Franco Leggeri Fotoreportage-Roma Gianicolo- Monumento a Giuseppe Garibaldi-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
ROMA Gianicolo- Monumento a GIUSEPPE GARIBALDI-
Fotoreportage di Franco Leggeri
ROMA- 21 agosto 2017-Fu proprio col decreto reale del 3 giugno 1882, giorno successivo alla morte di Giuseppe Garibaldi, che veniva stabilito di erigere un monumento in suo onore. La scelta del luogo cadde sul Gianicolo, dove ancora vivo era il ricordo dell’epopea garibaldina dei giorni dell’effimera Repubblica Romana. Dal decreto si passò, l’anno successivo, al bando del concorso pubblico e prese vita, con De Pretis alla Presidenza, la commissione composta da artisti, deputati, senatori e dal sindaco di Roma Leopoldo Torlonia. Nel bando del concorso veniva indicato il luogo preciso del Gianicolo in quanto la commissione sentiva il dovere di fornire al concorrente tutti gli elementi necessari allo studio dell’opera da erigere e dello spazio a disposizione. A tal proposito, giustamente scriveva l’architetto Camillo Boito, membro della commissione: “La massa del monumento, la stessa sua composizione, la scelta dei materiali, la grandezza e lavoratura dei particolari, dipendono in parte dalle condizioni anche secondarie del luogo”. Così, dopo attento esame, fu scelta la zona di proprietà dei Wedekind, il punto più alto di Roma, sopra il giardino di S. Pietro in Montorio, luogo particolarmente eccellente e idoneo alla rievocazione dei tragici gloriosi momenti della difesa di Roma.
Nel 1884 in una mostra nel Palazzo delle Esposizioni in via Nazionale furono presentati al giudizio del pubblico 36 bozzetti in cui, in obbedienza alle indicazioni del bando, doveva “campeggiare”, a cavallo o no, la statua in bronzo di Garibaldi. Tanto il giudizio della commissione reale, quanto quello della critica più autorevole si concentrarono favorevolmente sui progetti di tre scultori, già noti nell’ambiente romano. Durante un secondo esame per la scelta definitiva, la commissione rifiutava il bozzetto di Ettore Ferrari, perché l’iconografia appariva troppo complessa e sovrabbondante; rifiutava il bozzetto di Ximenes-Guidini, perché la forma piramidale, anche se un tempo descritta e desiderata da Garibaldi stesso, non lasciava campeggiare la statua equestre, nonostante i suoi 40 metri di altezza. Eppoi una piramide si sarebbe vista meglio in un cimitero, come monumento sepolcrale, piuttosto che in un punto così particolare di Roma, la cui planimetria, oltre tutto, si presentava inferiore alle misure indicate dal progetto.
Quindi le preferenze andarono al modello di Emilio Gallori, ispirato a monumenti equestri rinascimentali e in obbedienza al gusto del momento.
Nel bozzetto la statua equestre, esprimente eleganza, quiete, gentilezza, era poggiata su un basamento di granito che recava sui fianchi le figure allegoriche dell’Europa e dell’America, oltre ai bassorilievi recanti lo sbarco a Marsala e la resistenza di Boiada. La difesa di Roma e il gruppo della libertà apparivano rispettivamente nelle parti anteriore e posteriore. Lo stesso Gallori, per chiarire i motivi che lo avevano ispirato nella realizzazione del proprio progetto, così si espresse: “Nella figura equestre ho cercato di imprimere quella serenità e quella calma, che non possono discompagnarsi da una figura come quella di Garibaldi, generoso, filosofo, sempre umanitario”. Inoltre il momento storico richiedeva la celebrazione di un Garibaldi non guerrigliero e rivoluzionario, ma un condottiero virtuoso e accorto, sostenitore della pace mondiali.
Si giunge al momento solenne dell’inaugurazione, fissata nel programma del Municipio per il 21 settembre 1895, ma anticipata al 20, in occasione del venticinquesimo anniversario della breccia di Porta Pia. La celebrazione sul Gianicolo fu senz’altro la più importante e raccolse intorno al monumento oltre 30.000 invitati giunti da ogni parte d’Italia, o meglio, da quelle province e da quei comuni che deliberarono la propria partecipazione, aderendo alla richiesta del governo e superando ogni ostacolo di carattere polemico oltre che politico. E non basta. Già il 16 luglio 1895, quasi alla vigilia dell’inaugurazione, si rendevano palesi le angustie in cui versava il “Comitato Generale per solennizzare il XXV anniversario della liberazione di Roma”. Proprio in quella data Menotti Garibaldi, primogenito dell’eroe e presidente della commissione esecutiva, faceva presente a Crispi che, secondo quanto rilevato dai membri della commissione finanziaria dello stesso comitato, il programma predisposto non sarebbe mai giunto a concreta realizzazione se il governo non fosse intervenuto con un impegno di 100.000 lire. Un rifiuto a tale richiesta avrebbe portato a irrevocabili dimissioni. E le dimissioni ci furono. Le comunicò il 24 luglio lo stesso sindaco di Roma, Emanuele Ruspoli.
Fu una presa di posizione molto grave che si ripercosse sulla stessa inaugurazione. Infatti tutti i membri della famiglia Garibaldi si rifiutarono di presenziare alla cerimonia e furono concordi nel declinare l’invito ufficiale, adducendo scuse di varia natura. Tuttavia alle 11 di quell’agitato 20 settembre cadde il telo che nascondeva il maestoso monumento costato complessivamente 1.200.000 lire, di cui 1.000.000 messo a disposizione dallo Stato. per il resto contribuirono i cittadini e le diverse rappresentanze. Dall’altezza di 22 metri Garibaldi appare avvolto nel poncho tradizionale e lascia trasparire dall’atteggiamento quieto e sereno e dallo sguardo ammonitore rivolto verso i monti Parioli, tutta la dolcezza e fierezza del suo volto. Sotto di lui lo stesso cavallo semplice e grandioso completa a meraviglia la solennità del monumento. La rigidità della posizione sta ad indicare il riposo fiero dopo la conquista.
Sui gradini a destra del basamento giaceva una grande ed artistica corona di bronzo, opera di Ettore Ferrari, per ricordare ai posteri che Garibaldi fu il primo illustre Gran Maestro della Massoneria italiana. Ma nel 1925 la corona fu trafugata per sostituire i simboli massonici con quelli fascisti e la prima epigrafe con la seguente: “La Massoneria pose, il Fascismo rettificò. Al Duce delle Camicie Rosse – le Camice Nere trasteverine”.
Dopo il 25 luglio 1943 i simboli fascisti furono rimossi e la corona, a liberazione avvenuta, finì prima nei magazzini di Porta S. Pancrazio e poi in quelli comunali del Teatro di Marcello.
Secondo quanto è possibile sapere, la grande corona del 1895 non è più tornata sul Gianicolo. Il suo posto fu occupato nel 1907 da un’altra corona di bronzo recante i simboli massonici e la scritta:
AL GRAN MAESTRO
GIUSEPPE GARIBALDI
NEL CENTENARIO DELLA
SUA NASCITA
LA MASSONERIA ITALIANA
A.N. MMDCLX A.V.C.
l’opera è da attribuire al Ferrari che, ugualmente a Garibaldi, fu Gran Maestro della Massoneria e come tale amava datare i propri lavori secondo l’uso ufficiale massonico; per cui A.V.C. vuole significare Anno Verae Creationis, ossia 5000 anni prima dell’Era volgare.
Articolo scritto dal Dott. PAOLO TAFFONI
Foto di Franco Leggeri-