Luigi Fallacara- Terra d’argento- Stilo Editrice Scrl -BARI
Biblioteca DEA SABINA-
Luigi Fallacara- Terra d’argento-
Curatore- Marilena Squicciarini– Stilo Editrice Scrl BARI
DESCRIZIONE
È questa la storia di Mimì Accettura e della sua famiglia, mercanti d’olio nella Bari degli anni Trenta, declinata nei toni che Macrì accosta a un certo verismo meridionale. Il Verismo è tutto nelle descrizioni di gesti, luoghi, cose, antichi modi di vivere, restituite in pagine che assumono, ai nostri occhi, il valore aggiunto di documento storico, tanto prezioso quanto raro.
La vicenda pugliese, costruttiva e ariosa, avviene nel cerchio protettivo della famiglia, quel «tessuto vivo di affetti» vero protagonista del romanzo. Tra vecchio e nuovo, tra poesia e prosa, Luigi Fallacara ci parla di una città che cambia – che riceve dal regime fascista l’investitura di metropoli mediterranea e assiste alla grandiosa inaugurazione della Fiera del Levante – ma sa indugiare anche sul mare e sugli ulivi della campagna pugliese in splendidi squarci lirici. Sono proprio gli ulivi a donare alla terra la particolare lucentezza dell’argento: «L’automobile, […] si precipitò per certe discese, dove la terra diventava fine come tabacco e gli ulivi splendevano, congiungendosi quasi sul cielo della strada, di un loro più mite e sereno argento».
Biografia dell’autore
Luigi Fallacara (Bari 1890-Firenze 1963) esordì con la raccolta di poesie Primo vere (1908), avviando nel capoluogo pugliese i suoi primi contatti culturali e collaborando con la rivista «Humanitas». Lasciò Bari nel 1912 per completare gli studi umanistici in una Firenze dallo straordinario fervore culturale. Qui entrò in contatto con la prima rivista dell’avanguardia letteraria, «Lacerba», e poi con «Il Frontespizio», rivista incunabolo dell’ermetismo, che più di tutte segnò il suo percorso. La sua intensa attività poetica, pienamente inserita all’interno dei fenomeni culturali del primo Novecento, vide la pubblicazione di numerose raccolte; la scrittura di racconti e romanzi accompagnò costantemente la più centrale attività poetica. Ricordiamo le prose dei Giorni incantati (1930) e i romanzi A quindici anni (1932), Io sono, tu sei (1933), oltre a Terra d’argento(1936)
RASSEGNA STAMPA
Gazzetta del Mezzogiorno
Terra d’argento di Luigi Fallacara
Articolo Pubblicato da Claudio Crapis-22 aprile 2018
Terra d’argento, romanzo del barese Luigi Fallacara, merita di essere letto e pienamente apprezzato. Pubblicato nel 1936, è stato rieditato per Stilo Editrice nel 2013 a cura della prof.ssa Marilena Squicciarini, che ha scritto una preziosa e ricca Introduzione, ripercorrendo gli snodi creativi più significativi di Luigi Fallacara. Pertanto all’Introduzione si rimanda per un inquadramento di ampio respiro della sua produzione letteraria e per una lettura critica del romanzo. Qui si propongono invece solo delle sparse note di lettura.
Il romanzo narra le vicende della famiglia Accettura – importanti commercianti e produttori d’olio nella Bari degli anni Trenta, con la loro casa in Piazza Mercantile – soprattutto attraverso gli occhi e la coscienza di Mimì, con le sorelle Carmelina e Rosalba, con il fratello Giacinto (una sorta di antagonista e antieroe), con Mammà, con la moglie Gisella. E con il temuto e vezzeggiato zio Minguccio, titolare dell’intero patrimonio. Ma ben delineati sono anche altri personaggi minori, a cominciare da Donna Lina, la madre di Gisella, con la sua insofferenza signorile verso i modi a suo dire rozzi della famiglia del genero, che avrebbero rovinato inesorabilmente anche sua figlia.
Le dinamiche all’interno della famiglia, le invidie, le piccole cattiverie, i sogni e le meschinità sono colti con garbo. Le figure di Mimì e di sua moglie Gisella sembrano quelle meglio caratterizzate attraverso anche alcuni monologhi interiori, che interrompono la narrazione in terza persona. Sia Mimì che Gisella in maniera diversa subiscono delle piccole ma continue umiliazioni (Mimì solo in ambiente domestico, perché in quello lavorativo sa il fatto suo). E le pagine si susseguono piacevolmente alle pagine con il racconto dei vari eventi che punteggiano la storia familiare: il matrimonio di Mimì, l’acquisto di una tenuta importante, la festa con tutti i suoi riti (compresi i corteggiamenti e il gioco di sguardi che Rosalba pagherà a caro prezzo), l’arrivo dell’automobile, i viaggi di zio Minguccio trascinato dal dissoluto nipote Giacinto per teatri e cafés chantants, la prima edizione della Fiera del Levante ecc.
Mimì e Gisella, personaggi positivi, fanno intravedere una sorta di evoluzione e di riscatto, mostrandosi via via più forti in famiglia, più uniti nel loro legame e capaci di affrontare il mondo. E proprio quando zio Minguccio appare rinsavito, quando lo spessore umano di Mimì si sta affermando a pieno, ecco che, come in un feuilletton che si rispetti, vien fuori la rocambolesca questione del testamento. E qui ci fermiamo, ma il finale è degno di una novecentesca opera aperta.
Nella prosa tersa e – come nota Squicciarini – dalle risonanze liriche e pittoriche compaiono termini ormai poco usati come barbazzali, obliquare, pontone o cogoma; fa capolino il dialetto in alcuni canti popolari: “Ammine la rota ecc.” (pp. 210 e 212), “Sabato santo viene currendo ecc.” (p. 205); in alcuni termini come recchitelle (orecchiette, p. 189) o paddicchi. E non poteva mancare il melodramma: Gisella prima di sposarsi suona al pianoforte La Gioconda – opera di Ponchielli su libretto di Arrigo Boito – e Mimì canticchia stonando “tutt’avvolta in bianco vel” (atto terzo).
Il tipico gioco cromatico delle foglie d’ulivo – così importante nella campagna pugliese – in cui forse non sono estranee suggestioni dannunziane (“Argentei gli olivi ondeggiano”, Taccuini) dà il titolo a questo romanzo che tutti i pugliesi, almeno, dovrebbero leggere.