GILDA MUSA- Poesie del 1983-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
– GILDA MUSA- Poesie del 1983-
-dalla Rivista QUINTA GENERAZIONE n°103/104 anno XI 1983-
Gilda Musa – Un incontro e Un piccolo ritratto, di Vittorio Curtoni / con intro di Nino Martino
29 agosto 2020 ~ GiuliaStudio83
Pubblichiamo oggi un post dedicato alla scrittrice Gilda Musa, poetessa, germanista e autrice di fantascienza fino alla fine degli anni ’70.
Gli articoli sono entrambi a firma di Vittorio Curtoni: uno è un’intervista a Musa, uscita sul numero 21 (anno 1977) della rivista di fantascienza ROBOT, che a quei tempi era edita da Armenia.
Nell’altro pezzo, lo scrittore e traduttore, che tanta parte ebbe a sua volta nel panorama SF italiano, ricorda la scrittrice a poco tempo dalla scomparsa della donna.
Entrambi gli articoli ci sono stati gentilmente mandati da Nino Martino, autore di racconti e romanzi e finalista al Premio Odissea, che lo ha trascritto per intero e ce lo ha inviato. Lasciamo quindi a lui la parola per introdurlo.
A te, Nino, e GRAZIE!
Ogni tanto, per curiosità prendo qualche cosa dalla mia biblioteca e provo a sfogliare a caso. Un libro mi sembra di non averlo mai letto? Vado a vedere ed è fittamente annotato di mio pugno. Cose così. E l’altro giorno mi sono imbattuto in un vecchio numero di Robot, in cui il compianto Vittorio Curtoni intervistava Gilda Musa.
Di lì ho fatto un po’ di ricerche, per mettere una toppa alla mia ignoranza (o oblio di cose che conoscevo? Spero la seconda ipotesi).
Ho scoperto che Gilda Musa è stata una importante scrittrice di fantascienza degli anni ‘70 insieme al marito Inisero Cremaschi.
Ho scoperto che entrambi hanno avuto un ruolo importante per la crescita della fantascienza italiana, anche organizzativo. Ed è a loro, forse, che si deve molto della qualità oggi.
L’intervista mi è sembrata di strepitosa attualità. Gilda musa ha idee chiarissime e le esprime in modo perfetto. Ci sono, di fatto, tutti i temi che sono in dibattito presso di noi.
Buona lettura e fateci sopra qualche piccola riflessione… Serve a noi tutti.
Incontro con Gilda Musa
Vittorio Curtoni
Qual è stata la spinta che ti ha indotto a scrivere? E perché ti dedichi, da anni, alla fantascienza?
Questa è la domanda che ogni scrittore desidera sentirsi fare. Poi succede che nessuno sa veramente, seriamente, concretamente, e profondamente rispondere. Escluso forse Asimov, il quale però sembra che abbia cominciato a raccontare le proprie vicende, biografiche e letterarie, da quando era in culla.
Visto che non sono Asimov, risponderò in modo molto più conciso: la spinta che mi ha indotta a scrivere è stata la necessità di interpretare la misteriosa complessità della realtà in movimento. Quanto alla fantascienza, la spinta è stata data dal fatto che è un tipo di narrativa che con maggiore efficacia e prontezza segue, anzi anticipa, le mutazioni del nostro mondo. Ho sempre desiderato che il mondo cambiasse, da quando ho cominciato ad avere l’uso della ragione. Può darsi che la fantascienza non incida molto nelle pieghe dell’esistenza individuale e collettiva dei nostri contemporanei. Ma, se non altro, ci offre un’illusione della realtà. E non è forse questo il maggiore fascino della fantascienza?
Quale differenza esiste fra l’attività di poetessa e quella di scrittrice di sf?
La poesia agisce verticalmente, affondando nella psicologia con gli strumenti di un linguaggio-laser, privilegiando essenzialmente le immagini e le forme. La fantascienza agisce anche orizzontalmente, in lungo e in largo, in tutti gli aspetti dell’esistenza: occupa le zone della sociologia, della politica, della progettazione scientifica, della psicologia individuale e di massa. Nella fantascienza, in breve, si rispecchia l’intero crogiolo del mondo. E la narrativa di fantascienza mi consente di esprimerlo nella sua poliedricità, attraverso personaggi e vicende. Per questo motivo, nel mio lavoro, poesia e fantascienza si integrano e si completano.
Fra i tuoi racconti, quale ricordi con maggiore soddisfazione? E perché?
Sarebbe facile rispondere: tutti, quelli già pubblicati e quelli ancora inediti. Ma non sarebbe legittimo, vero? Allora restringerò la rosa a un paio: Memoria totale e Max, tutti e due raccolti in Festa sull’asteroide, dopo essere usciti in riviste e antologie.
Memoria totale rivela, di me, l’aspetto più segreto e più poetico. Max, vicenda oggettiva sul tema dell’uomo nato in laboratorio, apre la mia coscienza sul mondo esterno. I due racconti, che non a caso molti lettori preferiscono, rappresentano appunto i miei campi di ricerca. Posso aggiungere che anche fra i miei racconti inediti ho i miei prediletti.
Tu lavori in questo campo sin dai tempi di «Futuro». Come sono stati gli inizi? Quali differenze ti sembra esistano oggi, a più di dieci anni da allora ?
Come tutti sanno, quando ho cominciato a scrivere, non sono partita dalla fantascienza, ma dalla poesia, dalla letteratura tedesca moderna, dalla letteratura atipica. La fantascienza è arrivata proprio con «Futuro», quando Inìsero Cremaschi e Lino Aldani rivelarono a me stessa che Memoria totale era un racconto di science-fiction. Avevo scritto una vicenda fantascientifica, senza sapere che potesse essere definita tale. Dopo quel primo racconto, tutto si è svolto con naturalezza, per me. Quanto alla situazione odierna, direi che il lavoro dei «pionieri» sia servito a spianare la strada ai nuovi autori.
Qual è la tua concezione del racconto di sf?
Novità, anticonformismo, suspense. Se manca uno di questi elementi, è possibile scrivere, forse, un capolavoro, ma non un buon racconto di autentica fantascienza.
Con che metodo (o metodi) scrivi?
Tutti i metodi sono buoni: pensarci su, rompersi le meningi fino a scovare un buon plot, ma il metodo migliore resta ancora quello di «pensare ad altro», cioè vivere guardandosi in giro. La realtà che mi sta attorno è un’immensa miniera per immaginare, e quindi scrivere, una storia di sf. Quanto alla resa narrativa, posso dire che non mi stanco di scrivere e riscrivere la medesima pagina anche otto o dieci volte, fino alla sua trasparente chiarezza e alla sua efficacia rappresentativa.
Che cosa ti ha insegnato l’esperienza del romanzo? La ritenteresti?
Del romanzo darei questa definizione: una fatica tremenda, almeno dieci volte quella che ci vuole per un racconto. Però, alla fine, viene decuplicata anche la soddisfazione morale, quella che compensa l’autore di tutto il tempo e l’energia psichica consumata sulle pagine. Se la ritenterei? L’ho già ritentata. Ho iniziato e finito nel 1977 un romanzo psicotecnologico destinato ai giovani, dal titolo ancora provvisorio Marinella Seconda, che sarà pubblicato dalla S.E.I. Inoltre, sto lavorando a una particolarissima space-opera, un romanzo più complesso e più «avventuroso» di Giungla domestica.
Scrivere un romanzo è un’esperienza importante, che consiglio. Ci si sente più maturi, dopo.
Quali sono, a tuo giudizio, i migliori autori nel campo della sf oggi in attività?
In Italia? All’estero? In ogni caso, non mi è possibile dare una risposta. Nel campo della sf avviene uno strano fenomeno: quasi tutti gli autori, anche i meno bravi, offrono sempre suggestioni, incantesimi, proposte, idee inedite; un fenomeno che avviene con minore frequenza nel campo della narrativa normale.
La tua opinione sul fandom in genere e in particolare?
Il fandom è l’habitat dello scrittore di fantascienza. Ci è indispensabile, come l’aria che respiriamo. A volte, ma non troppo spesso, l’aria è un pochino inquinata. Ma non per questo è meno preziosa.
Segui le vicende della sf americana? Se sì, come giudichi gli ultimi sviluppi del settore?
Seguo la sf americana anche da un punto di vista critico: infatti fin dal 1976 collaboro con il quotidiano “Paese Sera” con l’incarico della narrativa fantascientifica straniera e italiana.
Ho letto, su ROBOT, che alcuni scrittori americani intendono abbandonare la fantascienza. Li capisco. A casa loro, la sf è considerata ancora da molti come un «genere», una sottocategoria letteraria. Forse è per questo che, in generale, la sf statunitense sta prendendo strade meno ortodosse della sf delle origini: fantasy, speculative fiction, un pizzico di horror, una spruzzata di sesso, eccetera. Secondo me, però, lo sviluppo più interessante è dato da quegli autori che affondano i bisturi nei rapporti fra scienza e potere.
La tua reazione ai racconti del premio ROBOT?
Quando, insieme con Aldani, Cremaschi, Raiola, Anna Rinonapoli e altri, cominciai a scrivere, eravamo in pochi. Ora ci troviamo davanti a un reggimento di nuovi scrittori, o aspiranti scrittori. Quasi cinquecento racconti, al premio ROBOT! E l’aspetto più interessante è che il valore medio degli esordienti sia cosi alto, così maturo.
Che epitaffio vorresti per la tua vita?
Esiste una mia poesia, intitolata Tu, lontano lettore: è una sorta di coraggiosa epigrafe e un messaggio al futuro.
Però, per brevità, ne invento un altro:
Visse in tempi di mutamenti / e amò quei mutamenti.
Un piccolo ritratto di Gilda Musa
Vittorio Curtoni
È recentemente scomparsa Gilda Musa, una delle autrici più importanti per la storia della fantascienza italiana. Vittorio Curtoni ne traccia un ricordo.
Non ho incontrato Gilda Musa poi troppe volte in vita mia, e non la vedevo da almeno una quindicina d’anni; ma la notizia della sua morte, avvenuta a fine febbraio, mi ha lasciato un vuoto dentro. Se n’è andata in punta di piedi, con discrezione, com’era nello stile di questa signora minuta, tanto amabile, sempre pronta ad accendersi in discussioni vivacissime sulla natura del lavoro letterario, sul senso e sul perché della scrittura. Per questo, forse, ne conservo un ricordo così vivido: Gilda era una di quelle persone che puoi vedere poco, magari in occasioni particolari come una convention o la riunione di una giuria di un premio letterario, ma quegli incontri ti restano impressi per la vigoria, il calore intellettuale che sprigionano.
Gilda era un vulcano d’idee, di proposte, di voglia di fare; sembrava un po’ la metà, come dire?, iper-attiva della coppia che formava con Inisero Cremaschi. Anche Inisero è sempre stato una fucina intellettuale d’alto livello, come dimostra la sua produzione letteraria, come si vede benissimo dai suoi troppo rari racconti di fantascienza, ma il suo comportamento è più pacato, tranquillo. Inisero porge con garbo, suggerisce, propone; Gilda era irruenta, sicura di sé, assertiva. Forse (l’ho sempre pensato) è stato proprio grazie a questa diversità d’indole che i due hanno dato vita a un matrimonio tanto riuscito; o almeno, diciamo che entrando in casa loro si aveva l’impressione di una coppia in grande sintonia e armonia. Il che è bellissimo in linea generale ed è, mi si permetta dirlo, piuttosto raro in un universo come quello della letteratura, dove tanta gente è perennemente pronta a scannare tanta altra gente. Basta, ad esempio, rileggere l’introduzione di Inisero a “Giungla domestica” (Dall’Oglio, 1975) per rendersi conto di come il marito scrittore si tiri in disparte per lasciare tutto lo spazio possibile alla moglie scrittrice: io di coppie così ben assortite ne ho conosciute poche.
Il mio rapporto con Gilda Musa è iniziato molto prima che avessi il piacere di conoscerla di persona. Lei era di una generazione precedente alla mia, sicché io, da ragazzo, mi sono spesso trovato a incontrare quei bellissimi racconti seminati tra le pagine della rivista Futuro e delle antologie Interplanet: storie come “Memoria totale”, “Trenta colonne di zeri”, o “Max” mi si sono stampate nel cervello, colmandomi di meraviglia e reverente ammirazione. Non l’ho ancora detto, ma Gilda è sempre stata uno degli autori italiani di science fiction più dotati di capacità stilistiche; una grande autrice e narratrice nel senso più pieno dei termini. Non a caso era anche poetessa e germanista: una personalità multiforme incentrata su una consapevolezza dei mezzi letterari che ben pochi hanno eguagliato. Era l’epitome (e lo dico con la consapevolezza di esporre me e lei a critiche anche feroci, ma tant’è, la verità si impone da sé, non si discute) di quella “fantascienza umanista” che in Italia ha dato per anni frutti non indifferenti. Il rigore stilistico era per lei condizione necessaria e imprescindibile, sulla quale innestare lo sviluppo di idee fantastiche tanto innovative quanto pregnanti sul versante dei contenuti. Era scrittrice dotata di capacità di discernimento in sommo livello, sino ad arrivare alla rigorosa meticolosità di distinguo sottilissimi. C’è un episodio che ricordo molto bene e che illustra in maniera esemplare, credo, il concetto. Quando scrissi il capitolo a lei dedicato del mio volume “Le frontiere dell’ignoto”, glielo portai a leggere per avere il suo placet (sì, lo so, con tanti altri non l’ho fatto, ma Gilda era una signora, e che signora), e lei approvò tutto, fu molto contenta, mi ringraziò. Mi chiese però una lievissima modifica: dove, parlando della sua antologia “Strategie”, avevo scritto che si trattava di “strategie letterarie”, lei mi chiese di mettere invece (e io obbedii, s’intende) “strategie narrative”.
Questioni di pelo caprino? Non credo proprio. Questo è rigore. È attenzione spasmodica alla singola parola. È quello che uno scrittore veramente scrittore dovrebbe sempre fare, quando maneggia la lingua. È quello che tanti sedicenti autori non hanno mai imparato e che invece per lei era una sorta di seconda natura.
Se ben rammento, il primo contatto diretto con lei l’ho avuto allo SFIR (così si chiamavano all’epoca le convention nazionali: Science Fiction Italian Rundabout) di Ferrara del 1976. Gilda trattò mia moglie e me con una cordialità, una familiarità che davvero mi riempì di gioia. Un pochino anche d’orgoglio, lo confesso: essere accettato alla pari, di primo acchito, senza discussioni, da uno dei miei scrittori preferiti! Ancora oggi la ringrazio di questo. Gilda era nel pieno della sua querelle con la RAI, che aveva mandato in onda uno sceneggiato, “La traccia verde”, che a suo giudizio plagiava il suo romanzo “Giungla domestica”. Non so come si sia risolta, a livello legale, la questione, ma di certo ho sempre pensato che Gilda avesse ottime ragioni: per quanto sia vero che all’epoca le ricerche sulla supposta “sensibilità delle piante” fossero uno dei piatti forti della parapsicologia mondiale, è altrettanto vero che le due trame rivelavano coincidenze sconcertanti. E il suo romanzo era uscito prima che venisse prodotto lo sceneggiato. In sostanza, in entrambe le storie il colpevole di un delitto viene smascherato grazie alle reazioni “emotive” di una pianta… Vedete un po’ voi. Come minimo, il suo sacro furore era pienamente giustificato.
Con lei e con Inisero, Giuseppe Caimmi, Giuseppe Lippi e io siamo stati compagni di giuria per le due edizioni del “Premio Robot”. Ci siamo ritrovati negli uffici dell’Armenia, e dopo un pranzo in compagnia abbiamo passato il pomeriggio a discutere in maniera piuttosto accesa delle virtù e dei vizi dei racconti che avevamo letto. Debbo dire, riandando a quegli anni, che se nella seconda edizione Mauro Gaffo si impose all’unanimità, la vittoria di Morena Medri con “In morte di Aina” il primo anno fu dovuta soprattutto ai coniugi Cremaschi: loro due puntavano senza la minima esitazione su quel racconto, e invece noialtri tre avevamo una rosa di papabili troppo estesa e variegata. E non riuscimmo a trovare una piattaforma d’accordo. Non che mi dispiaccia, intendiamoci; ma insomma, se volete, anche questa è una riconferma delle ferree convinzioni e delle capacità di persuasione di Gilda Musa (e Inisero Cremaschi, come no). Una donna straordinaria, lasciatemelo dire.
Sono stato un po’ di volte a casa loro, sempre accolto con estrema cordialità. Avevano sotto casa una pizzeria che era un punto di ritrovo per gli scrittori milanesi, e oltre tutto la pizza era anche ottima! (Be’, io sono fanatico di pizza e ho canoni piuttosto rigorosi in merito.) Una volta andai da loro, ai mitici tempi di ROBOT, con Giuseppe Lippi, e quel che ricordo più di tutto è il fatto che non mi avvidi, a pianterreno, della presenza di una vetrata ORRIBILMENTE trasparente e mi ci fiondai contro col non indifferente peso del mio corpo. Una craniata fantozziana da restarci secco! Arrivai all’appartamento dei Cremaschi suonato come una campana e, suppongo, apparentemente sbronzo, anche se in realtà non avevo bevuto un goccio… Ma fu una serata ugualmente bella, calorosa, nell’ormai consueta pizzeria. Anche la botta disumana alla fronte è entrata a fare parte dei miei ricordi più dolci. Visto che mi trovai in fulgida compagnia.
So che, per anni, Gilda e Inisero sono stati il fulcro di riunioni periodiche (settimanali, credo) di autori che si davano convegno a casa loro per discettare dell’arte di scrivere. Un cenacolo, in parole povere.
Nonostante i loro ripetuti inviti, non ho partecipato una sola volta a questi incontri, per banali questioni logistiche: io vivo a Piacenza, loro a Milano. Talora la geografia e’ d’intoppo. E come non ricordare l’antologia “I labirinti del terzo pianeta” (Nuova Accademia, 1964), curata da loro due in anni in cui il semplice parlare di sf italiana era atto di smisurato orgoglio? Un’antologia nella quale riuscirono a coinvolgere nomi come Mario Soldati e Libero Bigiaretti, oltre a quelli che potremmo definire i “professionisti” indigeni della fantascienza. E un’altra impresa notevole è stata, negli anni Settanta, la serie “La Collina”, pubblicata dalla Nord: quattro intensi volumi a metà tra saggistica e narrativa nei quali si è tentato di lanciare la nuova etichetta di “neofantastico” per i narratori italiani. Il termine non ha avuto, è vero, grande successo, e le vendite non sono state eccezionali, come d’altronde è quasi sempre accaduto in Italia alle iniziative “diverse” in un campo tutto sommato molto conservatore; ma provate a sfogliare quelle pagine e vedrete quanto fervore, quanto attivismo, quanto discutere. Il curatore ufficiale di “La Collina” è stato Inisero, ma non è difficile vedere dietro la mano complice della moglie, che con lui condivideva la passione smisurata per il lavoro letterario.
Rammento queste cose per testimoniare l’importanza che la presenza di Gilda Musa ha avuto, nel farsi della fantascienza italiana, non solo per le sue virtù d’autrice ma anche per le attività concomitanti ideate e gestite col compagno della sua vita. E chissà quanto ho dimenticato. Ma non volevo offrire di lei un ritratto globale quanto piuttosto un’immagine, un’impressione; l’istantanea che rimarrà fissata nella mia memoria. Quel che penso di lei come narratrice l’ho detto nello scritto che potete leggere su questo numero di DELOS. Per il resto, che aggiungere? Carissima Gilda Musa, tu hai arricchito la mia esistenza con quello che hai scritto e con la tua presenza umana. Cose delle quali non si può mai essere grati a sufficienza.
Grazie di tutto, e a rivederci prima o poi, chi lo sa?
SCRITTRICI: E’ MORTA GILDA MUSA, SIGNORA DELLA FANTASCIENZA
AVEVA 72 ANNI ED ERA LA MOGLIE DELLO SCRITTORE CREMASCHI
Milano, 26 feb. (Adnkronos)- E’ morta ieri notte in una clinica a Milano, a causa di un tumore, all’eta’ di 72 anni, la scrittrice e poetessa Gilda Musa, autrice di libri per ragazzi, conosciuta come ”la signora italiana della fantascienza”. Condivideva la sua grande passione per le storie fantascientifiche con il marito, lo scrittore Inisiero Cremaschi, insieme al quale piu’ di vent’anni fa scrisse ”Dossier extraterrestri” (Rusconi).
Nata a Forlimpopoli (Forli’) nel 1926, dopo la laurea in lettere si era dedicata interamente all’insegnamento, ma nel tempo libero ha sempre coltivava la passione per la poesia e gli studi di letteratura tedesca. Grazie alla vita in comune con Cremaschi, si decise, ormai in eta’ matura, a 49 anni, a pubblicare il suo primo romanzo: ”Giungla domestica”, stampato da Dall’Oglio nel 1975, che ottenne il premio Citta’ di Ferrara. Nel ’79 dette alle stampe ”Esperimento donna”, mentre il primo lavoro di fantascienza e’ di due anni piu’ tardi, ”Fondazione Id”. Alcuni dei suoi racconti sono tradotti in inglese, francese, russo e tedesco: il piu’ fortunato e’ ”Marinella super” (’92), destinato ai ragazzi, ristampato oltre venti volte dall’editore torinese Sei. E sempre da Sei e’ uscito il suo ultimo libro, ”La grotta della musica” (’94).
(Pam/As/Adnkronos)
MUSA GILDA – Nata in Emilia Romagna, a Forlimpopoli, nel 1926, figlia dello xilografo Romeo Musa, Gilda Musa si laurea in Lettere a Milano e si specializza in Germanistica a Heidelberg, per poi diplomarsi in lingua inglese a Cambridge. Considerata una delle voci più rilevanti del panorama fantascientifico italiano, la sua forma espressiva originaria è rappresentata dall’attività poetica: la raccolta d’esordio, dal titolo ungarettiano, è Il Porto quieto (1953), a cui faranno seguito Amici e nemici (1961), Gli onori della cronaca (1964)e La notte artificiale (1965), attraverso le quali Gilda Musa passa a un maggior coinvolgimento morale e a un’attenzione sempre più precisa per quegli aspetti malati e violenti della società neocapitalistica, per arrivare infine alla rappresentazione della totale alienazione del soggetto. All’accresciuta importanza che assume la riflessione critico-ideologica sulla realtà contemporanea, si lega l’esigenza di estendere il proprio pubblico, cui è derivativo l’avvicinamento alla fantascienza, con il racconto Memoria totale (apparso sulla rivista «Futuro» nel 1963), cui si affiancheranno la partecipazione all’antologia I labirinti del terzo pianeta. Nuovi racconti italiani di fantascienza (1964)e la collaborazione alla rivista «La collina», la quale ha contribuito a delineare il filone narrativo del neofantastico. Lungo tutto questo percorso di lavoro, Gilda Musa non utilizza mai alcuno pseudonimo: un fattore significativo di una fantascienza italiana in grado di rivendicare un proprio spazio e una propria autonomia dai modelli stranieri. Con il racconto L’unico abitabile (1963), Gilda Musa segna l’inizio di una serie di racconti concentrati su un singolo protagonista e sul suo dramma interiore; seguiranno poi Giungla domestica (1975), Fondazione «ID» (1976), Marinella super (1978), Esperimento donna (1979) e L’arma invisibile (1982),opere in cui l’autrice cerca di promuovere un progetto di crescita e civiltà nel pieno rispetto della risorse umane e naturali: in una società basata sempre più sull’individuo e sullo sfruttamento delle sue risorse naturali, con l’arroganza di piegare il proprio habitat al servizio dell’uomo e della scienza, il messaggio ecologico veicolato da Musa diventa mezzo di riavvicinamento alla propria Terra, ritrovando un rapporto armonico e naturale con essa, e di riscoperta di se stessi in una dimensione più “umana” e innocente. Gilda Musa muore a Milano nel febbraio del 1999.
(a cura di Eleonora Ancona)