Octavio Paz: una poesia (politica) ci salverà?ANPI- Comitato antifascista della SABINA-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
Octavio Paz: una poesia (politica) ci salverà?
Comitato antifascista della SABINA
Articolo di Antonella Rita Roscilli, giornalista brasilianista
Dell’autore Octavio Paz , scrittore, poeta e diplomatico messicano,Premio Nobel per la letteratura nel 1990, sempre accanto a emarginati e oppressi, si preferisce ricordare quasi unicamente la parabola finale. Glissando su affermazioni valide a ogni latitudine: “La ricerca dell’identità nazionale è un passatempo intellettuale, a volte anche un affare di sociologi disoccupati” oppure “Quando una società si corrompe, a imputridire per primo è il linguaggio”
Mai come in questi tempi appare importante la riflessione politica di Octavio Paz sulla parola e sul linguaggio che lui espresse in questi termini: “Quando una società si corrompe, a imputridire per primo è il linguaggio. La critica della società inizia quindi con la grammatica e il ristabilimento dei significati” (Pos data, 2005). La parola appare al poeta messicano come un elemento necessario per rimarcare il fatto che fa parte integrante della cultura; la cultura é l’identità di un popolo e si mostra anche attraverso il linguaggio. Quando il linguaggio si appiattisce e si impoverisce per cedere il posto all’immediatezza (o a insistenti termini presi in prestito da altre lingue), noi pian piano ci allontaniamo dall’essenza, dalla creatività, dalla complessità e soprattutto dalla nostra capacità di autocritica. Octavio Paz nelle sue opere ha continuamente ribadito l’importanza della creatività della parola e del linguaggio. Saggista, giornalista, diplomatico messicano, premio Nobel per la letteratura, è considerato il poeta di lingua spagnola più importante della seconda metà del Novecento: “Non è poeta chi non abbia sentito la tentazione di distruggere il linguaggio o di crearne un altro, chi non abbia provato il fascino della significazione indicibile” (Vento Cardinale, 1985). La società e la politica furono per lui sempre inscindibili dall’arte poetica, anzi, la sua poesia d’avanguardia si fece veicolo di istanze sociali e di problemi politici, mettendo in luce una società corrotta che aveva fatto della merce l’unico valore visibile.
Nato nel 1914 a Città del Messico da una famiglia borghese, in cui il sangue spagnolo si era unito a quello indigeno messicano, a soli 19 anni pubblica la prima raccolta di poesie dal titolo Luna Silvestre. Grazie alla sua professione di diplomatico viaggia molto: vive a lungo negli Stati Uniti, in Spagna, Francia e persino in India e in Giappone, ove conosce la filosofia che influenzerà una parte sostanziale dei suoi scritti.
Il primo viaggio lo porta nello Yucatan, ove si misura col profondo passato della storia messicana, con l’antica civiltà Maya, la povertà e le lotte di parte della popolazione. Giunge a Mérida l’11 marzo 1937 e vi rimane per 65 giorni. Qui aderisce al progetto educativo di una scuola secondaria per i figli di indigeni, di operai e contadini, che gli era stato proposto dagli amici Octavio Novaro Fiora del Fabro e Ricardo Cortés Tamayo. Octavio nella scuola, e proprio a quel periodo appartengono le pagine di “Tra la pietra e il fiore” (1941), un ampio “inno tra le rovine” o meglio, come dirà più tardi “maleza entre escombros” (“erba tra le macerie”), un tema che lo accompagnerà come una ferita aperta per tutta la vita.
Sempre 1937, Paz ha più di 20 anni, partecipa come rappresentante del suo Paese al II Congresso internazionale degli scrittori per la difesa della cultura, che quell’anno si propone di supportare i repubblicani in Spagna durante la Guerra civile. Vi partecipano, tra gli altri, André Malraux, César Vallejo e Pablo Neruda. Alla fine della seconda guerra mondiale diviene segretario dell’ambasciata messicana a Parigi entrando in contatto con il movimento surrealista e André Breton. Come incaricato d’affari arriva in Giappone e, infine, negli anni 60, è ambasciatore in India. Qui, nel 1968, rassegna le dimissioni per protestare contro il governo messicano, responsabile di una brutale repressione di studenti che manifestavano in piazza delle Tre Culture a Tlatelolco, Città del Messico, alla vigilia dei Giochi Olimpici. È il 2 ottobre 1968. Lasciato l’incarico, si dedica all’insegnamento presso università americane ed europee. Continua l’instancabile attività di promotore della cultura tenendo lezioni e fondando nuove riviste, come Plural (1971-1976) e Vuelta (1976). Paz non si limita a scrivere, ma trasforma le parole in azioni concrete. Politicamente propende a sinistra come il padre Octavio Paz Solorzano, avvocato zapatista. Più tardi invece adotterà un atteggiamento politico liberal-conservatore, simile a quello del nonno Irineo, che era stato vicino a Porfirio Diaz, presidente della Repubblica del Messico per tre mandati diretti, dal 1876 al 1911.
Così Paz desta polemiche quando divien aspro critico della insurrezione zapatista del 1994 e del subcomandante Marcos. Il 7 gennaio 1994 sul quotidiano messicano La Jornada scrive: “È una ribellione irreale, condannata al fallimento. Non corrisponde alla situazione del nostro paese, né alle sue necessità ed aspirazioni attuali”. Ma poi “pian piano, scopre lo stile originale dei proclami di Marcos, l’idealismo sincero, la sensibilità con cui esprime i sentimenti degli indigeni. Ricordandogli quando lui stesso, negli anni 30, era andato nello Yucatan a lavorare con gli indigeni. A conquistare il poeta è un’identificazione personale più che ideologica: non fu la guerriglia, ma la prosa di Marcos e la sua vocazione per il mondo indigeno”. Così scrive il messicano Jorge Volpi nel saggio La guerra y las palabras: una historia intelectual del 1994, in cui analizza il controverso rapporto tra Marcos e Octavio Paz
Ricordiamo che fu grande conoscitore di lingue, di tradizioni, affascinando soprattutto grazie al riflesso delle culture preispaniche rievocate in tante pagine. Tra gli scritti migliori ricordiamo: Il labirinto della solitudine, i saggi su Fernando Pessoa e Luis Cerneda, pubblicati in Italia dal Melangolo nel 1988, i trattati Congiunzioni e disgiunzioni e El Arco y la lira. Il labirinto della solitudine, scritto nel 1950, è il primo tentativo compiuto da un messicano per arrivare alla conoscenza piena della propria identità culturale. Paz tenta di far luce sull’anima del suo popolo e ne esamina perciò la storia, la politica, l’economia, ma spesso va al di là, aprendo le frontiere del Messico sul mondo. Nel labirinto della solitudine non si avventurano i soli messicani, ma tutti gli uomini: queste 250 pagine rappresentano una profonda meditazione sulla condizione umana. Altra sua opera è Suor Juana o le insidie della fede, monumentale biografia dedicata a Suor Juana Inés de la Cruz, straordinaria figura di religiosa e poetessa messicana del XVII secolo.
L’introduzione è a cura di Dario Puccini, uno dei massimi studiosi italiani di letteratura spagnola e ispano americana, studioso di suor Juana, e autore nel 1967 di un fondamentale saggio su di lei. Secondo Puccini l’incontro tra Paz e la suora messicana ha il carattere di un coinvolgimento totale. Nel riflettere sul mondo del Vice Reame della Nuova Spagna (1535-1821), all’interno dell’Impero coloniale spagnolo, Octavio Paz compie una profonda riflessione sul ruolo dell’intellettuale alle soglie della modernità: “Da un lato la società in cui visse suor Juana ci aiuta a comprenderla, dall’altro ce la nasconde. Suor Juana come ognuno di noi, è l’espressione della sua epoca, ma anche la negazione, l’eroina e la vittima”. Nel doppio ruolo della società e della protagonista, risiede il grande tema di un’opera che è allo stesso tempo critica letteraria e analisi del rapporto tra cultura e sistema totalitario.
La poesia come atto di liberazione, a perenne memoria, è teorizzata nel libro El Arco y la Lira, una riflessione nata dopo l’incontro con le culture orientali durante la sua permanenza in Giappone e India. Come Goethe, pensa che la poesia sia ricerca ininterrotta di senso, momentanea riconciliazione, presenza. Tutta l’inesausta attività ruota attorno a un solo tema: “Si scrive per essere ciò che siamo e che non siamo. Nell’uno e nell’altro caso cerchiamo noi stessi. E se abbiamo la fortuna di trovarci scopriamo che siamo uno sconosciuto”. Nascono così testi poetici come Libertad bajo palavra (1949), Aguila o sol? (1951), Agua y viento (1959), Topoemas (1971). Il mondo indigeno e in particolare quello azteco lo ritroviamo in Piedra del sol (1957): 584 endecasillabi in cui il passato precolombiano diventa fonte di suggestioni filosofiche. A partire dagli anni 80 del secolo XX, giungono riconoscimenti letterari internazionali, anzitutto l’importante Premio Cervantes, ricevuto nel 1981. Definito “l’orafo dei segni” per la cura e l’eleganza dei suoi versi, si afferma come innovatore del costume letterario e delle concezioni culturali.
Nel 1990 gli è assegnato il premio Nobel per la Letteratura per “l’appassionata scrittura dai vasti orizzonti, caratterizzata da un’intelligenza sensuale e da una integrità umanistica”. Octavio Paz scompare il 20 aprile 1998 in Messico, nella sua casa di Coyacan, dopo una lunga malattia. Rimane una delle figure chiave del XX secolo e tale rimarrà nel tempo, quel tempo nel quale rintracciò l’esperienza sovrannaturale come dimensione originaria dell’esistenza e trasmutazione di sé: “Le pietre sono tempo / Il vento / secoli di vento / Gli alberi sono tempo / gli uomini sono pietre / Il vento / si avvolge su se stesso e si sotterra / nel giorno di pietra / L’acqua non c’è, ma gli occhi brillano” (Versante Est, 1969).
Antonella Rita Roscilli, giornalista brasilianista-
Fonte-Patria Indipendente-
Periodico online dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia-ANPI-