Vincenzo Cardarelli- Poesia “Alla Morte”
Biblioteca DEA SABINA
Vincenzo Cardarelli-Poesia “Alla Morte”
Alla Morte
non essere aggrediti dalla morte.
Morire persuasi
che un siffatto viaggio sia il migliore.
E in quell’ultimo istante essere allegri
come quando si contano i minuti
dell’orologio della stazione
e ognuno vale un secolo.
Poi che la morte è la sposa fedele
che subentra all’amante traditrice,
non vogliamo riceverla da intrusa,
né fuggire con lei.
Troppo volte partimmo
senza commiato!
Sul punto di varcare
in un attimo il tempo,
quando pur la memoria
di noi s’involerà,
lasciaci, o Morte, dire al mondo addio,
concedici ancora un indugio.
L’immane passo non sia
precipitoso.
Al pensier della morte repentina
il sangue mi si gela.
Morte non mi ghermire,
ma da lontano annunciati
e da amica mi prendi
come l’estrema delle mie abitudini.
BIOGRAFIA DI VINCENZO CARDARELLI
1887 – Vincenzo Cardarelli (il suo vero nome ra Nazareno) nasce a Corneto Tarquinia (Viterbo) il primo maggio. Da giovane pratica diversi mestieri e studia in modo irregolare.
1905 – È l’anno della morte del padre. Abbandona il paese natale, al quale fu per sempre legato da un rapporto di odio e amore, a causa dell’infanzia infelice e solitaria che vi aveva trascorso, lui afflitto da una menomazione al braccio sinistro spesso veniva affidato alla carità e alla cura di estranei.
1906 – Giunge a Roma, privo di una regolare istruzione, in cerca di fortuna; si accosta agli ambienti socialisti iniziando una attività giornalistica che lo porterà alla redazione dell’Avanti!. Inizia la relazione amorosa con la scrittrice Sibilla Aleramo, che si esaurirà nel 1912. Intanto prosegue nelle sue intense seppure disordinate letture e, abbandonate le velleità socialiste, entra in contatto con gli ambienti culturali che gravitano attorno alle principali riviste: nel 1911 invia alla Voce prezzoliniana uno studio su Charles Pégluy e inizia una assidua collaborazione al “Marzocco”.
Pubblica anche lo scritto Metodo Estetico e le prime poesie sparse. Particolarmente significativa è, in questa fase, il sodalizio con Riccardo Bacchelli, mentre fallisce il progetto a lungo vagheggiato di dare vita a una nuova rivista. Nella capitale collabora, prima del conflitto mondiale, a numerose riviste: Il Marzocco, La Voce, Lirica ed è tra i fondatori de La Ronda.
La Civita, Corneto, Roma, le memorie della sua infanzia solitaria e della sua focosa gioventù, sono i temi essenziali di un’opera che pur senza essere abbondante costituisce un alto e raro esempio di coerenza e di coscienza artistica.
Ma sarebbe difficile, e probabilmente arbitrario voler isolare nella sua produzione questo o quel titolo di una singola opera, perché Cardarelli è soprattutto il creatore di uno stile. A tale esigenza massima egli subordina, quando era in vita, ogni altra ambizione e ogni ricerca di un successo facile ed effimero.
1916 – Esce Prologhi, una raccolta di brevissime prose. Nel medesimo anno collabora alla Voce di Giuseppe De Robertis, maturando via via quelle convinzioni di un ritorno all’ordine e alla tradizione da cui nascerà nel 1919 l’esperienza decisiva della Ronda. Della rivista Cardarelli fu fra i più strenui ispiratori, dirigendola fino al 1923, quando cessò definitivamente le pubblicazioni.
1929 – Vince il Premio letterario Bagutta per il libro Il sole a picco
Io nacqui forestiero in Maremma, di padre marchigiano, e crebbi come un esiliato, assaporando con commozione tristezze e indefinibili nostalgie. Non mi ricordo la mia famiglia, né la casa dove son nato, esposta a mare, nel punto più alto del paese, buttata giù in una notte come dall’urto di un ciclone, quando io avevo due anni appena.
Sono venuto a conoscere mio padre un giorno che, nientedimeno, aveva sposato, e io soffiavo nel fornello a tutto andare, con una ventola nuova nuova. Ci fu un tempo ch’io vissi sotto la protezione d’un angelo custode e non ne ho altro ricordo se non che ero un ragazzo come tutti gli altri, curato, ben vestito e corretto con severità ed amore. Il destino, dopo avermi tolto la madre mi aveva regalato in compenso una matrigna, tutta d’oro, dal cuore alle mani. Me la aveva portata da lontano, parlava un dialetto settentrionale.
Tutta questa felicità durò poco, tre anni appena. Un dopo pranzo, che tornavo dalla scuola, passando davanti alla camera dove la mia cara madre giaceva malata e mentre son lì per entrare (ma già mi aveva sorpreso il lenzuolo che le avevano tirato fin sopra il capo) due braccia mi sollevarono e mi deposero nella camera accanto, dove una sorella della morta stava, in quel momento, levandosi di letto, dopo aver trascorso la notte vicino a lei. Erano quelle di mio padre.
Da allora la mia esistenza si complicò. I confini della mia famiglia si confusero e si dispersero. Non potendo badare a me, mio padre si vide costretto a collocarmi ora qui ora là, a dozzina. Conobbi altre case, dove fui accolto e trattato quasi in qualità di parente, attesa la mia facilità a familiarizzare. Il mondo mi allevò. […]
Per farla corta, mio padre pretendeva che io diventassi nient’altro che un buon commerciante, alla sua maniera. Ecco la ragione vera per cui non volle che studiassi e fece, senz’accorgersene, la mia rovina. […]
A sedici anni, cioè un anno avanti che mio padre morisse, ero già lontano da lui e dal mio paese. […]
Per vivere, nei primi anni, dovetti fare i mestieri più vari: addetto a vigilare l’andamento delle sveglie in un deposito d’orologi; ammanuense nello studio d’un bisbetico avvocato piemontese e socialista; impiegato nella segreteria della Federazione metallurgica; contabile; infine giornalista.
1948 – “Villa Tarantola” vince il Premio Strega per la prosa.
1959 – Muore il 18 giugno nell’Ospedale del Policlinico di Roma. Egli riposa ora nel cimitero di Tarquinia, di fronte alla Civita etrusca secondo la volontà espressa nel testamento. La Civita etrusca, che il poeta ha così di frequente evocato nelle sue poesie e nelle sue prose, aveva ai suoi occhi più il valore di un simbolo morale che non di un tema autobiografico: era stato il faro che lo aveva guidato durante la sua avventurosa navigazione tra gli scogli dell’esistenza. Visse nella povertà e nella solitudine, e morì a settantadue anni ancora più povero e più solo.
LE OPERE
Narrativa e Poesia:
• Prologhi, Milano, 1916;
• Viaggi nel tempo, Firenze, 1920;
• Terra genitrice, Roma,1935;
• Favole e memorie, Milano, 1925;
• II sole a picco, Bologna, 1928; Premio Bagutta 1929
• Prologhi viaggi, favole, Lanciano, 1929;
• Giorni in piena, Roma, 1934;
• Poesie, Roma, 1936 ristampa accresciuta, Roma, 1942;
• Rimorsi, Roma, 1944;
• Lettere non spedite, Roma, 1946;
• Poesie nuove, Venezia, 1946;
• Solitario in Arcadia, Milano, 1947;
• Villa Tarantola, Milano, 1948;Premio Strega
• Poesie, Milano, 1949;
• Invettiva ed altre poesie disperse, Milano, 1964;
• Autunno, sei vecchio, rassegnati, a cura di C. Martìgnoni, Lecce, 1988;
• Opere complete, a cura di G. Raimondi, Milano, 1962;
• Opere, a cura di C. Martignoni, Milano, 1981.
I prologhi
In quasi tutte le prose e le poesie contenute nella raccolta, le parole usate da Cardarelli sono lineari. Il mondo rappresentato è un mondo intellettuale, senza mistero. I temi che affiorano più spesso, oltre a quelli dell’addio, del distacco, della solitudine, dello sgombero, sono la morte (“Angosce letargiche le quali sono state i miei anticipi di morte”), l’anima (“Sento che il tempo cade e fa rumore nell’anima mia”), la purità (“Io sono grato al male per gli obblighi di purità che mi ha posti”), la carne (“Perché io ho ecceduto nella carne fino all’ironia”).
I viaggi nel tempo
Fin dalle prime prose e liriche, si avvertono i fremiti precorritori di un mutamento radicale e di un trapasso di paesaggio oltre che di clima. La composizione delle liriche coincide con il ritorno dello scrittore a Roma, dopo i suoi vagabondaggi in Italia e all’estero. L’ansia, l’inquietudine che avevano dominato la gioventù di Cardarelli e nelle quali si doveva ravvisare l’origine delle sue molteplici e disordinate esperienze umane e culturali, si placano via via a contatto con Roma, la città dei suoi sogni, la circe mondiale, la reggia favolosa che i papi costruirono a consolazione dei derelitti.
Settembre a Venezia, Autunno Veneziano
Autunno, Ottobre
Liguria, Sera di Liguria
Questi tre gruppi di liriche hanno molti punti in comune. Si compongono ognuno di una lirica breve, simile ad un “mottetto” musicale, alla quale si contrappone una poesia più elaborata, maggiormente orchestrata, una “sonata” o un canto a più voci. Ma l’elemento di partenza è lo stesso: una stagione, una città, un ricordo, un’emozione. Nelle prime due liriche di argomento veneziano il poeta traduce in note musicali le sensazioni suscitate nel suo animo dal trapasso dall’estate all’autunno.
LO STILE
Nel 1919, ormai affermatosi negli ambienti letterari della capitale, Cardarelli fondò la rivista La Battaglia, dalle cui pagine cominciò a combattere quella che sarebbe stata la lunga battaglia letteraria della sua vita: la restaurazione del classicismo, inteso come severa disciplina.
La restaurazione cardelliana muove dalla riscoperta e dalla rivalutazione dell’opera di Leopardi. Cardarelli, da mente acuta di critico quale era, si era accorto che l’operazione di fondo da realizzare per riportare la poesia nel suo alveo e nei suoi giusti limiti era quella di ricreare lo stile, senza il quale, i contenuti non possono che produrre oratoria. Il suo limite consiste forse nell’aver identificato lo stile con quello di una tradizione ben determinata, il suo merito sta invece nell’aver restituito alla lingua, vergini e brillanti come nuovi, parole e modi di dire consumati dal cattivo uso, sbiaditi dalla genericità dei contesti e praticamente privi della loro significazione.
Ad un ideale di classica compostezza, di perfezione stilistica e di limpidezza formale restò fedele in tutto l’arco della sua produzione: versi prima dispersi in alcuni volumi di prose e poi raccolti in Poesie nelle tre edizioni del 1936, 1942 e 1958. E’ una poesia ragionata, nella quale il discorso si sviluppa e si stende con limpidezza e fluidità, tutto avvolto da un tono meditativo, che comunica al lettore quasi sensibilmente un desolato senso di vivere.
I TEMI DELLA POESIA
Cardarelli fu un conversatore brillante ed un letterato polemico e severo, avendo vissuto una vita vagabonda, solitaria e di austera e scontrosa dignità. Suoi maestri sono stati Baudelaire, Nietzsche, Leopardi, Pascal, i quali lo hanno portato ad esprimere le proprie passioni con un senso razionale, senza troppe esaltazioni spirituali. La sua è una poesia descrittiva lineare, legata a ricordi passati di qualunque tipo, siano paesaggi animali persone e stati d’animo, che vengono espressi con un uso di un linguaggio discorsivo e nello stesso tempo impetuoso e profondo.
I temi ricorrenti nelle sue liriche sono il trascorrere delle stagioni, avvertito come simbolo dell’eterna mutevolezza delle cose, lo sfiorire dell’adolescenza e della bellezza, i vagheggiamenti dell’infanzia e dei paesaggi ad essa collegati. Sia nell’esplosione della vitalità estiva o sia nel malinconico disfarsi del paesaggio autunnale, il trascorrere delle ore del giorno e delle stagioni diventa simbolo delle vicissitudini della vita. Come scrive nella prima strofa di Ottobre:
Un tempo, era d’estate,
era a quel fuoco, a quegli ardori
che si destava la mia fantasia.
Inclino adesso all’autunno
Dal colore che inebria,
Amo la stanca stagione
Che ha già vendemmiato.
Niente più mi somiglia,
Nulla più mi consola,
Di quest’aria che odora
Di mosto e di vino,
Di questo vecchio sole settembrino
Che splende nelle vigne saccheggiate.