numerosas distinciones, algunas de las cuales son: Pluma de Plata del PEN Club Internacional, Centro Argentino (1980), Puma de Oro de la Fundación Argentina para la Poesía (1982 y 2001), Primer Premio Nacional de Poesía, Región Buenos Aires (1983), Premio Konex (1994), Premio de Poesía “Esteban Etcheverría”, de Gente de Letras (1999), Premio Página de Oro y Letras de Oro de Honorarte.
Su obra ha sido incluida en diversas antologías y traducida al inglés, francés, alemán, italiano, catalán y portugués. Forma parte del Inventario de Poetas en Lengua Española -segunda mitad del siglo XX- trabajo de investigación realizado conjuntamente por la Universidad Autónoma de Madrid con la Asociación Prometeo de Poesía, de España y tambien ha sido incluida en el Breve Diccionario Biográfico de Autores Argentinos -desde 1940- realizado por Silvana Castro y Pedro Orgambide, Ed. Atril, 1999.
En 2001, la Municipalidad de La Plata la designó Ciudadana Ilustre.
Enrico Berlinguer-La pace al primo posto-Scritti e discorsi di politica internazionale (1972-1984)-
A cura di Alexander Höbel- Donzelli Editore -Roma
Scheda del Libro-Enrico Berlinguer La pace al primo posto-Scritti e discorsi di politica internazionale (1972-1984)-Passione, rigore, propensione ad anticipare i tempi e a superare steccati: ciò che ha segnato l’azione di Enrico Berlinguer nella politica italiana emerge con ancora maggior forza in campo internazionale. È quanto rivelano i discorsi, gli articoli e le interviste raccolti da Alexander Höbel in questo volume, a partire dal 1972, quando Berlinguer assume la guida del Pci. Sono gli anni degli euromissili, dell’invasione sovietica in Afghanistan, dell’escalation nucleare, della guerra in Libano; ma lo sguardo del segretario sa andare anche oltre e in profondità. Per la prima volta nella storia, intuisce, il mondo è strettamente interconnesso e il suo cuore non è più l’Occidente: è necessario cooperare con le nuove realtà emergenti, anche per il bene stesso dei paesi industrializzati, i quali solo in questo modo potranno uscire dalla crisi. Una capacità di visione che coinvolge la Cee e l’intera Europa («senza un contributo ai problemi dell’Est – afferma – non vi sarà sicurezza e sviluppo») e include l’Italia, per cui l’«austerità» qui invocata diventa strumento globale di efficienza e giustizia, per superare un sistema caratterizzato dall’individualismo più sfrenato, dal «consumismo più dissennato». Lo stesso Pci, di cui con orgoglio, in uno straordinario discorso pronunciato nel 1976 a Mosca, al congresso del Pcus, rivendica la storia all’insegna della democrazia e della libertà, deve intraprendere una «terza via» che vada oltre il modello socialdemocratico e il «socialismo reale», accogliere le spinte anticapitalistiche provenienti anche dai movimenti di ispirazione cristiana, aprirsi alle istanze ambientaliste, alle battaglie femministe. È la pace l’obiettivo su cui è costantemente focalizzato Berlinguer; una meta legata a multipolarismo e cooperazione, che si fa nelle sue parole tema spinoso e urticante, pungolo che sollecita all’azione, che impone una battaglia intransigente e a tutto campo contro le diseguaglianze, non solo economiche, perché «una pace non precaria, ma solida, duratura, per essere tale non può che essere fondata sulla giustizia».
Autore-Enrico Berlinguer
Enrico Berlinguer-Uomo politico italiano (Sassari 1922 – Padova 1984). Segretario del Partito comunista italiano dal 1972, deputato dal 1968 per tutte le legislature, fu promotore dell’idea di un “compromesso storico” tra le due grandi forze popolari, quella comunista e quella democristiana, ma dopo la deludente esperienza dei governi di unità nazionale (1976-79) riportò il PCI all’opposizione; durante la sua segreteria guidò inoltre il partito verso il progressivo distacco dall’Unione Sovietica.
Vita e attività
In contatto dal 1937 con gruppi antifascisti, nel 1943 aderì al Partito comunista italiano. Nell’immediato dopoguerra diresse il Fronte della gioventù prima a Milano e poi a Roma, entrando poco dopo nel Comitato centrale del PCI e nel 1948 nella direzione; dal 1949 al 1956 fu segretario generale del movimento giovanile comunista. Deputato dal 1968, fu eletto vicesegretario del PCI nel 1969 (XII congresso) e segretario generale nel marzo 1972 (XIII congresso). La sua linea, basata sul perseguimento dell’alleanza tra classe operaia e ceti medî, sull’affermazione del carattere laico del partito e, soprattutto, sulla proposta del “compromesso storico”, si concretizzò, dopo i successi elettorali del PCI nel 1975-76, nella politica di unità nazionale (ag. 1976-genn. 1979). Dopo la conclusione negativa di tale esperienza e il ritorno dei comunisti all’opposizione (1979), B. cercò di far fronte alla difficile situazione in cui si era venuto a trovare il PCI, accentuata dalla crisi sociale e politica dei primi anni Ottanta, con una riaffermazione del suo carattere alternativo alla Democrazia cristiana (proposta di “alternativa democratica”, del nov. 1980) e la prosecuzione del suo rinnovamento interno. In campo internazionale, la segreteria B. si è caratterizzata per il crescente distacco del PCI dall’Unione Sovietica (dall’esperienza eurocomunista degli anni Settanta alla dichiarazione del genn. 1982 circa l’esaurimento della “spinta propulsiva” della rivoluzione d’ottobre) e il perseguimento di una sua maggiore integrazione nell’ambito della sinistra europea occidentale.Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani
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Gastone Novelli e la scrittura francese d’avanguardia dal 16.01.2025-
Roma-In occasione del centenario della nascita dell’artista Gastone Novelli, Villa Medici e l’Archivio Novelli hanno il piacere di organizzare questo incontro sull’influenza delle sue opere sugli scrittori francesi, da Georges Bataille a Claude Simon. Questo dialogo riunisce diversi specialisti italiani e francesi, Marco Rinaldi, Davide Crosara, Andrea Cortollessa e Mireille Calle-Gruber, alla presenza di Francesca Alberti, direttrice del Dipartimento di Storia dell’Arte di Villa Medici, per esplorare i rapporti tra immagine e scrittura sviluppati in questi incontri franco-italiani.
Dalla fine degli anni Cinquanta in poi, Gastone Novelli, scrittore, ha intrecciato uno stretto e complesso rapporto tra immagine e scrittura, animando il suo mondo poetico di una continua costruzione di molteplici universi linguistici.
Se in questo senso sarà decisivo l’incontro con l’antropologia strutturale di Claude Lévi-Strauss, in realtà l’artista aveva già trovato una grande affinità con gli umori dello sperimentalismo linguistico che aveva coinvolto gli ambienti letterari del tardo surrealismo e del Nouveau Roman francese: Edouard Jaguer, Pierre Klossowski, Claude Simon, ma anche Georges Bataille e Samuel Beckett, saranno a lui molto vicini nella comune e appassionata ricerca di nuove strutture semantiche e narrative, solitari viandanti attraverso i meandri del linguaggio; e da qui scaturiranno alcune collaborazioni per la realizzazione di libri e opere grafiche che Novelli, più che semplicemente illustrare, tenderà a chiosare e reinterpretare con le sue vivaci e colorate immagini.
Informazioni pratiche
Giovedì 16 gennaio dalle 18:00 alle 20:00
Grand Salon di Villa Medici
Gratuito : prenotazione obbligatoria
Lingua : italiano
Gastone Novelli nasce nel 1925 a Vienna. Durante la Seconda guerra Mondiale partecipa alla Resistenza, viene arrestato, torturato e condannato a morte. La pena viene commutata in carcere a vita e viene liberato all’ingresso delle truppe alleate a Roma il 4 giugno 1944.
Nel 1948 compie il primo viaggio in Brasile, dove inizia la sua attività artistica.
Nel 1955 si stabilisce a Roma e si inserisce rapidamente nell’ambiente artistico della città grazie all’amicizia con Emilio Villa.
Nel 1957 compie diversi viaggi a Parigi, dove incontra Tristan Tzara, André Masson, Man Ray e Hans Arp. Lo stesso anno fonda con Achille Perilli la rivista “L’Esperienza Moderna” e la Galleria La Salita di Roma gli dedica una personale.
A partire dagli anni Sessanta frequenta Samuel Beckett, Georges Bataille, Pierre Klossowski, René de Solier e avvia una stretta amicizia con Claude Simon, che in uno dei suoi ultimi libri, Le Jardin des Plantes (1997), racconta la profonda consonanza intellettuale e creativa che lo legava all’artista. Con alcuni di loro Novelli avvia vere e proprie collaborazioni: con Beckett prepara un progetto editoriale per illustrare L’image, rimasto poi incompiuto; nel 1962 realizza il libro unico per Histoire de l’œil di Bataille, mentre nel 1965 commenta con le tavole del libro Das Bad der Diana il mito di Diana e Atteone, analizzato da Klossowski.
Inizia a collaborare con gli scrittori della neo-avanguardia italiana, con i quali condivide la medesima tensione verso la sperimentazione linguistica.
Nel 1964 fonda con Perilli, Alfredo Giuliani e Giorgio Manganelli la rivista “Grammatica”. Vince il Premio Gollin alla Biennale di Venezia dove è invitato con una sala personale.
Nel 1966 pubblica il libro Viaggio in Grecia, vera e propria summa di anni di riflessioni sul linguaggio e di peregrinazioni in universi segnici, che vanno dalla psicologia del profondo, al mito, fino al definitivo approdo all’antropologia e allo strutturalismo di Claude Lévi-Strauss.
Nel 1968 viene di nuovo invitato alla Biennale veneziana con una sala personale, ma per protesta contro l’intervento della polizia all’interno dei Giardini si rifiuta di esporre le sue opere rovesciandole contro le pareti. In ottobre è a Milano, dove inizia l’insegnamento all’Accademia di Belle Arti di Brera. Muore il 22 dicembre per un collasso postoperatorio.
Novelli ha esposto nei più importanti musei e istituzioni italiane e internazionali. Oggi le sue opere sono conservate al MoMA di New York, alla National Gallery di Washington, al MASP di San Paolo, al British Museum di Londra, alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, al Museo del Novecento di Milano e alla Peggy Guggenheim Collection di Venezia.
Relatori
Mireille Calle-Gruber
Mireille Calle-Gruber, scrittrice e docente di letteratura ed estetica alla Sorbonne Nouvelle, dove dirige il Centre de recherches en études féminines et genres, è autrice di una trentina di libri. Il suo lavoro analizza il potenziale di riflessione critica della letteratura nel suo rapporto con il linguaggio, la filosofia e le arti, e i movimenti letterari del XX secolo, tra cui il “Nouveau Roman”. Lavora in particolare sulle opere di Michel Butor (di cui ha pubblicato le Oeuvres complètes in 12 volumi), di Claude Ollier, Assia Djebar, Jacques Derrida (La distance généreuse, 2009), .Marguerite Duras (La noblesse de la banalité, 2023), Peter Handke, Claude Simon (di cui ha scritto la Biografia : Une vie à écrire, 2011 ; être peintre, 2021). Dopo avere pubblicato cinque romanzi, ha scritto insieme a Michel Butor, un racconto-scenaggiatura Le Chevalier morose (2017). E’ coeditrice del Dictionnaire Universel des Créatrices (éd. des femmes, 2013) e del Dictionnaire sauvage Pascal Quignard (2015). E’ stato pubblicato un simposio dedicato alle sue opere : Mireille Calle-Gruber, l’amour du monde à l’abri du monde dans la littérature (a cura di Sarah-Anaïs Crevier Goulet et al., 2015). Nel 1997, è stata eletta all’Accademia delle arti e delle lettere della Royal Society del Canada. Ha ricevuto diverse distinzioni tra cui il dottorato honoris causa dell’Università Aristotele di Thessaloniki nel 2022. Di recente, ha pubblicato Réinventer les alphabets : Claude Simon, Gastone Novelli (2023), e ha scritto la Prefazione alla traduzione italiana del romanzo di Claude Simon, Le Jardin des Plantes (Roma, ed. Gremese, 2024).”
Andrea Cortellessa
Andrea Cortellessa è nato a Roma nel 1968. Insegna Letteratura italiana contemporanea all’Università di Roma Tre. Ha curato mostre e testi (tra gli altri di de Chirico, Manganelli, Pagliarani, Raboni, Rosselli, Zanzotto, Di Ruscio, Paolini e Parmiggiani), realizzato trasmissioni radiofoniche e televisive, spettacoli teatrali e musicali. Fra i suoi ultimi libri Le notti chiare erano tutte un’alba. Antologia di poeti italiani nella Prima guerra mondiale (Bompiani 2018), Andrea Zanzotto. Il canto nella terra (Laterza 2021), Filologia fantastica. Ipotizzare, Manganelli (Argolibri 2022), il volume a più voci Arbasino A-Z (Electa 2023) e Amelia Rosselli. Con l’ascia dietro le nostre spalle (Electa 2024). È tra i fondatori di «Antinomie. Scritture e immagini»; collabora al «manifesto», al «Corriere della Sera», al «Sole 24 ore», al «Giornale dell’Arte» e ad altre testate.
Davide Crosara
Davide Crosara è ricercatore in letteratura inglese presso ‘Sapienza’ Università di
Roma. I suoi principali campi di studio sono il teatro moderno e contemporaneo, il
romanticismo, il post-umano. Ha pubblicato una monografia su Beckett e il
monodramma (Aracne, 2019), e saggi in volume e rivista su Daniel Defoe, Primo
Levi, W.B. Yeats, James Joyce, Kae Tempest. Ha recentemente curato due volumi
su Samuel Beckett: Samuel Beckett’s Italian Modernisms: Tradition, Texts,
Performance (Routledge: 2024) e Samuel Beckett and the Arts. Italian
Negotiations (Anthem Press: 2024). In quest’ultimo volume compare anche il suo
saggio ‘J’ai eu l’image’. Samuel Beckett and Gastone Novelli.
Marco Rinaldi
Marco Rinaldi è professore di Storia dell’Arte Contemporanea e Storia del Design presso l’Accademia di Belle Arti di Roma e consulente scientifico dell’Archivio Gastone Novelli, artista di cui ha curato, insieme a Paola Bonani e Alessandra Tiddia, il catalogo generale dei dipinti e delle sculture. Di Novelli ha curato anche le mostre al Museo del Novecento di Milano nel 2012 e alle Gallerie d’Italia di Intesa-Sanpaolo di Napoli nel 2013-14.
È autore di saggi e monografie sull’arte e sulla cultura progettuale del Novecento, tra cui si ricordano i volumi La Casa Elettrica e il Caleidoscopio. Temi e stile dell’allestimento in Italia dal razionalismo alla neoavanguardia (2003) e Strappare il mondo al caso. Comunicazione estetica e neoavanguardia in Italia (1956-1964) (2008), e redattore della rivista “Zeusi – Linguaggi contemporanei di sempre”.
Roma -La mostra fotografica di Gabriele Basilico è sicuramente da vedere. Indubiamente vale sempre la pena di ammirare le foto di uno dei grandi maestri della fotografia italiana.L’allestimento è interessante, con le foto collocate su pannelli inclinati che favoriscono la visione e cercano (riuscendoci solo in parte) di ridurre i riflessi. Poi il luogo è grandioso, uno dei più belli di Roma, ma confesso di non amare in modo particolare il dover fruire delle foto in mezzo a reperti di tale bellezza da risultare distraenti. Aggiungo che alcune delle foto (ad esempio quelle collocate su una sorta di lungo tavolo con incavo a “V”) erano illuminate in modo poco uniforme.
La Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura, in collaborazione con il Museo Nazionale Romano – Palazzo Altemps, il MUFOCO – Museo di Fotografia Contemporanea e l’Archivio Basilico, presenta la mostra Gabriele Basilico. Roma. In occasione dell’ottantesimo anniversario dalla nascita del grande maestro della fotografia italiana, l’esposizione restituisce un inedito spaccato della sua ricerca visiva.
L’apertura al pubblico è prevista da giovedì 12 dicembre 2024 a domenica 23 febbraio 2025 nelle sale di Palazzo Altemps a Roma.
Curata da Matteo Balduzzi e Giovanna Calvenzi, la mostra presenta per la prima volta al pubblico un itinerario che attraversa le principali ricerche realizzate da Gabriele Basilico su Roma, città profondamente amata e intensamente frequentata dal fotografo milanese. Una selezione di oltre cinquanta opere in un percorso narrativo pensato appositamente per dialogare con gli spazi e le collezioni di Palazzo Altemps.
Filo conduttore della mostra è il legame tra Gabriele Basilico e la Città Eterna, costruito grazie a venti incarichi professionali ricevuti dal fotografo tra il 1985 e il 2011 e alle numerose campagne fotografiche che ne sono scaturite. Elementi fondamentali della ricerca di Basilico, come la stratificazione di epoche e stili e la dialettica tra monumenti e tessuto edilizio ordinario, trovano a Roma una propria apoteosi, fornendo al fotografo l’opportunità di raccontare anche una città moderna che sa includere simultaneamente le architetture imponenti, vivida espressione della modernità razionalista insieme ai templi, agli archi e palazzi della storia più antica dentro alla stessa grandiosa monumentalità.
Il percorso espositivo è articolato in due nuclei principali e spazia dagli affondi nell’architettura razionalista alla compresenza di edifici civili e monumentali come principio costante del tessuto urbano romano, dalle diverse sfaccettature del Colosseo, ai lavori che esplorano il rapporto tra figura umana e architettura contemporanea. Cuore pulsante della mostra e punto di congiunzione tra le due sale è il focus dedicato all’archivio del fotografo, che presenta 60 fogli originali di provini a contatto e una vasta selezione di appunti che Gabriele Basilico ha prodotto nel corso dei sette progetti principali realizzati su Roma, per un totale di oltre 250 immagini.
La mostra Gabriele Basilico. Roma accende i riflettori sulla straordinaria indagine dedicata alla condizione urbana che caratterizza la ricerca di Gabriele Basilico ed evidenzia il modo in cui il fotografo ha saputo dialogare con una delle città più ricche di riferimenti iconografici al mondo, traendone immagini che offrono punti di vista nuovi e inaspettati.
Amplia e completa il progetto espositivo la pubblicazione edita da Electa, promossa dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura, in collaborazione con il MUFOCO – Museo di Fotografia Contemporanea e con l’Archivio Gabriele Basilico, e curata da Angelo Piero Cappello, Giovanna Calvenzi e Matteo Balduzzi.
GABRIELE BASILICO
Milano, 1944-2013
Dopo la laurea in architettura (1973), Gabriele Basilico si dedica con continuità alla fotografia. La forma e l’identità delle città e i mutamenti in atto nel paesaggio urbano sono fin dagli esordi i suoi ambiti di ricerca privilegiati. Milano. Ritratti di fabbriche (1978-80) è il primo lavoro dedicato alla periferia industriale e corrisponde alla sua prima mostra in un museo (1983, Padiglione di Arte Contemporanea, Milano). Nel 1983-84 partecipa a Viaggio in Italia, il progetto collettivo ideato da Luigi Ghirri che diventerà il manifesto della Scuola italiana di paesaggio. Nel 1984 è invitato a far parte della Mission Photographique de la DATAR, voluta dal governo francese, e documenta le coste del nord della Francia. Nel 1991 partecipa a un’altra missione fotografica internazionale a Beirut, alla fine della guerra durata oltre 15 anni. A Beirut tornerà altre tre volte: nel 2003, nel 2008 e nel 2011. Nel 1996, con Stefano Boeri, realizza un’accurata indagine sui mutamenti del paesaggio, Sezioni del paesaggio italiano, che verrà presentata alla VI Biennale di Architettura di Venezia. Basilico ha prodotto moltissimi lavori di documentazione di città in Italia e all’estero, e realizzato un ampio numero di mostre e di libri personali. Considerato un indiscusso maestro della fotografia contemporanea, ha esposto in molti Paesi e ricevuto numerosi premi e riconoscimenti. Ha inoltre intrecciato il suo instancabile interesse per le trasformazioni del paesaggio urbano con attività seminariali, lezioni, conferenze e riflessioni scritte. Le sue opere fanno parte di importanti collezioni internazionali, pubbliche e private. Nel 2023-2024 la città di Milano gli ha dedicato due grandi mostre, alla Triennale e a Palazzo Reale, con il titolo comune Le mie città.
Dal 12 Dicembre 2024 al 23 Febbraio 2025
Roma
Luogo: Palazzo Altemps
Indirizzo: Piazza di Sant’Apollinare 46
Orari: dal martedì alla domenica dalle 9:30 alle 19:00 La biglietteria chiude alle ore 18:00
Curatori: Matteo Balduzzi e Giovanna Calvenzi
Enti promotori:
Direzione Generale Creatività Contemporanea – Ministero della Cultura
Biblioteca di San Valentino (Pescara), per “Incontro con l’autore” si parla del Fucino con Gaetano Lolli –
Biblioteca di San Valentino (Pescara), per “Incontro con l’autore” si parla del Fucino – “Il cerchio dell’acqua” (Leonida edizioni) dell’avezzanese Gaetano Lolli verrà presentato sabato 11 gennaio 2025 presso la Biblioteca di San Valentino (Pe) alle ore 16:30 per l’appuntamento “Incontro con l’autore”: in dialogo con l’ingegnere marsicano, ci sarà la giornalista Alessandra Renzetti.
Il romanzo storico, record di ristampa in meno di un anno, continua il suo tour volto alla conoscenza della storia millenaria del Fucino con tante preziose curiosità anche tecniche sui lavori che hanno caratterizzato la più grande opera di ingegneria idraulica del tempo. La prefazione è dell’archeologa Emanuela Ceccaroni.
È lo stesso lago che condivide con il lettore le sue paure, le sue angosce ed il suo addio, un aspetto questo che sta incuriosendo il pubblico: ” ‘Il cerchio dell’acqua’ lascia ampio spazio alle riflessioni, anche perché la sua lettura è lineare e la storia è chiara. Nelle pagine del romanzo scorre anche un viaggio emotivo che lo stesso lago, con un senso di amarezza sempre maggiore, percorre fino all’ultimo dei suoi giorni in cui non nasconde il suo dolore e l’incapacità di capire l’uomo per la sorte che ha scelto per lui”.
Tante sono le riflessioni e gli interrogativi che il romanzo scatena ed ancora oggi divide l’opinione pubblica e politica sulla realizzazione di questa grande opera d’ingegneria che ha interessato grandi nomi della storia fra cui un orgoglioso e curioso Alexandre Dumas: era necessario prosciugare il Fucino? Ha portato davvero i suoi benefici? Lo stesso Lolli continua, durante le presentazioni del suo libro, a creare un interessante dibattito che ha coinvolto anche i ragazzi in età scolastica.
L’autore affida proprio ai pensieri e ai sentimenti del lago Fucino il compito di congiungere le storie degli uomini attraverso le varie epoche sul cui sfondo si muovono i singoli personaggi che animano le pagine di questo percorso, lungo le sponde del bacino lacustre.
Ingresso libero.
Per info è possibile seguire le pagine social di @gaetanololli, @gaetanololliscrittore ed il sito www.gaetanololliscrittore.it.
Una breve biografia di Gaetano Lolli Sono nato nella terra dei Marsi e vivo ad Avezzano.
Sono un ingegnere edile-architetto, lavoro in una società di ingegneria e questo è il mio lavoro; le mie passioni però non sono altrettanto univoche, sono molte, per questo mi piace definirmi “fedele discepolo della mia curiosità” che mi porta ovunque.
Leggo tantissimo e scrivere col tempo è diventata una conseguenza naturale, credo che sia un modo insensato e romantico di sottrarre tempo alle cose da fare.
Ho un retaggio di appartenenza fortissimo con il mio territorio, dalla mia terra, dalle montagne che la caratterizzano traggo sempre spunti e la volontà di scrivere, dopo tutto “l’universale si coglie anche restando presso di sé”.
-Maria Luisa Fehr-Romanzo APRILE- Mondadori editore Milano 1934-
-Articolo di Guido Piovene per la Rivista PAN n°5 del 1934-
Guido Piovene-Scrittore e giornalista italiano (Vicenza 1907 – Londra 1974). Formatosi all’incrocio di un cattolicesimo sensuale con un illuminismo attinto ai moralisti francesi del Sei-Settecento, aperto alle influenze del freudismo e dell’esistenzialismo, P. indagò le passioni e i vizi umani. Tra i romanzi più noti: Le furie (1963), in cui ha tentato di applicare la tecnica del nouveau roman, dando particolare rilievo alla memoria di un mondo in decadenza di fronte al quale lo scrittore subisce rimorsi e inibizioni, non senza però lasciare nel lettore un sapore di ambiguità; e Le stelle fredde (1970, premio Strega), in cui ritorna con gli stessi simboli la materia autobiografica.
Vita e opere
Nel 1935 entrò a far parte del Corriere della sera per poi passare a La Stampa, della quale fu collaboratore fino alla fondazione, con I. Montanelli e altri, del quotidiano milanese Il Giornale (1974). La sua opera, che varia dalla corrispondenza e dai servizi di giornalismo d’alto livello alle pagine di viaggio e di riflessione, al racconto, al romanzo, è quella di un saggista formatosi all’incrocio di un cattolicesimo morbido e sensuale, di tradizione vicentino-fogazzariana, con un illuminismo attinto soprattutto ai moralisti e romanzieri francesi del Sei-Settecento; ma aperto alle suggestioni del freudismo e dell’esistenzialismo. Un saggista inteso all’esplorazione lenta, minuta delle passioni, dei vizi umani, colti nel loro sinuoso trasformarsi o dissimularsi in virtù (a cominciare dall’egoismo così spesso atteggiato a pietà); un osservatore e descrittore di «caratteri», il quale, come narratore, rivela, sotto il lucido intellettualismo della sua indagine e delle sue invenzioni, l’ansia di una ricerca soggettiva, di un personale riscatto. Ne è testimonianza, nei suoi racconti (La vedova allegra, 1931; Inverno di un uomo felice, post., 1977; Spettacolo di mezzanotte, post., 1984) e nei romanzi (Lettere di una novizia, 1941; La gazzetta nera, 1943; Pietà contro pietà, 1946; I falsi redentori, 1949; Le furie, 1963; Le stelle fredde, 1970; Verità e menzogna, post., 1975; Romanzo americano, post., 1979), quel procedere della narrazione, entro una cornice apparentemente oggettiva, per monologhi – in forma epistolare, di diario, di confessione, ecc. – dei protagonisti, che permette allo scrittore di eludere, come in un gioco o finzione scenica, quanto di troppo autobiografico urge al fondo della sua arte. Accanto alla produzione saggistica (Lo scrittore tra la tirannide e la libertà, 1952; Idoli e ragione, post., 1975), poi raccolta in Saggi (2 voll., post., 1986-90), e ai notevoli libri di reportage, di viaggio e di costume (De America, 1953; Viaggio in Italia, 1957; Madame la France, 1966; L’Europa semilibera, 1973; ecc.) è da ricordare il discusso La coda di paglia (1962), in cui P. rievocò i propri rapporti col fascismo. Al genere fiabesco appartiene Il Nonno Tigre (1972).
Giuliana Piovesan è nata a Velletri (Roma) nel 1947 e vive a Padova. Ha pubblicato per le Edizione del Leone: Il giorno dell’anno (Edizioni del Leone, 1992), Al ponte Rosso (Edizioni del Leone, 1999), Passo a due (Edizioni del Leone, 2003, con Franco Gentilucci), Le immagini dell’aria (Biblioteca dei Leoni, 2017). È presente con suoi scritti, pezzi critici, poesie, in volumi monografici, antologie, riviste. È da oltre vent’anni attiva nella realtà culturale della sua città. Collabora inoltre alla conduzione di più biblioteche nell’ambito del sistema civico di Padova.
LA TORRE DEI MORI
Scende come bronzo
dalla torre dei Mori
quel suono puro–
i dodici rintocchi battono
a martello l’ultima ora
Se dite al gallo di non cantare,
nessuno più verrà rinnegato
nel giorno che ancora segna il passo
( Non cercate la bella Aurora,
lei sta al Gritti Palace Hotel
——–Bloody Mary per due
alle ore undici… )
C’ERA UNA VOLTA
E piangere come potremo
per una storia che non è stata mai
-fogli in risma extra strong,
neppure dall’involucro mai tolti.
Mai il delicato fruscio
in un voltare di pagina,
né il segreto in una piccola piega.
Nell’aria noi allucinati
lo coglieremo pure
quel vago sentore di gelsomino
–ma sarà un nulla, come di fumo…
PER UN DIO SCONOSCIUTO
Abbassata la serranda sul negozio,
l’ondulato e inerte metallo
è scivolato fino a terra.
( Fulmineo come un artiglio
mi aggredisce il tuo non ricordo )
Resiste una scritta orizzontale,
impastata di carta, polvere e giorni:
“ Signori, il lunedì si chiude–
si chiude tutto il tempo “.
( Inutili clamori, e calda luce
laggiù, nel bar all’angolo… )
L’ISOLA
Lunghe notti ho vegliato e giorni
–e tu per me mai un segno
Sciolgo amore gli ormeggi
–e la nostra storia portala con te
nell’isola senza nome e ricordo
dove si consumerà il tuo tempo
–vuoto ormai di giorni.
EX VOTO
Non lo si poteva fare, mi dice la Signora–
benedetta non era l’acqua e le anime poi
non si lavano via così con uno sciacquo
Ma lei deve capirmi, Signora
erano le cinque in punto del mattino
e rossa colava l’anima cara
lungo il filo del sogno e se ne andava–
capisce, l’anima cara se ne andava
e cosa si poteva mai fare a quell’ora?
Eburnea Signora, mi creda, le mando il voto
di tutte le rose del mercato, ma non venga
ancora a sgranarmi i rosari dell’atto profano
Suvvia, Signora, la smetta ed esca pure lei–
fuori è maggio.
LILIALE I
Ben oltre i giorni della Pasqua
s’erano gingillati con la sfavillante carta
dell’uovo, che in realtà se ne stava
tutto nudo sopra una sedia di paglia–
–messo lì con svagata noncuranza.
Sembrava un banale piccolo inganno,
con degli effetti che potremmo definire
à trompe l’oeil, nulla di eclatante.
Il lato clamoroso dell’ affaire
veniamo a saperlo soltanto ora
che la Sfavillante, senza indulgenza alcuna,
si è sottratta al ruolo assegnatole dal gioco
e fuggitiva lascia nella più profonda
e sigillata indifferenza quelli che furono
i suoi sogni privati, del tutto privati.
Della storia qui conclamata rimane solo
un esile pensiero liliale, quasi ilare.
LILIALE II
Il colore bianco e la forma infantile
facevano dei miei sandali
due foglie calcinate
graziosamente oscillanti
in grembo alla dolce creatura del sud–
–dall’orto il ligustro si protendeva
fin sullo scalino dove quieta
rimanevo ad intrecciare attese.
E se la bella immagine m’incanta
il pensiero delle sue mani
esile ancora si leva all’alba.
AMORE E PSICHE
Perdonami amore se ancora strappo
piume e versi alla nostra casta camelia…
Nella cara stanza oggi è così buio
che solo arde giallo di tanta luce
il biglietto che s’appunta alla finestra…
L’ABITO ROSSO
Lungo la linea dell’abito rosso
molle scivolava il ventaglio nero
L’antico tondo trasudava vita
nello smalto che la racchiudeva
Incisa a filo dell’orlo floreale
la dedica ancora si leggeva
“zefiro di rugiada il prato bagna”
OPERA
Giocoliere gentile che nella mano
il cavo della bava fermo tieni
sicuro rimani e non visibile
——–pura mimica sospesa nell’aria.
Al cielo sia cangiante il tuo giullare.
L’ARIA
Smarrita nell’intreccio della storia
la piuma di ligustro si librava
in un cielo a noi ancora sconosciuto…
( era sua l’ombra sottile che ora si posa )
IL GRAFFIO
Segui amore il graffio della vita
e la brina che si posa sull’orlo
Non soffiarci sopra, non appannarla
Apri la nota alla voce del tempo.
AMARGO
Quel banchetto nudo dove la vita
si fa putta e graziosamente porge
la mandorla amara che solo al filo
della mente rilascia il suo gentile
………………………………………
( qui io non vi dirò nulla dell’albero
né della luna che lo sorvegliava )
ORO E BIANCO
per Stefania C.
Di giovane ramoscello è la tua mano–
Anima quasi bambina che a sé stringe
il nastro d’oro dei tulipani bianchi
( Indifferente il fioraio al nostro rito… )
SOVRAPPOSIZIONE
Il tram è in partenza verso il centro…
Si direbbe opaca la superficie
che sbuca dal manifesto murale,
se il riverbero e l’incerta materia
non mostrassero la forma ellittica,
dove lo specchio retrovisore filma
senza scatto il via vai della strada.
Tutto lo short sta in quello squarcio
–sospeso tra realtà e illusione.
CANTO FERMO
per Franco G.
Stasera lascia aperta la porta
ch’io possa entrare, e tu sciogliere
dai fili rossi il nostro carteggio.
La tenda s’alza ariosa come vela
che naviga verso il monte, nuvole
alle specchiere dell’altra stanza e cielo.
–Manica a vento, tu saluti Nina
e sali nell’incanto del tuo Chagall…
IL PAPAVERO
Neve perenne dorme la tua voce
sotto il bianco cappuccio del Subasio.
Lui nasce intoccabile e rosso–
–polvere della tua voce e sabbia
della mia gola, forse non fiore
ma trama di un sogno che non cede
al suo insostenibile peso d’ombra.
SILLABA
I.
S’inquieta come stormo che scolora
il tuo nome sul filo della mia mente
–alto volo da quel cielo scende in sillabe
II.
E se lieta nel liturgico fluire
le tue mani sento in me confuse
con rapido tocco svagata m’insinuo
nella piega che il brivido impone
III.
Si spezza nell’aria un delirio d’ali
( Colombe fremevano nel tuo cielo… )
ANDANTINO GRAZIOSO
Se ne stava quel chiaro spartito
incollato alla vetrina del liutaio–
con il suo si e la bella chiave di violino,
presi nel rigo della prima battuta
( Dal suono sciolte bende
liberano mani ferite )
All’ulivo santo della pietrosa
piccole anime beghine
cerimoniose vanno
al minuetto di pigolanti passi
Le mani tendono al tuo approdo
e avide il tuo nome afferrano
con l’unico riconosciuto fiore–
questo mio votivo monile di carta.
CARPE DIEM VARIAZIONE
Cara, non chiederti quale destino
gli dei abbiano per me e per te deciso
né struggerti (non è lecito saperlo)
sulle vane cifre di Babilonia.
Conviene accettare e patire la sorte –
–l’inverno che ora flagella le onde
sulle scogliere del mare Tirreno
potrebbe essere l’ultimo voto
o avere lungo seguito nella vita.
Sii saggia, continua a mescere il tuo vino
e raccogli la speranza nel breve suo filo.
Vivi questo giorno. Mentre parliamo,
l’avido tempo è già da noi fuggito.
VILLA R.
È cresciuta a dismisura quella rosa–
rosso struggente di velluto e spine
Il tempo si posa su cristallo sottile
mentre sfiora lame di ilare argento
( S’adagiava sul tappeto la figlia dei giorni… )
D’INVERNO
Nell’incerta grazia di una gemma
di te ritrovo quella che non eri
La radicella che pulsa nell’ombra
dall’umido umore risale alla linfa
( Sottili e nati già gli alberi d’inverno )
Biografia di Giuliana Piovesan è nata a Velletri (Roma) nel 1947 e vive a Padova. Ha pubblicato per le Edizione del Leone: Il giorno dell’anno (Edizioni del Leone, 1992), Al ponte Rosso (Edizioni del Leone, 1999), Passo a due (Edizioni del Leone, 2003, con Franco Gentilucci), Le immagini dell’aria (Biblioteca dei Leoni, 2017). È presente con suoi scritti, pezzi critici, poesie, in volumi monografici, antologie, riviste. È da oltre vent’anni attiva nella realtà culturale della sua città. Collabora inoltre alla conduzione di più biblioteche nell’ambito del sistema civico di Padova.
La raccolta La casa sull’albero, Kathleen Jamie, Ladolfi Editore, 2016, ha vinto il Premio Marazza 2017 per la traduzione poetica.
Osservavo un falco
planare lento lungo il pendio,
la sua forma scura
negli artigli come una preda.
Inclinò le ali,
cadde nell’aria –
l’ombra proseguì
senza di lui, come una lepre.
Ero ai ferri corti
con la mia cosiddetta anima,
parte libero falco,
parte ombra in libertà vigilata,
così agii d’impulso:
ne tenni uno ben in vista
e lasciai andare l’altra.
Il falco si librò in aria:
la compagna a terra
cominciò a sbiadire,
finché colle e cielo furono vuoti,
ed ebbi paura.
L’albero del mondo
Che specie di albero era quello, che stazionava
come un mendicante in fondo al nostro viottolo
dove noi ci sfidavamo su monopattini e biciclettine?
Segnava la fine del nostro mondo, mutilato,
grigio come una reliquia, laggiù oltre l’ultimo cancello
dove cominciavano i campi,
era cresciuto prima che si costruisse il complesso residenziale.
Era là che stavamo accovacciati,
dall’infanzia fino al tramonto dell’adolescenza,
le ginocchia raccolte sul mento, a sussurrare
dolci orrori …
Compagno albero, radice tribale,
da anni non penso a te, la tua linfa
in me, ma ora mi chiedo che specie eri
– sambuco o biancospino,
– e perché d’un tratto me ne importi.
Migratorio II
alla maniera di Hölderlin
Mentre gli uccelli migrano lentamente
lui guarda dinanzi a sé,
il principe e impassibile affronta
il vento che gli soffia contro il petto
c’è silenzio intorno a lui
lassù nell’aria
ma splendenti sotto di lui
si estendono i suoi territori
e con lui
per la prima volta inseguendo la vittoria
ci sono i giovani
ma con un colpo d’ala
lui li governa
Nota
‘Hawk and Shadow’ (Falco e ombra) è tratta da ‘Falco e ombra’, (Hawk and Shadow) antologia di poesie e prose scelte, cura e traduzione di Giorgia Sensi, Interno Poesia Editore, 2019
‘World Tree’ (L’albero del mondo) e ‘Migratory II’ (Migratorio II) sono tratte da
La compagnia più bella (The Bonniest Companie), cura e traduzione di Giorgia Sensi, Edizioni Medusa, 2018
Kathleen Jamie è nata in Scozia. Laureata in filosofia all’università di Edimburgo. Ha pubblicato diverse raccolte di poesia: Black Spiders (1982); The Way We Live (1987); The Queen of Sheba (1994), Jizzen (1999),The Tree House (2004), The Overhaul (2012), The Bonniest Companie (2015). Ha ricevuto premi importanti, tra gli altri: con The Tree House il Forward Poetry Prize come Best Poetry Collection of the Year, 2004, e Scottish Arts Council Book of the Year Award, 2005; con The Overhaul il prestigioso Costa Award, e finalista del TS Eliot Prize. L’ultima raccolta, The Bonniest Companie ha vinto sia il Saltire Society Book of the Year sia il Poetry Book of the Year. Jamie scrive anche non-fiction; in particolare qui si citano Findings (2005); Sightlines (2012), e Surfacing,(2019) tre volumi di narrativa di viaggio nella sua nativa Scozia, sulla sua flora e fauna, su escursioni da lei fatte nelle isole Orcadi, Ebridi, e in altre isole al largo delle coste scozzesi, sui loro insediamenti neolitici. KJ vive a Fife, è Professore di Scrittura Creativa all’Università di Stirling.
In Italia Kathleen Jamie è tradotta da Giorgia Sensi:
La casa sull’albero, poesie scelte, Giuliano Ladolfi Editore 2016, ha vinto il premio Achille Marazza per la traduzione poetica 2017.
La compagnia più bella, Edizioni Medusa, 2018
Falco e ombra, poesie e prose scelte, Interno Poesia Editore 2019
Scrutare gli orizzonti (Sightlines), Luciana Tufani Editrice 2019
Kathleen Jamie ha vinto il Premio Internazionale del Ceppo, Pistoia 2019
Breve bio di Giorgia Sensi traduttrice freelance dall’inglese di fiction, non-fiction e soprattutto poesia.Fa parte della redazione di «Interno Poesia», blog e casa editrice per la promozione della poesia.Ha tradotto raccolte di Carol Ann Duffy, Jackie Kay, Gillian Clarke, Margaret Atwood, Eavan Boland, Kate Clanchy, Kathleen Jamie, Patrick McGuinness, John Barnie, Philip Morre, e curato diverse antologie.
Qui si citano per esteso le pubblicazioni più recenti:
Pubblicazioni nel 2018:
La compagnia più bella, (The Bonniest Companie) Kathleen Jamie, Medusa Editore;
Scrutare gli orizzonti, (Sightlines) Kathleen Jamie, narrativa di viaggio, Luciana Tufani Editrice;
una raccolta di poemetti di Natale di Carol Ann Duffy,Un Natale inglese, con Andrea Sirotti, Le Lettere.
Pubblicazioni nel 2019:
Déjà-vu, poesie scelte di Patrick McGuinness, IP Editore,
Falco e ombra, (Hawk and Shadow) antologia di poesie e prose di Kathleen Jamie, IP Editore;
La testa di Shakila, poesie e prose di Kate Clanchy, Lietocolle-gialla oro;
8 poesie di Jenny Mitchell per la rivista Versodove, n. 21;
Istantanea di ippopotamo con banane e altre poesie, (Snapshot of Hippo with Bananas and other poems) Philip Morre, IP.
La raccolta La casa sull’albero, Kathleen Jamie, Ladolfi Editore, 2016, ha vinto il Premio Marazza 2017 per la traduzione poetica.
Giorgia Sensi ha ricevuto il ‘Premio Nazionale per la Traduzione’ 2019, conferito da ‘Ministero dei Beni e delle Attività Culturali’.
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