Andrea Zucchinali-Jacques-André Boiffard. Storia di un occhio fotografico-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
Andrea Zucchinali-Jacques-André Boiffard. Storia di un occhio fotografico
Premessa di Elio Grazioli-Editore Quodlibet srl
Il libro-Fotografo eclettico e surrealista della prima ora, Jacques-André Boiffard (1902-1961) è una figura inafferrabile e affascinante, rimasta sinora nella penombra nonostante il ruolo significativo svolto nella storia delle avanguardie. Solo dal 2011, grazie alla collezione che Christian Bouqueret ha donato al Centre Pompidou, è possibile avere una visione d’insieme della sua opera di cui questo volume si propone di tracciare le tappe fondamentali. Dall’apprendistato presso l’atelier di Man Ray alle enigmatiche fotografie di Parigi scattate per Nadja di André Breton, dalle perturbanti immagini realizzate per «Documents» sotto la guida di Georges Bataille alle collaborazioni con Man Ray, Jacques Prévert e Lou Tchimoukow, questo libro, che esce in concomitanza con la prima mostra fotografica interamente dedicata a Boiffard dal Centre Pompidou di Parigi, è il primo a fornire, oltre alla biografia, l’analisi di un percorso artistico che si pone come la «storia di un occhio» in grado di interpretare visivamente la complessa esperienza surrealista.
In copertina Jacques-André Boiffard, Renée Jacobi, «Documents», n. 8, 1930, dettaglio.
Volume disponibile anche in versione elettronica. Acquista su: torrossa.it
L’autore-Andrea Zucchinali
Andrea Zucchinali, studioso del Surrealismo, con questo volume su Jacques-André Boiffard porta a termine un lavoro di ricerca svolto presso l’Università degli Studi di Bergamo.
Recensione Una delle migliori intuizioni di Susan Sontag sulla fotografia è certamente quella sul connaturato surrealismo dell’immagine ottica, dovuto alla sua capacità di creare una “realtà di secondo grado”. Si tratta però di una scoperta che avevano fatto gli stessi surrealisti, reclutando tra le loro file un fotografo insospettabile come Eugène Atget, che aveva rivelato nelle sue passeggiate parigine una realtà misteriosa nascosta sotto le apparenze. Ma per la curiosa impermeabilità delle discipline umanistiche la fotografia surrealista non ha riscosso, al di là delle rituali attenzioni all'”artista” Man Ray, l’attenzione che meriterebbe per il ruolo da essa svolto nel movimento. Da qualche anno autori come Rosalind Krauss e Georges Didi-Huberman, insieme, sul piano espositivo, al Centre Pompidou, hanno però approfondito la vicenda creativa di Jacques-André Boiffard, giovane ex-studente di medicina, che fece “atto di surrealismo assoluto” fin dalla pubblicazione, nel 1924, del Manifesto di Breton.
Un attento studio sulla vicenda di questo fotografo ricorda oggi anche al pubblico italiano quanto lo studio del surrealismo non possa prescindere dalla “sua” fotografia. Le radicali affermazioni dei surrealisti contro la razionalità in nome del sogno, della poesia, del meraviglioso sembrano in effetti evocare alcune proprietà che la fotografia, sia pur stretta finallora nei vincoli dei generi ottocenteschi, aveva già dimostrato di avere; e tuttavia il nuovo spirito fotografico non ha nulla in comune con l’idea di fotografia e anche con il tirocinio dei fotografi di genere: Man Ray, presso cui Boiffard si forma, non è certo un educatore tipico (“Non posso insegnarvi nulla. Guardate e aiutatemi”). Il giovane apprendista si specializza in ritratti mentre affianca il maestro anche nel suo percorso cinematografico che lo porterà alla definizione di un cinema surrealista (Emak Bakia, 1926, L’étoile de mer, 1928, Les Mystères du Chateau de Dé, 1929). Il passaggio decisivo sarà però la collaborazione con Breton per il suo Nadja (1928), in cui l’esigenza dello scrittore di una narrazione oggettiva (“clinica”) della vicenda e la sua ostilità alla descrizione del romanzo tradizionale trovano nella fotografia una perfetta alleata; ma non solo: le strade deserte di Parigi in cui si svolge la vicenda sono descritte da immagini “banali”, quasi amatoriali, e allo stesso tempo enigmatiche, incapaci di fornire alcuna rivelazione, ma dove è sempre sottesa una dialettica tra ordinario e meraviglioso.
Parte del gruppo, tra cui Boiffard, si allontana da Breton per subire l’influenza di Bataille; per il fotografo sarà l’inizio dell’esperienza nuova e decisiva, dal 1929, alla rivista “Documents”, il cui elemento centrale, il concetto di informe di Bataille (non assenza di forma, ma apertura alla possibilità di forme molteplici), sarà illustrato soprattutto dalle sue straordinarie fotografie: due enormi, sproporzionati, alluci maschili riprodotti a tutta pagina su fondo nero (un rovesciamento dell’estetica del dettaglio che il fotografo proseguirà anche negli anni successivi) accompagnano l’articolo di Bataille sulla polarità tra alto e basso, ma senza “rendere surrealista” l’immagine, semplicemente mostrando il soggetto nella sua realtà; e così i monumenti parigini fotografati per evidenziarne la materialità, la pesantezza; o le maschere grottesche indossate da un uomo in posizioni ordinarie, che vogliono mostrare l’ipocrisia di una società fondata sull’omologazione. Suggerisce l’autore che le immagini di Boiffard non vanno apprezzate per un loro “stile” (sostanzialmente assente), ma per la loro coerenza al progetto complessivo della rivista: sono “catalizzatori di senso”, acquistano forza in relazione all’articolo che accompagnano e a questo danno forza. Banale e insieme inquietante, oggettiva e insieme conturbante, la fotografia surrealista rivela la natura stessa di ogni fotografia; nel 1940 Boiffard conclude gli studi di medicina e abbandona l’arte, fino alla fine della sua vita sarà radiologo, una specializzazione “fotografica” per nulla estranea alla rivelazione surrealista.
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