Fosse Ardeatine 24 marzo 1944 di ALFONSO GATTO-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
Fosse Ardeatine 24 marzo 1944
di ALFONSO GATTO-
IL RACCONTO-Fosse Ardeatine
Kappler-faccia tagliata venne per testimone
a raccontarci il massacro.
Si disse fanatico e sacro
nella sua grande fatica
d’abbattere ostaggi, un portone
di buio aperto dai fari
la cava di Roma antica.
Su quel trofeo di vendetta
– sempre più deboli i forti
ciechi nel giallo alone
del tufo in polvere – in vetta
lui solo a sparare per tutti
i carnefici arresi all’orrore,
lui solo totale furore
di mazza sugli innocenti.
E tacquero i venti,
il silenzio non era del mondo
ma di quel sangue assetato.
Kappler-faccia tagliata parlava in tedesco,
il pubblico zitto
l’interprete muto.
Nessuno guardava più in giro,
tutti fissi in un punto, quel punto:
Kesselring, il viso compunto
nell’ordine, il fatto compiuto.
E nulla andò perduto
di quelle parole, io non le riesco
a staccare da me – e non da me, ma dal fitto
del petto con cui le respiro.
Blut diceva il sangue e tu-fo il tufo come noi,
mostrando fra le sue dita
la gialla arenaria che frana
su quella morte impaurita,
sulla giustizia vana
che lascia parole.
All’Appia antica se il sole
rallegra la via
e s’odono i passi perduti
dei morti cristiani,
ricorda gli eterni minuti
di questo supplizio. Domani
i giusti saranno con noi
nel tempo che i morti non hanno.
Or la pietà dell’inganno
vi chiude le tombe già aperte
perché la morte vi opprima
col peso di tutte le offerte,
col senno di poi.
Per altri innocenti, per altro furore
s’accenda la prima
la stessa parola d’amore
che ci fu tolta: domani.
(da La storia delle vittime, 1966)
.
“Ad ascoltarlo [Kappler] erano tutti fissi dai propri banchi: egli descriveva la scena delle esecuzioni, esaltandosi alle sue stesse parole, stancandosi della fatica del massacro come allora, ma senza rompere l’equilibrio necessario… Erano queste stesse precisazioni che spiegavano l’episodio del massacro nel suo svolgimento e lo rendevano terribilmente vero”: Alfonso Gatto (1909-1976) seguì come giornalista del Mattino del popolo di Venezia il processo ad Albert Kesselring e Herbert Kappler, responsabili dell’eccidio delle Fosse Ardeatine, compiuto come rappresaglia dai tedeschi il 24 marzo 1944, all’indomani dell’attentato di Via Rasella nel quale i partigiani uccisero 33 soldati nazisti. Fu una vera e propria strage a sangue freddo: i tedeschi, dopo averli portati nelle cave di pozzolana sull’Ardeatina, uccisero dieci italiani per ogni loro soldato, sbagliando anche i calcoli poiché le vittime furono 335, rastrellate nelle carceri di Via Tasso e di Regina Coeli – in particolare partigiani, monarchici, massoni ed ebrei – e tra i detenuti in attesa di giudizio anche per reati non politici. Poi fecero saltare la cava con le mine per sigillarla. Fu una delle crudeltà più impressionanti e gratuite dell’intera guerra, che lasciò un segno profondo nella coscienza della nuova Italia.
Mausoleo delle Fosse Ardeatine Il 23 marzo 1944, in un’azione di guerra in via Rasella a Roma, un gruppo di partigiani uccideva 33 soldati nazisti e ne feriva 38. Pronta la risposta tedesca: per ogni soldato ucciso sarebbero stati eliminati dieci italiani. Il giorno dopo, 24 marzo, 335 uomini, scelti a caso dalle truppe di occupazione tedesca tra prigionieri politici, tradotti dal carcere di via Tasso, ebrei e civili furono giustiziati. Le vittime vennero poi gettate nelle antiche cave di pozzolana situate a ridosso di via Ardeatina che vennero poi fatte brillare su ordine di Kappler per occultare la carneficina.
I movimenti di automezzi nei pressi del luogo dell’eccidio e le successive esplosioni furono però uditi da alcuni religiosi che si trovavano nelle vicinanze in qualità di guide alle catacombe. Durante la notte, i frati entrarono nelle cave e scoprirono i corpi ammassati uno sull’altro.
Per commemorare il tragico evento, e offrire degna sepoltura ai martiri della resistenza, il governo post-liberazione decise di “erigere sul luogo della vendetta tedesca un monumento a perenne ricordo dei Martiri e di tutti i caduti della guerra di Liberazione”. A questo scopo, nel settembre 1944, il Comune di Roma indisse un concorso – il primo dell’Italia democratica – per l’edificazione di un mausoleo da consacrare simbolo della Resistenza alle violenze del Reich.
I vincitori del concorso, gli architetti Giuseppe Perugini, Nello Aprile e Mario Fiorentini, progettarono un semplice parallelepipedo cavo in cemento a protezione dei sacelli dei martiri posti fuori terra ma in stretto collegamento con il luogo dell’eccidio.
La costruzione del sacrario iniziò il 22 novembre 1947. Nel 1949, il Mausoleo fu inaugurato solennemente in occasione del quinto anniversario della strage. Da allora, ogni 24 marzo, l’evento viene commemorato al cospetto di autorità, associazioni partigiane e di deportati, studenti e comuni cittadini, mentre i nomi delle 335 vittime vengono scanditi ad alta voce.
La suggestiva cancellata da cui si accede al mausoleo è opera dello scultore e pittore Mirko Basaldella. Il senso che assume è altamente simbolico di una scena di feroce massacro tratteggiato dalle figure disperatamente contorte che vi sono rappresentate.
L’imponente gruppo scultoreo in travertino posto sul piazzale è opera dello scultore di Francesco Coccia, e rappresenta tre personaggi a simbolo delle tre età. I corpi ritratti sono orientati rispettivamente verso le cave, verso il luogo delle sepolture e verso il piazzale, come a indicare il percorso al visitatore.
Il film Roma città aperta, struggente capolavoro diretto da Roberto Rossellini nel 1945, con Anna Magnani e Aldo Fabrizi ricorda quei tragici avvenimenti. Aldo Fabrizi è don Pietro, figura che ricorda i due religiosi, Don Giuseppe Morosini, fucilato a Forte Bravetta, e Don Pietro Pappagallo, ucciso nelle Fosse Ardeatine. Anna Magnani, invece, è Pina, la moglie incinta di Fabrizio, uno dei prigionieri condotti alle Fosse Ardeatine. Per cercare di salvarlo, insegue il camion sul quale è stato caricato, ma viene falciata da una raffica di mitra.