Poesie di James Russell Lowell-Poeta e critico americano-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
Poesie di James Russell Lowell-Poeta e critico americano-
James Russell Lowell-Poeta e critico americano, nato a Cambridge, Mass., il 22 febbraio 1819, morto ivi il 12 agosto 1891. Si laureò all’università Harvard nel 1838, e studiò giurisprudenza; ma ben presto si consacrò alla letteratura. Nel 1844 apparve una prima raccolta di poesie, A Year’s life; nel 1845 un poema ben conosciuto, The Vision of Sir Launfal; nel 1848 A Fable for critics. I Biglow Papers, cominciati a pubblicarsi nel 1846 e continuati durante la guerra fra gli stati (1861-65), sono una satira mordace delle condizioni politiche contemporanee, scritta nel dialetto yankee; combattono specialmente la schiavitù negli stati meridionali. Nel 1855 il L. cominciò a insegnare a Harvard le lingue e letterature moderne, succedendo al Longfellow. Dal 1877 al 1880 servì come ministro americano in Spagna, dal 1880 al 1885 in Inghilterra. Conosceva molto bene la cultura europea, che diffuse presso gli Americani, dando incremento alle relazioni culturali specialmente con l’Inghilterra. I saggi critici su autori inglesi, francesi, tedeschi, vennero raccolti dopo il 1870 in diversi volumi: Among my books, My study windows, ecc. Tra i saggi letterarî è notevole quello su Dante (1872). Anche alcune delle liriche (Masaccio, Villa Franca, 1859, On a portrait of Dante by Giotto) e delle prose descrittive sono d’ispirazione italiana.
Bibl.: Bibliografie di G. W. Cooke, 1906; L. S. Livingston, 1914. Biografie di F. H. Underwood, 1882; F. E. Brown, 1887; H. E. Scudder, 1901; F. Greenslet, 1905; E. E. Hale, e altri. Cfr. anche J. J. Reilly, James Russell Lowell, as a critic, 1915.
Una fantasticheria
Nella cupa e silenziosa luce del crepuscolo
il tuo spirito entra nel mio,
quando la luce della luna e delle stelle
risplende sulla scogliera e sulla foresta,
ed il tremito del fiume
sembra un fremito di gioia benevola.
Allora io mi alzo e prendo a vagabondare lentamente
verso il promontorio accanto al mare,
quando la stella della sera comincia a palpitare
attraverso le fronde striate della sequoia,
e dal basso il bonario rimbombo
delle onde proviene irregolare.
Allora io ti sento dentro alla mia anima
come un barlume di un tempo passato,
visioni della mia infanzia mormorano
la loro antica pazzia nelle mie orecchie,
sino a che la gioia della tua presenza
raffredda il mio cuore con lacrime di felicità.
Tutti i meravigliosi sogni della giovinezza –
tutta la fiera sete giovanile di elogi –
tutte le più certe speranze della maturità
che fioriscono in giorni più tristi –
gioie che mi legarono, dolori che mi incoronarono
con una ghirlanda migliore di quella d’alloro –
tutti desideri di libertà –
l’indistinto amore per il genere umano,
che vaga lontano e senza meta
come un seme alato nel vento –
gli appannati desideri e le violente scottature
di una mente non ancora ordinata –
Tutto questo, o mia amata,
e i presenti e passati sogni più felici,
nel tuo amore trovano sicuro appagamento,
finalmente resi maturi dalla verità;
fede e bellezza, speranza e dovere
si raccolgono veloci all’unisono.
E la mia natura, come un oceano,
al tuo respiro si risveglia dal torpore,
scavalla i suoi argini con pazza gioia
ed irrompe in uno spumeggiante tuono,
e poi abbassandosi, giace ritirandosi
nel tumulto che essa stessa produce!
L’Espero ardente è tramontato
dentro l’occidente tinto di pallido azzurro,
e con dorato splendore corona
la cima coperta di pini dell’orizzonte;
una pensosa quiete placa l’agitazione
della violenta nostalgia nel mio cuore.
Nel mio giardino vago sotto la luce della luna,
sotto i rami frementi,
che, come mossi da uno spirito,
ondeggiano e si curvano, sino a che piano piano
il mormorio delle onde si mischia
con il fruscio della brezza.
Il doliconice
Anacreonte dei pascoli,
ebbro della gioia primaverile!
Sotto l’echeggiante ombra dell’alto pino
io riposo e bevo il tuo canto;
la mia anima è sazia di melodie,
una sola goccia la farebbe traboccare,
così da convogliare le lacrime nei miei occhi –
Ma cosa potrebbe interessarti?
Il tuo cuore è libero come l’aria di montagna.
non ti preoccupi delle tue musiche,
poiché le sparpagli ovunque con allegria,
felice, ignaro poeta!
Su un ciuffo d’erba nella prateria,
mentre la tua amata si prende cura del nido,
tu ondeggi nella brezza che respira,
alleggerendo il tuo cuore troppo pieno
delle moltitudini di canzoni che lo colmano,
proprio come tu hai scelto di volere.
Signore del tuo amore e della tua libertà,
del festoso Maggio l’uccello più spensierato,
volgi i tuoi occhi splendenti verso di me,
e parlami come solo uno sguardo sincero può parlare –
“Qui sediamo, nel tempo d’estate,
io e la mia modesta compagna insieme;
qualsiasi cosa possano essere i tuoi saggi pensieri,
sotto quel vecchio triste pino,
noi non li valutiamo neppure un’inezia”.
Adesso, mentre lasci me e la terra sotto di te,
sbatti le ali verso il vento,
o, galleggiando lentamente prima di librarti al cielo,
aleggi sul tuo nido nascosto dalla vegetazione
e cominci a intonare la tua canzone d’amore,
diluviando piogge di musica su di esso,
e mai affaticato, ancora cinguetti
gioiosi canti di festa,
simili a ruscelli costeggiati da muschi
mormoranti attraverso gli angoli ciottolosi
durante i tranquilli giorni d’estate.
Tu riempi di felicità il mio cuore,
mi sembra di tornare ragazzo
quando ti vedo, allegro, gioioso amante,
volare sui campi appena mietuti,
con le ali frementi di gioia.
C’é qualcosa nella fioritura dei meli,
nell’erba che inverdisce e nella canzone del doliconice,
che fa ancora risvegliare dentro al mio cuore
sensazioni sopite da lungo tempo.
Per tanti, e tanti anni, io ho vagabondato,
e mi sembra di vagabondare ancora adesso,
invece di sprecare le ore a scuola da ragazzo,
quelle stesse ore che da uomo morirei per non dimenticare.
O ore che gli anziani dal cuore di ghiaccio credevano perse,
reclini con la loro testa grigia sopra i miei libri,
ancora di più apprezzo la scienza che ho assaporato
con te, tra gl’alberi ed i ruscelli,
più di tutto quello che ho imparato
dai tomi eruditi o dagli uomini inariditi dagli studi!
Natura, la tua anima era una sola con la mia,
e, come una sorella da un giovane fratello
è amata, ognuno sgorgante dall’altro,
e il mio amore era il tuo.
Non sei stata forse come una madre amorevole
che mi ristorava con la gentilezza e con il potere dell’amore,
sul cui cuore il mio palpitante cuore deponevo
e spillavo tutti i miei dolori d’infanzia,
sino a che pace e tranquillità non volavano su di me?
Non è stato un caro amico il dorato tramonto?
Non ho mai trovato gentilezza nella silente luna,
e nei verdi alberi, le cui cime ondeggiano e s’incurvano,
intonando sempre la loro dolce sommessa melodia?
Non ho mai sentito affetto nelle oscure e solenni foreste –
non ho mai sentito la voce dell’amato nelle tristi solitudini?
Sì, sì! I miei occhi non m’hanno mai ingannato,
i ciechi capi non mi hanno insegnato ad essere saggio.
Care ore! Che ancora oggi vivo,
sentendo e vedendo con le orecchie e gli occhi
dell’infanzia, voi insetti, che nell’alveare
del mio giovane cuore venivate cariche di ricchi tesori,
raccolti in campi e boschi e assolate valli, per divenire
cibo per il mio spirito nei giorni d’inverno.
Venite, venite ancora! Venite ancora!
E, come un bambino tornato a casa ancora una volta
dopo un lungo soggiorno in regioni straniere,
io riposo sopra il petto di mia madre,
sentendo la benedizione del ristoro,
e dimorando nella luce dei tempi passati.
O voi che non vivete la vera Vita,
il vostro morire non è altro che morte,
cantate la vuota fatica e le insignificanti lotte,
in un’insensata ossessione!
Uscite, vedrete il vero volto della Natura,
bevete nella grazia del suo sguardo;
guardate il tramonto, ascoltate il vento,
la cascata, il terribile tuono;
andate, adorate il mare;
allora, e solo allora, capirete
con sempre crescente meraviglia,
che l’uomo non assomiglia per nulla a voi;
andate con anima mite e umile,
e allora le scorie di voi stessi si staccheranno
dai vostri occhi – stanchi pesi
cadranno dalle vostre gravate schiene;
e voi vedrete,
con occhi rispettosi e pieni di speranza,
ardere con neonate energie,
le più grandiose opere!
La Luna
La mia anima era simile al mare
prima che fosse creata la luna,
piangeva nell’immensità indistinta,
impaurito dalla sua stessa forza,
irrequieto ed instabile.
Attraverso tutte le fenditure spumeggiava invano
intorno alla sua prigione di terra,
in cerca di qualcosa di sconosciuto,
inabissandosi senza pace e senza riposo,
perché nessuna luna era ancora sorta:
la sua unica voce era un lungo e cupo gemito
perché era solo, senza speranze,
e viveva unicamente per una inutile ricerca.
Così era la mia anima; ma quando fu piena
di così tanta inquietudine da distruggerla,
una voce bellissima
sussurrò un fioco presagio,
e fu così soave, così dolce, così sommesso,
ch’ella fu felice e sparì ogni dolore;
e, come il mare spesso giace immoto,
facendo incontrare le sue acque,
come guidate da una volontà inconscia,
ai piedi dell’argentea luna,
così giace la mia anima dentro ai miei occhi
quando tu, luna guardiana, sorgi.
E ora, quantunque le sue onde
possano turbare e risvegliare sensazioni sopite,
la forte ed eterna legge dell’Amore,
come un mentore deciso e tranquillo,
calma e naturale come il respiro,
si muove attraverso la vita e la morte.
Mezzanotte
La luna risplende bianca e silente
nella nebbia, come un’onda
di un oceano incantato,
scivola sull’immensa palude,
riversando i suoi flutti simili a spettri
dappertutto, silenziosamente.
Una incerta e siderea magia
rende tutte le cose misteriose,
e attrae il muto spirito della terra
verso i cieli bramosi, –
mi sembra di udire deboli sussurri,
e tremebonde risposte.
Le lucciole sui pascoli
vibrando corrono di qua e di là;
la severa ombra degli olmi
grava sull’erba sottostante;
e debolmente da lontano
il gallo sognante rimanda il suo grido.
Tutto appare bizzarro e mistico,
gli stessi cespugli si gonfiano,
si muovono e prendono forme meravigliose,
come stregati da un sortilegio, –
neanche i lillà sembrano più gli stessi
conosciuti così bene sin dall’infanzia.
La neve che infonde il silenzio più profondo
continua a cadere sopra ogni cosa,
così bella e serena,
eppure simile a un drappo funebre, –
come se tutta la vita fosse finita,
e il riposo fosse giunto su tutto.
O selvaggia e mirabile mezzanotte,
c’è una forza dentro di te
che rende il corpo incantato
simile ad uno spirito,
e gli dona flebili barlumi
di immortalità!
Beaver Brook
Silente riposa la collina illuminata dalla luce del sole,
mentre, per segnare il trascorrere del tempo,
l’ombra del cedro, lenta e tranquilla,
si allunga sulla sua meridiana di muschio grigio.
L’afoso mezzodì colma il calice della valle,
le foglie del pioppo ondeggiano impercettibili,
solo la piccola macina rimanda
il suo incessante ed indaffarato ronzio.
Scalando il muro dalle pietre smosse che circonda
la strada lungo gli argini del laghetto del mulino,
da sotto i tronchi dell’archeggiante cispino,
i miei passi spaventano il timido chewink.
Sotto all’ossuto sicomoro
la porta rossa del mulino lascia uscire il baccano;
l’impallidito mugnaio, impregnato di polvere,
percorre rapidamente la stanza buia al suo interno.
Qui non troverete la forza del torrente di montagna;
il dolce Beaver, figlio della tranquilla foresta,
ammassa la sua piccola brocca nel mio orecchio,
e docile attende la volontà del mugnaio.
Velocemente l’Ondina scivola lungo la corrente
senza essere udita, e, ad intervalli regolari,
allaga la lenta ruota della sua luce e della sua grazia,
mentre, ridendo, insegue il riluttante sgobbone.
Il mugnaio non si immagina a quale costo
le tremanti pietre del mulino mormorano e roteano,
né come ad ogni movimento, scuotono
bracciate di diamanti e perle.
Ma l’Estate ha rasserenato i miei occhi felici
con gocce di succo celestiale,
per mostrarmi come la Bellezza si trova
dentro ad ogni forma delle cose.
Di più: mi è sembrato di aver osservato quel fiume,
che ora si sottrae alla vista triste e offuscato,
spesso, qua e là, di sangue umano,
per far girare le laboriose ruote del mondo.
Non diversi dal mugnaio,
anche noi rinchiusi nelle nostre celle,
sappiamo quale spreco di rara bellezza
muove i macchinari di tutti i giorni.
Certamente arriverà un tempo più saggio
in cui questo eccesso di forza,
non più tetra, lenta e stupida,
si lancerà verso la musica e la luce.
In quella nuova infanzia della Terra
la vita stessa danzerà e giocherà;
il sangue fresco ridarà vigore nelle vene smorte del Tempo,
e la fatica incontrerà il piacere.
Poesia
Violetta! Dolce violetta!
I tuoi occhi sono pieni di lacrime;
Sono forse umidi,
ancora umidi,
dei ricordi del passato?
O sono forse pieni di gioia,
per questa notte così bella,
perché desiderano arrivare ai cieli più alti?
Tu sei stata l’amata della mia giovinezza,
della mia felice giovinezza,
e adesso posso vedere
nelle lacrime
tutto il passato allegro e soleggiato,
tutta la sua felicità e verità,
sempre fresca e verde in te
come il muschio nel mare.
Il tuo piccolo cuore, che grazie al tuo amore
é cresciuto ed è diventato color del cielo,
verso il quale tu sempre guardi,
può conoscere
tutti i dolori
di una speranza per quello che non ritornerà più,
tutti dispiaceri e i desideri
di questi nostri cuori che ci appartengono?
No! Non guardare
verso il cielo
con quegli occhi tristi,
non guardare con gli occhi tristi le stelle;
lascia che la mia anima insieme alla tua
prendano il colore che vogliamo,
sereni, forti, nobili,
non soddisfatti dalla sola speranza – ma divini.
Violetta! Cara violetta!
I tuoi occhi azzurri sono umidi
di gioia e d’amore per colui che ti ha mandata,
e per il senso
di felice obbedienza
che ti ha reso ciò che la Natura voleva che fossi!
Una ballata mistica
I.
La luce del tramonto si era quasi confusa
nell’incerto grigiore del crepuscolo;
una lunga nube riposava sull’orizzonte,
al di sotto della quale una stria d’un bianco azzurrognolo,
oscillava tra il giorno e la notte;
nel cielo, sopra i pini della collina,
fremeva la palpitante stella della sera,
e la luna nuova, dalle tenui forme,
fiocamente scintillante attraverso le arcate degli olmi,
riempiva il calice della memoria sino all’orlo.
II.
In una sera come questa il cuore diviene
luogo di meditazione, e a stento può distinguere
il presente dal passato,
o se la realtà esiste davvero; –
una meravigliosa nebbia incantata
serpeggia dalla nuova luna,
avvolgendo tutte le cose nel mistico dubbio,
così che quest’intero mondo sembra falso,
mentre le nostre fantasie prendono colore
da un passato della nostra vita ormai dimenticato.
III.
La fanciulla si sedette ad ascoltare il flusso
del vento d’occidente così leggero e sommesso
che a stento le foglie s’agitavano qua e là;
liberi, i suoi folti capelli dorati
si scompigliavano sul petto nudo,
splendente di fremiti candidi come la neve
nella magica luce della luna:
la brezza si alzò con frusciante crescendo,
e da lontano arrivò il profumo
da lungo tempo dimenticato di un mughetto.
IV.
La fioca luna riposava sulla collina,
in silenzio, senza pensieri o desideri,
accanto a dove sedeva la fanciulla sognante;
d’un tratto la punta della luna, come una stella,
fece affondare la striscia dell’orizzonte;
la notte era giunta al suo nero apogeo,
ed ancora la fanciulla rimaneva seduta da sola,
pallida come un cadavere sotto ai raggi di luce
ed il suo bianco petto ancora brillava
come un sogno nell’oscura mezzanotte.
V.
Arrivò il mattino limpido e sereno,
e generosamente il sole cominciò a distribuire
l’oro tra i suoi biondi capelli,
accendendoli, sino a che lentamente
si formò un’aureola intorno alla sua testa;
teneva in mano un fiore appassito,
cresciuto in terre lontane,
e, silenziosamente trasfigurata,
con i grandi occhi sereni, la testa non abbassata,
la trovarono morta.
VI.
Un giovane, quella mattina, sotto altri cieli,
sentì improvvise lacrime bruciare dentro ai suoi occhi,
ed il suo cuore traboccare di ricordi;
tutte le cose all’infuori di lui sembravano essere unite
in una strana unica fratellanza,
e da allora ebbe sempre la sensazione di
camminare nel mezzo di un incantesimo misterioso,
e da allora, impossibile conoscerne la ragione,
il suo cuore si sarebbe sempre raggelato all’odore
del suo amato mughetto.
VII.
Qualcosa era fuggito via;
degli incostanti palpiti del giorno,
attraverso fessure stellate nel suo corpo,
divennero lucenti e reali, sempre di più,
mentre sulla terra tutto era rimasto nell’oscurità;
e, attraverso quelle fessure, come in un passato,
il suo spirito interiore sopportò
amori più forti e poteri più selvaggi,
che gli portarono frutti rinfrescanti e fiori
dalle dimore e dai campi Elisi.
VIII.
Proprio sul confine labile dei sensi,
non confermato da prove concrete,
ma noto da una profonda influenza
che attraverso il nostro rozzo corpo brilla
con luce crescente e divina,
laddove i più alti pensieri possono prendere il volo
s’estende il mondo del Mistero –
e lassù nessuno prende troppo in considerazione
coloro che giudicano che nulla è reale
all’infuori dell’Invisibile incontestabile.
IX.
Un passo oltre alle cose di tutti giorni,
un battito in più delle grandi ali dell’anima,
un dolore più profondo talvolta accompagna
lo spirito in quella grande Vastità
dove non v’è futuro né passato;
nessuno sa come vi sia entrato,
ma, al risveglio, trovò i propri spiriti dove
pensava che un angelo non avrebbe potuto librarsi,
e, ciò ch’egli prima chiamava falsi sogni,
adesso è la realtà.
X.
Queste apparenti sembianze sono solo spettacoli
con cui il corpo vede e conosce;
molto più sotto, per sempre scorre
il fiume delle più sottili comprensioni
che rendono i nostri spiriti stranamente saggi
nel timore, e paurosi oscuri presagi
che, dai sensi più esteriori,
si estendono oltre il nostro raziocinio e la nostra vista,
bellissime arterie di luce circolare,
pulsate all’esterno dall’Infinito.
Ad un pino
Torreggi sulla cima del Katahdin,
grande e d’un azzurro violetto tu appari da lontano;
come una nuvola sopra le terre più basse ti chini,
sicuro rimani aggrappato, cullato dalla tempesta,
non hai paura d’essere da lei abbattuto.
Nella bufera, come un profeta impazzito,
ti dimeni e fai cantare i tuoi rami;
il tuo cuore si rallegra con il terrore,
presagisci le terribili valanghe,
quando intere montagne precipitano verso le valli.
Con pazienza tu tendi gli impluvi
con le tue braccia, come se implorassero benedizioni,
come un vecchio re portato fuori dal suo palazzo,
mentre il suo popolo si riversa a combattere
la città da lui governata.
Al taglialegna che dorme sotto la tua ombra
tu intoni selvagge melodie,
fino a che egli non vorrà essere trasportato
nelle tende degli Arabi dell’oceano,
le cui isole alla deriva sono il loro bestiame.
La burrasca ti afferra e ti rende la sua lira,
e con mano delirante scortica una delirante armonia,
mentre scarica il suo possente desiderio
di lanciarsi sul grande Atlantico,
ch’estende le braccia verso il suo compagno di gioco.
La selvaggia tempesta si rintana tra i tuoi rami,
e da là devasta il continente sottostante;
come un leone in attesa della preda,
è là che il feroce tuono attende di balzare fuori,
di tanto in tanto grugnendo impaziente.
A disprezzo dell’inverno tu conservi la tua verde gloria,
tu, vigoroso padre degli antichi Titani!
Solo i fiocchi di neve ti ingrigiscono,
accoccolandosi e addormentandosi tra le tue frasche,
ed ammantandoti in silenzio.
Tu solo conosci lo splendore dell’inverno,
tu, che tra le nevi argentate, i precipizi ammutoliti,
ascolti gemere e frantumarsi guglie di ghiaccio verde,
e poi crollare nei velati abissi
nella quiete della mezzanotte.
Tu solo conosci la gloria dell’estate,
quando guardi l’immenso mare delle foreste
che rimandano il loro orgoglioso mormorio
verso di te, verso il loro capotribù, che torreggia
dal tuo brullo trono verso il cielo.
L’amante
I.
Gira il mondo da Oriente a Occidente,
cerca in ogni nazione sotto il cielo,
non troverai mai un uomo così benedetto,
un re così potente come me,
neppure se cerchi per l’eternità.
II.
Io sono un dolce amante,
seduto accanto alla mia amata:
lei mi ha dato tutta la sua anima
senza un solo desiderio o un pensiero di superbia,
e diventerà la mia amatissima moglie.
III.
Non fa mai mostra di sfarzo,
non si fa vedere con gioielli rari;
in bellissima semplicità
veste leggiadre ghirlande di foglie,
intreccia modesti fiori fra suoi capelli.
IV.
Talvolta indossa una gonna verde,
talvolta una gonna bianca come la neve,
ma, comunque si vesta,
sembra sempre la più bella e la più onesta,
e al mio sguardo la più incantevole.
V.
Né io sono il suo unico amante,
lei ama tutti indistintamente,
ma non ne sono geloso, perché tutti
leggono amore e verità dentro ai suoi occhi,
e la stimano all’altezza di un monile prezioso.
VI.
Tu sei così, Eterna Natura!
Sì, sposa del Cielo, tu sei così;
ami tutte le creature,
doni a tutte una parte importante nel creato,
riempiendo di pace ogni cuore.
Il poeta
Colui che ha sentito il mistero della Vita
schiacciarlo come una notte cupa,
la cui anima non ha conosciuto altro
se non la sofferenza; –
colui che ha visto forme confuse sollevarsi
dalle profondità silenti dello spirito
e fissarlo con sguardo espressivo
pieno di speranza,
eppure non in grado di proferire neppure una parola,
sebbene egli preghi tutta la notte che riescano,
“salvatemi, salvatemi! Sono malato,
e voi siete così meravigliosamente forti”! –
Colui che, nella mezzanotte più tetra e cupa,
ha sentito la voce della potenza
irrompere echeggiando tra le sale del sonno
nel solitario cuore della Notte,
e, dal suo giaciglio insonne,
ha guardato e ha pianto perchè desiderava sapere
cosa voleva dire quell’oracolo
che ha reso il suo essere così affranto;
colui che ha sentito quanto possente e grande
sia l’Anima dell’uomo,
e non ha abbassato lo sguardo davanti al Destino,
da cui la Vita e il Pensiero derivano;
la cui armatura di questa fiducia immobile
non conosce debolezze,
colui che ha calpestato e gettato la paura nella polvere
sotto i piedi dell’umiltà; –
colui che in pace con se stesso ha portato la sua croce,
riconoscendosi come il re
del suo tempo, e non ha considerato uno spreco
imparare tramite la sofferenza; –
e colui che ha adorato la donna
con animo puro e modesto,
e non ha mai profanato il suo sacro tempio
né con le azioni né con il pensiero –
Questi è il Poeta, colui al quale
é stato dato il dono della poesia,
la cui vita è sublime, forte e vera,
e che non è mai caduto dal Cielo;
il Poeta, che grazie alle sue labbra
egli vive per l’eternità,
maestose come le navi in alto mare,
le parole della Saggezza egli sparge.
Il pastore di re Admeto
Visse un giovane sulla terra,
migliaia di anni fa,
le cui mani delicate non erano buone a nulla,
né ad arare, né a mietere il grano, né a seminare.
Sopra un grande guscio di tartaruga
distese alcune corde, e da quelle attinse
una musica che scaldava i cuori degli uomini,
o che colmava di lagrime i loro occhi.
Re Admeto, che invero
aveva un buon gusto,
decretò che le sue melodie non fossero così cattive
da esser ascoltate tra un bicchiere di vino e l’altro:
così, molto ben disposto perché dolcemente accompagnato
in un dolce dormiveglia,
tre volte si lisciò la regale barba,
e lo nominò vicerè del suo ovile.
Le parole del giovane erano semplici parole,
ed anch’egli le usava solo come parole,
ma quelle che dalle altre bocche uscivano ruvide
dalla sua bocca uscivano ritmiche e dolci.
Il volgo lo considerava un incapace,
non vedeva nulla di buono in lui;
tuttavia, inconsapevolmente,
accettarono comunque le sue parole come legge.
Non sapevano come avesse imparato quest’arte,
perché in ozio, ora dopo ora,
non faceva altro che guardare le foglie morte cadere,
o meditare su un fiore.
Sembrava che la bellezza delle cose
gli avesse insegnato il loro uso,
poiché, anche nelle semplici erbe, nelle pietre, nelle brezze,
egli trovava un potere ristoratore.
Gli uomini ritenevano che il suo eloquio fosse saggio,
ma, quando notavano un cenno
di grazia delicata e i suoi occhi effemminati,
questi ridevano, e lo chiamavano buono a nulla.
Eppure, dopo che lasciò questa vita,
e perfino dopo che la sua memoria venne offuscata dal tempo,
la terra sembrò un luogo più dolce dove vivere,
più colma d’amore, grazie a lui.
E giorno dopo giorno diventava sempre più venerato
ogni singolo luogo in cui era passato,
sino a che i poeti riconobbero
questo primo fratello come loro dio
La betulla
Scorre la luce del sole attraverso i tuoi rami che si muovono,
in mezzo alle tue foglie in eterno palpitanti;
Ovidio ha imprigionato dentro te una Ninfa piangente,
anima d’un antico tremulo fiume interno,
che guizzante narra le sue sventure, che rimangono inascoltate.
Mentre tutta la foresta, incantata dall’assonnata luce della luna,
oscilla le sue foglie nel felice silenzio,
in attesa della rugiada, sospesa tra respiro e ansia, –
ascolto da lontano le tue sussurranti e fioche foglie,
e seguo le tue tracce nell’oblio.
Sulle sponde di un laghetto addormentato in mezzo alla foresta,
il tuo fogliame, come le ciocche d’una Driade,
gocciola intorno al tuo bianco e magro fusto, la cui ombra
degrada tremante lungo le oscure e quiete acque,
mentre tu fuggi verso la fonte come una Driade spaventata.
Tu sei l’intermediaria degli amanti di campagna;
la tua candida corteccia trattiene in sé i suoi segreti;
Reuben scrive qui il propizio nome della Pazienza,
ed i tuoi rami flessuosi mormorano e piangono
sopra di lei, che sugge il mistero dalla tua scorza.
Tu sei per me come la mia fanciulla adorata,
così schiettamente ritrosa, piena di tremanti confidenze;
a fatica riesci a fare ombra, le tue foglie scalpiccianti
cospargono sui miei sensi il bagliore del sole che hanno raccolto,
e la Natura mi dona tutte le sue estive intimità.
Sia che il tuo cuore tremi per la speranza o per il dolore,
tu per sempre rimani in armonia; selvaggio ed inquieto
io giaccio sotto di te; il tuo dondolio, come un fiume,
scorre verso valle, dove si estende il regno della pace, e dove
il mio cuore galleggia nella terra della tranquillità.
La serenata
Gentile Signora, sia il tuo sonno sereno,
siano i tuoi sogni tranquilli,
mentre la tua anima accompagna
sulle ali delle chimere la nostra melodia;
Fratelli, noi cantiamo, triste e sommessa,
la nostra canzone dolce e umile,
simile alla voce degli anni che furono,
lascia che i nostri cuori si uniscano
alla sua soavità, come quando sentiamo
cadere le lacrime della nostra mamma.
Signora! La nostra canzone sta riportando
indietro il tempo alla tua giovinezza –
riesci a sentire l’ape che canta
e ronza in mezzo ai fiori?
Sonnolenta, sonnolenta,
nel sole del mezzodì ella continua il suo volo,
si posa sui teneri gambi
che fanno da confine ai ben noti giardini;
riesci a sentire l’intermittente frullio
delle invisibili ali del colibrì –
non ti riempie il cuore l’emozione
delle cose quasi dimenticate dell’infanzia?
Riesci a vedere la cara vecchia casa
con il vincibosco intorno alla porta?
Fratelli, piano! Il suo cuore si sta riempiendo
dei laboriosi pensieri del passato;
umilmente canta, teneramente canta,
ospita il suo spirito non più così selvaggio,
lascia che non dorma più.
Questo è il delizioso tempo d’estate,
spalancata rimane la finestra –
Signora, ti stai imbevendo di quelle voci?
Chi sta cantando queste splendide melodie,
che aumentano e poi d’un tratto diminuiscono,
come la canzone del tordo a Giugno?
Di chi è quella risata che risuona così limpida
e gioiosa nel tuo orecchio bramoso?
Più piano, fratelli, ancora più piano
ordite la canzone in intricati intrecci;
ella ora ascolta il soffio del vento d’occidente,
alla sera attraverso quel bosco di pini;
oh! Lamentosa è la loro melodia,
come di un oggetto impazzito
che, solo,
sussurra eternamente,
attraverso la notte e attraverso il giorno,
qualcosa che è passato per sempre.
Spesso, Signora, tu hai ascoltato,
spesso i tuoi occhi azzurri hanno luccicato,
dove la brezza estiva della sera
piangeva triste attraverso quelle foreste solitarie,
quando il vento fiero che viene dal nord
distorceva la loro musica lamentosa.
Sempre il fiume scorreva
come un flusso ininterrotto,
sempre il vento d’occidente soffiava,
mormorando al suo passaggio,
e mescolandosi con i suoi sogni;
il fiume scorreva sempre
con quel suono d’antico e passato;
piano, Fratelli, piano! Ella piange,
non è più sola;
forme amate e visi delicati
s’affollano intorno al suo cuscino,
in quei luoghi deserti della memoria
fluttuano le acque della nostra canzone.
Signora! Se la tua vita è sacra
come lo era quando eri una bambina,
sebbene la nostra canzone sia melanconica,
non susciterà più alcuna angoscia;
perché l’anima che ha vissuto bene,
perché l’anima simile a quella di un bambino,
è tranquilla nella sua magia
che riporta indietro ai primi ricordi.
La quercia
Che nodosa ampiezza, che profonda ombra, è la sua!
Non c’è bisogno di corone per riconoscere la regina del bosco!
Guarda come offusca con le sue foglie l’estasi estiva!
Sole, bufera, pioggia, rugiada, le tributano i loro onori,
che lei con tale benigna regalità
accetta, come se ripagasse ciò che gli è fu prestato;
tutta la natura sembra essere orgogliosa sua vassalla,
e solo grazie a lei leggiadra nei suoi ornamenti.
Guarda come troneggia tra i cumuli di neve rigonfi,
in indomabile esilio dal trono d’estate,
la cui pianura senza confini mostra ancor più regalità,
ora che le sue foglie cortigiane sono volate via.
I suoi rami mettono in musica il vento dell’inverno,
ornati dal nevischio, come la facciata d’una cattedrale
dove i fiocchi di neve riparano con bizzarra arte
i segni ed i solchi del tempo invidioso.
Guarda come la sua paziente forza persuade il rude
vento di Marzo ad esalare piacevoli brezze d’estate,
guarda come induce il suolo, altrimenti mal disposto,
ad aumentare i suoi regali con orgoglio!
Ella è la gemma; e tutto il paesaggio
(così la sua grandeur isola i sensi)
sembrerebbe solo lo scenario d’un tutto senza valore,
un bicchiere vuoto, se lei dovesse morire.
Così, di fronte alle bufere invernali della vita,
gli uomini dovrebbero imparare come avvinghiarsi
alla terra che infonde vigore; – come altrimenti sfruttare
la linfa generatrice di foglie che germoglia dal sole?
Così ogni anno che muore con le sue scaglie silenti
riempie le vecchie cicatrici sul lato più antico,
e rende l’età canuta riverita come l’età della salute,
un’epoca di orgogliosa e fronzuta giovinezza.
Così dal suolo tormentato da un destino iracondo,
i veri cuori spingono la linfa a svilupparsi più robusta,
e così tra terra e cielo rimangono sempre grandiosi,
sempre più simili ai loro predecessori;
perché le forze della natura con obbediente zelo
aspettano la fede ben radicata e la volontà della quercia;
percepiscono velocemente la frode dell’ingannatore,
e costringono gli Spiritelli a deriderlo e sbeffeggiarlo.
Signora! Tutte le tue opere sono lezioni, e tutte hanno
l’emblema dell’animo umano;
l’uomo renderà infruttuose tutte le tue gloriose pene,
scavando nella sua graziosa mole senza occhi?
Rendimi l’ultimo del boschetto di Dodona,
rendimi messaggero della tua verità,
dimmi una sola parola, non lasciare che il tuo amore
disdegni di posarsi tra i miei rami e di cantare per te.
Fonte- Letteratura per tutti – letteraturapertutti@gmail.com –
Biografia di James Russell Lowell (Cambridge, 22 febbraio 1819 – Cambridge, 12 agosto 1891) è stato un poeta, critico letterario e diplomatico statunitense, incluso nella lista di personaggi della Hall of Fame for Great Americans.
Si laurea ad Harvard nel 1838, in legge, ma ben presto si dedica alla passione poetica, pubblicando nel 1841 la sua prima raccolta di poesie.
Impegnato con la moglie, Maria Bianca, nello sviluppo dell’abolizionismo della schiavitù negli Stati Uniti, utilizza la poesia come veicolo di lotta per informare ed educare il pubblico.
La sua opera in versi La Fable for Critics (Favola per i critici, 1848), è incentrata su giudizi critici profondi sui maggiori scrittori contemporanei; invece The Biglow Papers (Il carteggio Biglow), manifestò la disapprovazione dell’autore per la guerra con il Messico.
Una lapide apposta a palazzo Bartolini Salimbeni testimonia il suo soggiorno fiorentino nel 1874.
Citazioni letterarie
Matthew Pearl ha inserito Lowell tra i protagonisti del suo romanzo Il Circolo Dante, uscito nel 2003, in cui insieme al poeta Henry Wadsworth Longfellow, traduttore della Divina Commedia in inglese, e ad altri uomini indaga su omicidi a sfondo dantesco nella Boston dell’Ottocento.
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Collegamenti esterni
- Lowell, James Russell, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell’Enciclopedia Italiana.
- (EN) James Russell Lowell, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.
- Opere di James Russell Lowell, su MLOL, Horizons Unlimited.
- (EN) Opere di James Russell Lowell, su Open Library, Internet Archive.
- (EN) Opere di James Russell Lowell, su Progetto Gutenberg.
- (EN) Audiolibri di James Russell Lowell, su LibriVox.
- (EN) Bibliografia di James Russell Lowell, su Internet Speculative Fiction Database, Al von Ruff.
- (EN) Spartiti o libretti di James Russell Lowell, su International Music Score Library Project, Project Petrucci LLC.