ABOLIZIONE DELLA PENA DI MORTE IN TOSCANA 30 NOVEMBRE 1786
30 NOVEMBRE 1786 – ABOLIZIONE DELLA PENA DI MORTE IN TOSCANA
Il Settecento, secolo dei Lumi, si avvicina a molte delle nostre concezioni in merito al rapporto tra Stato e sudditi che diventeranno in seguito cittadini. L’esito della riflessione intellettuale di uno dei più importanti circoli di philosophes italiani, il Caffè di Milano, fu l’uguaglianza tra sudditi di fronte allo Stato ed alla giustizia, senza più distinzioni tra nobili e “normali” sudditi.
Approfondendo questi dibattiti, Cesare Beccaria, intellettuale milanese che faceva capo al Caffè, espose i suoi pensieri in un pamphlet destinato ad avere un successo enorme, “Dei delitti e delle pene”, pubblicato nel 1764. Sostenuto da una visione contrattualistica del rapporto tra Stato e cittadini, egli arrivò a dimostrare l’infondatezza della legittimità della tortura e della pena di morte. Poiché tutti i sudditi erano uguali di fronte alla legge e compito del sovrano non era quello di punire e reprimere, ma di prevenire i crimini e recuperare i colpevoli, l’uso della violenza fisica per estorcere confessioni e le esecuzioni capitali, da secoli eseguite pubblicamente e strumentalizzate come monito per l’intera cittadinanza, non erano più legittime e contrarie ai principi della giustizia.
Questo piccolo libretto ebbe un diffusione capillare in ogni ceto intellettuale ed in ogni nazione d’Europa ed influenzò le riforme della giustizia di alcuni sovrani “illuminati”: Caterina di Russia e soprattutto Pietro Leopoldo granduca di Toscana che nel 1786, con la riforma giudiziaria detta Leopoldina, abolì la pena di morte, sostituita con il carcere a vita, e la tortura nei territori sotto il suo governo, prima nazione del mondo a vantare questo primato di civiltà. Furono inoltre abolite la confisca dei beni da parte del condannato ed il crimine di lesa maestà e fu sancito l’obbligo della motivazione delle sentenze.
Rimasero tuttavia alcuni elementi di arretratezza: non scomparirono i reati di eresia, bestemmia, sacrilegio e sortilegio, puniti con pene gravissime. Rimasero punizioni pesanti per i reati di sodomia, adulterio, stupro ed in genere tutti i reati sessuali. Rimasero infine pene corporali come la gogna, la frusta pubblica e le staffilate. Inoltre la condanna a morte fu reintrodotta quattro anni dopo, nel 1790, per colpire i sobillatori ed i ribelli.
I princìpi modernissimi di questo nuovo codice penale ebbero però una risonanza straordinaria non solo nei secoli successivi, ma anche negli anni immediatamente successivi: Giuseppe II, imperatore d’Austria, avviò l’abolizione della pena di morte nel suo regno nel 1787.
Nell’immagine sotto: frontespizio di un’edizione “Dei delitti e delle pene” con al lato sinistro una rappresentazione allegorica (le allegorie erano sovente rappresentate per esprimere visivamente i pensieri nel Settecento) della Giustizia che rifiuta le teste decapitate da un boia.