Roberta Dapunt-Poesie-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
Appunti di poesia: Roberta Dapunt | L’Altrove
Da La terra più del paradiso, Einaudi
della carne e della lingua
In questa carne ho radicato gli anni, li ho educati.
In questo corpo la materia dei miei pensieri
e le parole e le domande.
Su questa pelle l’ambiente delle loro risposte,
fino a contrarla, le vocali e le consonanti.
Ho consegnato ad ogni osso della mia struttura
una lettera
e da lí le parole, una ad una le ho nutrite e ho appreso,
mentre crescevo la carne si faceva verbo.
Composte membra, ordinate si sono gonfiate,
dilatate le loro cavità e da lí io ho ascoltato,
ed era voce del mio corpo. Che mi chiamava
e io sorda alle sue espressioni, finché
ho appoggiato le labbra alla loro imboccatura,
organica relazione, ho forgiato la lingua
ed essa ha compreso il gusto
e cosí finalmente io le ho parlato.
—
a Pieve
Tu per me il tuo sguardo. Malizioso inganno,
mi poni dentro al vino giudizio e penitenza. Ascolto.
Senti il vino, amico mio che non ti conosco?
È ponte dal sapore fisico, sofferenza e piacere dall’alito
antico.
Sono certa che ti amo questa sera,
la ruvida acerbità della fermentazione,
il travaso delle tue parole. È sudore afflitto,
splendido vacillare, come di breve morte.
Dammi da bere. Versami. Leviamoci la sete di dosso,
finché saremo redenti, amico mio che non ti conosco.
Arriveremo insieme al bordo del bicchiere,
lí dove cola la triste sete. Stasera in questo tempio,
mentre fuori piove il silenzio a Pieve.
—
io sono il tuo luogo
Sono il paradiso, il purgatorio, l’inferno.
Sono il paradiso e l’inferno, la superficie terrestre.
Sono il continente, la città, l’incrocio e la strada,
sono il centro abitato, il numero civico, il corridoio,
la stanza. Sono il letto, la sedia.
Sono la meta, il pellegrinaggio, la solitudine,
la determinazione, la storia, il valore simbolico.
L’aspetto, sono la condizione di vita, la cura.
Sono il recinto, la copertura, la licenza.
Sono la data di nascita, la salute, la malattia, il termine
di tempo, il giudizio, il suo pregiudizio.
Sono l’opera, il corpo.
Sono l’uso profano, il sacro sentire, il convento,
la privazione, il santuario. Sono la parola,
la ferita, la parte dello spazio assegnato.
Sono il merito, la convenienza, il vizio e l’attenzione.
L’opportunità, l’ascolto, sono la ragione, la riflessione.
La miseria, l’argomento, il motivo. Sono la causa.
Sono l’opinione, la prova, la testimonianza.
La verità e la rinuncia. Sono il monte, sono il mare,
il bosco, sono l’abbondanza, il vuoto.
Sono il luogo. Sono, io sono il tuo luogo.
Tu mia stanza,
paziente angolo di questa casa.
Mia cattiva abitudine, mio vizio capitale.
Tu mia triste passione, mia poesia.
Tu mio orto misericordioso,
mio terreno fertile, mia arsura.
Tu grande orecchio che ascolti
il mio eco mille volte uguale.
Tu mio confessionale, mia direzione.
Tu mio tabernacolo,
custode della mia anima.
Tu mia cappella, che in te conservo
le immagini dei santi e dei miseri dannati.
Tu mio venerdì santo, mia Pasqua.
Tu mio rifugio, mia arca
quando tra le mani diluviano gli inchiostri.
Tu mia stanza, mio spazio fisso,
mio enorme foglio bianco.
Tu mia certezza, mio feretro,
mio funerale.
In te rientra in silenzio
il mio rito quotidiano,
la mia tempesta, il mio silenzio.
Da La terra più del paradiso, Einaudi.
delle parole e del gioco
Unità non è il verso ma la parola
condizione di ciò che è accordo
e come tale, compie il suono e la grafia,
così che dall’informe pensare vengono incontro a volte
espressioni acute da sentirle perfino odorare
e senti esalare dentro alla stanza il grigio muffoso
del rimanere inutile. Sterile trovarsi e la mani al sonno,
l’aroma di vite bevuta e i compagni,
ognuno a dissetare solitudini tacite.
Confessioni del nulla parlare e il niente,
e ancora di spazi serrati, gli introversi pensieri
ed è ancora più forte l’odore imbrogliato, confuso
ardire e l’innocua codardia del dire.
Trovare dunque il dire giuste parole, parole per dire
tra i versi, unità unica in essi è arrivare
a sentirne gli odori. Appunto.
locuzioni amare
Sono nella tua demenza il potere e la direzione,
l’autorità e la volontà egemonica.
Sono l’ordine di ogni tuo movimento,
del tuo viso lavato, del fazzoletto che tieni in tasca.
Sono la testa, la guida alla tua ubbidienza. E sono
il precetto quotidiano e la regola di condotta.
L’impero dentro al quale trascorri l’esistenza.
*
Mai vedremo oltre. Ma tu la rugiada negli occhi.
Rendi libero il corpo in mezzo ai fiori raccolti nell’orto.
Non sono le frasi di conforto, non loro a sostenere,
non sono le preghiere, non loro a persuadere.
*
Non ci sarà descrizione delle cose vedute,
mentre fuori le visibili stelle,
riusciremo ad affondare questa attesa,
ma per ora non perderti dall’altra parte.
Breve cenni biografici di Roberta Dapunt è nata nel 1970 a Badia, dove vive e lavora.
Dopo aver pubblicato in maniera privata due plaquette di versi: OscuraMente nel 1993 e La carezzata mela nel 1999, ha dato alle stampe la raccolta poetica La terra più del paradiso nel 2008 alla quale sono seguite altre tre raccolte
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