Addio a Piero Ottone, grandissimo Giornalista.
Biblioteca DEA SABINA
Addio a Piero Ottone, grandissimo Giornalista. Una penna elegante che amava il mare
GENOVA 16 aprile 2017- Si è spento all’età di 92 anni il giornalista Piero Ottone. È morto a Camogli, in casa, davanti al mare che tanto amava.
Pseudonimo di Pierleone Mignanego (Ottone era il cognome della madre), Ottone era nato a Genova nel 1924. Giornalista e scrittore, ha segnato la storia del giornalismo italiano. Inizia la sua carriera al Corriere Ligure, poi alla Gazzetta del popolo, dove, a soli 23 anni, diventa corrispondente da Londra e successivamente dalla Germania. Entra al Corriere della Sera negli anni Cinquanta, come corrispondente da Mosca e inviato speciale, con Mario Missiroli direttore. “Con Piero Ottone se ne va un grande giornalista, elegante, che amava il mare – spiega il direttore della Gazzetta di Mantova, Paolo Boldrini – Oltre ai vari incarichi, culminati con la direzione del Corriere della Sera, ebbe un ruolo di primo piano nella nascita e nello sviluppo dell’Editoriale Le Gazzette e delle Gazzette di Modena, Reggio e poi della Nuova Ferrara. Fu presidente della società nata nel 1981 dopo che la cooperativa Citem cedette la maggioranza delle quote alla Mondadori. Alle riunioni dei direttori che si svolgevano a Mantova Piero Ottone si confrontava con direttori come Rino Bulbarelli e Umberto Bonafini, Antonio Mascolo ed Enrico Pirondini. Al suo rapporto con Bulbarelli dedico’ un articolo nel 2014 per il nostro inserto sui 350 anni della Gazzetta di Mantova. Gli telefonai nella sua casa in Liguria e accetto’ volentieri di scrivere per noi. Rispettò al millimetro la misura indicata e non fu difficile trovare il titolo. Grazie maestro e buon vento”.
Di seguito riproponiamo l’articolo di Ottone pubblicato sulla Gazzetta il 28 giugno 2014 in occasione dei 350 anni del nostro quotidiano.
di PIERTO OTTONE
Questa vostra Gazzetta di Mantova ha, come vi stiamo dicendo con fierezza, trecentocinquanta anni d’età, e di fronte a una simile età il cuore di un giornalista si commuove. Specie in questi nostri tempi, che non sono proprio i migliori per la carta stampata (supereremo anche questa crisi, ne sono certo, quando avremo scoperto che giornali e web sono istituzioni profondamente diverse, non alternative ma diverse l’una dall’altra).
C’è qualche cosa di magico quando si pensa alle vicende di una testata così antica, nata quando i giornali, più di adesso, erano una vertebra della società. Ma mi affretto ad aggiungere che la Gazzetta di Mantova è nata due volte e io ho partecipato ai suoi secondi natali. Ora vi spiego com’ è andata.
Tutto accadeva alla fine degli anni Settanta. Mi ero dimesso dal Corriere della Sera, dove avevo trascorso gran parte della mia vita professionale, perché il mio angelo custode mi aveva gentilmente sfiorato la spalla con un dito e mi aveva mormorato: va’ via, cambia aria, poi capirai perché. Infatti io non lo sapevo (anche se potevo sospettarlo), ma l’angelo sì, sapeva tutto. Ricordate la P2, Gelli, Ortolani? Stavano prendendosi il mio Corriere, come tante altre cose, per smania di potere.
Nel frattempo Mario Formenton, genero di Arnoldo Mondadori e suo successore alla guida della grande casa editrice, chi sa, forse anche lui ispirato dall’angelo, mi aveva proposto di entrare nella famosa e onorata casa editrice, che pubblicava un certo numero di importanti settimanali e cominciava ad avere interesse per i quotidiani: un settore della carta stampata nel quale, da parte mia, avevo accumulato una certa esperienza. Io avevo accettato il suggerimento dell’angelo e l’invito di Mario, anche perché Formenton era un galantuomo, e un caro amico. E dal Corriere aveva dato le dimissioni (fine settembre 1977).
Intanto, per conto suo, un personaggio stava tramando, per tutt’altra ragione, ma a fin di bene. Parlo di Rino Bulbarelli, giornalista: una forza della natura. Mantovano di sangue, conosceva la città (e dintorni) come il palmo della mano e dirigeva l’antica Gazzetta con lo slancio di un ragazzo. Se dicessi che era un uomo di raffinata cultura direi una bugia: gli bastava sapere quel che deve sapere un buon giornalista di provincia. E non aspirava a niente di più. Ma la natura del giornalista in lui era nettamente sopra la media, era eccezionale, perché sapeva che cosa interessa la gente (non solo i lettori di fatto, quindi, ma anche i lettori potenziali) e scriveva i suoi articoli di fondo, questo sì, con una chiarezza e un’efficacia non eguagliata da tanti colleghi di grande cultura. La sua innata modestia, d’altra parte, lo proteggeva dai passi falsi. Insomma, era un giornalista nato. Ed era preoccupato per le sorti della testata a lui affidata, perché i giornali cominciavano ad avere vita grama. Non perdeva denaro perfino il Corrierone, che per tanti anni era stato fonte di ricchezza per la famiglia Crespi, sua proprietaria, e per infinite altre persone?
Ma per fortuna si profilavano all’orizzonte innovazioni tecniche, che semplificavano il processo di stampa. E Bulbarelli vide davanti a sé nuove possibilità, che avrebbero consentito di stampare varie Gazzette, con una parte unificata, quella nazionale, e con pagine locali, che avrebbero aumentato la diffusione. All’origine di ogni ventura editoriale si trova spesso qualche personaggio che ha fatto storia: Rino era uno di quelli. E lui non tardò a scorgere la possibilità di moltiplicare le Gazzette in più testate: con una parte unica, quella nazionale, e una parte locale, che avrebbe aumentato la diffusione in singole città. Non basta. Rino sapeva che la grande Mondadori ambiva ad avere i suoi quotidiani. Che fare, dunque? Lui chiese un appuntamento a Formenton, saltò in macchina, andò a Segrate, sobborgo di Milano, sede della Mondadori, e presentò a Mario Formenton il suo progetto. Risultato: tre Gazzette furono messe in cantiere, per servire Mantova, Modena, Reggio Emilia, pagine nazionali identiche, pagine locali fatte su misura. In rappresentanza della Mondadori, io fui della partita.
Gazzetta di Mantova, Gazzetta di Modena, di Reggio: non dimenticherò mai la serata famosa in cui le varammo, tutte insieme. Non era facile sincronizzare l’operazione dal punto di vista tecnico, forse eravamo stati troppo ambiziosi a voler fare tutto insieme, ma due delle tre uscirono felicemente, e la terza vide la luce il giorno dopo. E i tre quotidiani misero le radici nelle rispettive città, con la collaborazione di tre direttori, uno più bravo dell’altro. Uno dei tre, Bonafini, era anche un grande esperto di musica, nelle pause di lavoro parlavamo di Karajan, sotto la cui direzione, diceva lui, i Berliner Philharmoniker producevano suoni dolci e vellutati come seta… Mi dispiace profondamente che Rino, dopo una lunga malattia, sia mancato pochi giorni fa.
Una forza della natura, ho detto, e un caro amico. E mi offriva sempre, generosissimo, copiosi tortelli di zucca.