Europa: serve una cultura di pace -Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
Europa: serve una cultura di pace –
Venti di guerra corrono per l’Europa. Due conflitti violentissimi – quello russo-ucraino e quello israelo-palestinese – così vicini geograficamente e politicamente e una sconcertante assenza di iniziative per l’apertura di tavoli di pace.
La UE ha dimenticato le sue radici ideali, i suoi valori fondanti e accetta ormai il conflitto come soluzione dei problemi al posto della politica e della diplomazia. Speravamo fino a poco tempo fa in “un altro mondo possibile” e ci ritroviamo con l’affrancamento di ragionamenti su una guerra globale possibile, non escluso perfino l’uso del nucleare. Inquietanti dichiarazioni istituzionali sulla necessità di abituarsi all’eventualità di un coinvolgimento diretto in un conflitto allargato si accompagnano, sul piano geopolitico, a un sostanziale appoggio alla guerra a oltranza. Il concetto di “vittoria finale”, ormai dominante, ignora i costi umani, anche se di dimensioni spaventose come quelle che sono sotto i nostri occhi.
E oscura la definizione di pace come lungo e articolato processo in cui attraverso una mediazione si arriva a un compromesso soddisfacente per entrambe le parti, che evita centinaia di migliaia di vittime.
La corsa al riarmo è il primo effetto tangibile di questo orientamento politico e ideologico. Secondo il SISPRI (Stockholm International Peace Reseach Institute), il 2023 è stato l’anno del record storico della spesa militare globale: 2443 miliardi di dollari, con una crescita del 6,8% rispetto al 2022, pari a 200 miliardi di dollari, la spesa complessiva per l’aiuto allo sviluppo. In Europa la spesa militare nel 2023 è aumentata del 16%, il più alto incremento dalla Guerra Fredda.
Anche l’Italia è investita dalla deriva militarista: l’export di armi negli ultimi 10 anni è cresciuto dell’86% e nel 2023 risulta di circa 5,15 miliardi di Euro. Per il 2024 è previsto un aumento di oltre 1400 milioni di Euro, con 28,1 miliardi per i nuovi sistemi d’arma. Tra i destinatari dell’export la Francia, poi Ucraina, Stati Uniti e Arabia Saudita. Per l’Ucraina – ma anche per Israele, per il quale è continuato l’invio nei modi già esistenti – va sottolineato che l’esportazione in paesi in guerra è in contrasto con lo spirito della nostra Costituzione all’Art. 11, con la legge 185/90, con l’ATT (Arms Trade Treaty, Trattato sul commercio delle armi), in vigore dal 2014, e con la stessa posizione teorica della UE.
Il complesso militare-industriale-finanziario è il principale beneficiario, con una crescita esponenziale dei profitti: 3.976 miliardi di Euro le transazioni bancarie in Italia, secondo dati MEF. La Leonardo, la più grande impresa italiana produttrice di armi, nell’ultimo anno ha aumentato il valore delle sue azioni del 128%.
Allarmante è poi l’attacco alla Legge 185/90 che regola l’import/export di armi. Le modifiche già approvate in Senato riducono le informazioni quantitative e sulle tipologie di armi che l’Esecutivo è obbligato a trasmettere al Parlamento e addirittura eliminano l’obbligo della Relazione sui flussi finanziari verso le banche e quindi sull’interazione tra banche e aziende militari. Una gravissima perdita di trasparenza, tanto che per difendere la legge è stata attivata dalla Rete Italiana Pace e Disarmo (RIPD) la campagna “Basta favori ai mercanti di armi”.
Ma è sul piano culturale la deriva più grave. Negli ultimi anni l’educazione alla pace nella scuola non solo ha perso il suo ruolo centrale nelle linee formative, ma è contrastata. L’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università ha documentato innumerevoli segnalazioni sulla diffusione della “visione militare” della scuola e della “cultura della sicurezza” e della “difesa della patria”: un’idea positiva diffusa delle armi, l’inserimento dei vari corpi militari e delle Forze dell’Ordine nei programmi di Orientamento e in percorsi didattici – fino ai marines di Sigonella come insegnanti di inglese! -, alternanza scuola/lavoro (PCTO) nelle caserme, con progetti formativi o servizio nella mensa ufficiali, partecipazione a eventi militari, momenti di familiarizzazione nelle caserme con armi anche pesanti e carri armati, perfino per bambini. Si è visto il ritorno all’alzabandiera.
L’auspicabile, e attualmente inesistente, reazione politica deve essere affiancata da una decisa azione dal basso. Arena di pace 24, sia pure con il grave limite dell’assenza di una dimensione ecumenica e interreligiosa, ha messo in evidenza, nella giornata dell’Incontro dei movimenti popolari, una forte vitalità dell’impegno, anche se frammentato.
E le fedi, spesso strumentalizzate per dare motivazioni ai conflitti, devono invece trovare un ruolo da protagoniste nella ripresa della costruzione di una cultura di pace, incoraggiando il dialogo e l’incontro sui valori comuni della solidarietà, della giustizia e di quella non violenza radicale che, come cristiani, ci ha insegnato in modo esemplare Martin Luther King.
Articolo di Cristina Mattiello –Fonte –Riforma.it Il quotidiano on-line delle chiese evangeliche battiste, metodiste e valdesi in Italia.