Silvio Benco -IL PITTORE GIUSEPPE TOMINZ-
Biblioteca DEA SABINA
–Silvio Benco- IL PITTORE GIUSEPPE TOMINZ-
Articolo dalla Rivista PAN aprile 1934
Giuseppe Tominz (Gorizia, 6 luglio 1790 – Gradiscutta, 24 aprile 1866) è stato un pittore italiano, di fama internazionale, considerato il massimo ritrattista di area goriziano-triestina dell’Ottocento.
Autore-Vania Gransinigh–TOMINZ GIUSEPPE- Figlio di Giovanni, Giuseppe nacque a Gorizia il 6 luglio 1790. Avendo dimostrato una precoce predisposizione all’arte, nel 1809 si recò a Roma per completare quella che in patria era stata una prima formazione piuttosto disordinata e priva di punti di riferimento. A quel «pittore Giovanni», che i documenti indicano quale padrino di cresima di T., infatti, non è ancora stato possibile attribuire un’identità precisa, che permetta di individuare con certezza i modelli figurativi a cui il giovane artista ebbe modo di guardare agli esordi della sua carriera professionale. Risalgono a quel periodo il foglio raffigurante la Distruzione di Troia, ispirato alla stampa di analogo soggetto di Ulderico Moro (1807), e il Ritratto di Francesco Moncada, copia dal dipinto di Van Dyck mediata dall’incisione di Raffaello Morghen (1809), opere che, conservate entrambe nelle collezioni dei Musei Provinciali della città isontina, testimoniano la buona volontà, ma la scarsa preparazione artistica del loro artefice. Pare che, a segnare la fortuna del pittore, sia stato l’interessamento dell’arciduchessa Marianna d’Austria, sorella dell’imperatore Francesco I, la quale, giunta a Gorizia nel 1809 poco prima di morire, notò le capacità di T., auspicandone un soggiorno a Roma per completare là i suoi studi. Venuto subitaneamente a mancare al pittore l’appoggio di quest’ultima, egli si rivolse per un aiuto al nobile goriziano Giuseppe della Torre che, generale maggiore di Sua maestà imperiale, si era stabilito in quel torno di tempo nell’Urbe. Partito il 5 marzo di quello stesso anno alla volta della Città eterna, T. vi giunse alla fine del mese per rimanervi nei successivi nove anni, ospite e allievo del pittore mantovano Domenico Conti Bazzani. Seguendo gli insegnamenti di quest’ultimo e frequentando le lezioni della Scuola di nudo all’Accademia di S. Luca, T. perfezionò il proprio stile conseguendo, nel 1814, il secondo premio unico per il disegno con lo Studio di apostolo, oggi conservato presso gli archivi dell’istituzione scolastica. Diverse furono le suggestioni che l’ambiente figurativo della Città eterna dei primi decenni dell’Ottocento poté esercitare sul giovane artista goriziano: oltre alla rinnovata riflessione sulla pittura di matrice classica del Seicento romano, infatti, agirono su di lui anche gli esempi rappresentati dall’attività d’esordio, di impostazione purista, dei Nazareni tedeschi, che lì si erano trasferiti dando vita alla confraternita dei “Lukasbrüder”. A Roma T. conobbe e sposò nel 1816 Maria Ricci, da cui ebbe il figlio Augusto, nato nel 1818. Ad un periodo di poco precedente risalirebbe l’esecuzione dell’Autoritratto con il fratello (1812-1815 ca.; Gorizia, Musei Provinciali), realizzato verosimilmente prima del matrimonio, durante un soggiorno compiuto nella città isontina. Il dipinto, ricco di rimandi simbolici e allegorici, palesa nella composizione il richiamo ai modelli rappresentati da Batoni e Lampi, assai noti in ambito romano. Stando alle evidenze documentarie, T. fece rientro a Gorizia nei primi mesi del 1818, dove ebbe modo di incontrarlo Francesco Giuseppe Savio (V.) che, consigliere del tribunale cittadino, ne scrisse al figlio in alcune lettere rimaste un punto di riferimento fondamentale per ricostruire l’attività professionale del pittore in quei primi anni goriziani. Da queste fonti si evince l’impegno inizialmente profuso da T. sul versante della pittura di storia e solo in un secondo momento rivolto al genere ritrattistico per il tramite della commissione, risalente al 1818, di due copie del ritratto aulico dell’imperatore Francesco I da eseguirsi per il tribunale civico provinciale di Gorizia e per il tribunale commerciale di Trieste. A questi dipinti destinati all’arredo di uffici pubblici, ne fecero seguito molti altri per le città di Fiume e Lubiana, che vanno ad aggiungersi ai due sicuramente di mano del pittore goriziano, raffiguranti nuovamente Francesco I e, successivamente, Ferdinando I in vesti da parata (Gorizia, Musei Provinciali). Dopo aver compiuto un soggiorno a Vienna verosimilmente tra il 1819 e il 1820, T. si dedicò in via quasi esclusiva alla pittura di ritratti, genere nel quale appariva particolarmente versato. Se si eccettua la pala per l’altare maggiore del duomo cittadino, le opere certamente ascrivibili al periodo goriziano consistono in numerosi ritratti, tra i quali spicca il proprio, scanzonato Autoritratto (Trieste, Civico museo Revoltella), realizzato intorno al 1825 per la villa di famiglia di Gradiscutta, poco prima del trasferimento a Trieste, città nella quale fissò la propria residenza fino al 1855. Nel capoluogo giuliano T. trovò l’ambiente sociale più adatto ad accogliere la sua pittura levigata e cristallina, capace di rendere allo stesso tempo e con sorprendente abilità le effigi e l’anima dei suoi soggetti. Alla lunga serie di opere portate a compimento per gli esponenti della borghesia cittadina appartiene anche il Ritratto della famiglia Brucker (Trieste, Civico museo Revoltella), proposto all’attenzione del pubblico nel 1830 in occasione della mostra personale organizzata dal pittore a Trieste, con intenti modernamente promozionali. La tela rappresenta una delle migliori testimonianze della pittura tominziana nella seconda metà degli anni Venti, quando maggiormente si manifestò nell’artista l’adesione alla poetica Biedermeier, che lo indusse ad inserire i ritratti in ambientazioni domestiche e quotidiane. Le opere portate a termine negli anni seguenti evidenziano invece il concentrarsi del pittore sui personaggi effigiati, con una riduzione al minimo delle notazioni ambientali e una più grande attenzione riservata alla resa fisionomica, come testimonia ad esempio il Ritratto di Nicola Botta (Gorizia, Musei Provinciali), risalente verosimilmente alla fine del decennio successivo. Le medesime osservazioni potrebbero essere estese al Ritratto del padre (Lubiana, Narodna Galerija), tradizionalmente datato al 1848, dove l’anziano Giovanni Tominz è raffigurato mentre con la mano sinistra regge una tabacchiera ornata dal ritratto miniato della moglie, scomparsa nel 1802. Caratterizzata da un rigoroso nitore formale e da una ricercata naturalezza espressiva, l’immagine rappresenta efficacemente l’ultima attività triestina di T., che, nel 1855, decise di ritirarsi a Gorizia, città nella quale fu accolto con ogni onore. Colpito qualche anno dopo da una forma di cecità progressiva, l’artista trasferì definitivamente la propria residenza nella villa di Gradiscutta, dove trascorse, accanto al fratello, gli ultimi anni della propria vita prima di morire il 22 aprile 1866.
A coadiuvare il padre Giuseppe nell’ultimo periodo della sua attività professionale fu il figlio Augusto, che era nato a Roma il 1° febbraio 1818 e che si dedicò alla pittura di genere storico e religioso e alla ritrattistica seguendo le orme del genitore. A lui spetta l’esecuzione delle diciassette tele che ornano il soffitto della sala da ballo di palazzo Revoltella a Trieste, ispirate al tema delle arti e dei mestieri e portate a compimento nel 1859. Nelle sale dello stesso edificio è ospitato anche il Ritratto dell’arciduca Massimiliano d’Austria, realizzato nel 1868 a un anno di distanza dalla scomparsa dello sfortunato fratello dell’imperatore Francesco Giuseppe I. Dal 1872 e sino alla morte, avvenuta a Trieste il 17 giugno 1883, T. ricoprì la carica di primo direttore del Civico museo Revoltella.
Autore-Vania Gransinigh