Antonia Pozzi-Lume branco-Rinoceronte Editora-Cangas do Morrazo-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
Antonia Pozzi-Lume branco-
Traducido por Lara Dopazo Ruibal
Rinoceronte Editora | Avenida de Lugo, 15, 36940 Cangas do Morrazo (Pontevedra)
Lume branco escolma os poemas dos últimos anos de vida de Antonia Pozzi, escritos entre os anos 1935 e 1938. Unha poesía que dá conta da súa intelixencia, a súa sensibilidade e a súa bagaxe intelectual. Uns poemas poboados de natureza e montaña, de soidade e morte, nos que tamén destaca a súa fonda preocupación pola crise social e política que vivían Italia e mais o resto de Europa no período de entreguerras.
Biografia di Antonia Pozzi (Milán, 1912-1938) é unha das poetas italianas máis fascinantes do século xx, aínda que, tras a súa morte, a súa obra tardou décadas en ser debidamente recoñecida e estudada. De clase acomodada, Pozzi formou parte dos círculos intelectuais do Milán do momento, coñeceu en profundidade a cultura europea e amosou unha gran preocupación pola crise social e política que ameazaba o continente na década de 1930. Suicídase con só 26 anos, deixando tras de si unha obra poética asombrosa que se verte agora por primeira vez ao galego.
Antonia Pozzi (Milano, 13 febbraio 1912 – Milano, 3 dicembre 1938) è stata una poetessa italiana.
Figlia di Roberto Pozzi, importante avvocato originario di Laveno e della contessa Lina Cavagna Sangiuliani, nipote di Tommaso Grossi,[1] Antonia scrive le prime poesie ancora adolescente. Studia nel Regio Liceo – Ginnasio Alessandro Manzoni di Milano, dove intreccia una relazione con il suo professore di latino e greco, Antonio Maria Cervi, la quale verrà interrotta nel 1933 a causa delle forti ingerenze da parte dei suoi genitori.
Nel 1930 si iscrive alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Milano, precisamente al corso di laurea in Filologia moderna, frequentando coetanei quali Vittorio Sereni, suo amico fraterno, Enzo Paci, Luciano Anceschi, Remo Cantoni e Dino Formaggio. Segue le lezioni del germanista Vincenzo Errante e del docente di estetica Antonio Banfi, forse il più aperto e moderno docente universitario italiano del tempo, col quale si laurea nel 1935 discutendo una tesi su Gustave Flaubert.
Nel 1936, durante le vacanze, ebbe come maestro di sci il celebre alpinista italiano Emilio Comici.
Tiene un diario e scrive lettere che manifestano i suoi molteplici interessi culturali, coltiva la fotografia, ama le lunghe escursioni in bicicletta, progetta un romanzo storico sulla Lombardia, studia tedesco, francese e inglese. Viaggia, seppur brevemente, oltre che in Italia, in Francia, Austria, Germania e Inghilterra, ma il suo luogo prediletto è la settecentesca villa di famiglia, a Pasturo, ai piedi delle Grigne, nella provincia di Lecco, dove si trova la sua biblioteca e dove studia, scrive a contatto con la natura solitaria e severa della montagna. Di questi luoghi si trovano descrizioni, sfondi ed echi espliciti nelle sue poesie; mai invece descrizioni degli eleganti ambienti milanesi, che pure conosceva bene.
La grande italianista Maria Corti, che la conobbe all’università, disse che «il suo spirito faceva pensare a quelle piante di montagna che possono espandersi solo ai margini dei crepacci, sull’orlo degli abissi. Era un’ipersensibile, dalla dolce angoscia creativa, ma insieme una donna dal carattere forte e con una bella intelligenza filosofica; fu forse preda innocente di una paranoica censura paterna su vita e poesie. Senza dubbio fu in crisi con il chiuso ambiente religioso familiare. La terra lombarda amatissima, la natura di piante e fiumi la consolava certo più dei suoi simili».
Avvertiva certamente il cupo clima politico italiano ed europeo: le leggi razziali del 1938 colpirono alcuni dei suoi amici più cari: «forse l’età delle parole è finita per sempre», scrisse quell’anno a Sereni.
A soli ventisei anni si tolse la vita[3] mediante ingestione di barbiturici in una sera nevosa di dicembre del 1938, nel prato antistante all’abbazia di Chiaravalle, dopo esservisi recata in bicicletta: nel suo biglietto di addio ai genitori parlò di «disperazione mortale»; la famiglia negò la circostanza «scandalosa» del suicidio, attribuendo la morte a polmonite. Il testamento della Pozzi fu distrutto dal padre, che manipolò anche le sue poesie, scritte su quaderni e allora ancora tutte inedite.
È sepolta nel piccolo cimitero di Pasturo: il monumento funebre, un Cristo in bronzo, è opera dello scultore Giannino Castiglioni. Il comune di Milano le ha intitolato una via.
Antonia Pozzi nella cultura di massa
Antonia Pozzi è stata raccontata nel cine-documentario della regista milanese Marina Spada, Poesia che mi guardi, presentato fuori concorso alla 66ª Mostra del Cinema di Venezia, tenutasi nel 2009.[5] In occasione del centenario della nascita della poetessa, i registi lecchesi Sabrina Bonaiti e Marco Ongania hanno realizzato un film documentario prodotto da Emofilm intitolato “Il cielo in me. Vita irrimediabile di una poetessa “, presentato in anteprima a Lecco e Pasturo nel marzo 2014.[6][7][8]
Il 19 febbraio 2016, esce in sala al Cinema Mexico di Milano il film sulla sua vita intitolato Antonia., di Ferdinando Cito Filomarino, con Linda Caridi nel ruolo di Antonia Pozzi[9].
È citata in Chiamami col tuo nome, uscito nel 2017, dal personaggio di Marzia (Esther Garrel) che riceve un libro di sue poesie dal protagonista, Elio (Timothée Chalamet). Nel film, ambientato nell’estate del 1983, Elio dona a Marzia una copia dell’edizione Garzanti di Parole curata da Alessandra Cenni e Onorina Dino per la collana Poesia. Questa edizione nella realtà è comparsa per la prima volta nel 1989.