Poesie di Enrico Marià dalla raccolta :“La direzione del sole”- Editore La Nave di Teseo-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
Enrico Marià -Poesie “La direzione del sole”
Editore La Nave di Teseo
Rivista Atelier-Nota di Paola Mancinelli
Enrico Marià (Novi Ligure, 1977) ha pubblicato le raccolte: Enrico Marià (Annexia 2004); Rivendicando disperatamente la vita (Annexia 2006); Precipita con me (Editrice Zona 2007); Fino a qui (puntoacapo 2010); Cosa resta (puntoacapo 2015), I figli dei cani (puntoacapo 2019). Ha preso parte alle antologie: Genovainedita (Galata 2007); Atti della II Fiera dell’Editoria di Poesia. Pozzolo Formigaro giugno 2008 (puntoacapo 2008); Dolce Natura, almeno tu non menti (Zona 2009); La giusta collera (CFR 2011); Oltre le nazioni (CFR 2011); Poesia in Piemonte e Valle d’Aosta (puntoacapo 2012); Il ricatto del pane (CFR 2013); Poeti di Corrente (Le Voci della Luna 2013); Cronache da Rapa Nui (CFR 2013); La festa e la protesta. Atti della XVI Biennale di Poesia di Alessandria (puntoacapo 2013); Poesia in provincia di Alessandria (puntoacapo 2014); Comunità nomadi (deComporre 2014); Bukowski. Inediti di ordinaria follia (Giovane Holden 2014); Ad limina mentis (deComporre 2014), Il Fiore della Poesia Italiana (puntoacapo 2016). È tradotto in lingua inglese e spagnola.
Per i dimenticati
Dormire con la luce accesa
alla tosse dei ragni
la sensazione che quasi tutto si fermi
prima dell’inutile provarci
che i bambini lo sanno
come in carcere
i nuovi arrivati.
*
Eco del mio sangue
tu, giostra incarnazione
la lacrima candela
padre patria
l’angelo profano.
*
La carne degli affetti
una sfera che si schiude
quando scarcerato dal corpo
il cielo ulteriore.
*
Sembrano un parto
i monconi felici
a morirsi ali di fionda
questa luna tagliata
gli argini impotenti
dell’abbandonare
l’impossibile
cancro delle rose.
*
Il sacro amore
di chi non può il toccare
che con la cinghia degli occhi
tavola bianca
le vostre mani.
*
Ci sono di nuovo
i servizi del Diurno
docce e guardaroba
che non m’interessa
la prevenzione dal contagio
spiegami la morte
il fare da madre
alle macchie sul lenzuolo
lo stato brado
di un ragazzo lupo.
*
Che cos’è il mio vuoto
un vangelo di orchidee
le rose sdentate
la sacra luce
del cielo spaventato.
*
Tu dentro il cielo
un’ansia di neve
che impara l’estate.
*
Nel cognome di mia madre
sono iridi pozzi gli zigomi
l’armistizio dei suoi occhi
l’astinenza dal morire.
*
Dimmi il valere
ancora il qualcosa
l’essere assolto
abitando cani carezze
le palpebre del costato.
*
Dentro i lupi
la lobotomia
degli angeli
l’allearsi a morire
con le siepi del vetro.
*
Restami incrollata
tu ti prego
nebulosa e netta
seno di foglia.
“Terrore di amarti in un posto così fragile come il mondo / pena di amarti in questo luogo di imperfezione / dove tutto ci spezza e ammutolisce / dove tutto ci mente e ci separa.”
Il mondo come luogo fragile, imperfetto, manchevole dove tutto frana e immobilizza, dove il sentimento più alto trema come un astro, già nel suo dirsi, traccia l’anatomia del distacco. In esergo le parole della poetessa portoghese Sophia de Mello Breyner Andresen come manifesto per questa raccolta di amara bellezza di Enrico Marià La direzione del sole, per la Collana “i Venti”, La Nave di Teseo, 2022 con una luminosa prefazione dei fratelli D’Innocenzo: “Sentiamo che Marià, quando mise il primo misero piede in quel mistero non interessante che era l’infanzia, per prima cosa abbia avuto il coraggio e l’infamia di prendere un pezzo di carta e mettersi a scrivere. […] la sua poesia è un inferno strabico […] Uno così non viene perdonato”. Gli afflitti, i diseredati, i dimenticati, tutte le categorie degli ultimi trovano qui il loro spazio, fulgore dei vinti e dei martirizzati. Nella crepa che fa il mondo, quel dirsi umani più del vetro, fallaci, fallibili, in una disperata ricerca di riscatto, incontra un cielo strappato che mendica l’azzurro innocente dell’infanzia, terreno onirico e ancestrale per eccellenza. Sull’orlo dell’abisso che si mostra in tutto il suo indicibile oltraggio, ad elevare il canto è il corpo “fratturato”, un dolore denso e bianco di linfa, ammutolito e immobilizzato in un silenzio di neve “Le brusche fratture / d’ogni impulso d’amore / che ci spaesano saliva / aghi di pioggia / gli oceani cani”. L’innocenza spalancata di fronte alla pungente celebrazione della sua fine, la cruda cessazione dell’ingenuo “l’eterna vergogna / di noi scimmie bambine”, e al contempo un tenace “addestramento alla purezza”. Versi che incidono la pagina con il bisturi della parola, una parola asciutta, furibonda, efferata. Una favola nera dell’infanzia, nella quale riverbera l’eco del sangue, uno struggente spaccato dell’anima che come un ritratto caravaggesco mostra le sue zone lacerate di ombra e di luce agognata. Un furore di tenebra che scrive con il fuoco e con un grido acuto, soffocato, lontanissimo “Margini muti d’attrito / la presa spalancata bocca / papà, tu il mio grido / i globuli della luce nera”.
L’abuso del corpo “bersaglio” e dell’anima straziata, dopo l’incestuosa e dolente conquista di quella regione profonda del cuore, scardinata dalla colpa di un altro “Dopo il mondo sarà d’amore / la colpa di essere vivi / e non la luce che non scrive / ma l’alba, le sillabe del fuoco”. Tutta la tragicità del mondo si rivela nella essenzialità dei componimenti, in alcuni casi veri e propri frammenti, uno stile netto con picchi metaforici di nostalgica memoria, una scelta lessicale che scoperchia ogni lemma e fredda il lettore con il bagliore di una lama silenziosa, facendo sanguinare l’urlo più coriaceo e antico, “l’orfano remoto”. L’abuso, la violenza, il carcere, la psicosi, la droga, una notte nera e infinita che stenta a lasciar intravedere una scheggia di luce nel corpo trafitto, esposto come un sacrificio “Di un bianco sacrificio agnello”. Marià fa cadere ogni orpello, ogni eccesso interpretativo, ogni artificio a favore di una lingua che non conosce tregua né compromesso, una fibra nervosa impastata di natura materica e celeste, sviscerata e profetica, sempre in punta di perdono “La carne degli affetti / una sfera che si schiude / quando scarcerato dal corpo / il cielo ulteriore”.
La sua architettura di significati è un terreno di fantasmi dal quale la scrittura, con la sua potenza di memoria, morte e redenzione, tenta disperatamente di raschiare via la più piccola particella di abominio. La parola poetica si fa perla e fluorescenza, lo spettro visibile di una regione del cuore segregata che riflette le miserie dell’esistenza nel suo pronunciare tutti i toni del vero “Coni di luce contrapposti / noi i disabbracciati / a cicatrice dei nomi”. E su questo scenario di macerie e tirannie, su questi “cani crocifissi” una presenza materna e connaturale alla terra sembra muoversi a passi lenti nello spazio del racconto, gravida di carezze mancate, implorate e negate dall’eterno coro dei “bambini spalancati” “Una grondaia d’ali / e strati di foglie, / come una delicatezza di cani / la mia fredda pancia di madre”. Marià ci fa entrare in zone oscure del vivere per poi risalire dal fondo nero del paesaggio, brandendo il candore di un’ala angelicata, il soffio fugace di farfalla, la spina dolorosa, il fiore trafitto dell’innocenza, il bocciolo perduto, mentre l’ombra del sopruso, della barbarie, della fragilità offesa e vituperata sembra cannibalizzare l’intera scena. Creature antichissime popolano la scena, oniriche presenze quasi a voler testimoniare le miserie della creaturalità tutta “I delfini madre e le foglie / che al seno degli alberi / si issano gusci i tossici / quando in branco di latte / corrono neve vergine / “la rotta dei suicidi”.”
E in chiusura di prefazione i fratelli D’Innocenzo, nel riportare un passo di Antonio Moresco “E vorrei una lettura che non lasci residuo, come la fiamma brucia tutto ciò che incontra, e se anche la scrittura di questo libro è così, allora che sia una fiamma che brucia un’altra fiamma” rifilano la fredda lama della parola incendiaria di Marià, quel suo condurci in un “potentissimo altrove”, dove riecheggia senza sosta “questo restare non nati”, noi tutti, ugualmente “corpi fragili, nostalgia di creature”.
Paola Mancinelli (Taranto, 1974). Approfondisce gli studi filosofici e teologici, ottenendo il titolo di Magistero in Scienze Religiose. È poeta e artista visuale. È presente nel volume Taranto, citta della poesia, a cura di Silvano Trevisani, Macabor (2022), nel volume Sud. Viaggio nella poesia delle donne (Volume secondo), a cura di Bonifacio Vincenzi, Macabor (2020). Ha pubblicato il libro di poesie La resa del grazie, Ladolfi (2019). È presente nelle raccolte poetiche Sud. I poeti (Volume sesto), a cura di Bonifacio Vincenzi, Macabor (2019), Il corpo, l’eros, Ladolfi (2018), Close up. 0.10 Atti introspettivi di Sara Liuzzi, Gangemi (2018), Parole Sante, Kurumuny (2015). Ha pubblicato il libro d’artista Poesia, tempo presente. La parola e il tempo, Print Me (2014). Ha curato insieme ad Antonella De Biasi l’Antologia di AA.VV. Cartoline dalla Puglia per L’Erudita, Giulio Perrone (2023). Riceve il Premio Speciale della Giuria nella 2ª Ed. del “Premio Poesia Inedita Poeti Oggi 2022”, il Primo Premio della 9ª Ed. del Concorso Internazionale di Poesia “Parasio – Città di Imperia” 2022 e il Gran Premio della Giuria nella 29ª Ed. del Premio Nazionale di Poesia Inedita “Ossi di seppia”. Fa parte della redazione online della rivista Atelier per la quale cura la rubrica Visuale sul Novecento.
Biblioteca DEA SABINA- La rivista «Atelier»
La rivista «Atelier» ha periodicità trimestrale (marzo, giugno, settembre, dicembre) e si occupa di letteratura contemporanea. Ha due redazioni: una che lavora per la rivista cartacea trimestrale e una che cura il sito Online e i suoi contenuti. Il nome (in origine “laboratorio dove si lavora il legno”) allude a un luogo di confronto e impegno operativo, aperto alla realtà. Si è distinta in questi anni, conquistandosi un posto preminente fra i periodici militanti, per il rigore critico e l’accurato scandaglio delle voci contemporanee. In particolare, si è resa levatrice di una generazione di poeti (si veda, per esempio, la pubblicazione dell’antologia L’Opera comune, la prima antologia dedicata ai poeti nati negli anni Settanta, cui hanno fatto seguito molte pubblicazioni analoghe). Si ricordano anche diversi numeri monografici: un Omaggio alla poesia contemporanea con i poeti italiani delle ultime generazioni (n. 10), gli atti di un convegno che ha radunato “la generazione dei nati negli anni Settanta” (La responsabilità della poesia, n. 24), un omaggio alla poesia europea con testi di poeti giovani e interventi di autori già affermati (Giovane poesia europea, n. 30), un’antologia di racconti di scrittori italiani emergenti (Racconti italiani, n. 38), un numero dedicato al tema “Poesia e conoscenza” (Che ne sanno i poeti?, n. 50).
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