Abdel Kader Haidara è il bibliotecario eroe di Timbuctù
Timbuctù -Abdel Kader Haidara, dopo essersi preso cura della raccolta e del restauro di 350.000 manoscritti di valore incommensurabile, un giorno torna da un viaggio di lavoro e trova la sua città invasa. Così, di nascosto, inizia una silenziosa opera per salvarli dalla furia fondamentalista
Lo abbiamo visto così tante volte negli ultimi anni che quasi ci siamo abituati: i talebani che abbattono i Buddha di Bamiyan con le cariche esplosive, i miliziani dell’Isis che prendono a martellate le statue nel museo di Mosul, la distruzione del sito archeologico di Palmira e l’uccisione dell’uomo che lì dirigeva gli scavi. E’ la “pulizia culturale” dei fondamentalisti, il tentativo di negare molteplicità e differenze in favore del pensiero unico. E quindi addio a tesori inestimabili e meravigliose testimonianze di un passato in cui i popoli convivevano nella tolleranza.
In questo desolante panorama, alcune storie di coraggio vanno invece raccontate. Come quella di Abdel Kader Haidara, il cui amore per i libri e i manoscritti antichi ha permesso di salvare l’immenso patrimonio culturale del Mali.
Tutto comincia nell’aprile del 2012, quando Abdel, tornato da un viaggio di lavoro in Burkina Faso, trova la sua città, Timbuctù, invasa dai miliziani di una delle affiliate africane ad Al Qaeda. Saccheggi, spari, bandiere nere che sventolano sui palazzi governativi e sui pickup che sollevano nuvole di terra per le strade.
Abdel di mestiere fa il bibliotecario e il conservatore di manoscritti antichi. Dal XVI secolo, la sua famiglia si è dedicata alla raccolta di volumi centenari e ha fondato l’Ahmed Baba Institute, in cui questi tesori dimorano. Suo padre si è dedicato per anni ai viaggi in tutta l’Africa, raccogliendo centinaia di manoscritti in Chad, in Sudan e in Egitto.
Alla sua morte, nel 1981, Abdel ha solo 17 anni. Il direttore dell’istituto offre a lui il posto. «Non volevo fare questo – racconta – gli risposi che non ero interessato. Volevo buttarmi nel mondo degli affari e guadagnare un sacco di soldi, non lavorare in una biblioteca». Il direttore però non si arrende. «Mi disse: “Questo è il tuo lavoro, il tuo destino. Hai una grande responsabilità. Sei il custode di una grande tradizione intellettuale”». Dopo mesi d’insistenza, Abdel cede. Studia intensamente e impara in fretta tutto quello che c’è da sapere, dalle tecniche di conservazione a come attribuire un valore economico ai singoli pezzi.
Trent’anni dopo, quando nel 2012 i miliziani invadono la sua città, della collezione fanno parte 350.000 manoscritti raccolti, chiesti in dono o comprati in ogni parte del paese. Molti sono secolari. Tra questi, anche un Corano dalla forma irregolare del XII secolo, scritto su una pergamena fatta con pelli di pesce e rilucente di lettere vergate in blu e oro. E poi testi di astronomia, matematica, scienze occulte e medicine tradizionali. «Molti dei manoscritti mostrano che l’Islam è una religione di tolleranza» racconta.
Ma ovviamente questa visione non è quella dei fondamentalisti. Anzi, gli antichi esempi di disquisizioni intellettuali e analisi del mondo sono proprio ciò che i jihadisti puntano a distruggere. Abdel sa che presto o tardi, i libri saranno in pericolo. Per un po’ fa finta di niente. Cammina per le strade senza guardare negli occhi nessuno e apre la biblioteca come se tutto fosse normale. Ma sa che deve fare qualcosa.
Qualche giorno più tardi, incontra i colleghi all’associazione delle biblioteche, da lui stesso fondata 15 anni prima. «Penso che sia necessario portar via i manoscritti da dove sono – dice loro – e disperderli nelle case qui in città. Non vogliamo che trovino le collezioni e le rubino o le distruggano».
Mesi prima, l’ufficio della Fondazione Ford a Lagos, in Nigeria, gli ha concesso una borsa di studio di 12.000 dollari per studiare inglese a Oxford. I soldi sono stati tenuti da parte in un libretto di risparmio. Abdel scrive alla fondazione e chiede l’autorizzazione per ricollocare i fondi: vuole usarli per proteggere i manoscritti. I soldi arrivano in tre giorni.
Abdel recluta suo nipote e a seguire i bibliotecari, gli archivisti, le segretarie, le guide turistiche di Timbuctù oltre a mezza dozzina di parenti. Il risultato è un colpo degno di “Ocean’s Eleven”.
Comprano casse di metallo o di legno al ritmo di 50 e persino di 80 al giorno, finché nessuno nei dintorni ne ha più. Ma non bastano. Allora incominciano a comprare barili di olio vuoti e li portano da un artigiano in una città vicina perché li batta col martello fino a trasformarli in casse, e identificano le case sicure dove nasconderle, in città o nelle periferie. Organizzano un piccolo esercito di imballatori che lavorano silenziosamente nel buio e organizzano i trasporti a dorso d’asino fino ai nascondigli.
Nel corso di otto mesi, quando neanche le case della città sembrano più sicure, le operazioni finiscono per coinvolgere centinaia di imballatori e corrieri. Contrabbandano i manoscritti fuori da Timbuctù, lungo le strade e i fiumi, oltre i checkpoint dei jihadisti e – dove ancora il governo è al potere – le sospettose truppe del Mali.
Quando i militari francesi arrivano, a gennaio 2013, la maggior parte del tesoro culturale è salvo: i libri andati distrutti nei roghi dei fondamentalisti sono 4000 sui 350.000 originari. «Se non lo avessimo fatto – racconta Abdel – sono sicuro che molti altri sarebbero andati in fumo».
Abdel è particolarmente orgoglioso di aver salvato un manoscritto: un volume che sembra pronto a sbriciolarsi, nel quale si racconta della risoluzione di un conflitto tra i regni di Borno e Sokoto, in quella che è l’attuale Nigeria. E’ l’opera di un intellettuale e sacro guerriero Sufi che governò brevemente Timbuctù nel XIX secolo. Quest’uomo, sostiene Abdel, era un jihadista nel senso originale e migliore della parola: un uomo che conduce una guerra dentro di sé contro le idee malvage, i desideri e la rabbia e li soggioga alla ragione e all’obbedienza ai comandamenti di Dio. «Una bella lezione – commenta Abdel – per chi invece semina il terrore».
Marina Palumbo- Fonte La Stampa di Torino-