Teatro Olimpico di Vicenza,“HOC OPUS, HIC LABOR”. -Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
Teatro Olimpico di Vicenza,“HOC OPUS, HIC LABOR”
Eh si, questa è la scritta latina che possiamo leggere al Teatro Olimpico di Vicenza, e che non poteva mancare per il suo significato, al centro in alto del scenae frons, vale a dire della spettacolare facciata in proscenio nel Teatro Olimpico di Vicenza. Cosa traduce? “ecco la difficoltà, ecco ciò che v’ha di faticoso”, e cioè: “adesso viene il difficile, il momento di impegnarsi” ed anche, “qui l’opera, qui la fatica”, questa frase racchiude l’intento nel suo operare dell’audace Accademia Olimpica di Vicenza, artefice di aver commissionato ad Andrea Palladio la costruzione del Teatro Olimpico, una “miniatura” di inestimabile valore e bellezza.
Io credo fermamente che Andrea Palladio, dopo aver studiato ed assorbito la grande bellezza dell’architettura classica romana e dopo averne apprezzato le nuove interpretazioni del primo e del tardo Rinascimento, fa dell’architettura un’arte nuova che è creativa e dinamica, funzionale e giocosa, un’architettura che pare fondersi con le altre discipline. Lo Stile Palladiano è variabile come lo spazio e il tempo, si fa strumento di espressione e per questo riesce, solo grazie agli occhi, ad appagare tutti i sensi.
Teatro Olimpico di Vicenza, il più antico teatro coperto, progetto di Andrea Palladio, scenografia fissa di Vincenzo Scamozzi. 1580-1585.
Il Teatro Olimpico è una delle meraviglie artistiche di Vicenza. Si trova all’interno del cosiddetto Palazzo del Territorio, che prospetta su piazza Matteotti, all’estremità orientale di corso Palladio, principale direttrice del centro storico.
Nel Rinascimento un teatro non è un edificio a se stante – come diventerà di prassi in seguito – ma consiste nell’allestimento temporaneo di spazi all’aperto o di volumi preesistenti; nel caso di Vicenza, cortili di palazzo o il salone del Palazzo della Ragione.
Nel 1580 il Palladio ha 72 anni quando riceve l’incarico dall’Accademia Olimpica, il consesso culturale di cui egli stesso fa parte, di approntare una sede teatrale stabile. Il progetto si ispira dichiaratamente ai teatri romani descritti da Vitruvio: una cavea gradinata ellittica, cinta da un colonnato, con statue sul fregio, fronteggiante un palcoscenico rettangolare e un maestoso proscenio su due ordini architettonici, aperto da tre arcate e ritmato da semicolonne, all’interno delle quali si trovano edicole e nicchie con statue e riquadri con bassorilievi.
La critica definisce l’opera ‘manierista’ per l’intenso chiaroscuro, accentuato tra l’altro da una serie di espedienti ottici dettati dalla grande esperienza dell’architetto: il progressivo arretramento delle fronti con l’altezza, compensato visivamente dalle statue sporgenti; il gioco di aggetti e nicchie che aumentano l’illusione di profondità. Il Palladio appronta il disegno pochi mesi prima della sua morte e non lo vedrà realizzato; sarà il figlio Silla a curarne l’esecuzione consegnando il teatro alla città nel 1583.
La prima rappresentazione, in occasione del Carnevale del 1585, è memorabile: la scelta ricade su una tragedia greca, l’Edipo Re di Sofocle, e la scenografia riproduce le sette vie di Tebe che si intravedono nelle cinque aperture del proscenio con un raffinato gioco prospettico. L’artefice di questa piccola meraviglia nella meraviglia è Vincenzo Scamozzi, erede spirituale del Palladio. L’effetto è così ben riuscito che queste sovrastrutture lignee diventeranno parte integrante stabile del teatro. Sempre allo Scamozzi viene affidata anche la realizzazione degli ambienti accessori: l’Odeo, ovvero la sala dove avevano luogo le riunioni dell’Accademia, e l’Antiodeo, decorati nel Seicento con riquadri monocromi del valente pittore vicentino Francesco Maffei.
La fama del nuovo teatro si sparge prima a Venezia e poi in tutta Italia suscitando l’ammirazione di quanti vi vedevano materializzato il sogno umanistico di far rivivere l’arte classica. Poi, nonostante un avvio così esaltante, l’attività dell’Olimpico venne interrotta dalla censura antiteatrale imposta dalla Controriforma e il teatro si riduce a semplice luogo di rappresentanza: vi viene accolto papa Pio VI nel 1782, l’imperatore Francesco I d’Austria nel 1816 e il suo erede Ferdinando I nel 1838. Con la metà dell’Ottocento riprendono saltuariamente le rappresentazioni classiche, ma si dovrà attendere l’ultimo dopoguerra, scampato il pericolo dei bombardamenti aerei, per tornare seriamente a fare spettacolo in un teatro che non ha uguali al mondo.