Jeanne Dortzal- Poesie-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
Poesie di Jeanne Dortzal, poetessa francese
AL DI LÀ
Vieni, la notte che cala s’allarga come un’isola,
Niente di noi saprebbe morire; ferma le tue braccia
Sulla stanza che plana e dove l’orbe immobile
Concentra l’infinito dei cieli a cui non arriviamo.
Donandomi a te con tutta la mia tristezza
T’avrei dunque piegata alla mia gola, o gioia?
Sono un raggio spezzato di qualche stella in disgrazia
Per sentir scorrere queste lacrime nel mio cuore?
Come m’appari luminosa e profana,
Con la tua chioma in cui la mia bocca ha rotolato.
Golfo del ricordo dove fanno rotta le tartane,
In un odore di miele e uva pigiata!
Ah! dovrei inghiottir la mia forza e sparire
In quest’onda sulla quale il mio bacio s’è sospeso,
Leccherò la traccia dove s’imprime il tuo essere,
Per sentirti pesare sul mio petto disteso.
Avrò goduto di te fino a sentire il mio sogno
Esplodere sotto la mia tempia. Ad ogni battito,
Proiettata al di là delle stagioni sollevatesi,
Vedevo la nostra anima con la sua ala sospesa.
Ma più batteva la sera, più credevo di sentire,
In un caos di fiori, musica e incenso,
Le nostre fronti rompere quest’ombra dove caliamo,
E questo pianto che si sarebbe allargato per sempre.
Stringiamoci! il tempo ha bisogno di nutrimento.
In lui nel gettare i nostri corpi, possiamo contemplarci
Un alone formidabile intorno a un’ossatura,
E il cielo su di noi che sembra averci oltrepassato.
MERCATO ARABO
Il gran odore familiare dalle ali di zafferano,
Diavolo giallo arrotolato nella sua corona d’aglio,
Di pimenti e cipolle. Cabili e bestiame
Che scalpicciano sotto il cielo tra lo sterco.
Frutti delle ravine che salgono in piramidi d’oro,
Imbrattando di cielo le botteghe spelate,
Ammasso bianco d’un arabo che dorme
Accanto ad angurie sgozzate.
E sempre a dominare il mezzodì dalla sua voce bruna,
Aratore del sole, discepolo delle cicogne,
Il muezzin canta.
Mendicanti e vecchi mostrano la loro faccia orba;
La moresca s’aggira più lenta.
Solo, vestito di pimenti e zeppo d’aromi,
Il mercato si solleva.
Bucce d’oro si muovono negli scoli,
L’uomo del caffè moro ha fischiato alle sue greggi,
L’odore vivente sale. E, curvo sul suo sogno,
L’uomo schiaccia una rosa e pidocchi sulla sua pelle.
IL MUEZZIN
Il silenzio ha domato la terra;
Plana la città;
La moschea ha ripreso la sua postura di sultana:
Dormicchia tra le pietre.
È aurora?
La notte ha strappato il suo scamiciato di stelle;
Fiocchi di chiarezza nevicano sul Bosforo.
Un blu sordo ha lambito le feluche; le vele
Tirano su gli ormeggi;
In uno sciabordio di perle,
E in tono minore, con le gutturali
Rose, il canto s’infrange,
Brillo d’eternità.
Splendido e scialbo,
Indossando il suo bianco mantello come una zimarra,
Canta il muezzin. La città
È un vascello morto che beccheggia verso la luce;
E riecco unico l’istante ove i terrazzi,
Scrollando la rugiada, slacciano con lentezza
La loro veste di preghiera.
SIDI-BOU MÉDINE
Uccello sfracellato di cui lo scheletro danza
Tra due cordoni
Di case morte.
Villaggio di lebbrosi, famelico di silenzio,
Dove le piaghe,
Come una zimarra,
Ricoprono le porte,
Facendo colare il cielo sul ventre delle giare,
Mettendo a crudo su canestri di pietre
Cocci di sole e brandelli di rose.
Golfo della miseria
Dove la moschea si poggia,
Dove la bellezza, come un leone riposa,
Dove lo spazio,
A dispetto del tempo e del silenzio,
Fonde,
Alla cima dei piedritti che i secoli oltrepassano,
Le ali del nulla…
LA MORTE PUÒ SOPRAFFARMI
La morte può sopraffarmi, ho teso già avanti
Le mie ali per la partenza. Sono sicura
Di trovare lassù la casa che mi è dovuta,
Dovrei affondare in più solitudine.
La mia soddisfazione sarà stare al tuo tavolo,
Dolore che unisce il ricco e il bisognoso;
Porterò nella mia sacca un po’ di sabbia,
E riaccenderemo il fuoco di San Giovanni.
Che cosa vuoi, Signore, che non puoi più dormire,
Ti ho pregato di venire a farmi visita,
Ed ecco che le mie notti ricominciano a fiorire
Con la grazia dell’angelo e della clematide.
BATTITO D’ALI
Sere d’estate così dolci, velate d’azzurre increspature,
Dove il cuore viene a morire in un battito d’ali,
Fanno gli alberi leggeri come dorati capelli
Sui quali, sognando, fluttuerebbero merletti.
Il lago ha rivestito i suoi toni di chiaroscuri
E riflette nell’acqua, dal ciel, l’unica stella…
Guardiamoci, vuoi, in fondo ai nostri occhi
Così che il nostro amore rialzi il suo velo candido.
Ah! Lasciamoci cullare dal fato divino…
Che gioia amarsi nel cuore stesso delle cose,
Gettare alla vita un dolce e lungo sguardo,
Gettare alla vita, a mani piene, delle rose.
DEMONE DELL’EQUATORE
Demone dell’equatore incatenato nelle stive,
Per secoli d’ombra e passività,
Ho balzato verso i tuoi occhi con la voluttà
D’un marinaio senza luce che ritrova la sua rotta.
Sciolgo dunque quel ciel che mi divora i polsi,
D’un sol colpo, faccio saltare quelle cinghie di tela,
La mia pelle deve sentir le alghe e gli embrioni delle stelle,
Sdraiarmi sotto il cielo dentro cui ti bagni.
Origlia! la notte salta attraverso i cavi,
Si muove il mio corpo e ti chiama, i garretti tesi,
Umidi di profumi, dimoriamo a mezz’aria,
Tutto l’oceano contro la tempia, in pieno miraggio.
IL MIO LETTO È CALDO COME UNA ROSA
Entra. Il mio letto è caldo come una rosa.
L’ombra ha calato gli occhi; un odore di moschea
Si sparge tra i miei seni. Ho rimesso tutte le cose
Al loro posto effimero e, avendole mascherate,
Avendo loro, goccia a goccia, infuso il nostro sangue,
Avendole fatte inchinare, chiedere grazia
E astenersi da ogni giuramento, ho messo la mia faccia
Contro la sera, ho staccato ciò che discende
Dall’ora, ed eccomi. Che la stanza abbia un cuore
E batta. Quanto a noi, consumeremo il cielo
Con un ritmo uguale, un po’ soprannaturale,
Come conviene a due amanti agghindati di lacrime.
Entra, ho preparato la notte come una culla.
La cicogna, mia sorella, è in piedi alla porta;
La voluttà respira e i nostri corpi sono così belli
Che sembra entrare in una città morta.
All’immobilità, uniamo il grido selvaggio
Di bestie che stanno figliando. Affrettiamoci, affrettiamoci
Ad afferrare quello che passa! E, gettando sul mio strato
La tua criniera di lupo,
La tua maschera di soldato e il mio mantello di fata,
Siamo quelli che se ne ritornano, non avendo altro
Che un otre di sole e dei clamori di cane,
E che salutano la morte dal blu della loro spada.
L’OASI
È un giardino del Sud dalle fioriture giganti.
Lembi di sole, strappati dal vento,
Sanguinano tra la sabbia, e c’è un battito
Di foglie e d’acqua chiara, una canzone demente,
Chiamata degli altopiani che la primavera porta
E che irrompe in acquazzoni e ricade in bouquet.
Gli alberi hanno teso le loro braccia, la terra grida,
Un miagolio blu s’esaspera e tace,
Poi di colpo riprende con note sorde.
Un cielo zeppo di sabbia accoglie l’orizzonte,
Un silenzio sfrenato s’addensa in gocce pesanti,
E, proclamando il suo risveglio,
L’oasi canta, attraverso i tramezzi
Del sole.
EFFETTO DI LUNA
Gli uccelli hanno taciuto per molto tempo; la strada
Che conduce al cimitero è piena di grilli;
Un silenzio infinito aleggia sopra i campi
E sembra che la campagna stia origliando.
La casa si tira addosso un gran lembo di luna,
Azzurra è la notte; al largo, una canzone: il mare!
E sempre, e sempre, a dominar il mio rancore,
Questo grido disperato del mio cuor per la tua carne!
Articolo e traduzione di Emilio Capaccio–Jeanne Dortzal(Nemours, distretto di Tlemcen, Algeria, 24 gennaio 1878 – Parigi, 1943) è stata un’attrice teatrale, drammaturga e poetessa algerina di lingua francese.
Dotata di grande bellezza, lasciò, ancora adolescente, l’Algeria con la madre, che si era separata dal marito, e grazie all’amicizia del poeta Pierre Guédy, con il quale più tardi ebbe un figlio, intraprese la carriera di attrice di teatro.
Pierre Guédy, che era anche amico stretto del critico teatrale e scrittore Paul Léautaud, fu uno dei primi, insieme al poeta Jean Lorrain, allo scrittore Victor Margueritte e alla stessa Jeanne Dortzal, a partecipare all’esordio del fotoromanzo letterario francese, dalle tinte blandamente erotiche, rivolto a un giovane pubblico femminile, e curato dall’editore Nilsson.
Gli esordi della Dortzal avvennero nel vaudeville con l’opera: “Le Faubourg” di Abel Hermant, poi l’attrice passò al Teatro dell’Odéon di Parigi, recintando in ruoli classici e al Teatro Francese di Anversa. In questi anni conobbe un apprezzabile successo, tanto da essere raffigurata anche su alcuni francobolli degli inizi del ‘900.
Intorno al 1910 lasciò l’attività teatrale per dedicarsi completamente alla scrittura: scrisse pezzi teatrali, alcuni racconti, ma soprattutto raccolte poetiche, tra le quali ricordiamo: Vers sur le Sable(1901); Vers l’Infini (1904); Le Jardin des Dieux (1908); Les Versets du Soleil (1921); La Croix de Sable (1927); Le Credo sur la Montagne (1934).
Morì nel 1943 distrutta dal dolore per la perdita prematura di quell’unico figlio, Pierre, avuto da Pierre Guédy.
(Articolo e traduzione di Emilio Capaccio)